se ne è parlato e se ne parla ancora. Con entusiasmo o indignazione. Alcuni vi scorgono i vantaggi di una definizione reale, altri gli inconvenienti di un’esagerazione non meno reale. Tutti credono di poter addurre valide ragioni o per consacrare o per condannare l’uso di questa espressione. Gli argomenti dell’una e dell’altra parte procedono in senso opposto.
Noi, seguendo un metodo già sperimentato, esporremo anzitutto tali argomenti (I), poi risaliremo ai princìpi e, in base ad essi, cercheremo di vedere come stanno veramente le cose (II). Infine, distingueremo ciò che c’è di vero e ciò che c’è di falso nei diversi argomenti addotti, la cui opposizione, il più delle volte, è soltanto apparente.
I. Pro o contro: l’espressione «Chiesa conciliare» può essere legittimamente utilizzata?
1. Primo argomento: mons. Benelli ha utilizzato l’espressione Chiesa conciliare per designare la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II[1]. Quindi non solo si può, ma si deve parlare di una Chiesa conciliare.
2. Secondo argomento: nella «Dichiarazione del 1974», che rappresenta la magna charta della Fraternità, mons. Lefebvre contrappone chiaramente la Roma cattolica di sempre alla Roma modernista[2]. Vi sono dunque due Rome ed anche due Chiese, la Chiesa cattolica e la Chiesa conciliare. Di conseguenza, si può parlare di una Chiesa conciliare.
3. Terzo argomento: mons. Lefebvre, constatando i fatti, afferma che le riforme del Concilio Vaticano II hanno avuto come risultato «una Chiesa nuova, una Chiesa liberale, una Chiesa riformata, simile alla chiesa riformata di Lutero»[3]. E aggiunge che «noi stiamo con duemila anni di Chiesa e non con dodici anni di una nuova Chiesa, una Chiesa conciliare»[4]. Da ciò si ricava la medesima conclusione dell’argomento precedente.
4. Quarto argomento: in una conferenza tenuta ad Ecône nel settembre del 1988[5], mons. Lefebvre distingue tra la Chiesa ufficiale e la Chiesa cattolica visibile nelle sue note. La prima è il frutto del Concilio, la seconda è la vera Chiesa. Vi sono dunque due Chiese, la Chiesa cattolica visibile e la Chiesa ufficiale conciliare. Motivo in più per parlare di una Chiesa conciliare.
5. Se si risponde che mons. Lefebvre, quando parla di Chiesa ufficiale, non si riferisce ad una Chiesa propriamente detta ma ad una corrente ostile all’interno della Chiesa, si obietta – come quinto argomento – che nella stessa conferenza mons. Lefebvre precisa il suo pensiero, dicendo che bisogna lasciare questa Chiesa ufficiale proprio come si lascia una Chiesa propriamente detta: «Uscire, quindi, dalla Chiesa ufficiale? In una certa misura, sì, certamente. Tutto il libro di Madiran, L’Hérésie du XXe siècle, è la storia dell’eresia dei vescovi. Bisogna dunque sottrarsi a questi vescovi, se non si vuole perdere la propria anima. Anzi, non basta, perché l’eresia si è insediata a Roma. Se i vescovi sono eretici (pur senza usare questa parola in senso stretto e in tutte le sue implicazioni canoniche), lo si deve in parte all’influenza di Roma». L’espressione Chiesa conciliare si impone per designare questa Chiesa ufficiale.
6. Se si risponde che mons. Lefebvre vuole semplicemente dire che occorre proteggersi dalla contaminazione che imperversa nella Chiesa, si obietta – come sesto argomento – che mons. Lefebvre distingue comunque la Chiesa conciliare ufficiale dalla vera Chiesa visibile. La Chiesa conciliare ufficiale può essere considerata visibile sotto un certo aspetto, esattamente come lo è la cosiddetta «chiesa» anglicana, diffusa su tutto il territorio inglese. Ma la Chiesa cattolica non è una società visibile come le altre. Per essa, la visibilità consiste nelle sue note, che ne attestano l’origine divina e il carattere soprannaturale. La Chiesa ufficiale conciliare è visibile né più né meno che qualunque altra società e non presenta affatto le note della vera Chiesa Pertanto si può parlare di una Chiesa conciliare, anzi, la si deve considerare un’altra Chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica.
7. Settimo argomento: in un’intervista concessa alla rivista Fideliter, un anno dopo le consacrazioni episcopali, mons. Lefebvre risponde ai suoi contestatori in questi termini: «Di quale Chiesa si parla? Se si tratta della Chiesa conciliare, si vorrebbe che noi, dopo aver lottato contro di essa per vent’anni perché vogliamo la Chiesa cattolica, rientrassimo in questa Chiesa conciliare allo scopo, per così dire, di renderla cattolica. È un’illusione completa. […] Evidentemente noi siamo contro la Chiesa conciliare che di fatto è scismatica, anche se essi non lo accettano. Di fatto è una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista»[6]. Nello spirito di mons. Lefebvre vi sono dunque due Chiese antagoniste, la Chiesa cattolica e la Chiesa conciliare. Pertanto l’uso dell’espressione Chiesa conciliare è legittimo.
8. Ottavo argomento: nell’ultima intervista esclusiva accordata alla rivista Fideliter prima di morire, mons. Lefebvre si è espresso in questi termini: «Non bisogna farsi illusioni. I princìpi che attualmente guidano la Chiesa conciliare sono sempre più apertamente contrari alla dottrina cattolica […]. Essi [Dom Gérard e la Fraternità San Pietro] dicono che non hanno ceduto nulla. Falso. Hanno ceduto la possibilità di contrastare Roma. Non possono più dire nulla. Devono tacere, accontentandosi dei favori che sono stati loro concessi. Non possono più denunciare gli errori della Chiesa conciliare»[7]. Secondo mons. Lefebvre vi è dunque una Chiesa conciliare, la cui testa è a Roma e i cui princìpi sono contrari alla dottrina cattolica. Pertanto questa Chiesa conciliare è un’altra Chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica. Se ne conclude che l’uso dell’espressione Chiesa conciliare risulta costantemente legittimato da mons. Lefebvre, fino al termine della sua vita.
1. Primo argomento: mons. Benelli ha utilizzato l’espressione Chiesa conciliare per designare la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II[1]. Quindi non solo si può, ma si deve parlare di una Chiesa conciliare.
2. Secondo argomento: nella «Dichiarazione del 1974», che rappresenta la magna charta della Fraternità, mons. Lefebvre contrappone chiaramente la Roma cattolica di sempre alla Roma modernista[2]. Vi sono dunque due Rome ed anche due Chiese, la Chiesa cattolica e la Chiesa conciliare. Di conseguenza, si può parlare di una Chiesa conciliare.
3. Terzo argomento: mons. Lefebvre, constatando i fatti, afferma che le riforme del Concilio Vaticano II hanno avuto come risultato «una Chiesa nuova, una Chiesa liberale, una Chiesa riformata, simile alla chiesa riformata di Lutero»[3]. E aggiunge che «noi stiamo con duemila anni di Chiesa e non con dodici anni di una nuova Chiesa, una Chiesa conciliare»[4]. Da ciò si ricava la medesima conclusione dell’argomento precedente.
4. Quarto argomento: in una conferenza tenuta ad Ecône nel settembre del 1988[5], mons. Lefebvre distingue tra la Chiesa ufficiale e la Chiesa cattolica visibile nelle sue note. La prima è il frutto del Concilio, la seconda è la vera Chiesa. Vi sono dunque due Chiese, la Chiesa cattolica visibile e la Chiesa ufficiale conciliare. Motivo in più per parlare di una Chiesa conciliare.
5. Se si risponde che mons. Lefebvre, quando parla di Chiesa ufficiale, non si riferisce ad una Chiesa propriamente detta ma ad una corrente ostile all’interno della Chiesa, si obietta – come quinto argomento – che nella stessa conferenza mons. Lefebvre precisa il suo pensiero, dicendo che bisogna lasciare questa Chiesa ufficiale proprio come si lascia una Chiesa propriamente detta: «Uscire, quindi, dalla Chiesa ufficiale? In una certa misura, sì, certamente. Tutto il libro di Madiran, L’Hérésie du XXe siècle, è la storia dell’eresia dei vescovi. Bisogna dunque sottrarsi a questi vescovi, se non si vuole perdere la propria anima. Anzi, non basta, perché l’eresia si è insediata a Roma. Se i vescovi sono eretici (pur senza usare questa parola in senso stretto e in tutte le sue implicazioni canoniche), lo si deve in parte all’influenza di Roma». L’espressione Chiesa conciliare si impone per designare questa Chiesa ufficiale.
6. Se si risponde che mons. Lefebvre vuole semplicemente dire che occorre proteggersi dalla contaminazione che imperversa nella Chiesa, si obietta – come sesto argomento – che mons. Lefebvre distingue comunque la Chiesa conciliare ufficiale dalla vera Chiesa visibile. La Chiesa conciliare ufficiale può essere considerata visibile sotto un certo aspetto, esattamente come lo è la cosiddetta «chiesa» anglicana, diffusa su tutto il territorio inglese. Ma la Chiesa cattolica non è una società visibile come le altre. Per essa, la visibilità consiste nelle sue note, che ne attestano l’origine divina e il carattere soprannaturale. La Chiesa ufficiale conciliare è visibile né più né meno che qualunque altra società e non presenta affatto le note della vera Chiesa Pertanto si può parlare di una Chiesa conciliare, anzi, la si deve considerare un’altra Chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica.
