La stragrande maggioranza dei cattolici che oggi frequentano le Chiese, si comunicano senza più confessarsi. La colpa è sopratutto dei preti, purtroppo, c'è meno disponibilità da parte loro di ascoltare la confessione, dicono questioni di tempo. Io dico per indolenza, perché conducono una vita molto mondana e sopratutto frenetica. Il problema è mondiale, e il declino è in fase costante.
Testimonianza di un vecchio “confessore”
I preti non hanno più tempo. Il rito è stato banalizzato: (e questo non lo dico io lo racconta un mio amico sacerdote sulla soglia degli ottanta che svolge il ministero di confessore in un santuario nei pressi di Bergamo)oggi si confessa in maniche di camicia, in casa, nei banchi, all’esterno, ovunque. Con la farsa del Covid anche il vecchio “confessionale” è stato abbandonato. La gente fatica a confessarsi perché anche la Chiesa – e i preti in particolare – sembrano faticare a crederci davvero a questo sacramento .
Come ogni Domenica ho confessato. Come sempre: pochi ma buoni. Se sono buoni i (pochi) penitenti rimasti, non è altrettanto buono il modo come noi li riceviamo. Ho confessato davanti a un altare laterale, a sinistra, entrando. Ovviamente, non ha nulla di adatto al sacramento: è solo uno spazio in cui si sono collocate due sedie, e non ha nulla di bello, se si eccettua, naturalmente, la splendida tela del Moroni che, però, non ha nulla a che fare con il sacramento della penitenza. D’altronde non si può fare diversamente. Si occupano gli spazi rimasti liberi. Ma sono spazi che non sono stati concepiti per confessare.
Il non-spazio del sacramento della penitenza è, forse, l’ultimo atto di una deriva di questo sacramento, sempre meno praticato dai fedeli e sempre meno considerato dalla stessa liturgia e dai preti che ne sono i “ministri” e quindi i primi responsabili. Siamo arrivati, ormai a una fase in cui è stata tolta al sacramento della confessione ogni tipo di identità liturgica. Già da tempo, si confessa in chiesa o in casa, si confessa in maniche di camicia o – molto raramente – con un paramento liturgico. D’altra parte, quale è il paramento liturgico “adeguato” per questo sacramento? Oggi i novelli sacerdoti come altri meno giovani non lo sanno. Da qualche parte deve essere scritto. Ma non si sa che è scritto e non si sa che cosa è scritto. "Carissimi confratelli ve lo dico io : si indossa cotta e stola viola, sulla talare".
Quando si discute facendo simposi sul sacramento della penitenza, come i teologi chiamano quello che la gente nomina come confessione, si parla subito di crisi, di allontanamento massiccio dei cattolici da questa pratica. Certamente se entri nelle chiese e non trovi più il sacerdote seduto al confessionale, ma quando lo trovi ti dice che non ha tempo perché assorbito in tutt'altre faccende, è chiaro che quel fedele non torna più e se torna non usufruirà più del sacramento.
La confessione è un mezzo concreto per riconciliarci con noi stessi e con Dio, per continuare a esercitarci nella conversione e per fare esperienza di Dio come di colui che ci ama incondizionatamente, ma non dobbiamo isolare la confessione, separandola dall’intero annuncio di Gesù. Essa, infatti, ha il suo significato solo all’interno della chiamata di Gesù a una vita che corrisponda alla volontà di Dio e, nello stesso tempo, al nostro essere persone umane. Nella confessione incontriamo Gesù che ha perdonato ai peccatori la loro colpa e il Dio di Gesù Cristo che ci fa sperimentare il suo amore misericordioso.
Pio XII scriveva:”Forse il più grande peccato nel mondo di oggi è che gli uomini abbiano incominciato a perdere il senso del peccato”(26 ottobre 1946).Il motivo della dimenticanza della legge di Dio,sta nella perdita del linguaggio spirituale.
Vorrei concludere ricordando che quelle parrocchie in cui è stato nuovamente ripristinato il confessionale con il “penitenziere”, per una dignitosa celebrazione del rito del sacramento, sperimentano continuamente una crescita di fede e di vocazioni.
Vorrei ricordare soprattutto quei – pochi – fedeli che ci credono ancora e che si confessano per lo più molto bene. Ma sono pochi anch’essi. E, anche per questo, avrebbero diritto a un migliore, più dignitoso trattamento da parte di noi sacerdoti.Confessarsi bene, fa bene! Torna la voglia di ricominciare, di pregare meglio, di rapportarsi in modo nuovo con gli altri e con se stessi.
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