Alessandro VI mise una particolare cura nell’organizzazione logistica e spirituale del Giubileo del 1500
di Serena Ravaglioli
La fama di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, Pontefice dal 1492 al 1503, è prevalentemente legata, in negativo, alla licenziosità dei costumi morali, all’avidità delle pratiche simoniache e alla spregiudicatezza con cui favorì, economicamente e politicamente, i suoi figli, soprattutto il pluriassassino Cesare, detto il Valentino, e la bionda Lucrezia, più volte disinvoltamente vedova.
Molto meno rinomata è la sua opera di difensore dell’ortodossia, di riformatore di monasteri e di ordini religiosi, e di promotore di missioni nei Paesi orientali e nel Nuovo Mondo appena scoperto. E ancor meno nota è la sincera devozione con cui praticò e promosse varie forme di pietà e di preghiera. Così per esempio favorì largamente il culto di sant’Anna e della Madonna, facendo ripristinare, fra l’altro, il suono dell’Angelus. Ma è soprattutto l’impegno che profuse nella preparazione del Giubileo del 1500 che testimonia come, nonostante la sregolatezza della sua vita e l’ambizione sconfinata per sé e per i suoi figli, Alessandro VI fosse un sincero credente, almeno a tratti consapevole dei suoi doveri.
La preparazione all’Anno Santo si svolse su due piani: pratico e spirituale. Dal primo punto di vista gli interventi furono di carattere urbanistico e organizzativo, e fra di essi spicca soprattutto la costruzione di una nuova strada rettilinea da Castel Sant’Angelo a piazza San Pietro, attraverso la quale, secondo il progetto, sarebbe potuta passare la maggior parte dei pellegrini, evitando gli ingorghi che avevano funestato il Giubileo del 1450. La costruzione iniziò nell’aprile 1499 e i lavori procedettero così veloci che l’inaugurazione poté avvenire alla vigilia di Natale. La strada prese il nome di via Alessandrina, ma poi fu comunemente chiamata dai romani “Borgo Nuovo”.
Per quanto riguarda l’organizzazione andarono a buon fine i provvedimenti presi per assicurare l’approvvigionamento alimentare (mediante la raccolta di grandi quantità di vettovaglie nei magazzini e il calmieramento dei prezzi) e per offrire ai pellegrini alloggiamenti adeguati, con l’apertura di ospizi. Meno successo ebbero i tentativi, invero in molti casi del tutto falliti, di tutelare la sicurezza delle strade di accesso alla città, frequentemente infestate dai briganti, in particolar modo la Cassia. A protezione dei pellegrini provenienti dal mare, che erano minacciati dai pirati, Alessandro VI fece stazionare a Ostia un incrociatore.
Dal punto di vista spirituale, si deve ad Alessandro VI la definizione delle cerimonie di inaugurazione e di chiusura degli anni santi, che fino ad allora non avevano seguito riti specifici. Alessandro VI stabilì invece un cerimoniale solenne e di alta spiritualità, da allora rimasto sostanzialmente inalterato.
In questa elaborazione ebbe compagno e consigliere prezioso Giovanni Burcardo, che dal gennaio 1484 ricopriva la carica di maestro della Cappella papale e che descrisse diligentemente le cerimonie religiose vaticane, cui aveva assistito o che aveva organizzato, nel suo diario, il Liber notarum, ricca fonte di notizie sulla vita curiale e cittadina della Roma dei suoi tempi. Può essere curioso ricordare che a Burcardo si deve un toponimo romano fra i più famosi: “Argentina”; il maestro pontificio chiamò infatti così la casa-torre che possedeva nel centro di Roma, in onore della sua città natale, Strasburgo, in latino Argentoratus, e il nome passò poi a tutta quella zona della città.
Alessandro VI volle che l’inizio dell’anno giubilare fosse segnato da un evento di forte impatto simbolico e lo individuò nell’apertura della Porta Santa, esplicito richiamo alle parole del Vangelo di Giovanni: «Io sono la porta. Chi per me passerà sarà salvo». Dispose quindi che si estendesse anche alle altre tre Basiliche patriarcali l’uso, fino allora seguito soltanto a San Giovanni, di riservare una porta ai pellegrini degli anni santi, mantenendola murata per tutto il resto del tempo. L’apertura della Porta Santa di San Pietro sarebbe stata riservata al Pontefice, quella nelle altre tre Basiliche a suoi legati.