7. Settimo argomento: in un’intervista concessa alla rivista Fideliter, un anno dopo le consacrazioni episcopali, mons. Lefebvre risponde ai suoi contestatori in questi termini: «Di quale Chiesa si parla? Se si tratta della Chiesa conciliare, si vorrebbe che noi, dopo aver lottato contro di essa per vent’anni perché vogliamo la Chiesa cattolica, rientrassimo in questa Chiesa conciliare allo scopo, per così dire, di renderla cattolica. È un’illusione completa. […] Evidentemente noi siamo contro la Chiesa conciliare che di fatto è scismatica, anche se essi non lo accettano. Di fatto è una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista»[6]. Nello spirito di mons. Lefebvre vi sono dunque due Chiese antagoniste, la Chiesa cattolica e la Chiesa conciliare. Pertanto l’uso dell’espressione Chiesa conciliare è legittimo.
8. Ottavo argomento: nell’ultima intervista esclusiva accordata alla rivista Fideliter prima di morire, mons. Lefebvre si è espresso in questi termini: «Non bisogna farsi illusioni. I princìpi che attualmente guidano la Chiesa conciliare sono sempre più apertamente contrari alla dottrina cattolica […]. Essi [Dom Gérard e la Fraternità San Pietro] dicono che non hanno ceduto nulla. Falso. Hanno ceduto la possibilità di contrastare Roma. Non possono più dire nulla. Devono tacere, accontentandosi dei favori che sono stati loro concessi. Non possono più denunciare gli errori della Chiesa conciliare»[7]. Secondo mons. Lefebvre vi è dunque una Chiesa conciliare, la cui testa è a Roma e i cui princìpi sono contrari alla dottrina cattolica. Pertanto questa Chiesa conciliare è un’altra Chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica. Se ne conclude che l’uso dell’espressione Chiesa conciliare risulta costantemente legittimato da mons. Lefebvre, fino al termine della sua vita.
9. Nono argomento: se il capo di una società governa perseguendo un bene diverso da quello della società cui è preposto, per ciò stesso cessa di esserne il capo e diventa capo di un’altra società. Ora, dopo il Vaticano II, i capi della Chiesa governano perseguendo gli ideali massonici e liberali, che non possono corrispondere al bene comune della Chiesa. Dunque questi capi si trovano alla testa di un’altra Chiesa, la Chiesa conciliare, distinta come tale dalla Chiesa cattolica. Di conseguenza, si può parlare di una Chiesa conciliare.
L’espressione «Chiesa conciliare» deve essere rigettata?
10. Decimo argomento: la Chiesa – come ci ricorda Papa Benedetto XVI nel suo Discorso del 2005 – è esattamente la stessa prima e dopo il Concilio Vaticano II, essendo impossibile una rottura tra la Chiesa preconciliare e la Chiesa postconciliare. Dunque non è possibile parlare di una Chiesa preconciliare[8].
11. Undicesimo argomento: recentemente mons. Fellay[9] ha affermato che la Chiesa attuale, rappresentata dalle autorità romane, resta la vera Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica: «Dicendo extra Ecclesiam nulla salus, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza, noi ci riferiamo alla Chiesa di oggi. Di questo abbiamo la certezza assoluta. Bisogna esserne consapevoli. […] Il fatto di andare a Roma, non significa essere d’accordo con costoro. Ma essa è la Chiesa, ed è la vera Chiesa»[10]. E ha ribadito il concetto, richiamandosi a «questa Chiesa che non è un’idea, è reale, è davanti a noi, si chiama Chiesa cattolica romana, la Chiesa col suo Papa, coi suoi Vescovi, che possono trovarsi pure in uno stato di debolezza»[11]. Oggi, dunque, non è possibile parlare della Chiesa ufficiale come di una Chiesa conciliare diversa dalla Chiesa cattolica.
12. Dodicesimo argomento: mons. Fellay ha inoltre affermato che la Chiesa di oggi, che contiene al suo interno la Fraternità ma la oltrepassa, è quella che trasmette la fede e la grazia ai suoi fedeli: «Siamo consapevoli che, se oggi abbiamo la fede, se abbiamo la gioia di poter professare la fede, è grazie a questa Chiesa concreta… che si trova in uno stato pietoso […] E non è la Fraternità, ma è la Chiesa che trasmette questa fede… la Chiesa di oggi! È la Chiesa di oggi che santifica»[12]. […] «Se abbiamo la fede, è in questa Chiesa; se riceviamo la grazia, dal battesimo fino agli ultimi sacramenti, è in questa Chiesa e per mezzo di questa Chiesa»[13]. Ora, non è possibile che vi sia una Chiesa conciliare, distinta dalla Chiesa cattolica, capace come quest’ultima di trasmettere la fede e la grazia. Pertanto, se ci si attiene alle reiterate dichiarazioni del Superiore Generale della Fraternità S. Pio X, non è possibile parlare della Chiesa di oggi come di una Chiesa conciliare diversa dalla Chiesa cattolica.
13. Tredicesimo argomento: mons. Lefebvre ha sempre rifiutato l’ipotesi del sedevacantismo[14]. Ora, parlare di una Chiesa conciliare formalmente distinta dalla Chiesa cattolica equivale implicitamente al sedevacantismo. Dunque non è possibile parlare di una Chiesa conciliare diversa dalla Chiesa cattolica. Dimostrazione della seconda premessa: distinguere le Chiese implica distinguere i loro capi supremi ovvero la loro gerarchia: dato che il capo della Chiesa cattolica è il Papa, Vescovo di Roma, se la Chiesa conciliare è formalmente distinta dalla Chiesa cattolica, il suo capo non è il Papa, Vescovo di Roma, e la Sede Apostolica è vacante.
14. Quattordicesimo argomento: la Chiesa cattolica è indefettibile, poiché fruisce dell’assistenza divina che le fu infallibilmente promessa dal Cristo. Ora, parlare di una Chiesa conciliare equivale a parlare di una nuova Chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica. Ma, se la Chiesa cattolica è stata sostituita da una nuova Chiesa, significa che essa è venuta meno, contraddicendo le divine promesse. Pertanto non è possibile parlare di una Chiesa conciliare diversa dalla Chiesa cattolica. Dimostrazione della prima premessa: il Vangelo afferma che le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa[15] e che il Cristo assiste tutti i giorni la gerarchia cattolica fino alla fine del mondo[16].
15. Quindicesimo argomento: la vera Chiesa è visibile nella sua gerarchia. Se si considerano i membri della gerarchia attuale come esponenti di una Chiesa conciliare distinta dalla Chiesa cattolica, ne segue che la Chiesa cattolica risulta priva della visibilità propria della vera Chiesa. Poiché una simile conclusione ripugna, non è possibile parlare di una Chiesa conciliare.
16. Sedicesimo argomento: le riforme del Concilio Vaticano II corrispondono nella sostanza agli errori modernisti condannati nel 1907 da S. Pio X nell’enciclica Pascendi. Ora, S. Pio X insegna che l’eresia modernista ha questa particolarità: che essa non intende separarsi dalla Chiesa cattolica per costituire una nuova setta, ma cerca piuttosto di restare «nel seno stesso della Chiesa[17] […] E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’autorità debba essere spinta, non rovesciata; sì perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva»[18]. Non è possibile, dunque, parlare di una Chiesa conciliare, intendendola propriamente come una falsa Chiesa, diversa dalla Chiesa cattolica e numericamente distinta da essa.
II. Principio della nostra risposta
17. Quando parliamo della Chiesa, ricorriamo ad un certo modo di esprimerci per indicare la realtà che è oggetto della nostra conoscenza. Ora, è legge della psicologia umana che si nominino le cose non per come sono nella realtà, ma per come le si conoscono, poiché le parole sono connesse direttamente non alla realtà ma ai concetti che nella nostra mente la rappresentano[19]. Vi è dunque una grande differenza tra il modo di conoscere e di esprimersi, da un lato, e il modo di essere reale, dall’altro[20]. Così, per indicare gli accidenti, che hanno l’essere solo nella e per la sostanza in cui si trovano, si impiegano espressioni che fanno riferimento ad un modo di essere sostanziale: si parla di «quantità», «qualità», «relazione» per indicare ciò che in realtà non è la sostanza propriamente detta, ma la sostanza in quanto è quantificata, qualificata, relativa. Il nostro modo di concepire e di nominare non è dunque adeguato al modo di essere. Per quale ragione? Appunto perché la nostra intelligenza è fatta per apprendere l’essere anzitutto nel suo senso primo di sostanza. L’accidente è essere solo in senso analogo. Non è esattamente essere, come la sostanza, ma dell’essere, e ci riesce difficile concepirlo se non in dipendenza della sostanza in cui si trova. Inoltre, tanto più l’essere di cui parliamo si distanzia analogicamente dalla sostanza, quanto più il nostro modo di parlare si distanzia dal modo in cui questo essere realmente sussiste; quanto più, dunque, si corre il rischio di sbagliarci, se non teniamo conto di tale distanza. Dobbiamo essere assai vigili, per non restare vittime delle parole che noi stessi utilizziamo.
