di don Leonardo Maria Pompei
Il quarto vizio capitale, secondo la tradizione cattolica occidentale sistematizzata nel VI secolo da san Gregorio Magno papa, è l’ira. Un vizio molto diffuso, radicato e oltremodo pericoloso, in quanto è sotto la sua spinta che l’uomo arriva a compiere una notevole serie di atti disordinati: bestemmie, imprecazioni, volgarità, percosse, tumulti, insulti e, in alcuni casi, violenze (anche efferate) e omicidi. A detta dei filosofi classici, infatti - Aristotele in primis, seguito anche in questo da san Tommaso d’Aquino – l’ira è la più violenta delle passioni e, se non è controllata, diventa una marea montante capace di far perdere ogni freno inibitore rendendo l’uomo capace delle peggiori azioni. Alcune persone presentano una particolare inclinazione a tale vizio per ragioni temperamentali, in particolare i sanguigni e, più ancora, i collerici. Per queste categorie dominare l’ira diventa un’impresa a dir poco titanica, anche se santi del calibro di san Francesco di Sales e san Giovanni Maria Vianney, passati alla storia come emblemi e campioni di mansuetudine e dolcezza, confessavano candidamente di essere collerici per temperamento. Una battaglia dunque dura per tutti, molto dura per alcuni, ma non impossibile da vincere. Vediamo anzitutto nel dettaglio le caratteristiche di questo quarto vizio capitale.
Il dottore Angelico qualifica l’ira come direttamente contraria alla virtù della mansuetudine e ne individua sei figlie, tre specie e tre gradi. Afferma, inoltre, che oggetto proprio di questo vizio è il fastidio e l’irritazione che l’uomo prova di fronte a ciò che ne contraria la volontà, in particolare nei casi in cui un individuo ostacola il perseguimento dei propri progetti o delle proprie aspirazioni, oppure semplicemente ne oscura in qualche modo il prestigio o l’eccellenza. Quando l’ira si muove contro un individuo, assume spesso i contorni del desiderio di vendetta, consistente nella brama di infliggere un male all’avversario come personale e arbitraria retribuzione alla presunta ingiustizia subita.
Dell’ira si parla reiteratamente in moltissimi passi della Sacra Scrittura. Celebri sono gli aforismi di nostro Signore pronunciati su questo vizio in occasione del discorso della montagna: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,21-22). Con queste parole Gesù afferma chiaramente che quando l’ira porta al disprezzo profondo della persona (“dire pazzo”) diventa un vero e proprio peccato mortale, come si evince chiaramente dal fatto che la sua conseguenza è “il fuoco della Geenna”. Ma anche il semplice adirarsi (anche se con la ragione dalla propria parte) rappresenta formalmente un peccato se, come sua conseguenza, si sarà “sottoposti al giudizio”. San Paolo fa eco fedele a questi insegnamenti: “Nell’ira non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4,26). Poco più avanti aggiunge: “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità” (Ef 4,31). Anche l’apostolo san Giacomo, cugino di nostro Signore Gesù Cristo, esorta i suoi figli a guardarsi da questo vizio: “Sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio” (Gc 1,19-20). Come sempre si tenga presente che questi spunti biblici hanno carattere meramente esemplificativo. Sono molti altri i luoghi della Sacra Scrittura in cui vengono in vario modo stigmatizzati gli effetti nefasti dell’ira e condannato questo vizio. Per ora ci basti concludere, in base a quanto appena visto, che l’ira è sempre come minimo occasione prossima di peccato, più sovente costituisce di per se stessa peccato, in alcuni casi, a seconda del grado, dei modi, delle forme e delle circostanze, può diventare peccato mortale.
Le tre specie dell’ira, come si ricorderà , sono la bile, la mania e il furore, mentre i tre gradi sono l’ira interna, l’ira esterna nella manifestazione e l’ira esterna nell’esecuzione. È il momento di occuparsi di queste fattispecie prima di chiudere la trattazione dedicata al quarto vizio capitale.
