NEL QUARANTASEIESIMO ANNIVERSARIO DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL “NOVUS ORDO MISSAE”
Il 13 luglio 1570, Sua Santità Pio V emanò la famosa Bolla di promulgazione del Messale tridentino, Quo Primum, la versione definitiva della Santa Messa che faceva tesoro del grande patrimonio liturgico rafforzatosi nei secoli, dalla primigenia liturgia dei cristiani perseguitati al tempo dell’Imperatore alla grande opera di Papa Gregorio. Quasi profeticamente, intuendo i futuri tentativi dei perniciosissimi protestanti ed affini di distruggere il Sacrificio della Messa, San Pio V concluse la Bolla con l’anatema nel nome di Dio e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a chiunque avesse tentato di “attentare” all’integrità del Messale che con quel documento veniva promulgato per la Chiesa universale.
Certamente, San Pio V non poteva immaginare quasi cinque secoli fa che il modernismo avrebbe tentato con un Concilio (e ci è riuscito) a fare ciò che i protestanti non erano riusciti con le varie riforme teologico-liturgiche luterane e post luterane. Il Concilio Vaticano II ha infatti, tra i suoi frutti, portato nel 1969 alla promulgazione di un nuovo Messale, il cosiddetto novus ordo missae, andando contro la stessa riforma liturgica così come inizialmente era voluta dallo stesso Vaticano II (I Messali riformati del 62 e quello bilingue del 65 presentavano lievi modifiche, ma sostanzialmente rimasero in continuità con la Tradizione, tanto che non suscitarono alcuno scandalo nelle frange tradizionaliste). Molti accolsero la rivoluzione liturgica con entusiasmo, quasi tutti oggi sono ancora convinti che quella riforma fu necessaria e ottima per “farsi capire dal popolo” e coloro che sono ancora legati alla Messa tridentina (cosiddettovetus ordo missae) sono visti come dei nostalgici inconcludenti, legati al pizzo e al vezzo di una lingua morta, il latino, incomprensibile ai più e che quindi illude questi pochi nostalgici di essere rivestiti di un vago aristocratismo.
Il problema, invero, non è la lingua adoperata nella Liturgia. Se la riforma liturgica avesse toccato soltanto la questione linguistica, sostituendo l’uso del volgare al latino, indubbiamente non ci sarebbero state le gravi difficoltà che, ancora oggi, migliaia di fedeli, sacerdoti, teologi cattolici in tutto il mondo sollevano. La Messa “vetus ordo” e la Messa novus ordo non si differenziano per il solo uso della lingua latina (che pure eleva nella forma la dignità della Messa in quanto mysterium), ma per le loro rispettive strutture teologiche. Basti pensare che lo stesso Messale del novus ordo fu promulgato in latino e solo successivamente si iniziò a tradurlo nelle varie lingue locali. Non sussiste l’accusa dei modernisti, secondo la quale l’uso della lingua volgare serve a rendere più partecipe il popolo, che fino ad allora neanche comprendeva cosa stava effettivamente accadendo durante la Messa. Le generazioni cresciute con la Messa di sempre, che hanno donato alla Chiesa numerosi modelli di santità, sono state catechizzate spesso esclusivamente con la Messa stessa. Il popolo non deve capire ciò che il sacerdote dice (molte parti della Messa, del resto, sono dette in silenzio, come il Canone, la parte centrale e più elevata), ma deve meditare in silenzio e in umiltà la propria condizione di peccatore indegno dinanzi alla grande grazia salvifica che in quel momento si rinnova con l’incruento Sacrificio dell’Altare. Mistero, mysterium in latino, ha la stessa etimologia di parole come miope, muto, dal verbo greco myo, che significa “sto chiuso”. Il mistero è tale perché chiuso in sé stesso, grandioso ma nascosto, come il Dio che si nasconde dietro un velo di pane. L’uomo non può né deve comprendere il grande Mistero di Dio e della salvezza, sarebbe una folle presunzione. Il silenzio della Messa di sempre è segno di mysterium ed al contempo di umiltà, da parte del popolo, dinanzi a questo.
Veniamo dunque alle differenze, gravissime differenze teologiche che separano la Messa di San Pio V, pienamente cattolica, con la vaga ed ambigua Messa approvata nel 1969 da Montini. Molti vescovi e teologi non videro di buon occhio la Messa ad experimentum condotta dal Concilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia. I primi a sollevare un’obiezione significativa furono i cardinali Ottaviani e Bacci, il primo dei quali già segretario del Sant’Uffizio, che sottoscrissero un esame critico scritto dal teologo domenicano Michel Louis Guérard de Lauriers, in collaborazione con la scrittrice romana Vittoria Guerrini, più nota nel mondo letterario con lo pseudonimo di Cristina Campo. L’esame fu presentato a Paolo VI con una lettera del 13 settembre 1969.