18. Tutto ciò va applicato nel modo più rigoroso quando si parla della Chiesa: essa si definisce società, e società si ricollega al predicamento o modo di essere della relazione, che è quello in cui l’essere si dice in un senso molto tenue e altrettanto meno percettibile. Quando si parla di Chiesa, ed anche di Chiesa visibile, Chiesa ufficiale, Chiesa cattolica o Chiesa conciliare, ci esprimiamo come se indicassimo una sostanza, e dimentichiamo troppo facilmente che la realtà così indicata non corrisponde al modo con cui la indichiamo. La Chiesa non è una sostanza, bensì un ordine di relazioni che uniscono i suoi membri per il fatto che essi compiono la stessa operazione sotto la stessa autorità e in vista degli stessi fini. Dunque la Chiesa è formalmente il triplice legame dell’unità di fede, di culto e di governo. E questo legame esiste come tale soltanto nelle e per le sostanze che sono le persone umane concrete, membri della società. Di conseguenza, quando si dice essere o non essere nella Chiesa, questa espressione va intesa non di un essere secondo il luogo, ma, evidentemente, di un essere secondo la relazione. Ciò significa che colui che è nella Chiesa, è in relazione con gli altri membri della società, come pure col suo capo, nel perseguimento di uno stesso fine, attraverso la professione di una stessa fede e di uno stesso culto e l’obbedienza ad uno stesso governo.
19. Nella misura in cui si è prodotto un «cambio di orientamento»[21] a partire dal Concilio Vaticano II, si parla di Chiesa conciliare. Con tale espressione non si intende indicare una cosa o una sostanza distinta da un’altra e neppure una società distinta da un’altra, bensì uno spirito nuovo, che si è introdotto nella Chiesa contestualmente al Concilio Vaticano II ed ostacola il fine della Chiesa, cioè la Tradizione della sua fede e della sua morale. E quando si dice che questa corrente avversa agisce nella Chiesa, si intende che coloro i quali si uniscono nella ricerca di un fine contrario a quello della Chiesa non hanno manifestamente rotto la relazione che li lega agli altri membri e al loro capo, nella inclinazione di principio al vero bene comune. Nel caso particolare del Papa che partecipi egli stesso a questa corrente ostile, si intende che egli non ha manifestamente cessato di essere Papa. Anche se, agendo in un certo modo, ostacola il fine della Chiesa e impedisce la Tradizione, il suo potere resta di per sé inclinato verso questo fine e questa Tradizione.
20. Non vi sono, quindi, due Chiese; vi è solamente, nel seno della Chiesa, una tendenza antagonista che combatte la Chiesa dall’interno, che cerca di neutralizzarla a suo vantaggio, impedendo il compimento del suo fine. Per chiarire tale concetto, si può istituire un paragone col peccato, che impedisce il compimento della natura moltiplicando gli ostacoli alla realizzazione del suo fine, senza però mai distruggere la natura nella sua radicale inclinazione a questo fine. È così che il Dottore Angelico spiega in qual senso si possa dire che il male non può distruggere totalmente il bene[22]. Certo, il male è una mancanza, cioè una privazione di bene. Tuttavia, non bisogna dimenticare che esistono due tipi di privazione: la prima consiste in uno stato di privazione totale, che non lascia nulla, ma toglie ogni cosa: tali sono la cecità rispetto alla vista, l’oscurità completa rispetto alla luce, la morte rispetto alla vita. Vi è poi un secondo tipo di privazione, che resta sempre parziale e limitata, senza mai togliere tutto: così il peccato priva l’uomo del suo fine e della sua perfezione, non nel senso che la renda definitivamente impossibile, ma nel senso che ne allontana l’uomo accumulando sempre più ostacoli. Questa privazione lascia sussistere qualche cosa, che è appunto l’attitudine e l’inclinazione fondamentale dell’uomo rispetto al suo fine. «Perciò – conclude S. Tommaso – può esserci una terza possibilità, e come un termine intermedio tra il bene e la sua totale scomparsa». Applicando tali principi all’ecclesiologia, diremo che una concezione strettamente dualistica (sic et non) non rende sufficientemente conto dell’attuale situazione nella Chiesa. Vi è in effetti come un terzo termine tra il bene della Chiesa e il male totale, rappresentato dalla sua scomparsa e sostituzione con una setta o un’altra Chiesa totalmente differente. Tale soluzione intermedia è appunto quella indicata con l’espressione Chiesa conciliare. Essa equivale al peccato dell’ideologia liberale e modernista che ha penetrato gli spiriti all’interno della Chiesa, peccato che diminuisce e corrompe il bene della Chiesa nel senso che le impedisce di ottenere il suo fine, ma che, ciononostante, lascia intatta l’inclinazione fondamentale della Chiesa rispetto a tale fine. Ora, la diminuzione di questo bene – spiega ancora S. Tommaso[23] – non deve essere concepita come una sottrazione, come avviene della quantità, ma come un indebolimento o declino progressivo di un’attitudine. E l’indebolimento di questa attitudine si deve concepire come il contrario della rispettiva intensificazione. L’attitudine, infatti, viene ad essere intensificata per mezzo delle disposizioni che preparano sempre meglio il soggetto a ricevere la sua perfezione, fino al momento in cui la riceve. Viene invece a indebolirsi a causa delle disposizioni contrarie, che, quanto più si moltiplicano e più sono intense, tanto più impediscono al soggetto di ricevere la sua perfezione. Se le disposizioni contrarie si possono moltiplicare all’indefinito, l’attitudine fondamentale del soggetto a ricevere la sua perfezione diminuirà e si indebolirà all’indefinito. Tuttavia, non verrà mai ad essere del tutto eliminata, perché resta nella sua radice, che è la sostanza del soggetto. Per esempio, se si interponessero tra il sole e l’aria infiniti corpi opachi, si diminuirebbe all’indefinito l’attitudine dell’aria alla luce, ma non si eliminerebbe totalmente, perché l’aria è trasparente per natura. Allo stesso modo si può verificare un’addizione nei peccati, per cui l’attitudine dell’anima alla grazia viene sempre più a diminuire; i quali peccati sono come degli ostacoli interposti tra Dio e noi. E tuttavia non viene distrutta completamente nell’anima la predetta attitudine, perché deriva dalla sua stessa natura. Dunque la realtà della Chiesa conciliare è quella di una falsa concezione della Chiesa che si è impadronita degli spiriti degli uomini di Chiesa. Una simile concezione genera cronicamente un contro-governo che paralizza o intralcia il normale funzionamento della società cattolica, impedendo che la Chiesa realizzi il proprio fine. In tal modo, essa interpone degli ostacoli tra la Chiesa e il suo bene, senza però eliminare l’inclinazione radicale della Chiesa a questo bene.
21. D’altra parte, la fede, fondata sulle promesse divine, ci insegna che tale tendenza contraria, per quanto invasiva, non potrà mai sommergere del tutto la Chiesa. Per quale motivo una contro-chiesa nella Chiesa e non un’altra Chiesa? Perché il Papa, anche se si rende complice o addirittura principale animatore della sovversione, resta, fino a prova apoditticamente contraria, il rappresentante terreno dell’unico capo supremo della Chiesa. Questo capo è il Cristo e il suo rappresentante, finché non cessa di dichiararsi tale, non può costituirsi capo di un’altra Chiesa. Nonostante gli ostacoli frapposti dal Papa al normale esercizio del papato e al compimento del fine della Chiesa, permane nel papato, per come Cristo l’ha voluto in dipendenza del proprio potere, l’inclinazione radicale a tale esercizio e a tale fine. Si ravvisa qui un principio fondamentale che il Caietano, contro gli scismatici della sua epoca, formula in questi termini: «Cristo ha istituito san Pietro non come suo successore, ma come suo vicario»[24]. D’altronde, è appunto per tale ragione che l’istituzione del papato avvenne dopo la Resurrezione e fu compiuta dal Cristo ormai immortale e sempre vivente. Un capo supremo sempre vivente non ha successore. Tutt’al più ha un vicario. E resta lui il Maestro, a prescindere dagli sbagli del suo vicario. Soltanto questo capo supremo è in grado di deporre il suo vicario e di escluderlo dal suo Corpo mistico; ma niente, nelle fonti della rivelazione, autorizza a pensare che il Cristo avrebbe deciso di ricorrere ad una simile misura eccezionale per preservare la sua Chiesa dalla contaminazione del modernismo. Abbiamo invece motivo di pensare che la sua divina Provvidenza non permetterà che tale contaminazione giunga fino al punto di far scomparire la Chiesa. Il Vangelo non afferma che le porte dell’inferno non l’attaccheranno: afferma che, per quanto violento possa essere questo attacco, le forze nemiche non prevarranno contro di essa[25].