La bile consiste nell’adirarsi facilmente e per futili motivi. Un comportamento diffusissimo, che trova la sua caricatura in un personaggio di “fiabesca” memoria: il nano “Brontolo”. E’ indubbiamente vero che su questo grave difetto influisce non poco la pessima disposizione interiore derivante da alcuni temperamenti (sanguigno e collerico in particolare). È però anche vero che il temperamento si può (e si deve) educare dandosi un “bel carattere”, che altro non è che un temperamento sviluppato nelle sue buone potenzialità e plasmato (o quanto meno controllato) nelle sue deficienze e limiti. L’esempio di grandi santi (due nomi su tutti: san Francesco di Sales e il Santo Curato d’Ars) che, partendo da situazioni di chiara “biliosità congenita” sono passati alla storia come emblemi di pacatezza, calma e dolcezza, dovrebbe spingerci ad un sano e gioioso ottimismo unito alla coscienza che è possibile giungere a controllare ogni forma di “brontolosi”, congenita o acauisita. Se poi si approfondisce la “spiritualità della lode”, cioè si impara a lodare e ringraziare Dio per tutte le cose, prospere o avverse, riconoscendo in tutto la sua mano buona e provvidente, in breve tempo l’ira frequente e spesso futile causata da bile rimarrà solo uno sgradevole (anche se forse istruttivo) ricordo. La mania, seconda specie dell’ira, è più grave ed è frequente quando un temperamento mal disposto non viene lavorato ma lasciato, per così dire, allo stato brado. Consiste nell’ira persistente e inveterata, tipica di quelle persone che stanno sempre arrabbiate, accigliate, immusonite e che non trovano pace, trascorrendo intere giornate in giudizi gratuiti, taglienti, talora cattivi, in chiacchiere e pettegolezzi, in permalosità continue e suscettibilità, in polemiche aspre, discussioni sguaiate e sterili, invettive violente, rancori persistenti, collera costante e incontrollata. Sono persone che si rovinano la vita e il buon gusto della vita, rovinandola, evidentemente, anche alle persone che stanno loro intorno. Sono massimamente da compatire e occorre molto pregare per loro, perché è molto difficile prendere in mano questa situazione ed uscirne. Con un grande aiuto della grazia, tuttavia – unita anche alla carità di chi aiuta questi poveri fratelli a prendere coscienza della serietà della loro situazione – è possibile guarire ed essere liberati da questa grave tara dell’anima. Il furore, ultima specie dell’ira, caratterizza infine le persone spietate e cattive, che si accendono del desiderio di vendetta, generalmente assai sproporzionato in relazione al torto subito, e non si placano fino a quando la vendetta non sia compiuta e consumata. Si tratta di uomini (o donne) arrivati a uno stato di considerevole somiglianza con i demoni e solo un miracolo, in questi casi estremi, può causare un cambiamento di rotta e direzione. Preghiera e penitenza, tuttavia, come a più riprese la Madonna ci ha insegnato in questi ultimi tempi, servono proprio ad ottenere dal cielo i miracoli più grandi che esistano, vale a dire la conversione dei peccatori. Per cui, come ci ricorda anche la saggezza popolare, mai disperare e “mai dire mai”.
I gradi dell’ira sono, infine, identificati dai celebri aforismi pronunciati da Gesù nell’incipit del discorso della montagna (cf Mt 5,21-22), allorquando si occupò di “completare” – perfezionandolo – il campo di applicazione del quinto comandamento. L’ira, dunque, può essere semplicemente interna (anche un atto interiore di impazienza lo è…) e questo costituisce il primo e più basso grado (“chi si adira contro il proprio fratello”); può essere esternata con parole mediamente offensive (“dire stupido”) e già diventa più grave; può, infine, debordare in offese gravi (“dire pazzo”) – non escluso il ricorso alle vie di fatto - raggiungendo il terzo ed ultimo grado.
La calma è e sempre sarà la virtù dei forti e la pazienza ci porta in cielo, come chiosava la piccola Giacinta di Fatima dinanzi ad alcune raccomandazioni della Vergine. La dolcezza è sempre arma vincente, ricordando che una goccia di miele fa assai più bene di un litro di aceto. La gioia, il sorriso e la lode a Dio sono esercizi assai efficaci (ed anche molto “piacevoli”), con cui tutti possiamo lavorare per abbattere il muro dell’ira con tutti i suoi nefandi effetti, arrivando a godere, come tutte le anime in comunione con Dio, di pace, calma imperturbabile, dominio di sé ed estrema carità. Con tutti, anche con i nemici.
