In occasione dell'imminente Family Day, pubblichiamo un contributo utile a smascherare le radici filosofiche di quell'ideologia gender che l'agenda delle lobby gay prevede per destrutturare tutto ciò che si è sempre pensato, in ogni epoca e ad ogni latitudine, sulla naturale complementarietà dei due sessi.
«Una società è giusta, infatti, nella misura in cui obbedisce a Dio»
(Sant’Agostino: “Le confessioni”) –
Certo, l’ideologia gender ha origini non sempre recenti e non è venuta fuori dal nulla, anche se proprio del nulla sembra costituire l’affermazione.
Questa “filosofia” evidentemente folle, fondata su evidenti, orwelliane manipolazioni del linguaggio, è stata accolta da tempo in unione di fatto nei palazzi e nelle conferenze Onu (fece la sua comparsa già nel 1994 e nel 1995 prima al Cairo – Terza conferenza internazionale su popolazione e sviluppo – e poi a Pechino alla Conferenza mondiale sulle donne) e dalle sue varie agenzie, OMS in primis, all’Unesco e alla Commissione su Popolazione e Sviluppo; è una contro fede, una antilogica aberrante, professata anche dalla Commissione di Bruxelles, dal Parlamento europeo e da molti Paesi membri dell’UE e non solo – in Argentina si può già cambiare sesso senza operazioni chirurgiche – ispira i legislatori, particolarmente solerti nel confezionare numerosissime leggi sulla ridefinizione della coppia, del matrimonio, della filiazione e dei rapporti tra uomini e donne, sempre in rispettoso, fideistico ossequio dei concetti di parità, identità di genere e orientamento sessuale.
Da categoria grammaticale, il termine è divenuto categoria concettuale e, sostituendo la parola sesso, ha rivoluzionato il significato di quest’ultima nonché, naturalmente, del termine originale.
Scriveva, già nel 1990, la filosofa americana Judith Butler, considerata oggi una delle massime ideologhe della teoria gender: “Il genere è una costruzione culturale. Se si ipotizza che il genere sia una costruzione radicalmente indipendente dal sesso, il genere stesso viene ad essere un artificio libero da vincoli; di conseguenza uomo e maschile potranno essere riferiti sia a un corpo femminile, sia a un corpo maschile; donna e femminile, sia a un corpo maschile, sia a uno femminile” (Gender trouble: feminism and subversion of identity).
E, quattro anni dopo, i rispettabili docenti universitari americani Peter R. Beckam e Francine D’Amico (Women, Gender, and World Politics: Perspectives, Policies, and Prospects)affermano: “Etichettare gli individui come donne (o uomini) è l’esercizio del potere, dal momento che l’etichetta crea nell’essere umano una serie di aspettative e dà l’indirizzo su cosa sono e cosa non sono”. La natura non solo è nemica irriducibile del desiderio soggettivo, e va quindi combattuta, va negata.
La femminista canadese Shulamith Firestone sosteneva già nel ’70: “Un valore ‘naturale’ non è necessariamente un valore ‘umano’. L’umanità ha cominciato ad affrancarsi dalla natura: non possiamo più giustificare la conservazione di un sistema discriminatorio di classe sessuale invocando le sue origini nella Natura” (La dialettica dei sessi).
Ma, non solo in campo filosofico e politico-sociologico, come è noto, l’ideologia gender trovava le sue definizioni, era fondamentale, per darle dignità, che le reperisse in campo scientifico, magari dimostrandole sperimentalmente.
Psicanalisti, come Robert Stoller (Sesso e genere, 1968), iniziatore già nel ’58 del Gender Identity Research Project, sessuologi come il famigerato Alfred Kinsey, chirurghi come John Money, allievo di Kinsey, (che lo teorizzò già nei primi anni ’50 per poi pubblicare nel 1972 – Uomo, donna, ragazzo, ragazza – i risultati dei suoi allucinanti esperimenti su David/Brenda che fornirono il materiale per un testo universitario di grande successo) furono certamente dei pionieri consapevoli del gender, i loro tragici fallimenti li fecero precipitare nell’oblio, con i relativi effimeri successi, ma non fermarono affatto una rivoluzione, come tutte quelle che si rispettino, essenzialmente culturale.
