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NELL'ALBA E NELLA LUCE» Auspici di pace giusta e duratura




NELL'ALBA E NELLA LUCE che rifulge previa alla festa del Santo Natale, attesa sempre con vivo anelito di gioia soave e penetrante, mentre ogni fronte si prepara a curvarsi e ogni ginocchio a piegarsi in adorazione davanti all'ineffabile mistero della misericordiosa bontà di Dio, che nella sua carità infinita volle dare, quale dono più grande e augusto, all'umanità il suo Figliuolo Unigenito; il Nostro cuore, diletti figli e figlie, sparsi sulla faccia della terra, si dilata a voi, e, pur non obliando la terra, si eleva e si profonda nel cielo.
La stella, indicatrice della culla del neonato Redentore, da venti secoli ancora splende meravigliosa nel cielo della Cristianità. Si agitino pure le genti, e le nazioni congiurino contro Dio e contro il suo Messia (cf. Sal 2,1-2): attraverso le bufere del mondo umano la stella non conobbe, non conosce né conoscerà tramonti; il passato, il presente e l'avvenire sono suoi. Essa ammonisce a mai non disperare: splende sopra i popoli, quand'anche sulla terra, come su oceano mugghiante per tempesta, si addensino i cupi turbini, generatori di stragi e di miserie. La sua luce è luce di conforto, di speranza, di fede incrollabile, di vita e certezza nel trionfo finale del Redentore, che traboccherà, quale torrente di salvezza, nella pace interiore e nella gloria per tutti quelli che, elevati all'ordine soprannaturale della grazia, avranno ricevuto il potere di farsi figli di Dio, perché nati da Dio.
Onde Noi, che, in questi amari tempi di sconvolgimenti guerreschi, siamo straziati dei vostri strazi e doloranti dei vostri dolori, Noi che viviamo come voi sotto il gravissimo incubo di un flagello, dilaniante un terzo anno ancora l'umanità, nella vigilia di tanta solennità amiamo di rivolgervi con commosso cuore di padre la parola, per esortarvi a restar saldi nella fede, e per comunicarvi il conforto di quella verace, esuberante e trasumanante speranza e certezza, che si irradiano dalla culla del neonato Salvatore.

Per vero, diletti figli, se il nostro occhio non mirasse più su della materia e della carne, appena è che troverebbe qualche ragione di conforto. Diffondono, sì, le campane il lieto messaggio del Natale, si illuminano chiese e oratori, le armonie religiose rallegrano gli spiriti, tutto è festa e ornamento nei sacri templi; ma la umanità non cessa dal dilaniarsi in una guerra sterminatrice. Nei sacri riti echeggia sulle labbra della Chiesa la mirabile antifona: «Rex pacificus magnificatus est, cuius vultum desiderat universa terra»;(2) ma essa risuona in stridente contrasto con avvenimenti, che rombano per piani e per monti con fracasso pieno di spavento, devastano terre e case per estese regioni, e gettano milioni di uomini e le loro famiglie nell'infelicità, nella miseria e nella morte. Certo, ammirevoli sono i molteplici spettacoli di indomato valore nella difesa del diritto e del suolo natìo; di serenità nel dolore; di anime che vivono come fiamme di olocausto per il trionfo della verità e della giustizia. Ma pure con angoscia che Ci preme l'animo pensiamo e, come sognando, guardiamo ai terribili scontri di armi e di sangue di quest'anno che volge al tramonto; alla infelice sorte dei feriti e dei prigionieri; alle sofferenze corporali e spirituali, alle stragi, alle distruzioni e rovine che la guerra aerea porta e rovescia su grandi e popolose città, su centri e vasti territori industriali, alle dilapidate ricchezze degli Stati, ai milioni di gente, che l'immane conflitto e la dura violenza vengono gettando nella miseria e nell'inedia.