22. Due teologi contemporanei, entrambi spettatori sconvolti della «rivoluzione conciliare» e della sovversione su vasta scala che ne è seguita, ci forniscono argomenti a conferma della nostra esegesi. Anzitutto il padre Meinvielle: «Sappiamo che il mistero d’iniquità e già all’opera, ma non conosciamo i limiti del suo potere. […] Se ci pensiamo, la promessa di assistenza alla Chiesa si riduce ad una promessa che impedisce all’errore di introdursi sulla cattedra romana e nella Chiesa stessa, e che inoltre impedisce alla Chiesa di scomparire o di essere distrutta dai suoi nemici. […] Il Papa, coi suoi comportamenti ambigui, contribuirebbe a mantenere l’equivoco: da un lato, professando una dottrina irreprensibile, sarebbe il capo della Chiesa delle promesse; dall’altro, compiendo azioni equivoche o addirittura riprovevoli, apparirebbe fautore della sovversione»[26]. Il padre Mienvielle ha visto bene, ma non fino in fondo. È ben noto il suo tentativo di discolpare il Concilio Vaticano II, tentativo che, come tanti altri effettuati in seguito, non poteva andare a buon fine. Noi siamo obbligati a constatare che l’errore si è introdotto nella Chiesa, fin sulla cattedra romana, col favore del Concilio, e che il Papa si è reso complice della sovversione non solo con alcune sue azioni, ma anche con certi suoi insegnamenti di principio, costantemente reiterati. Naturalmente non vogliamo dire che il Papa abbia definito esplicitamente delle eresie, parlando ex cathedra e impegnando l’infallibilità: tutto ciò è impossibile, per la promessa dell’assistenza divina. Intesa e corretta in questi termini, la riflessione del padre Mienvielle conserva tutta la sua pertinenza. È corretto affermare che l’errore non può introdursi nella Chiesa, nel senso che esso non può pervaderla completamente, senza che alcuna voce abbia più la possibilità di far udire l’eco della verità. Nondimeno, l’errore può imperversare nella Chiesa, fin sulla sede di Pietro, come un ostacolo che paralizza la tradizione della fede e dei costumi. Il padre Mienvielle aggiunge che la Chiesa si troverebbe così (almeno provvisoriamente) nella mostruosa situazione di un duplice corpo attaccato ad una sola testa, poiché il Papa sarebbe al tempo stesso capo della vera Chiesa e sostenitore della sovversione. L’immagine non è priva di interesse, anzi, è pure ingegnosa, ma la nostra immaginazione, troppo debole per reggere una simile vista, finirebbe per passare dall’ibrido mostro ad una duplice Chiesa, che non corrisponde alla realtà. La Chiesa «infiltrata dal modernismo»[27] non è un mostro le cui membra malamente congiunte rischiano ad ogni momento di staccarsi; è un povero malato. È il Corpo mistico di Cristo incancrenito dalla malattia o piagato dai ripetuti colpi della flagellazione, a planta pedis usque ad verticem capitis. È un corpo che, per il momento, è impedito nel conseguire il suo fine, a causa dell’ostacolo delle ferite e dell’indebolimento progressivo, senza però che sia stata intaccata la sua radicale inclinazione a questo fine. Se si obietta che una simile decadenza non conviene al Corpo mistico di Cristo, ribattiamo che ad essa Cristo ha sottoposto il proprio Corpo fisico. Siamo di fronte ad un decreto della divina Sapienza. L’uomo non può che perdervisi.
23. Pur senza voler rimettere completamente in causa la valutazione del padre Mienvielle, quella del padre Calmel ci sembra assai più corretta ed anche più precisa sul piano espressivo: «Nessun Papa potrà tradire fino ad insegnare esplicitamente l’eresia nella pienezza della sua autorità […] ma la Rivelazione non dice in nessun luogo che, quando esercita la sua autorità al di sotto del livello in cui essa è infallibile, un Papa non giungerà a fare il gioco di Satana e a favorire fino a un certo punto l’eresia […][28]». «Il sistema modernista o, più precisamente, l’apparato e il procedimento modernista, costituiscono per il Papa un’occasione di peccato del tutto nuova, una possibilità finora sconosciuta di tergiversare nell’esercizio della sua missione. […] Da ciò deriva una conseguenza distruttiva: la Tradizione apostolica in materia di dottrina, di morale e di culto è stata neutralizzata, anche se non uccisa, senza che il Papa, ufficialmente ed apertamente, abbia dovuto rinnegare tutta la Tradizione e quindi proclamare l’apostasia […] Il Papa non ha mai detto né dovuto dire: tutto ciò che è stato insegnato, tutto ciò che è stato fatto fino al Concilio Vaticano II, tutta la dottrina e tutto il culto anteriori al Vaticano II, io li colpisco di anatema. Il risultato, tuttavia, è sotto i nostri occhi… Per arrivare al punto in cui ci troviamo, è bastato che il Papa, senza prendere provvedimenti che colpirebbero la tradizione anteriore della Chiesa, abbia lasciato campo libero al modernismo»[29]. Lasciare campo libero al modernismo, cioè non impedire, ma piuttosto alimentare la corrente ostile all’interno della Chiesa.
24. L’espressione Chiesa conciliare è dunque legittima, ma a patto di non farla esorbitare dai suoi limiti. Come qualunque forma di linguaggio retorico, essa esprime la realtà in termini brevi e concreti, che risultano più comodi per l’intelligenza di chi parla e più accessibili per l’intelligenza di chi ascolta. Vi si riscontra, al tempo stesso, il vantaggio di un riassunto sintetico e l’inconveniente di una formula che, come tutte le formule di questo genere, non può (né, d’altra parte, vuole) dire tutto. Il senso di una simile espressione è determinato dalla misura in cui i suoi presupposti sono conosciuti o accettati – oppure, al contrario, ignorati o rifiutati – a seconda del contesto. La prudenza esige allora che l’espressione sia usata tenendo conto del contesto. Un’espressione sintetica, come Chiesa conciliare, può certamente avere il vantaggio di riassumere tutti i sottintesi necessari, dispensando così la persona che parola o che ascolta dal riprendere ogni volta da capo tutti gli elementi del problema. Ma può anche presentare l’inconveniente di disorientare un interlocutore che non è al corrente della complessità del problema e addirittura scandalizzarlo, suggerendogli un approccio assolutamente scorretto verso gli elementi che sono in gioco. Infatti, dopo la morte di mons. Lefebvre, è intervenuto un fattore nuovo ed inevitabile: la durata. Il tempo passa. Parlare di Chiesa conciliare in un contesto di sovversione ancora recente ed evidente agli occhi dei più, non presentava praticamente alcun pericolo. Ma, trascorsi alcuni decenni, quando tutte le conquiste rivoluzionarie si sono più o meno normalizzate in uno stile decisamente conservatore che fomenta le illusioni, si corre il rischio di essere fraintesi o di sbagliarsi. In tal caso, sarebbe sufficiente (ma indispensabile) intensificare la pedagogia e spiegare il senso dell’espressione, specificando tutti i termini della questione, prima di ricorrere alla sintesi che li riassume. L’espressione Chiesa conciliare, se ben compresa perché ben spiegata, conserva intatto il suo vantaggio, che è quello di tradurre in termini accessibili una duplice realtà: da un lato, la crisi senza precedenti che attualmente imperversa nella Chiesa e, dall’altro, la garanzia delle promesse di indefettibilità.
III. Risposta agli argomenti
25. Al primo argomento, si risponde che, secondo quanto affermato da Benedetto XVI nel suo Discorso del 2005, nella mente delle attuali autorità l’espressione Chiesa conciliare ha il medesimo senso dell’espressione «Chiesa della Controriforma» o «Chiesa post-tridentina». L’attributo ha qui un senso puramente cronologico e con esso si vuole indicare non la Chiesa in quanto tale né un’altra Chiesa distinta dalla Chiesa cattolica, bensì il periodo più recente della sua storia. Certo, è vero la recente realtà della Chiesa comporta qualcosa di più che una semplice successione cronologia e che, come riconobbe Paolo VI, a partire dall’ultimo Concilio «il fumo di satana» è entrato nella Chiesa. Ma da ciò non si può concludere né che gli attuali detentori dell’autorità considerino la Chiesa da essi governata come una Chiesa formalmente diversa dalla Chiesa cattolica, né che di fatto vi sia uno scisma notorio e in atto tra due Chiese.
26. Al secondo argomento, si risponde che mons. Lefebvre parla della «Roma cattolica», ma non di una «Roma modernista». Parla, con estrema precisione, di una «Roma di tendenza neo-modernista, neo-protestante, che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che ne sono derivate». Nella sua mente, dunque, le due Rome non si trovano sullo stesso piano. Mons. Lefebvre non vuole dire che esistono due Rome o due Chiese diametralmente opposte, come due corpi mistici e due società. Vuole dire che esiste Roma e la Chiesa, unico Corpo mistico di Cristo, il cui capo visibile è il Papa, Vescovo di Roma e Vicario di Cristo; ma esistono anche delle tendenze nefaste che si sono introdotte in questa Chiesa, a causa delle false idee che pervadono gli spiriti di coloro che detengono il potere a Roma.
27. Al terzo argomento, si risponde che mons. Lefebvre prima afferma: «È uno spirito nuovo», e poi, di seguito, parla di questa nuova chiesa riformata, affermando che essa si è «introdotta nella Chiesa cattolica». L’espressione, dunque, non designa un’altra chiesa distinta dalla Chiesa cattolica, ma una corrente nefasta che imperversa all’interno dell’unica Chiesa.