Scrittrici, come Simone de Beauvoir, universalmente identificata quale genitrice ufficiale, furono delle apripista così come esponenti del femminismo più estremista, la già citata Shulamith Firestone o antropologhe come Gayle Rubin.
Ma i progenitori citati in questo, seppur parziale, elenco sono da considerarsi solo le bàlie più dirette e ufficiali di una ideologia della dissoluzione che iniziò a seminare affinché nascesse il concetto di genere già prima delle date indicate.
Le linee fondanti della rivoluzione antropologica in atto, infatti, sono da rintracciarsi in pensatori ben più lontani nel tempo, spesso bravi nel gesto atletico del passaggio del testimone, e in avvenimenti storici da essi determinati o descritti, e in certi casi cantati, con lucida consapevolezza.
Non sarebbe peregrino sostenere che ogni filosofia capace di mettere in discussione la realtà sensibile avvii di fatto il percorso che conduce al gender; neanche Kant, ad esempio, seppur lontano dagli esiti, può ritenersi estraneo a questo tipo di manipolazioni concettuali: l’analisi critica del reale che egli inaugurò pone le basi per ogni ulteriore applicazione degli assunti antimetafisici di partenza.
Il pensiero relativista astratto, intendendo con questa definizione tutte quelle moderne correnti che si sforzano di realizzare concettualmente una lettura della realtà differente da quella che si presenta ai sensi, è genitore – padre o madre sono termini che mal si adattano al contesto di cui ci occupiamo – di ogni architettura ideologica che voglia fare tabula rasa di ciò che si ritiene tradizionalmente naturale e indiscutibile.
Non bisogna poi trascurare il fatto che l’illuminismo, nelle sue varie declinazioni, parta dal presupposto che la filosofia – nata come scienza della conoscenza – mutandosi in ideologia crede fermamente di dover cambiare il mondo in ogni suo aspetto.
E’ dall’illuminismo settecentesco, figlio di Cartesio, che possiamo partire. Rousseau, progenitore di ogni stortura relativista contemporanea, con il suo stato di natura e con il suo contratto sociale, ad esempio, relativizza, annullandone il senso, le realtà di natura e di ordine politico-sociale fondato sulla verità avviando un percorso che, attraverso la rivoluzione francese, le rivoluzioni marxiste, la rivoluzione psicanalitica, la rivoluzione culturale e sessuale del ’68 (assassina del principio di autorità e della famiglia), conduce alla rivoluzione gender attuale; l’ ultima, definitiva rivoluzione nichilista.
Dall’uguaglianza nel diritto, passando per il contrattualismo borghese, a quella economico-sociale; dalla società senza classi – per mezzo dell’equiparazione degli organi genitali al rango della mente o meglio per mezzo dell’invenzione della contro metafisica dei genitali, operata da Freud – alla società senza sessi determinati dove trionfa “il totalitarismo della dissoluzione”, profetizzato da Augusto Del Noce, in cui vengono negate le normali libertà politiche e individuali per affermare esclusivamente la libertà di trasgressione senza limiti.
Non è granché rilevante che alcune tra queste rivoluzioni siano storicamente fallite, esse – prodotte da una massiccia diffusione di idee astratte, prima di allora impensabile – hanno posto le fondamenta necessarie per le successive, e sempre più devastanti, elitarie torri d’attacco concettuali che hanno centrato il bersaglio grosso: quello culturale.
Filosoficamente, il gender è l’utopia fondamentalista più coerente finora espressa dal nichilismo radicale contemporaneo, eminentemente anticristiano e antinaturale: nulla esiste di stabile, nemmeno i due sessi biologici, e tutto muta in relazione ai tempi, ai luoghi, alle circostanze, alla libertà individuale, al desiderio soggettivo. Tutti i dati di partenza sono aboliti: esistono solo le performance stabilite situazione per situazione dal soggetto.