E mentre il vigore e la salute di larga parte di gioventù, che andava maturando, si vengono scuotendo per le privazioni imposte dal presente flagello, vanno per contro salendo ad altezze vertiginose le spese e i gravami di guerra, che, originando contrazione delle forze produttive nel campo civile e sociale, non possono non dar fondamento alle ansie di coloro che volgono l'occhio preoccupato verso l'avvenire. L'idea della forza soffoca e perverte la norma del diritto. Rendete possibile e offrite porta aperta a individui e gruppi sociali o politici di ledere i beni e la vita altrui; lasciate che anche tutte le altre distruzioni morali turbino e accendano l'atmosfera civile a tempesta; e voi vedrete le nozioni di bene e di male, di diritto e d'ingiustizia perdere i loro acuti contorni, smussarsi, confondersi e minacciare di scomparire. Chi in virtù del ministero pastorale ha la via di penetrare nei cuori, sa e vede qual cumulo di dolori e di ansietà inenarrabili s'aggravi e si amplifichi in molte anime, ne scemi la brama e la gioia di lavorare e di vivere; ne soffochi gli spiriti e li renda muti e indolenti, sospettosi e quasi senza speranza in faccia agli eventi e ai bisogni: turbamenti d'animo che nessuno può prendere alla leggiera, se tiene a cuore il vero bene dei popoli, e desidera promuovere un non lontano ritorno a condizioni normali e ordinate di vita e di azione. Davanti a tale visione del presente, nasce un'amarezza che invade il petto, tanto più in quanto non appare oggi aperto alcun sentiero d'intesa tra le parti belligeranti, i cui reciproci scopi e programmi di guerra sembrano essere in contrasto inconciliabile.
Quando si indagano le cause delle odierne rovine, davanti a cui l'umanità, che le considera, resta perplessa, si ode non di rado affermare che il cristianesimo è venuto meno alla sua missione. Da chi e donde viene siffatta accusa? Forse da quegli apostoli, gloria di Cristo, da quegli eroici zelatori della fede e della giustizia, da quei pastori e sacerdoti, araldi del cristianesimo, i quali attraverso persecuzioni e martirii ingentilirono la barbarie e la prostrarono devota all'altare di Cristo, iniziarono la civiltà cristiana, salvarono le reliquie della sapienza e dell'arte di Atene e di Roma, adunarono i popoli nel nome cristiano, diffusero il sapere e la virtù, elevarono la croce sopra i pinnacoli aerei e le volte delle cattedrali, immagini del cielo, monumenti di fede e di pietà, che ancora ergono il capo venerando fra le rovine dell'Europa? No: il Cristianesimo, la cui forza deriva da Colui che è via, verità e vita, e sta e starà con esso fino alla consumazione dei secoli, non è venuto meno alla sua missione; ma gli uomini si sono ribellati al Cristianesimo vero e fedele a Cristo e alla sua dottrina; si sono foggiati un cristianesimo a loro talento, un nuovo idolo che non salva, che non ripugna alle passioni della concupiscenza della carne, all'avidità dell'oro e dell'argento che affascina l'occhio, alla superbia della vita; una nuova religione senz'anima o un'anima senza religione, una maschera di morto cristianesimo, senza lo spirito di Cristo; e hanno proclamato che il Cristianesimo è venuto meno alla sua missione!
Scaviamo in fondo alla coscienza della società moderna, ricerchiamo la radice del male: dove essa alligna? Senza dubbio anche qui non vogliamo tacere la lode dovuta alla saggezza di quei Governanti, che o sempre favorirono o vollero e seppero rimettere in onore, con vantaggio del popolo, i valori della civiltà cristiana nei felici rapporti fra Chiesa e Stato, nella tutela della santità del matrimonio, nella educazione religiosa della gioventù. Ma non possiamo chiudere gli occhi alla triste visione del progressivo scristianamento individuale e sociale, che dalla rilassatezza del costume è trapassato all'indebolimento e all'aperta negazione di verità e di forze, destinate a illuminare gl'intelletti sul bene e sul male, a corroborare la vita familiare, la vita privata, la vita statale e pubblica. Un'anemia religiosa, quasi contagio che si diffonda, ha così colpito molti popoli di Europa e del mondo e fatto nell'anime un tal vuoto morale, che nessuna rigovernatura religiosa o mitologia nazionale e internazionale varrebbe a colmarlo. Con parole e con azioni e con provvedimenti, da decenni e secoli, che mai di meglio o di peggio si seppe fare se non strappare dai cuori degli uomini, dalla puerizia alla vecchiezza, la fede in Dio, Creatore e Padre di tutti, rimuneratore del bene e vindice del male, snaturando l'educazione e l'istruzione, combattendo e opprimendo con ogni arte emezzo, con la diffusione della parola e della stampa, con l'abuso della scienza e del potere, la religione e la Chiesa di Cristo?
