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martedì 18 aprile 2017

Il Processo di Cristo e il processo della Chiesa (di Cristiana de Magistris)



 Nel Tempo di Passione, che abbraccia le due settimane che precedono la Pasqua, la Chiesa contempla in lutto i dolorosi avvenimenti che segnarono l’ultimo anno della vita del Redentore del mondo (Settimana di Passione) e l’ultima settimana della Sua vita mortale (Settimana Santa).

Con l’avvicinarsi del Venerdì Santo, la voce di dolore della Chiesa diviene più vibrante e commossa, e tra breve essa farà sentire i suoi lamenti inconsolabili per la morte del suo divino Sposo. «Il Cielo della Santa Chiesa si oscura sempre più», scrive dom Guéranger. Il Redentore divino, fattosi uomo per amore dell’uomo, sta per espiare l’umano peccato sostituendosi ai suoi fratelli colpevoli. Egli si riveste dei nostri peccati, dice il Profeta, come di un mantello, e si fa peccatore per noi per poterlo portare nella sua carne sulla croce e distruggerlo con la sua morte (cf 1 Pt 2,24).


Nell’Orto degli Ulivi, tutti i peccati commessi dall’umanità colpevole, dagli albori del mondo fino alla consumazione dei secoli, affluiscono come flutti melmosi nell’anima purissima del Salvatore del mondo, che diviene così «il ricettacolo di tutto il fango umano e il rifiuto della creazione» (Mons. Gay). Il Padre deve allora trattarlo come maledetto, poiché è scritto: «Sia maledetto chiunque è appeso al legno» (Gal 3,11). Per la nostra salvezza bisognava davvero che Gesù fosse appeso al legno della Croce, affinché la vita ci fosse resa dal legno che ci aveva dato la morte, e che colui che in un albero aveva trionfato, da un albero – a sua volta – fosse vinto (Prefazio della Croce).

La Sacra Liturgia nota che, «poiché i nostri progenitori erano stati ingannati da satana, bisognava che uno stratagemma divino sventasse l’artificio del serpente». S. Bernardo lo spiega dicendo che «poiché Gesù non aveva che l’apparenza del peccato, fu appunto quest’apparenza a mascherare la trappola in cui satana cadde». E S. Agostino: «Per un giusto permesso di Dio, Lucifero perdette il diritto di morte che aveva sui peccatori il giorno in cui egli fu abbastanza temerario da usarlo contro il Giusto». Si tratta di una lotta senza precedenti e senza pari tra il principe della morte e il Dio della vita, ma «immolandosi Cristo trionfa» e – col più grande dei divini paradossi – morendo ci dona la vita.

Nella Domenica delle Palme, Egli avanza come un conquistatore, circondato di onori dalla folla che acclama: «Osanna al Figlio di David, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele». Ma dopo una gloria passeggera e fugace, il Figlio dell’uomo è sottoposto ad un infamante e menzognero processo. Condannato al peggiore dei supplizi, voluto non solo per ucciderLo, ma anche per cancellarne la memoria, Egli sale sulla croce, trono prezioso che il suo Sangue «orna della porpora regale».

L’oracolo di Davide si è compiuto: ¥Dio ha regnato dal legno», che da oggetto di ignominia è divenuto il vessillo del re e la nostra sola speranza in questo tempo di Passione. «Noi ci prostriamo davanti alla Croce, poiché è per essa che è venuta la gioia in tutto il mondo» (Liturgia). E per dimostrare che è solo in questa prospettiva salvifica che la Chiesa guarda ed adora la Santa Croce, gli artisti cristiani di un tempo cambiavano la corona di spine in una corona araldica e reale.

La Sacra Liturgia, rovesciando – con il suo linguaggio e suoi simboli – la nostra umana comprensione, non fa che riflettere il sapiente e misterioso disegno di Dio il Quale, nonostante le astuzie degli uomini e gli ostacoli più insormontabili da essi posti, si realizza inesorabilmente nella sua pienezza. Anzi, trionfando dell’umana bassezza, esso rifulge più glorioso, poiché Dio, nella Sua provvidenza, calcola anticipatamente ogni minuto ostacolo che gli uomini possono frapporre ai Suoi divini disegni.