“Negando […] valore di realtà alla natura, si può facilmente concludere che l’umanità non è articolata secondo la differenza sessuale, che non ci sono le donne e gli uomini, ma che esistono entità neutre che possono decidere, anche più volte nel corso della vita, l’identità sessuale da assumere” (Giulia Galeotti: Gender Genere p. 27 – Viverein 2009)
L’omosessualità e il transgenderismo in tutte le loro sfaccettature diventano un bene in sé, da promuovere anche e soprattutto tra i più piccoli e da tutelare giuridicamente, anche per porre le basi necessarie alla futura accettazione della pedofilia come orientamento sessuale. La legge deve quindi punire chi rifiuti l’omosessualità condannandola pubblicamente: il passaggio dal delitto al diritto è così compiuto, cosa del resto già avvenuta con le leggi abortiste e il divorzio, quanto meno nella misura in cui quest’ultimo legittima l’adulterio, un tempo sanzionato.
E in ognuna delle fasi rivoluzionarie storico-filosofiche fin qui indicate quali generatrici più o meno dirette della gender revolution in corso troviamo, senza troppa fatica, precursori e consapevoli pionieri che precedono anche nel tempo le bàlie ufficiali, tutti accomunati dall’anelito di approfondire la richiesta di radicalità e spregiudicatezza insita nell’illuminismo, la tabula rasa invocata da Locke e Stuart Mill è assolutamente, e spesso anche chirurgicamente, realizzata.
De Sade e i suoi numerosi estimatori
Il perverso marchese, che indirizzava i suoi strali nel senso appena delineato anche contro certo razionalismo illuminista, attaccava alla radice, nei suoi numerosi romanzi, la stessa nozione di responsabilità morale, ritenendo che il vizio e il crimine fossero superiori alla virtù.
Precursore della decostruzione della natura perché ingiusta – l’uomo appartiene al caso piuttosto che alla legge naturale – sosteneva che se all’uomo nel male capita di servire la natura è perché si tratta di un suo libero servire.
Al suo libertinismo pragmatico e concettuale si ispirarono in qualche modo, e a vario titolo, influenzandosi a vicenda ma spesso anche in aperto, contemporaneo o postumo, contrasto tra loro, Nietzsche e Freud, Antonin Artaud o Jean Paul Sartre (partner ufficiale della già citata Simone de Beauvoir) e Theodor Adorno, Max Horkheimer o Herbert Marcuse, Martin Heidegger, Michel Foucault e George Bataille, Gilles Deleuze, Jacques Derrida o gli psicanalisti Jacques Lacan e Felix Guattari, sodale di Deleuze, coprendo quel vasto arco di tempo che dall’età dei lumi giunge fin quasi ai nostri giorni, fase caratterizzata dalla progressiva dissoluzione dell’uomo giunta a produrre, infine, la dissoluzione nel nulla anche per gli assunti di chi, come Cartesio o Hegel, pensava di poter fondare nuovi solidi sistemi.
Leggiamo, e non certo a caso, Deleuze (1925-1995): “Contro quelli che pensano ‘io sono questo, io sono quello’ […] bisogna pensare in termini incerti, improbabili: io non so cosa sono […] nessun pederasta potrà mai dire con certezza ‘io sono un pederasta’!” (Lettera ad un critico severo in Pourparler)
Ma, in aperta relazione con Sade e con il pansessualismo freudiano, Bataille e il suo cerchio magico-iniziatico sono particolarmente emblematici ai fini di quanto sosteniamo.
E’ proprio Bataille (1897-1962), infatti, a rappresentare il perfetto anello di congiunzione tra l’illuminismo radicale, il relativismo nichilista del surrealismo, del poststrutturalismo, del costruttivismo anarchico, la contro filosofia della scuola di Francoforte, il ’68 e i mali che oggi combattiamo, anche nel senso di una relazione magico-simbolica con quella ideologia gender che le lobby gay hanno deciso oggi di negare, contro ogni evidenza, fin nella sua stessa esistenza.