Travolto lo spirito nel baratro morale con lo straniarsi da Dio e dalla pratica cristiana, altro non rimaneva se non che pensieri, propositi, avviamenti, stima delle cose, azione e lavoro degli uomini si rivolgessero e mirassero al mondo materiale, affannandosi e sudando per dilatarsi nello spazio, per crescere più che mai oltre ogni limite nella conquista delle ricchezze e della potenza, per gareggiare di velocità nel produrre più e meglio ogni cosa che l'avanzamento o il progresso materiale pareva richiedere. Di qui, nella politica, il prevalere di un impulso sfrenato verso l'espansione e il mero credito politico incurante della morale; nell'economia il dominare delle grandi e gigantesche imprese e associazioni; nella vita sociale il riversarsi e pigiarsi delle schiere di popolo in gravosa sovrabbondanza nelle grandi città e nei centri d'industria e di commercio, con quella instabilità che consegue e accompagna una moltitudine di uomini, i quali mutano casa e residenza, paese e mestiere, passioni e amicizie. 
Ne nacque allora che i rapporti reciproci della vita sociale presero un carattere puramente fisico e meccanico. Con dispregio di ogni ragionevole ritegno e riguardo l'impero della costrizione esterna, il nudo possesso del potere si sovrappose alle norme dell'ordine, reggitore della convivenza umana, le quali, emanate da Dio, stabiliscono quali relazioni naturali e soprannaturali intercorrano fra il diritto e l'amore verso gl'individui e la società. La maestà e la dignità della persona umana e delle particolari società venne mortificata, avvilita e soppressa dall'idea della forza che crea il diritto; la proprietà privata divenne per gli uni un potere diretto verso lo sfruttamento dell'opera altrui, negli altri generò gelosia, insofferenza e odio; e l'organizzazione, che ne seguiva, si convertì in forte arma di lotta per far prevalere interessi di parte. In alcuni Paesi, una concezione dello Stato atea o anticristiana con i suoi vasti tentacoli avvinse a sé talmente l'individuo da quasi spogliarlo d'indipendenza, non meno nella vita privata che nella pubblica.
Chi potrà oggi meravigliarsi se tale radicale opposizione ai principi della cristiana dottrina venne infine a tramutarsi in ardente cozzo di tensioni interne ed esterne, così da condurre a sterminio di vite umane e distruzione di beni, quale lo lediamo e a cui assistiamo con profonda pena? Funesta conseguenza e frutto delle condizioni sociali ora descritte, la guerra, lungi dall'arrestarne l'influsso e lo svolgimento, lo promuove, lo accelera e amplia, con tanto maggior rovina, quanto più essa dura, rendendo la catastrofe ancor più generale.
Dalla Nostra parola contro il materialismo dell'ultimo secolo e del tempo presente male argomenterebbe chi ne deducesse una condanna del progresso tecnico. No; Noi non condanniamo ciò che è dono di Dio, il quale, come ci fa sorgere il pane dalle zolle della terra, nelle viscere più profonde del suolo nei giorni della creazione del mondo nascose tesori di fuoco, di metalli, di pietre preziose da scavarsi dalla mano dell'uomo per i suoi bisogni, per le sue opere, per il suo progresso. La Chiesa, madre di tante Università d'Europa, che ancora esalta e aduna i più arditi maestri delle scienze, scrutatori della natura, non ignora però che di ogni bene e della stessa libertà del volere si può far un uso degno di lode e di premio ovvero di biasimo e di condanna. Così è avvenuto che lo spirito e la tendenza, con cui fu spesso usato il progresso tecnico, fanno sì che, all'ora che volge, la tecnica debba espiare il suo errore ed esser quasi punitrice di se stessa, creando strumenti di rovina, che distruggono oggi ciò che ieri essa ha edificato.
Di fronte alla vastità del disastro, originato dagli errori indicati, non si offre altro rimedio, se non il ritorno agli altari, a' pie' dei quali innumerevoli generazioni di credenti attingevano già la benedizione e l'energia morale per il compimento dei propri doveri; alla fede, che illuminava individui e società e insegnava i diritti e i doveri spettanti a ciascuno; alle sagge e incrollabili norme di un ordine sociale, le quali nel terreno nazionale, come in quello internazionale, ergono un'efficace barriera contro l'abuso della libertà, non altrimenti che contro l'abuso del potere. Ma il richiamo a queste benefiche sorgenti ha da risonare alto, persistente, universale, nell'ora in cui il vecchio ordinamento sarà per scomparire e cedere il passo e il posto a un nuovo.