28. Al quarto argomento, si risponde che, in quella stessa conferenza, mons. Lefebvre afferma: «Non vogliamo dire che non ci sia Chiesa al di fuori di noi, non si tratta di questo». Ciò significa che, a suo avviso, la Chiesa non si identifica adeguatamente con coloro che rifiutano il Concilio, per distinzione rispetto a tutti coloro che accettano il Concilio e che costituirebbero pertanto un’altra Chiesa. Nella sua intenzione, le espressioni che impiega non indicano un’altra Chiesa costituita come società distinta, bensì uno spirito e una tendenza che, nella Chiesa, vanno contro il fine della Chiesa. D’altra parte, nel seguito di tale conferenza, mons. Lefebvre precisa: «Noi apparteniamo alla Chiesa visibile, alla società dei fedeli sotto l’autorità del Papa, perché noi non rifiutiamo l’autorità del Papa, ma ciò che egli fa. Noi riconosciamo al Papa la sua autorità, ma, quando se ne serve per fare il contrario di ciò per cui gli è stata data, è evidente che non possiamo seguirlo»[30]. La distinzione non è tra due Chiese, ma tra due direttive di governo promananti dallo stesso capo all’interno della stessa Chiesa.
29. Al quinto argomento, si risponde che le espressioni impiegate debbono intendersi nel contesto di tutta la predicazione di mons. Lefebvre. Bisogna, in altre parole, tenere presente la portata retorica o metaforica che l’oratore ha voluto loro imprimere. Così «Uscire dalla Chiesa ufficiale» non significa rompere con una Chiesa per unirsi ad un’altra. Qui mons. Lefebvre esprime semplicemente l’attitudine prudenziale della Fraternità che cerca di proteggere le anime dal contagio modernista, evitando di entrare in contatto con le persone contagiose, senza per questo aprire uno scisma. La legge divinamente rivelata si limita a dire che, se il Papa divenisse fautore di eresia, o addirittura peggio, la Chiesa dovrebbe evitarlo. Non spetta a noi giudicare se, nello scenario aperto dal Concilio Vaticano II, i vari Papi che si sono avvicendati sulla cattedra di Pietro sono da considerarsi fautori di eresia, o peggio ancora. Mons. Lefebvre, nella sua prudenza, non si è mai arrischiato a dire che questi Papi sono eretici formali e notori[31]. Qui ci limitiamo ad osservare che, se pure si ammette a titolo di mera ipotesi (dato non concesso) che i Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI sono caduti nell’eresia formale, da ciò non si deduce necessariamente che essi per diritto divino sono decaduti dal sommo pontificato. Il Caietano[32], in effetti, ricorda che si possono citare almeno sei passi della Sacra Scrittura in cui Dio comanda appunto di non intrattenere relazioni con l’eretico formale e notorio[33]. Il passo più significativo è quello dell’Epistola di san Paolo a Tito, capitolo III, versetto 10, in cui l’Apostolo ci insegna che la Chiesa deve evitare di intrattenere relazioni col Papa, se questi la distoglie dal suo fine. Il termine «devita» usato qui da san Paolo può avere soltanto due sensi. Può significare conseguenza (poiché il Papa eretico ha perso il pontificato, la Chiesa deve evitarlo, ossia non considerarlo più come suo capo) e in tal caso legittimerebbe l’ipotesi sedevacantista. Ma può anche significare concomitanza (il Papa ritenuto eretico dev’essere evitato dalla Chiesa, perché, pur restando vero Papa, il suo governo diventa abitualmente fonte di grave scandalo) e in tal caso legittimerebbe la posizione della Fraternità San Pio X. È pur sempre possibile evitare di intrattenere relazioni abituali di obbedienza e di sottomissione con un Papa fautore del modernismo e del liberalismo, senza per questo considerarlo decaduto dal papato. Il che mantiene la possibilità di obbedire quando non vi sia più alcun pericolo per la fede o la morale. È una distinzione che può apparire sottile. Ma anche la situazione che essa tenta di spiegare lo è. Sarebbe forse fuori luogo pensare che tale distinzione, in un contesto del genere, sia stata ispirata a mons. Lefebvre dalla prudenza soprannaturale? Un buon riassunto di questa attitudine si trova nella Dichiarazione di fedeltà alle posizioni della Fraternità Sacerdotale San Pio X: «Io sottoscritto riconosco Benedetto XVI come Papa della santa Chiesa cattolica. Perciò sono disposto a pregare pubblicamente per lui in quanto Sommo Pontefice. Rifiuto di seguirlo quando si allontana dalla Tradizione cattolica, particolarmente in materia di libertà religiosa e di ecumenismo, come pure nelle riforme che sono nocive alla Chiesa». Questo «rifiuto di seguirlo» corrisponde al «devita» di san Paolo e non esclude il «riconosco». Di conseguenza, nella conferenza in esame, le parole di mons. Lefebvre alludono semplicemente ad una misura di protezione pubblica, il che del resto è chiaramente dimostrato dal seguito del discorso: «Allontanarsi da essi è come allontanarsi dalle persone che hanno l’AIDS. Non possiamo rischiare di prenderci la malattia. Ora, costoro hanno un AIDS spirituale, una malattia contagiosa. Se vogliamo mantenerci sani, non dobbiamo stare con loro»[34].
30. Al sesto argomento, si risponde che la Chiesa cattolica, pur essendo soprannaturale e di origine divina, resta una società vera e propria ed è, come tale, visibile. È visibile sia in quanto società sia in quanto soprannaturale[35]. La prima visibilità la Chiesa cattolica la ha in comune con le altre società terrene: essa consiste nella visibilità di una società dotata di un suo governo e di una sua gerarchia. La seconda visibilità è propria della Chiesa cattolica e consiste nella visibilità del quadruplice miracolo morale delle sue quattro note. Se soltanto la seconda è sufficiente per riconoscere come tale la Chiesa cattolica, entrambe sono ugualmente necessarie alla Chiesa. La seconda visibilità, cioè quella delle note, include – pur sorpassandola – la prima visibilità, cioè quella della società dotata della sua gerarchia. In effetti, le note della Chiesa sono il miracolo morale di una vita sociale che non può spiegarsi naturalmente e, di conseguenza, presuppongono una vita sociale, come il soprannaturale presuppone il naturale sul quale si innesta. Nella presente obiezione, si argomenta come se la visibilità delle note avesse un’esistenza autonoma, indipendente dalla visibilità sociale, cioè come se il soprannaturale esistesse concretamente senza la natura. In realtà, la Chiesa conciliare non è la gerarchia sprovvista delle sue note che si oppone alla Chiesa cattolica, dotata delle sue note ma priva della gerarchia. La Chiesa conciliare è uno spirito che imperversa all’interno della Chiesa cattolica, fin nella sua gerarchia e che, dovunque imperversa, impedisce la piena manifestazione delle note della Chiesa e offusca la sua origine divina.
31. Al settimo e ottavo argomento, si risponde che, nella medesima intervista rilasciata un anno dopo le consacrazioni episcopali, mons. Lefebvre afferma: «Non dico che la Chiesa cattolica siamo noi. Non l’ho mai detto. Nessuno può accusarmi di aver mai preteso di essere papa. Tuttavia, noi rappresentiamo veramente la Chiesa cattolica com’era un tempo, perché continuiamo a fare ciò che essa ha sempre fatto. […] Sia ben chiaro, noi non siamo contro il Papa in quanto rappresenta tutti i valori della Sede Apostolica che sono immutabili, della Sede di Pietro, ma contro il Papa che è modernista, che non crede alla sua infallibilità, che pratica l’ecumenismo»[36]. In una conferenza tenuta poco tempo dopo, mons. Lefebvre aggiunge: «Ho creduto di dover restare al di qua di una simile eventuale realtà[[37]], di dover mantenere un contatto con Roma, di pensare che a Roma vi è comunque un successore di Pietro. Un cattivo successore, certo, un successore che non bisogna seguire perché ha idee liberali e moderniste, ma che nondimeno si trova là»[38]. E conclude parlando della «invasione liberale di Roma». Tutto ciò mostra chiaramente che, a suo avviso, la Chiesa conciliare non è un’altra chiesa, distinta dalla Chiesa cattolica, il cui capo non sarebbe più il successore di san Pietro. L’espressione designa uno spirito nuovo che ispira una serie di riforme contrarie al bene della Chiesa, riforme di cui purtroppo lo stesso successore di Pietro si rende complice. D’altronde, mons. Lefebvre, in un’allocuzione pronunciata poco dopo le consacrazioni episcopali, diceva: «Rovine dappertutto. Ecco i frutti cattivi. Questo avviene perché i pastori non sono buoni, perché non fanno il loro dovere. I pastori non hanno custodito la Tradizione e i tesori che nostro Signore Gesù Cristo ha affidato loro. Hanno voluto inventare di sana pianta una nuova chiesa, ma non è possibile inventare una nuova chiesa. La Chiesa è quella che è e tale deve restare fino alla fine dei tempi. Non cambierà né può cambiare, perché è stata fondata da nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio, e Dio non cambia. […] Coloro che ci scomunicano sono essi stessi scomunicati da molto tempo. Perché? Perché sono modernisti. Avendo uno spirito modernista, hanno costituito una chiesa conforme allo spirito del mondo. […] E perché ci scomunicano? Perché non vogliamo seguirli in questo spirito di demolizione della Chiesa. […] Non vogliamo collaborare a questa deplorevole opera che si sta compiendo nella Chiesa da vent’anni a questa parte»[39]. L’espressione Chiesa conciliare non designa altro che questa opera, che persiste all’interno della Chiesa.