L’individuazione delle porte in quella prima occasione non fu indenne da confusioni. Così a San Paolo, il legato del Papa non trovò alcuna indicazione relativa a quale fosse la porta giusta e per sicurezza ne fece aprire tre. Nella stessa San Pietro la localizzazione della Porta fu frutto di un equivoco: poiché infatti una tradizione antica, ma incerta, parlava di una “porta aurea”, si pensò di ripristinare quella, individuandola in una nicchia della cappella della Veronica. Ma quando i lavori iniziarono fu subito evidente l’infondatezza della notizia.
In ogni modo alla vigilia di Natale 1499 tutto era pronto per il rito solenne, che Burcardo ha descritto nei minimi particolari. Prima dei Vespri Alessandro VI, accompagnato dal suono di tutte le campane della città, si fece portare in sedia gestatoria fino al portico di San Pietro, seguito dal corteo dei cardinali che avevano lunghi ceri accesi. Mentre il coro cantava le parole del salmo «Aperite mihi portas iustitiae...», bussò tre volte e più con un martello al centro della Porta, poi si sedette in trono e aspettò che gli operai finissero di scoprirla. Quando fu aperta, il Papa si inginocchiò, recitò una preghiera da lui stesso composta e finalmente, sorretto dal Burcardo, oltrepassò la soglia, recando nella mano sinistra un cero mentre con la destra impartiva la benedizione. Il cerimoniale avrebbe previsto a questo punto la recita del Te Deum, ma – è sempre Burcardo a raccontare – tanta fu la «pressura et angustia» che il Papa se lo dimenticò. Il canto del Vespro concluse la cerimonia che, come si è detto, da allora non ha subito modifiche di rilievo.
Identico rito si svolse contemporaneamente a San Giovanni, a Santa Maria Maggiore e a San Paolo, presieduto da un cardinale legato. Le Porte Sante dovevano restare aperte notte e giorno, custodite da quattro chierici a turno ed era vietato ai mendicanti e agli infermi sostare nelle loro vicinanze. Nei pressi della Porta Santa di San Pietro il Papa fece sistemare una grande cassa per l’elemosina, con tre serrature le cui chiavi erano affidate a tre diversi dignitari della corte papale. Chiunque volesse ottenere il perdono e le grazie del Giubileo doveva passare per la Porta Santa e deporre il suo obolo. Fu questa circostanza a favorire l’impressione che per ottenere l’indulgenza bisognasse pagare, e a far nascere quella polemica contro il “commercio delle indulgenze”, che pochi anni più tardi avrebbe portato alle 95 tesi di Lutero.
Alessandro VI volle seguire egli stesso, come i comuni pellegrini, la pratica della visita alle quattro Basiliche per l’acquisto dell’indulgenza giubilare. Lo fece nella settimana santa, il 13 aprile, con lo sfarzoso accompagnamento degli ambasciatori, dei familiari e dei prelati di palazzo.
Il giorno di Pasqua il Papa celebrò un solenne pontificale in San Pietro, dopo il quale impartì la benedizione e l’indulgenza. Stando al Burcardo, a quella solennità avrebbero assistito circa 200mila persone, cifra probabilmente esagerata, ma che certamente rende l’idea del concorso di folla che quell’Anno Santo richiamò. Fra i romei celebri è da ricordare Nicolò Copernico, che giunse a Roma verso Pasqua e vi si trattenne un anno intero.
Il Giubileo si concluse il 6 gennaio 1501. Ancora una volta fu mostrato il sudario della Veronica, ma il Papa, malato, non partecipò al rito, presieduto in sua vece da due cardinali. Dopo i Vespri cantati nella Basilica di San Pietro e seguiti da una solenne processione, i cardinali iniziarono a murare la Porta, uno dall’esterno cominciando con un mattone dorato, l’altro dall’interno con un mattone argentato. Subito dopo gli addetti tirarono su un muro da entrambe le parti, mentre si recitavano Pater noster e Oremus. Da allora è sempre stato il Papa ad aprire e richiudere la Porta Santa di San Pietro, in ossequio alle parole di Isaia: «Se egli apre nessuno chiuderà e se egli chiude nessuno aprirà».
Commenti
Posta un commento