La futura ricostruzione potrà presentare e dare preziosa facoltà di promuovere il bene, non scevra anche di pericoli di cadere in errori, e con gli errori favorire il male; ed esigerà serietà prudenti e matura riflessione, non solo per la gigantesca arduità dell'opera, ma ancora per le gravi conseguenze che, qualora fallisse, cagionerebbe nel campo materiale e spirituale; esigerà intelletti di larghe vedute e volontà di fermi propositi, uomini coraggiosi e operosi, ma, sopra tutto e avanti tutto, coscienze, le quali nei disegni, nelle deliberazioni e nelle azioni siano animate e mosse e sostenute da un vivo senso di responsabilità, e non rifuggano dall'inchinarsi davanti alle sante leggi di Dio; perché, se con la vigoria plasmatrice nell'ordine materiale non si accoppierà somma ponderatezza e sincero proposito nell'ordine morale, si verificherà senza dubbio la sentenza di S. Agostino: «Bene currunt, sed in via non currunt. Quanto plus currunt, plus errant, quia a via recedunt».(3)
Né sarebbe la prima volta che uomini, i quali stanno nell'aspettazione di cingersi del lauro di vittorie guerresche, sognassero di dare al mondo un nuovo ordinamento, additando nuove vie, a loro parere, conducenti al benessere, alla prosperità e al progresso. Ma ogni qualvolta cedettero alla tentazione d'imporre la loro costruzione contro il dettame della ragione, della moderazione, della giustizia e della nobile umanità, si trovarono caduti e stupiti a contemplare i ruderi di speranze deluse e di progetti abortiti. Onde la storia insegna che i trattati di pace, stipulati con spirito e condizioni contrastanti sia con i dettami morali sia con una genuina saggezza politica, mai non ebbero vita, se non grama e breve, mettendo così a nudo e testimoniando un errore di calcolo, umano senza dubbio, ma non per questo meno esiziale. 
Ora le rovine di questa guerra sono troppo ingenti, da non dovervisi aggiungere anche quelle di una pace frustrata e delusa; e perciò ad evitare tanta sciagura, conviene che con sincerità di volere e di energia, con proposito di generoso contributo, vi cooperino, non solo questo o quel partito, non solo questo o quel popolo, ma tutti i popoli, anzi l'intera umanità. È un'intrapresa universale di bene comune, che richiede la collaborazione della Cristianità, per gli aspetti religiosi e morali del nuovo edificio che si vuol costruire.
Facciamo quindi uso di un Nostro diritto o, meglio, adempiamo un Nostro dovere, se oggi, alla vigilia del Santo Natale, divina aurora di speranza e di pace per il mondo, con l'autorità del Nostro ministero apostolico e il caldo incitamento del Nostro cuore, richiamiamo l'attenzione e la meditazione dell'universo intero sui pericoli che insidiano e minacciano una pace, la quale sia acconcia base di un vero nuovo ordinamento e risponda all'aspettazione e ai voti dei popoli per un più tranquillo avvenire
Tale nuovo ordinamento, che tutti i popoli anelano di veder attuato, dopo le prove e le rovine di questa guerra, ha da essere innalzato sulla rupe incrollabile e immutabile della legge morale, manifestata dal Creatore stesso per mezzo dell'ordine naturale e da Lui scolpita nei cuori degli uomini con caratteri incancellabili; legge morale, la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante.
Quale faro splendente, essa deve coi raggi dei suoi principi dirigere il corso dell'operosità degli uomini e degli Stati, i quali avranno da seguirne le ammonitrici, salutari e proficue segnalazioni, se non vorranno condannare alla bufera e al naufragio ogni lavoro e sforzo per stabilire un nuovo ordinamento. Riassumendo pertanto e integrando quel che in altre occasioni fu da Noi esposto, insistiamo anche ora su alcuni presupposti essenziali di un ordine internazionale, che, assicurando a tutti i popoli una pace giusta e duratura, sia feconda di benessere e di prosperità.
1. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per la lesione della libertà, dell'integrità e della sicurezza di altre Nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa. Se è inevitabile che i grandi Stati, per le loro maggiori possibilità e la loro potenza, traccino il cammino per la costituzione di gruppi economici fra essi e le azioni più piccole e deboli; è nondimeno incontestabile - come per tutti, nell'ambito dell'interesse generale - il diritto di queste al rispetto della loro libertà nel campo politico, alla efficace custodia di quella neutralità nelle contese fra gli Stati, che loro spetta secondo il gius naturale e delle genti, alla tutela del loro sviluppo economico, giacchè soltanto in tal guisa potranno conseguire adeguatamente il bene comune, il benessere materiale e spirituale del proprio popolo.
2. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per la oppressione aperta o subdola delle peculiarità culturali e linguistiche delle minoranze nazionali, per l'impedimento e la contrazione delle loro capacità economiche, per la limitazione o l'abolizione della loro naturale fecondità. Quanto più coscienziosamente la competente autorità dello Stato rispetta i diritti delle minoranze, tanto più sicuramente ed efficacemente può esigere dai loro membri il leale compimento dei doveri civili, comuni agli altri cittadini.
3. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per i ristretti calcoli egoistici, tendenti ad accaparrarsi le fonti economiche e le materie di uso comune, in maniera che le Nazioni, meno favorite dalla natura, ne restino escluse. Al qual riguardo Ci è di somma consolazione il vedere affermarsi la necessità di una partecipazione di tutti ai beni della terra anche presso quelle Nazioni, che nell'attuazione di questo principio apparterrebbero alla categoria di coloro «che danno» e non di quelli «che ricevono». Ma è conforme a equità che una soluzione di tale questione, decisiva per l'economia del mondo, avvenga metodicamente e progressivamente con le necessarie garanzie, e tragga ammaestramento dalle mancanze e dalle omissioni del passato. Se nella futura pace non si venisse ad affrontare coraggiosamente questo punto, rimarrebbe nelle relazioni tra i popoli una profonda e vasta radice germogliante amari contrasti ed esasperate gelosie, che finirebbero col condurre a nuovi conflitti. Decorre però osservare come la soddisfacente soluzione di questo problema strettamente vada connessa con un altro cardine fondamentale di un nuovo ordinamento, del quale parliamo nel punto seguente.
4. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto - una volta eliminati i più pericolosi focolai di conflitti armati - per una guerra totale né per una sfrenata corsa agli armamenti. Non si deve permettere che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbazioni morali si rovesci per la terza volta sopra la umanità. La quale perché venga tutelata lungi da tale flagello, è necessario che con serietà e onestà si proceda a una limitazione progressiva e adeguata degli armamenti. Lo squilibrio tra un esagerato armamento degli Stati potenti e il deficiente armamento dei deboli crea un pericolo per la conservazione della tranquillità e della pace dei popoli, e consiglia di scendere a un ampio e proporzionato limite nella fabbricazione e nel possesso di armi offensive.
Conforme poi alla misura, in cui il disarmo venga attuato, sono da stabilirsi mezzi appropriati, onorevoli per tutti ed efficaci, per ridonare alla norma Pacta sunt servanda, «i patti devono essere osservati», la funzione vitale e morale, che le spetta nelle relazioni giuridiche fra gli Stati. Tale norma, che nel passato ha subìto crisi preoccupanti e innegabili infrazioni, ha trovato contro di sé una quasi insanabile sfiducia tra i vari popoli e i rispettivi reggitori. Perché la fiducia reciproca rinasca devono sorgere istituzioni, le quali, acquistandosi il generale rispetto, si dedichino al nobilissimo ufficio, sia di garantire il sincero adempimento dei trattati, sia di promuoverne, secondo i principi di diritto e di equità, opportune correzioni o revisioni.
Non Ci nascondiamo il cumulo di difficoltà da superarsi, e la quasi sovrumana forza di buona volontà richiesta a tutte le parti, perché convengano a dare felice soluzione alla doppia impresa qui tracciata. Ma questo lavoro comune è talmente essenziale per una pace duratura, che nulla deve rattenere gli uomini di Stato responsabili dall'intraprenderlo e cooperarvi con le forze di un buon volere, il quale, guardando al bene futuro, vinca i dolorosi ricordi di tentativi non riusciti nel passato, e non si lasci atterrire dalla conoscenza del gigantesco vigore, che si domanda per tale opera.
5. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per la persecuzione della religione e della Chiesa. Da una fede viva in un Dio personale trascendente si sprigiona una schietta e resistente vigoria morale che informa tutto il corso della vita; perché la fede non è solo una virtù ma la porta divina per la quale entrano nel tempio dell'anima tutte le virtù, e si costituisce quel carattere forte e tenace che non vacilla nei cimenti della ragione e della giustizia. Ciò vale sempre; ma molto più ha da splendere quando così dall'uomo di Stato, come dall'ultimo dei cittadini si esige il massimo di coraggio e di energia morale per ricostruire una nuova Europa e un nuovo mondo sulle rovine, che il conflitto mondiale con la sua violenza, con l'odio e la scissione degli animi ha accumulate. Quanto alla questione sociale in particolare, che al finir della guerra si presenterà più acuta, i Nostri Predecessori e anche Noi stessi abbiamo segnato norme di soluzione; le quali però convien considerare che potranno seguirsi nella loro interezza e dare pieno frutto solo se uomini di Stato e popoli, datori di lavoro e operai, siano animati dalla fede in un Dio personale, legislatore e vindice, a cui devono rispondere delle loro azioni. Perché, mentre l'incredulità, che si accampa contro Dio, ordinatore dell'universo, è la più pericolosa nemica di un giusto ordine nuovo, ogni uomo, invece, credente in Dio ne è un potente fautore e paladino. Chi ha fede in Cristo, nella sua divinità, nella sua legge, nella sua opera di amore e di fratellanza fra gli uomini, porterà elementi particolarmente preziosi alla ricostruzione sociale; a maggior ragione, più ve ne porteranno gli uomini di Stato, se si dimostreranno pronti ad aprire largamente le porte e spianare il cammino alla Chiesa di Cristo, affinché, libera e senza intralci, mettendo le sue soprannaturali energie a servigio dell'intesa tra i popoli e della pace, possa cooperare col suo zelo e col suo amore all'immenso lavoro di risanare le ferite della guerra.
Ci riesce perciò inspiegabile come in alcune regioni disposizioni molteplici attraversino la via al messaggio della fede cristiana, mentre concedono ampio e libero passo a una propaganda che la combatte. Sottraggono la gioventù alla benefica influenza della famiglia cristiana e la estraniano dalla Chiesa; la educano in uno spirito avverso a Cristo, instillandovi concezioni, massime e pratiche anticristiane; rendono ardua e turbata l'opera della Chiesa nella cura delle anime e nelle azioni di beneficenza; disconoscono e rigettano il suo morale influsso sull'individuo e la società: determinazioni tutte che lungi dall'essere state mitigate o abolite nel corso della guerra, sono andate sotto non pochi riguardi inasprendosi. Che tutto questo, e altro ancora, possa essere continuato tra le sofferenze dell'ora presente è un triste segno dello spirito con cui i nemici della Chiesa impongono ai fedeli, in mezzo a tutti gli altri non lievi sacrifici, anche il peso angoscioso di un'ansia d'amarezza, gravante sulle coscienze.
Noi amiamo, Ce n'è testimonio Dio, con uguale affetto tutti i popoli senza alcuna eccezione; e per evitare anche solo l'apparenza di essere mossi da spirito di parte, Ci siamo imposti finora il massimo riserbo; ma le disposizioni contro la Chiesa e gli scopi, che esse perseguano, sono tali da sentirci obbligati in nome della verità a pronunziare una parola, anche perché non ne nasca, per disavventura, smarrimento tra i fedeli.
Noi guardiamo oggi, diletti figli, all'Uomo-Dio, nato in una grotta per risollevare l'uomo a quella grandezza, dond'era caduto per sua colpa, per ricollocarlo sul trono di libertà, di giustizia e d'onore, che i secoli degli dei falsi gli avevano negato. Il fondamento di quel trono sarà il Calvario; il suo ornamento non sarà l'oro o l'argento, ma il sangue di Cristo, sangue divino che da venti secoli scorre sul mondo e imporpora le gote della sua Sposa, la Chiesa, e, purificando, consacrando, santificando, glorificando i suoi figli, diventa candore di cielo.