32. Al nono argomento, si risponde che è necessario, seguendo san Tommaso d’Aquino, distinguere due generi di relazione[40]. Da una parte, vi è la relazione fondata su una operazione attuale, cioè sull’esercizio del potere di conseguire il fine, come, per esempio, la relazione di ciò che scalda rispetto a ciò che è scaldato. Dall’altra, la relazione fondata sul potere di effettuare l’operazione o sulla potenza ordinata all’operazione attuale, cioè la relazione di ciò che ha la capacità di scaldare rispetto a ciò che ha la capacità di essere scaldato. Analogamente, il Papa è in relazione con la Chiesa in due modi: in quanto può governarla e in quanto la governa ottenendole il suo fine. Ma l’autorità del Papa, che nella Chiesa è l’autorità suprema, ha il suo fondamento nel potere di giurisdizione e non nel suo esercizio in atto. Analizzando più in profondità questo genere di relazione, in cui il rapporto si fonda non su un’operazione attuale ma su una pura potenza, san Tommaso fa rilevare[41] che tale potenza può intendersi secondo tempi diversi, ossia secondo il passato o il futuro dell’atto al quale è ordinata. Vi è, per esempio, la relazione fondata sulla potenza secondo un atto passato, come quella del padre rispetto al figlio da lui generato in passato. E vi è la relazione fondata sulla potenza secondo un atto futuro: a questo genere appartengono, secondo il Dottore Angelico, anche le relazioni che corrispondono ad una privazione presente di un atto. Applicando tali considerazioni al Papa e alla Chiesa nel contesto scaturito dal Vaticano II, osserviamo che è indubbiamente possibile che, il più delle volte, un Papa non eserciti in atto il proprio governo rispetto alla Chiesa, nella misura in cui, per varie ragioni, non contribuisce in atto al bene comune della Chiesa, che si identifica con la predicazione della fede, ma preferisce sacrificarlo agli ideali del liberalismo massonico[42]. Ed è vero che oggi, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa soffre il più delle volte di tale carenza. Tuttavia, l’autorità resta, perché resta una relazione tra il Papa e la Chiesa, fondata sulla inclinazione radicale del potere del Papa rispetto al fine e al bene della Chiesa, per lo meno secondo un atto futuro, anche se il più delle volte la Chiesa è privata di tale atto al presente. Come spiega san Tommaso, la privazione presente dell’atto non equivale necessariamente all’impossibilità di tale atto, cioè alla sua privazione passata e futura, e quindi alla privazione pura e semplice del potere di esercitare l’atto. Nel potere, infatti, resta sempre l’inclinazione radicale al fine. Pertanto coloro che, dall’atto del liberalismo o del modernismo personale del Papa, giungono direttamente alla conclusione che egli non è più il capo della Chiesa cattolica, dimostrano di ignorare la distinzione essenziale tra i due aspetti testé ricordati. D’altra parte, quand’anche il Papa utilizzasse la maggior parte delle volte il suo potere in senso contrario al fine della Chiesa, da ciò non deriverebbe necessariamente che egli sia in atto il capo di un’altra Chiesa. Si potrebbe solamente dire che il Papa insegna e governa contro il bene della Chiesa, allo stesso modo di un tiranno che non sia stato ancora deposto.
33. Al decimo argomento, si risponde che la rottura negata dal Papa, anche se non sussiste tra due Chiese come uno scisma in atto tra due società vere e proprie, sussiste però tra due concezioni della Chiesa. Una di esse è comparsa in occasione del Concilio Vaticano II in opposizione ai princìpi tradizionali della Chiesa cattolica e, in seguito, si è diffusa nell’intera Chiesa, anche tra i membri della gerarchia. Pertanto si può e si deve parlare di una Chiesa conciliare, non però per designare un’altra Chiesa, bensì per caratterizzare il nuovo orientamento che si sviluppa e persiste all’interno della Chiesa in conseguenza dell’aggiornamento voluto da Giovanni XXIII e Paolo VI.
34. All’undicesimo argomento, si risponde che mons. Lefebvre ha più volte specificato che cosa intendesse per Chiesa conciliare e che pertanto non si vede in che modo il suo successore manifesterebbe l’intenzione di contraddirlo. Mons. Fellay si è limitato a dire che i rappresentanti della gerarchia restano in possesso del proprio potere anche se sono imbevuti di idee false che li conducono ad agire contro il bene della Chiesa. D’altra parte, nella predica tenuta a Parigi che costituisce l’oggetto dell’undicesimo argomento, mons. Fellay, parlando del Vaticano II, afferma che «questo Concilio manifesta una chiara volontà di compiere qualcosa di nuovo. Non si tratta di una novità superficiale, ma di una novità profonda, in opposizione, in contraddizione con ciò che la Chiesa aveva insegnato o addirittura condannato». Paragonando la novità introdottasi nella Chiesa alla zizzania seminata dal nemico nel campo di Dio, il successore di mons. Lefebvre conclude: «Questo Concilio ha voluto mettersi in armonia col mondo. Ha fatto entrare il mondo nella Chiesa e così ora abbiamo il disastro». E nell’allocuzione pronunciata a Flavigny, mons, Fellay precisa il suo pensiero in un senso che corrisponde esattamente alle affermazioni di mons. Lefebvre. Dopo aver insistito sul fatto che la Chiesa cattolica è la Chiesa di oggi, attuale e concreta, il Superiore Generale della Fraternità San Pio X aggiunge: «Vi è tuttavia un intero organismo, e questo organismo, di cui da un lato dobbiamo professare la santità, dall’altro è fonte di stupore e di scandalo, a tal punto che ci verrebbe soltanto voglia di dire: Non abbiamo niente a che fare con quella gente! Non possiamo stare insieme, non è possibile! Uomini di Dio che inducono i cristiani, i figli della Chiesa, a perdere la fede. Non possiamo stare insieme! È evidente che questi errori devono essere rifiutati con orrore». Il fatto di insistere sulla realtà concreta della Chiesa di oggi mira soltanto a precisare che la Chiesa mantiene, nonostante tutto, le promesse di vita eterna: «Rifiutando quel che non va, non bisogna rifiutare tutto. Essa è pur sempre la Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica. […] Rifiutando il male che si trova nella Chiesa, non bisogna dedurne che essa non è più la Chiesa. Certo, vi sono delle grandi parti che non sono più la Chiesa! Ma non tutto!». Le presenti affermazioni non contraddicono quelle che abbiamo citato nelle risposte al quarto, quinto, sesto e settimo argomento: anch’esse esprimono, sia pure in termini diversi, la stessa idea che la Fraternità San Pio X ha sempre fatto corrispondere all’espressione Chiesa conciliare: idea che esprime l’invasione del pensiero liberale e modernista all’interno della Chiesa e, al tempo stesso, l’indefettibilità di principio di questa stessa Chiesa; idea che trova un’ulteriore formulazione nella metafora del corpo malato, come mons. Fellay ha sottolineato in occasione dell’ultimo Congresso del Courrier de Rome: «La Chiesa cattolica è la nostra Chiesa. Non ne abbiamo un’altra. Non ce n’è un’altra. Dio permette che sia malata. Ed è per questo che ci sforziamo di non farci contagiare. Ma non per questo possiamo dire che stiamo facendo un’altra Chiesa. […] La malattia è la malattia, non è la Chiesa. La malattia è nella Chiesa, ma la Chiesa resta quello che è. […] Certo, bisogna combattere la malattia. Ma questa Chiesa malata è pur sempre la Chiesa fondata da nostro Signore. A lei sono state fatte le promesse di vita eterna. A lei è stata fatta la promessa che le porte dell’inferno non avrebbero prevalso contro di essa»[43]. In conclusione, si può parlare di una Chiesa conciliare per esprimere il fatto che i capi della Chiesa e un gran numero di fedeli sono guidati da un orientamento e da uno spirito estranei alla Chiesa e contrari al suo fine.