Il novus ordo missae si avvicina alla cena protestante, che distrusse il Sacrificio della Messa, e fa praticamente tabula rasadella teologia eucaristica della Chiesa Cattolica, come è stata fino al 1962. Le previsioni di teologi come mons. De Lauriers O.P. si dimostrano sempre più esatte oggi: la libertà di celebrazione oggi è così estrema che qualunque sacerdote che celebra in novus ordo può aggiungere, modificare, mutilare a piacimento parti della celebrazione, senza rischiare alcun provvedimento da parte del Vescovo, fino ad arrivare ad abusi liturgici aberranti persino per coloro che riconoscono la Chiesa modernista post conciliare (Preti che cantano musica profana ai matrimoni, consacrazione con il popolo, balletti dopo l’omelia, battiti di mano, discorsi commoventi ai funerali, etc.).
Anche l’abito, che del sacerdote è segno della propria dignità gerarchica e consacrata, ormai è totalmente dimenticato dal clero modernista. Sono pochissimi i sacerdoti che ancora vestono la talare, molti di questi solo in occasioni importanti. Dopo il Vaticano II è divenuto molto di moda il clergy man, tipico dei pastori luterani e, ovviamente, assimilato dai preti modernisti. Tutto ciò è stato favorito per introdurre nella Chiesa Cattolica il democratismo massonico ed abbattere la divina gerarchia, riducendo la figura del sacerdote a quella di un semplice “presidente” della parrocchia.
Si era detto che il Concilio Vaticano II avrebbe avvicinato maggiormente la Chiesa Cattolica ai “fratelli separati” (?), in particolare ortodossi e protestanti. Tuttavia fa notare mons. De Lauriers O.P.: “La Costituzione [de Sacra liturgia] accenna esplicitamente ad una ricchezza di pietà e di dottrina mutuata nel Novus Ordo dalle Chiese di oriente. Il risultato appare tale da respingere inorridito il fedele di rito orientale, tanto lo spirito ne è, più che remoto, addirittura opposto. A che si riducono queste scelte ecumeniche? In sostanza, alla molteplicità delle anafore (non certo alla loro bellezza e complessità), alla presenza del diacono e alla comunione sub utraque specie. Per contro, pare si sia voluto eliminare deliberatamente tutto quanto, nella liturgia romana, era più prossimo all’orientale e, rinnegando l’inconfondibile ed immemorabile carattere romano, abdicare a ciò che gli era proprio e spiritualmente prezioso”[1].
Preparatio ad Missam
Anche i paramenti sacri sono ormai totalmente a libera discrezione del celebrante. Non esiste praticamente più alcuna preparatio ad Missam[2]. Molti paramenti sono stati praticamente soppressi, dimostrando come i moderni sacerdoti ignorino totalmente il grande e sublime valore che essi hanno significato e significano. Nessun sacerdote compie l’abluzione prima della celebrazione, non si indossa più l’amitto, la pianeta è praticamente evitata come la peste, insieme al manipolo, (paramenti tipici della Messa tridentina) in favore della casula, abito più antico della pianeta e favorito in nome dell’archeologismo liturgico che tanto entusiasma lo spirito conciliare (archeologismo, lo ricordiamo, già infallibilmente condannato da papa Pio XII[3]). Questa netta soppressione della Preparatio dimostra – ancora una volta – la grande vicinanza del novus ordo alla Riforma luterana, anziché alla “liturgia dei primi secoli”, come sostengono i teologi modernisti. Ancora oggi, infatti, i cristiani scismatici orientali, ancora fedeli alla liturgia dei primi secoli, danno fondamentale importanza a questa parte della Messa ed usano gli stessi paramenti approvati da San Pio V. Questa soppressione, ancora una volta, dimostra le vere intenzioni dei “padri” conciliari modernisti: dare alla Messa l’idea di una semplice cena e non più di Sacrificio incruento, per non scandalizzare gli eretici protestanti. Se la Messa è solo una cena nel nome e nel ricordo di Cristo, perché raccogliersi prima di essa con timore e riverenza?
Ritus initiales
Altra parte gravemente mutilata è la parte iniziale della Messa, quando il sacerdote si presenta di fronte all’altare con in mano le sacre suppellettili (calice, purificatoio, patena, palla e corporale). Oggi, causa decentramento del tabernacolo e dislocamento dell’altare, il sacerdote non porta più con sé le sacri suppellettili dalla sacrestia fin sull’altare, come il sacerdote dell’Antico Testamento che sale sul monte con gli strumenti del sacrificio, segno dunque che il sacerdote è anche sacrificatore, unico intermediario dell’incruento Sacrificio, di conseguenza segno da sopprimere in favore della visione simil-protestante in cui il pastore è solo un presidente della comunità, con la quale (e non per la quale) celebra. Nel novus ordo, le sacre suppellettili sono già presenti su un tavolino adiacente all’altare-tavola o lontano da essa, e vengono presi solo al momento dell’Offertorio (o, come si preferisce oggi definirlo con una espressione vagamente giudaizzante, “Presentazione dei doni”). Vi è una totale desacralizzazione delle sacre suppellettili, tanto che oggi chiunque, laico o ministro che sia, può liberamente toccare e spostare il calice. Non raramente si tratta di suppellettili non consacrate. Vi è dunque una degenerazione: da sacre suppellettili a semplici strumenti liturgici. Per non parlare degli stili “artistici” adoperati in questi strumenti, stili spesso rozzi, deformi e addirittura blasfemi, non più slanciati e dorati, in nome di un ipocrita pauperismo.