Ecco perché il Salmo canta: «Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia: Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore» (2, 2-9). Dio non solo irride le astute tattiche e i perversi ragionamenti umani, ma li ribalta con sovrana sapienza, facendoli servire ai Suoi imperscrutabili fini. E, difatti, nel corso della vita del Salvatore, mentre gli Scribi e i Farisei avevano tentato di distruggerLo e coprirLo di ignominia, non compresero che, con l’ignominia di cui volevano ricoprirlo, preparavano il Suo più grande trionfo.

Il Salvatore del mondo fu condannato dai Giudei per un meschino opportunismo politico verso l’autorità romana, ma – mai come allora – fecero di Pilato, che quella autorità rappresentava, un misero zimbello nelle loro mani. E lui, che di quel processo infamante pretendeva vigliaccamente di lavarsi le mani, è da 2000 anni ricordato da tutti i cristiani ogni volta che si recita il Credo. I Giudei simularono di condannare Gesù per difendere la loro nazione, e proclamarono solennemente di non avere altro re all’infuori di Cesare.

Essi «Finsero di temere le sedizioni popolari, e vi ricorsero quando vollero che il popolo condannasse Gesù alla morte di croce. Finsero di condannare Gesù per amore alla verità, e ricorsero alle false testimonianze; finsero di ucciderlo per amore della Legge, e violarono la Legge» (D. Ruotolo). Frutto di un processo menzognero, anche il Calvario si presentò come una menzogna. «Il Redentore vi apparve come uomo, ed era Dio, vi apparve come reo, ed era la santità stessa, vi apparve come maledetto, ed era la benedizione del genere umano» (ivi).

Più precisamente, Egli – facendosi maledizione per noi – appese alla croce il chirografo della nostra condanna. Fu in questa apparenza di menzogna che l’uomo ottenne la benedizione e la salvezza. Il Redentore fu coperto di sangue, e la Madre sua fu ai suoi piedi per presentarlo, così sfigurato, al Padre. «Quel sangue sembrava orrore di pena, ed era amore, quelle spine sembravano obbrobrio, ed erano una corona regale, quei chiodi sembravano il sanguinoso vincolo della libertà, ed erano il definitivo affrancamento dalla schiavitù». «Tutto era, ci si perdoni la frase, una menzogna divina, perché in questa divina finzione la benedizione cadde sul Re d’amore per noi, e Maria Immacolata fu la Madre della benedetta umanità rigenerata» (ivi).

Il Tempo di Passione non è un semplice ricordo storico di questi avvenimenti riferentesi alla persona di Gesù; esso è una realtà per tutto il Corpo mistico. Il dramma del Golgota si estende a tutta la Chiesa che, con Cristo suo capo, rivive la Passione del suo Signore. Il Processo infamante di Gesù nostro Signore non è terminato. Pascal diceva giustamente che Gesù è in agonia fino alla fine del mondo.

Ma, in realtà, tutti i misteri della vita del Signore continuano e continueranno fino alla consumazione dei secoli nella sua Chiesa. Anche il Suo processo. Ora come allora assistiamo alla defezione degli apostoli, al tradimento di Pietro, alle menzogne create per distruggere il Suo Corpo e, se fosse possibile, cancellarlo dalla memoria del mondo. Il processo di Gesù fu una farsa e una menzogna, ma una “menzogna divina” perché non sfuggì all’ordine delle cose voluto da Dio.

Nessun dettaglio della Passione del Redentore, come della Sua vita, sfuggì alla divina economia della Sua misteriosa provvidenza. Così avviene per la Sua Chiesa. Se essa, nella sua componente umana, è prona al mondo e alle sue sirene, se il Sinedrio modernista la vende per trenta denari, se Pietro la tradisce e gli apostoli fuggono impauriti davanti ad un vergognoso e infame processo mondano, rimane tuttavia un piccolo gregge attorno alla Vergine Santissima che, ai piedi della Croce, impietrita dal dolore, contempla, ora come allora, non la morte del Figlio ma la salvezza del mondo. (fonte corrispondenza romana)

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