35. Al dodicesimo argomento, si risponde che la fede e la grazia ci sono sempre trasmesse dalla Chiesa, esclusivamente nella misura in cui essa permane indefettibilmente una società divina, che ha per capo supremo non il Papa, ma Cristo. Nell’allocuzione di Flavigny menzionata nel dodicesimo argomento, mons. Fellay precisa il suo pensiero proprio in questo senso. Dopo aver sottolineato il fatto che la Chiesa cattolica è la Chiesa di oggi, attuale e concreta, il Superiore Generale della Fraternità San Pio X aggiunge: «Vedete, il semplice fatto di usare tali parole solleva questioni immense: come può accadere? Com’è possibile che questi vescovi, che ci dicono ogni sorta di eresie, ci trasmettano la fede? […] È di fede, è assolutamente certo che la fede e la grazia, ciascuna grazia che riceviamo per mezzo dei Sacramenti, la riceviamo dalla Chiesa. E, ancora una volta, questa Chiesa è concreta, non bisogna trasformarla in un’idea astratta: è reale! Se viviamo in questa Chiesa, la vita la riceviamo dal capo della Chiesa, che è principalmente e anzitutto nostro Signore Gesù Cristo». Come giustamente ricorda il padre Calmel[44], «la Chiesa non è il corpo mistico del Papa; la Chiesa, col Papa, è il Corpo mistico di Cristo». A prescindere dalle mancanze del Papa, la Chiesa è sempre portatrice di verità e di grazia. La verità e la grazia ci sono incessantemente donate da Cristo. E, nel caso in cui il Papa vi frapponga più o meno ostacoli, esse ci sono trasmesse attraverso coloro che, nella Chiesa, restano fedeli alla missione ricevuta da Cristo. Di conseguenza, oggi la fede e la grazia ci sono trasmesse dalla Fraternità non in quanto tale, come se si trattasse di una Chiesa autonoma che crede di rimpiazzare la Chiesa cattolica, ma dalla Fraternità in quanto parte rimasta sana dell’unica Chiesa cattolica. È quel che mons. Fellay ha ricordato in occasione dell’ultimo Congresso del Courrier de Rome, fondandosi sulla dottrina di S. Vincenzo di Lerino: «Vi trovate in un paese, in una diocesi dove, improvvisamente, si diffonde l’eresia. Che fare? San Vincenzo di Lerino risponde: è semplice, dovete restare uniti alla parte che è ancora sana». Si può dire, dunque, che la fede e la grazia ci sono trasmesse dalla Chiesa per mezzo della Fraternità. E, nella misura in cui esse non sono più trasmesse da coloro che nella Chiesa ostacolano il bene della Chiesa, a causa delle loro idee liberali e moderniste, possiamo parlare di Chiesa conciliare allo scopo di indicare questa parte corrotta della Chiesa che non veicola più né la verità né la grazia.
36. Al tredicesimo argomento, si risponde che, come abbiamo visto, mons. Lefebvre ha effettivamente usato l’espressione Chiesa conciliare. Per conciliare questo modo di parlare col rifiuto del sedevacantismo, basta rilevare che mons. Lefebvre non ha mai impiegato l’espressione in oggetto nel senso attribuitole nella seconda premessa dell’argomento. Secondo il fondatore della Fraternità San Pio X, l’espressione Chiesa conciliare non indica un’altra Chiesa, formalmente distinta in quanto tale dalla Chiesa cattolica, ma uno spirito nuovo che si è introdotto nella Chiesa, in opposizione al bene e al fine perseguito dalla Chiesa. Rifiutare il sedevacantismo non significa affatto rifiutare di prendere atto di questo spirito nuovo e di opporvisi per il bene della Chiesa. Nella predica tenuta a Parigi, citata nell’undicesimo argomento, mons. Fellay specifica i due aspetti inseparabili della posizione di mons. Lefebvre: «Per restare nella verità, bisogna mantenere queste due nozioni che ci derivano dalla fede insieme alle nozioni che ci derivano dalla ragione». Le due nozioni di fede sono l’indefettibilità della Chiesa romana e il primato del Vescovo di Roma, successore di Pietro e vicario di Cristo. Le nozioni di ragione sono il fatto della penetrazione delle idee liberali e moderniste nella Chiesa.
37. Al quattordicesimo argomento, si risponde che l’espressione Chiesa conciliare non indica la realtà di un’altra Chiesa, bensì una nuova concezione della Chiesa che ha pervaso le menti. Malgrado l’offuscamento delle menti all’interno della Chiesa, la Chiesa, grazie all’assistenza divina che la rende sempre indefettibile, non cessa di essere tale. Infatti Dio ha il potere di impedire che la sua Chiesa venga meno, anche quando permette che al suo interno si verifichi ciò che mons. Lefebvre definiva una «congiura»[45]. Come spiega san Tommaso[46], «se il male fosse integrale, distruggerebbe se stesso, poiché, distrutto ogni bene (che è richiesto alla consistenza del male), si elimina anche il male stesso, che ha il suo soggetto nel bene». Analogamente, se ciò che per convenzione chiamiamo «Chiesa conciliare» fosse integralmente «conciliare», distruggerebbe se stessa in quanto Chiesa. Il che è impossibile, anzitutto perché la Chiesa è indefettibile, ma anche perché, se la Chiesa fosse venuta meno, il bacillo del Concilio non potrebbe diffondersi al suo interno: il bacillo, infatti, può svilupparsi solo in un organismo vivente. Per tali ragioni, l’espressione Chiesa conciliare deve intendersi in questo senso: l’aggettivo «conciliare» è attribuito al sostantivo «Chiesa» non come proprietà essenziale che deriverebbe necessariamente dalla definizione del nome, ma come determinazione accidentale che si verifica nella cosa designata dal nome in un dato momento della sua esistenza. In altre parole, la Chiesa è conciliare non essenzialmente e in quanto tale (perché, in tal caso, non sarebbe più cattolica e verrebbe meno), ma accidentalmente e in quanto essa subisce i nefasti effetti di una «infiltrazione nemica».
38. Al quindicesimo argomento, si risponde come al sesto; aggiungiamo, inoltre, che la visibilità della Chiesa non si limita a quella della sua gerarchia. La Chiesa, come qualunque società, è certamente visibile nella sua gerarchia, ma, come unica società di origine divina, è visibile anche nelle sue note. Le tendenze liberali e moderniste che imperversano all’interno della Chiesa, fin nella sua gerarchia, possono solamente impedire, senza però far scomparire totalmente, la piena manifestazione delle note della Chiesa. Quindi, parlare di una Chiesa conciliare per indicare queste tendenze nefaste non equivale a negare la visibilità della gerarchia della Chiesa e neppure quella delle sue note.
39. Al sedicesimo argomento, si risponde che l’espressione Chiesa conciliare, nel senso in cui l’ha impiegata il fondatore della Fraternità San Pio X, non ha altro scopo che quello di palesare la tattica di infiltrazione propria del modernismo. Infiltrazione che oggi ha raggiunto un livello inimmaginabile, poiché a difendere le idee neo-moderniste vi è lo stesso successore di Pietro. In un testo rimasto, a quanto ci risulta, inedito, il teologo privato di mons. Lefebvre sottolineava la peculiare caratteristica di ciò che è stata definita, a giusta ragione, l’eresia del XX secolo: «Chi è il modernista? È un uomo che, pur essendo privo della fede (perché, per definizione, il modernismo è un’eresia), ne è privo in un modo del tutto particolare. Egli, infatti, conserva tutte le formulazione dogmatiche modificandone radicalmente il senso o senza attribuire loro alcun senso o associandole a delle formule di senso opposto: la contraddizione, per lui, non è un problema. Non sente il bisogno di uscire dalla Chiesa: anzi, il suo modo del tutto particolare di essere eretico comporta che egli resti al suo interno. Un modernista al di fuori della Chiesa non è più un modernista: è un protestante liberale o razionalista; è un filosofo incredulo o un esegeta incredulo o uno storico incredulo, a seconda degli studi che ha fatto: tutto ciò che si vuole, tranne un modernista. La nota specifica del modernismo è quella di essere un’eresia interna alla Chiesa. Il modernista non esce dalla Chiesa se non quando viene smascherato e scacciato: dopo l’espulsione, sopravvive come eretico, non come modernista»[47]. Di conseguenza, la constatazione di san Pio X non impedisce in alcun modo di utilizzare l’espressione Chiesa conciliare, come ha fatto mons. Lefebvre, a patto che con ciò si intenda una realtà che è distinta dalla Chiesa cattolica non in atto ma soltanto in potenza e che dunque coesiste con la Chiesa, come nuovo orientamento al suo interno.
Don Jean-Michel Gleize
Professore di ecclesiologia al Seminario Saint Pie X di Ecône
[1] Mons. Lefebvre, Conferenza tenuta ad Ecône il 18 e 27 agosto 1976, in Vu de haut, n. 13, pp. 37-38.
[2] Mons. Lefebvre, Conferenza tenuta ad Ecône il 2 dicembre 1974, in Vu de haut, n. 13, pp. 9-10.
[3] Mons. Lefebvre, Conferenza tenuta ad Ecône il 29 settembre 1975, in Vu de haut, n. 13, p. 24.
[4] Mons. Lefebvre, Conferenza tenuta ad Ecône il 22 agosto 1976, in Vu de haut, n. 13, p. 24.
[5] Mons. Lefebvre, La visibilité de l’Église et la situation actuelle, in Fideliter, n. 66 (novembre-dicembre 1988), pp. 27 ss.
[6] Intervista a Mons. Lefebvre, Un an après les sacres, in Fideliter, n. 70 (luglio-agosto 1989), pp. 6 e 8.
[7] Entretien avec Mgr Lefebvre, in Fideliter, n. 79 (gennaio-febbraio 1991), pp. 3 e 5.
[8] Benedetto XVI, Discorso alla curia del 22 dicembre 2005, in Acta Apostolicae Sedis, n. 98 (2006), p. 46.
[9] Mons. Fellay, L’épreuve des apôtres et la situation présente de l’Église, predica tenuta domenica 2 settembre al Seminario S. Curato d’Ars di Flavigny, in occasione del Congresso del M.C.F., in Nouvelles de Chrétientés, n. 137 (settembre-ottobre 2012), p. 20.
[10] Id., L’épreuve des apôtres et la situation présente de l’Église, predica tenuta domenica 2 settembre al Seminario S. Curato d’Ars di Flavigny, in occasione del Congresso del M.C.F., in Nouvelles de Chrétientés, n. 137 (settembre-ottobre 2012), pp. 16 e 20.