O Roma cristiana, quel sangue è la tua vita: per quel sangue tu sei grande e illumini della tua grandezza anche i ruderi e le rovine della tua grandezza pagana, e purifichi e consacri i codici della sapienza giuridica dei pretori e dei Cesari. Tu sei madre di una giustizia più alta e più umana, che onora te, il tuo seggio e chi ti ascolta. Tu sei faro di civiltà, e la civile Europa e il mondo ti devono quanto di più sacro e di più santo, quanto di più saggio e di più onesto esalta i popoli e fa bella la loro storia. Tu sei madre di carità: i tuoi fasti, i tuoi monumenti, i tuoi ospizi, i tuoi monasteri e i tuoi conventi, i tuoi eroi e le tue eroine, i tuoi araldi e i tuoi missionari, le tue età e i tuoi secoli con le loro scuole e le loro università testimoniano i trionfi della tua carità, che tutto abbraccia, tutto soffre, tutto spera, tutto opera per farsi tutto a tutti, tutti confortare e sollevare, tutti sanare e chiamare alla libertà donata all'uomo da Cristo, e tranquillare tutti in quella pace, che affratella i popoli, e di tutti gli uomini, sotto qualunque cielo, qualunque lingua o costume li distingua, fa una sola famiglia, e del mondo una patria comune.
Da questa Roma, centro, rocca e maestra del Cristianesimo, città più per Cristo che per i Cesari eterna nel tempo, Noi, mossi dal desiderio ardente e vivissimo del bene dei singoli popoli e dell'intera umanità, a tutti rivolgiamo la Nostra voce, pregando e scongiurando che non tardi il giorno che in tutti i luoghi, dove oggi l'ostilità contro Dio e Cristo trascina gli uomini alla rovina temporale ed eterna, prevalgano maggiori conoscenze religiose e nuovi propositi; il giorno, in cui sulla culla del nuovo ordinamento dei popoli risplenda la stella di Betlemme, annunziatrice di un nuovo spirito che muova a cantare con gli angeli: Gloria in excelsis Deo, e a proclamare, come dono alfine largito dal cielo, a tutte le genti: Pax hominibus bonae voluntatis. Spuntata l'aurora di quel giorno, con qual gaudio Nazioni e Reggitori, sgombro l'animo dai timori di insidie e di riprese di conflitti, trasformeranno le spade, laceratrici d'umani petti, in aratri, solcanti, al sole della benedizione divina, il fecondo seno della terra, per strapparle un pane, bagnato sì di sudore, ma non più di sangue e di lacri

In tale attesa e con questa anelante preghiera sulle labbra, mandiamo il Nostro saluto e la benedizione Nostra a tutti i Nostri figli dell'universo intero. Scenda la Nostra benedizione più larga su quelli - sacerdoti, religiosi e laici - che soffrono pene e angustie per la loro fede: scenda anche su quelli che, pur non appartenendo al corpo visibile della Chiesa cattolica, sono a Noi vicini per la fede in Dio e in Gesù Cristo, e con Noi concordano sopra l'ordinamento e gli scopi fondamentali della pace; scenda con particolare palpito d'affezione su quanti gemono nella tristezza, nella dura ambascia dei travagli di quest'ora. Sia scudo a quanti militano sotto le armi; farmaco ai malati e ai feriti; conforto ai prigionieri, agli espulsi dalla terra natìa, ai lontani dal domestico focolare, ai deportati in terre straniere, ai milioni di miseri che lottano a ogni ora contro gli spaventosi morsi della fame. Sia balsamo a ogni dolore e sventura; sia sostegno e consolazione a tutti i miseri e bisognosi i quali aspettano una parola amica, che versi nei loro cuori forza, coraggio, dolcezza di compassione e di aiuto fraterno. Riposi infine la Nostra benedizione su quelle anime e quelle mani pietose, che con inesauribile generoso sacrificio Ci hanno dato di che potere, sopra le strettezze dei Nostri mezzi, asciugare le lacrime, lenire la povertà di molti, specialmente dei più poveri e derelitti tra le vittime della guerra, facendo in tal modo sperimentare come la bontà e benignità di Dio, la cui somma e ineffabile rivelazione è il Bambino del presepe che della sua povertà volle farci ricchi, mai non cessano, per volger di tempi e sciagure, di esser vive e operanti nella Chiesa

A tutti impartiamo con profondo amore paterno dalla pienezza del Nostro cuore la Benedizione Apostolica.

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