La filiazione con Sade è dichiarata, scrive, ad esempio, nel ’45: ” La mia tensione […] differisce poco dalle passioni di cui bruciano gli eroi di Sade, e tuttavia – quasi ad indicare un radicale rovesciamento dei principi tradizionali (ndr) – è vicina a quella dei martiri e dei santi”.(Su Nietzsche)
Sembra fargli eco Colette Peignot, Laure il suo nome, per così dire, d’arte: “… anch’io ho qualche pretesa e lo stesso tuo diritto di rifarmi a Sade. Ho ancora la scelta del ruolo, il piacere di interpretarlo secondo la mia immaginazione” (citazione tratta dal sito: www.elisabethbarille.com)
Ma è già dal 1936 che, oltre che con la già menzionata Peignot, con Pierre Klossowski, André Masson e altri, dà vita alla rivista e all’organizzazione segreta iniziatica chiamate Acéphale (Senza testa). Scrive nell’articolo di apertura, intitolato La congiura sacra: “Segretamente o no, è necessario divenire tutt’altro oppure cessare di essere”; l’anelito alla trasformazione magica, alla tabula rasa contro metafisica, si associa ad una pratica, realizzata durante incontri notturni nei boschi, in cui si meditano Freud, De Sade, Marcel Mauss (1872-1950, antropologo francese, nipote di Durkheim che ebbe grande influenza anche su Levi Strauss, studioso di magia), quasi si trattasse di santi evangelisti. E’ significativo considerare che gli studi etnoantropologici – tutti figli di quel mito del buon selvaggio di origini roussoiane – indagavano, spesso in micro realtà primitive, la presenza di organizzazioni magico-sociali che si rapportavano in modo disinvolto a tabù quali l’incesto, quello stesso incesto che Sade proponeva di socializzare.
Masson disegna la copertina della rivista e realizza il simbolo dell’ allegra brigata: una sorta di uomo vitruviano con le braccia aperte, decapitato, con un teschio al posto dei genitali anch’essi tagliati, due stelle a cinque punte sui capezzoli, le viscere visibili, quasi un cervello del ventre e dell’intero corpo, un pugnale sacrificale nella mano sinistra e un cuore appena estratto, sanguinante e fiammeggiante come il Sacro Cuore di Gesù, nella destra.
Tutto è rifiutato: l’alto, la gerarchia, il cerebrale, l’amore e la fede nell’amore di Dio per l’uomo, il sesso biologico, per diventare femmina come dice, il ventre è l’unico organo pensante. Dioniso ha ucciso Apollo, l’utopia gnostica, delirante e magica, ha creato un mondo al contrario.
Come dice Maurizio Blondet: “Con Bataille, la sinistra finisce nella magia nera conclamata. E’ segnata la strada oscura che l’ultima Rivoluzione percorre” (Aa.Vv. Aborto il genocidio del XX secolo, il documento di Maurizio Blondet, Effedieffe 2000).
Ed è proprio Bataille uno degli ispiratori delle pièces teatrali dell’acclamata catalana Angelica Liddell, di cui si sta parlando in questi giorni anche in Italia per le blasfeme oscenità che vorrebbe mettere in scena a Vicenza.
E qui il cerchio si chiude: certi ambienti – case editrici, riviste, quotidiani, creativi pubblicitari, logge di alto livello, gerarchie Onu e UE, politici intoccabili, star della musica e dello spettacolo … – mostrano, e qualche raro cortocircuito ha fornito qualcosa di più che semplici indizi in questo senso, di aver fatto propri, con una tenacia inaudita, i folli obiettivi dell’agenda propagandistica LGBT che, come abbiamo dimostrato, vengono da lontano: da progenitori spesso impresentabili al di fuori di ermeneutiche accademiche riservate a ristrette conventicole iniziatiche, ma i cui esiti concettuali, mai disgiunti da stili di vita estremi fino alla depravazione, vengono spesso declinati anche dalla ignara voce della gente comune plagiata dai poveri casi umani strappalacrime presentati dagli imbonitori televisivi.
Qualcosa sta cambiando, però, e non potrebbe essere altrimenti, la buona informazione si fa strada così come il buon senso comune, la gender revolution, presto o tardi, fallirà, comincia ad avvertirlo anche quella voce delle mafie gay che, dopo averlo promosso nel linguaggio, comincia a negare il gender e la sua stessa esistenza, che sia la paura di essersi davvero spinti troppo in là?
Sta a noi non scompaginare le forze, battersi, come già previsto da Chesterton, per affermare ciò che la logica naturale e la verità esigono in una guerra lunga e difficile che possa infine riportare la società alla giustizia secondo l’obbedienza alla divina volontà.
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