[11] Mons. Fellay, Predica di domenica 11 novembre 2013 a Saint Nicolas du Chardonnet (Parigi), pubblicata sul sito La Porte Latine.
[12] Mons. Fellay, L’épreuve des apôtres et la situation présente de l’Église, predica tenuta domenica 2 settembre al Seminario S. Curato d’Ars di Flavigny, in occasione del Congresso del M.C.F., in Nouvelles de Chrétientés, n. 137 (settembre-ottobre 2012), pp. 15-16.
[13] Mons. Fellay, Predica di domenica 11 novembre 2013 a Saint Nicolas du Chardonnet (Parigi), pubblicata sul sito La Porte Latine.
[14] Ciò è attestato, in particolar modo, dalla Conferenza tenuta ad Ecône il 5 ottobre 1978.
[15] Mt. 16, 18.
[16] Mt. 28, 20.
[17] S. Pio X, Enciclica Pascendi, in Acta Sanctae Sedis, n. 40 (1907), p. 594.
[18] Id., ibidem, p. 620.
[19] Summa Theologica (ST), I, q. 13, a. 1, corpus e ad 3.
[20] ST, I, q. 13, a. 12, ad 3: «È evidente, infatti, che il nostro intelletto concepisce immaterialmente le cose materiali che sono al di sotto di esso, non perché le consideri immateriali, ma perché nell’intendere ha un modo che è immateriale. Parimenti, quando concepisce cose semplici che sono al di sopra di esso, le intende alla sua maniera, cioè sotto forma di cose composte; non già che le consideri composte».
[21] Mons. Lefebvre, Accuso il Concilio, Editrice Ichthys, 2002,p. 9: «Dopo questo Concilio la Chiesa, o per lo meno gli uomini di Chiesa che occupano i posti-chiave, hanno assunto un orientamento nettamente opposto alla Tradizione, cioè al Magistero ufficiale della Chiesa». Cfr. anche la conferenza tenuta ad Ecône il 9 giugno 1988: «La battaglia cominciata al Concilio continua. Continua perché il cambiamento operato al Concilio esigeva una resistenza, esigeva che ci si opponesse a tutte queste tesi moderniste, a tutte queste tesi liberali che hanno pervaso gli spiriti durante il Concilio».
[22] ST, I-II, q. 18, a. 8, ad 1.
[23] ST, I, q. 48, a. 4, corpus.
[24] Caietano, De comparatione auctoritatis Papae et Concilii cum apologia ejusdem tractatus (1512), ed. a cura di V. Pollet (Scripta theologica, vol. I., Romae, apud Institutum Angelicum, 1936), cap. XI, n. 191.
[25] Mt. 16, 18.
[26] Julio Meinvielle, De la cabale au progressisme, Éditions Iris, Ecône, 1a ed. 2008, pp. 361-362; 2a ed. 2012, p. 416.
[27] È il titolo dato dalle Edizioni Fideliter alla raccolta delle cinque principali conferenze tenute da mons. Lefebvre sul tema della crisi nella Chiesa.
[28] R. P. Calmel, La Chiesa e il Papa, in Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys, 2007, pp. 111 e 119.
[29] Testo inedito dell’11 febbraio 1973, conservato negli Archivi del Seminario S. Pio X ad Ecône.
[30] Fideliter, n. 66, settembre 1988, pp. 27-31.
[31] Cfr. la Conferenza tenuta ad Ecône il 5 ottobre 1978: «Che bisogna fare? Dobbiamo forse concludere che, se il Papa insegna qualcosa di contrario alla fede che ci è stata sempre insegnata, allora questo Papa sarebbe eretico? È possibile, io non lo so. […] Allora si cade nell’ipotesi, nelle diverse ipotesi teologiche, e la cosa si fa assai difficile. D’altra parte, il Papa ha aderito ad un’eresia formale o ha semplicemente, per così dire, dato all’eresia la possibilità di diffondersi? Si tratta di due cose diverse, non vi pare? Tutto ciò è assai difficile, assai delicato. […] Di fronte alle difficoltà sollevate da tutti questi problemi, confesso che non oso risolverli ricorrendo a dei princìpi, risolverli con tutte queste teorie, queste ipotesi, queste possibilità, in modo assoluto. Non mi sento in grado di farlo, perché non conosco abbastanza tutto ciò che il Papa ha fatto. Non conosco le influenze che ha dovuto subire. Non conosco con esattezza, perché, dopo tutto, non mi trovo nelle stanze del Vaticano. Di tutti questi problemi, di tutte le circostanze legate ad essi, non abbiamo una visione abbastanza chiara per poter giungere ad una soluzione certa. […] Direi, d’altra parte, che ciò non ha molta influenza sulla nostra condotta pratica. Per quale motivo? Perché noi rigettiamo fermamente, coraggiosamente, tutto ciò che è contro la fede. Non c’è nient’altro da fare. Senza sapere da dove proviene tutto ciò, senza conoscerne il colpevole, lasciando a Dio il compito di giudicare il colpevole, se si tratta di questo o di quello». Inoltre mons. Lefebvre scrisse al padre Guérard de Lauriers, uno dei principali «fondatori» del sedevacantismo: «Se Lei ha la certezza che Paolo VI sia giuridicamente decaduto, capisco la logica che ne consegue. Ma personalmente ho un forte dubbio e non una certezza assoluta. Dal punto di vista pratico, la mia condotta si fonda non sull’inesistenza del Papa, ma sulla difesa della mia fede cattolica. Lei invece crede in coscienza di doversi basare su questo principio, che purtroppo è fonte di turbamento e di violente divisioni, tutte cose che io vorrei evitare».
[32] Caietano, De comparatione auctoritatis Papae et Concilii cum apologia ejusdem tractatus, ed. cit., cap. XX, n. 280.
[33] Num. 16, 26: «State lontani»; Gal. 1, 8: «Sia anatema», cioè ci si separi da lui; 2 Tess. 3, 6: «Tenetevi lontani» 2 Cor. 6, 17: «Uscite di mezzo a quelli e separatevene»; 2 Gv. 1, 10: «Non lo ricevete in casa e non salutatelo»; Tit. 3, 10: «Allontana da te».
[34] Fideliter, n. 66, settembre 1988, pp. 27-31.
[35] Louis Billot, De Ecclesia Christi, tom. I, Prati, Giachetti, 1909, pp. 49-51.
[36] Mons. Lefebvre, ibid., pp. 6 e 8.
[37] [Che cioè il Papa sia decaduto dal suo ufficio, ndt].
[38] Mons. Lefebvre, «Conferenza al Seminario di Flavigny, dicembre 1988», in Fideliter, n. 68 (marzo-aprile 1989), pp. 12-13.
[39] Mons. Lefebvre, Omelia di domenica 10 luglio 1988, in Fideliter, n. 65 (settembre-ottobre 1988), p. 4.
[40] San Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, ed. Marietti (Torino, 1950), libro V, lezione 17, n. 1023.
[41] Id., ibid., n. 1025.
[42] Cfr., per esempio, Benedetto XVI, Discorso pronunciato in occasione dell’incontro ecumenico presso l’arcivescovato di Praga, domenica 27 settembre 2009, in Acta Apostolicae Sedis, n.101 (2009), p. 867: «Il cristianesimo ha molto da offrire sul piano pratico e morale, poiché il Vangelo non cessa mai di ispirare uomini e donne a porsi al servizio dei loro fratelli e sorelle. Pochi potrebbero contestare ciò. Tuttavia, quanti fissano il loro sguardo su Gesù di Nazareth con occhi di fede sanno che Dio offre una realtà più profonda e nondimeno inseparabile dall’”economia” della carità all’opera in questo mondo: Egli offre la salvezza. Il termine “salvezza” è ricco di significati, tuttavia esprime qualche cosa di fondamentale ed universale dell’anelito umano verso la felicità e la pienezza. Esso allude al desiderio ardente di riconciliazione e di comunione che spontaneamente sgorga nelle profondità dello spirito umano. È la verità centrale del Vangelo e l’obiettivo verso cui è diretto ogni sforzo di evangelizzazione e di cura pastorale. Ed è il criterio sul quale i cristiani tornano sempre a focalizzarsi, nel loro impegno per sanare le ferite delle divisioni del passato […] Prego perché tali iniziative ecumeniche portino frutto non solo per proseguire il cammino dell’unità dei cristiani, ma per il bene dell’intera società europea».
[43] Mons. Fellay, Intervento finale all’XI Congresso del Courrier de Rome, Parigi, 6 gennaio 2013, pubblicato sul sito di D.I.C.I. (http://www.dici.org/documents/quel-bilan-50-ans-apres-vatican-ii/).
[44] R. P. Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, cit., p. 112.
[45] «Il Concilio è stato sviato dal suo fine da un gruppo di congiurati» (Mons. Lefebvre, Prefazione al libro Accuso il Concilio, Edizioni Ichtys, 2002, p. 45).
[46] ST, I, q. 49, a. 3, corpus.
[47] Don Victor-Alain Berto, Documento tratto dagli archivi personali di mons. Lefebvre, presso in Seminario S. Pio X ad Ecône.
Commenti
Posta un commento