Il vizio capitale dell’ira, come abbiamo accennato , secondo l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, ha sei figlie, tre specie e tre gradi. Le figlie sono l’indignazione, la tracotanza, il clamore, la bestemmia, l’insulto e la rissa; e specie sono la bile, la mania e il furore; i gradi sono l’ira interna, l’ira esterna nella manifestazione e l’ira esterna nell’esecuzione.
L’indignazione o sdegno, prima figlia dell’ira, consiste nei moti di rabbia, stizza o estremo fastidio che si provano contro il prossimo nel momento in cui apprendiamo che egli ha fatto qualcosa di offensivo nei nostri confronti, o nei confronti dei nostri ideali, dei nostri cari, dei nostri beni e così via. I primi moti dell’indignazione, ordinariamente, sorgono spontaneamente e, come tutti i peccati di passione, diventano formalmente peccato solo in seguito al nostro consenso. Tanto per fare un esempio, se io vedo una persona compiere una cattiva azione, certamente avvertirò un moto di sdegno, ma posso reagire in maniera molto differente: assecondandolo (e quindi pensando una frase tipo: “ma guarda questo!”, o peggio…), oppure respingendolo e recitando mentalmente un’Ave Maria perché il Signore aiuti questo mio povero fratello peccatore a prendere coscienza dei suoi errori. E’ evidente che in questo secondo caso, pur avendo sentito e avvertito i moti dell’indignazione, non solo non ho commesso alcun peccato, ma ho praticato un grande atto di virtù (forse eroica, se la cosa che avevo visto fare aveva suscitato in me un profondissimo sdegno). La tracotanza consiste invece nell’accogliere il proposito di vendicarsi del male in qualunque modo subito, cominciando ad escogitare le forme e i modi più adeguati per mettere in pratica tale progetto. Non si pensi a chissà quale piano o azione sia necessario pensare per cadere in questo peccato. La stragrande maggioranza delle “vendette” ordite nella vita quotidiana consiste in piccole rivalse: parlare male della persona ad un terzo, togliergli il saluto, infliggergli una piccola mortificazione, e così via. Contro questa figlia dell’ira, che è sempre peccaminosa, si ergono stentore e le parole della Sacra Pagina che tuona: “chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati!” (Sir 28,1). Il clamore consiste nel cominciare ad esternare con le parole, espresse in modo confuso, disordinato e sgraziato il proprio sdegno interiore. Ordinariamente lo si fa pronunciando delle piccole imprecazioni o parolacce contro la persona o contro la situazione (credo che sia inutile fare esempi inopportuni dato che questa modalità di esternazione è, ahimé, oltre modo diffusa), senza giungere a vere e proprie offese del prossimo o di Dio, cosa che avviene nella successive due figlie. La bestemmia, infatti, non è altro che il rivolgere ingiurie di rabbia e di sdegno (totalmente ingiustificate) contro Dio, la Madonna e i santi per sfogare la propria profonda indignazione contro gli unici che non ne hanno la minima colpa, mentre l’insulto consiste nel rivolgere parole offensive - volgari per lo più (ma non necessariamente) - a colui che è stata la causa della nostra arrabbiatura, aggredendolo, offendendolo o mortificandolo. L’ultimo atto a cui può portare la passione dell’ira è quella che l’Angelico chiama “rissa”, nel significato generico di “passaggio alle vie di fatto”, cosa che può avvenire in forma lieve (qualche spintone, qualche schiaffo, o cose del genere), oppure in grado serio (percosse reiterate che provochino lesioni lievi o gravi) e, infine, purtroppo, anche in forma grave (pestaggi, pubbliche umiliazioni, linciaggi) o gravissima (come avviene negli omicidi passionali). Si badi che questa sequenza, che qui abbiamo tentato di analizzare e descrivere analiticamente per quanto possibile, può avere una velocità di esecuzione rapidissima nel cuore dell’iracondo, per cui il passaggio dallo stadio dell’indignazione all’omicidio può anche essere cosa di pochissimi secondi. Il che ci induca a meditare e ben considerare quanto è pericoloso trascurare il dominio di questa passione e minimizzare gli effetti nefasti a cui può condurci il coltivarla in maniera deliberata e consapevole.
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