Nella Messa cattolica di sempre, mentre il sacerdote-sacrificatore sale verso l’altare (che aveva proprio la forma di un monte per richiamare l’idea di Sacrificio, con pochi gradini alla base, mentre oggi l’altare-tavola non è rialzato e si colloca al centro del presbiterio, ormai non più zona sacra) recita il salmo 42, alternato con il popolo, detto Iudica me, dove il sacerdote si umilia per prepararsi al solenne Sacrificio che si appresta a compiere. Questo salmo è stato totalmente soppresso, conformemente alla diversa entrata del sacerdote.
L’altare deve avere delle reliquie di un santo incastonate nel basamento, l’altare-tavola non necessita più di tutto ciò. Si legge nel Messale Romano di Paolo VI: “Generalmente le reliquie sono collocate sull’altare; anche se le reliquie sono incastonate nel basamento dell’altare o se non sono presenti nell’altare su cui si celebra, in qual caso bacia lo stesso la mensa”. Ovviamente trattasi di mensa, non altare. Se prima l’altare era simbolo del monte sacrificale, oggi è divenuto simbolo di una miriade di cose: il tavolo dell’Ultima Cena, il sepolcro vuoto, l’utero della Chiesa (sic!), etc.
L’altare è ricoperto di tre tovaglie, delle quali almeno una deve coprire tutta la mensa e scendere ai lati sino a terra. L’altare-tavola è ricoperto di “almeno una tovaglia”. Sull’altare, le candele sono necessariamente di cera naturale bianca (gialla per la liturgia funebre), slanciate e lunghe. Esse vanno disposte simmetricamente a destra e a sinistra, possibilmente scalate, avendo al centro la Croce (quando pontifica il Vescovo si accende una settima candela dietro la Croce). Sull’altare-tavola questo sacro ordine viene scardinato: sopra molti altari-tavole non ci sono candele, altre volte vengono usate menorah ebraiche od improbabili lampade arabizzanti. Tutto è lasciato al libero gusto del sacerdote o, come spesso accade, dei parrocchiani.
Nel novus ordo missae, una volta salito sull’altare, il sacerdote subito si sposta alle sedie di presidenza e dice, insieme al popolo, il Confiteor, seguito o addirittura sostituito dal Kyrie. I modernisti lavorarono su questa parte distruggendo buona parte della teologia liturgica cattolica: nella Messa cattolica di sempre, infatti, venivano detti due Confiteor, prima dal sacerdote e poi dal popolo, per sottolineare l’importante distinzione tra colui che officiava il rito e coloro che assistevano (non partecipavano) al Sacrificio.
Il Confiteor tradizionale è stato gravemente mutilato in tutte quelle parti scomode al protestantesimo: il riferimento iniziale e finale a Maria sempre Vergine, a san Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai santi apostoli Pietro e Paolo e a tutti i santi è stato rimosso, con un vago accenno finale alla “beata sempre Vergine Maria, gli angeli e i santi”. La formula successiva alConfiteor, che non ha valore di assoluzione, recita tradotto dal latino: “Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati”, seguita dai versetti del salmo 84,6-7. La formula usata nella nuova Messa è ambigua, non esorta a confessarsi per essere in grazia di Dio e così ricevere la Comunione, e recita: “Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”. Ogni riferimento al peccato e alla sua remissione, e quindi alla necessità del Sacramento della Confessione, è stato soppresso. Molti fedeli difatti si illudono di potersi comunicare anche in peccato mortale. Il salmo 84 è stato anch’esso soppresso. Le due orazioni seguenti sono state entrambe tolte per i suoi evidenti riferimenti alla dottrina del Sacrificio e della comunione dei santi, invise dai modernisti e dai protestanti: “Preghiamo. Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità, affinché possiamo entrare con anima pura nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen. Ti preghiamo, o Signore, per i meriti dei tuoi santi, le cui reliquie sono racchiuse in questo altare, e di tutti i Santi, perdona tutti i miei peccati. Amen”.
Subito dopo queste due preghiere, nel mezzo delle quali il sacerdote bacia l’altare, viene letto l’introito del giorno e si recita il Kyrie. Nella Messa moderna, i baci sono stati per lo più soppressi, se non quello iniziale e finale quando il sacerdote entra ed esce dal presbiterio. L’introito non si legge e il Kyrie è stato snellito: da nove invocazioni a sei invocazioni. Il Gloria (grande dossologia) è rimasto, grazie a Dio, identico.
(di Gaetano Masciullo)
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