«Non si edificherà la società in modo diverso da come Dio l’ha edificata; non si edificherà la società se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civilizzazione cristiana non è più da inventare, né la comunità nuova da fabbricare sulle nubi. Essa è stata ed è: la civilizzazione cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla e di restaurarla senza posa sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti dell’utopia malsana e dell’empietà: Omnia instaurare in Christo» (S. Pio X, Notre charge apostolique, 1910). Le parole di San Pio X sono sempre di una attualità scottante, dopo la ratifica della Costituzione europea, preceduta da mesi di discussioni sull’inserimento o meno della menzione delle sue radici cristiane. È chiaro a tutti che questa Europa dei burocrati, questa Europa dei “parametri di Maastrich” o delle lobby non ha radici cristiane e si è fatto bene a non inserirle nel preambolo. Ma è mai esistita una Europa unita, una Europa cristiana? In questo articolo vorrei provare con l’ausilio della storia – magistra vitae – che un Europa cristiana è esistita: è quella che si chiama la Christianitas. In questo senso, la storia dell’Europa si può dire che coincide con la storia della Chiesa. E studiare la storia della Chiesa vuol dire studiare le figure dei santi che ne hanno segnato le tappe. Con i limiti di uno schematismo forse un po’ forzato, ho voluto caratterizzare la storia della Christianitas ripercorrendo brevemente le vite di tre santi: - San Benedetto da Norcia, creatore dell’unità europea per mezzo del monachesimo - San Ignazio di Loyola, riparatore dell’unità europea infranta dalla pseudoriforma - San Massimiliano Kolbe, difensore dei princìpi dell’unità europea attaccati dalla Massoneria San Benedetto da Norcia L’unione dell’Europa creata dai monaci San Benedetto nasce a Norcia verso il 480. È noto che, dopo gli anni di formazione a Roma, si ritira nella campagna romana dove trascorre diversi anni come eremita. Ma non potè celarsi a lungo: la sua fama di santità lo costringerà a farsi maestro dei discepoli che sempre più numerosi accorrono a lui. La persecuzione suscitata dalla gelosia di un prete dei dintorni, lo costringerà a lasciare Subiaco per dirigersi verso l’antica città di Cassino. «Sorse così sulla cima del monte il nuovo monastero, in sé completo, modello tipico del più perfetto cenobitismo da praticarsi sotto la direzione immediata e continua di un solo padre (l’Abbas, Abate). Quasi a significare il nuovo orientamento, i due oratori edificati sull’arce furono dedicati in onore di san Giovanni Battista, padre dei monaci del Nuovo Testamento e precursore del Vangelo, e di san Martino di Tours, il monaco apostolo delle Gallie». La data tradizionale della fondazione è il 529. «Da allora quella nuova “compagnia di monaci che leggevano, coltivavano la terra, esercitavano le arti in mezzo alla grande società che scomponevasi per barbarie, preparava il germe della futura civiltà e ricomposizione dei popoli” (L. Tosti)».
LUCE NELLE TENEBRE Come avverrà sempre in seguito, il monastero, solo in apparenza chiuso al mondo esterno, diventa un faro di luce. «Sul monte fu un continuo accorrere di gente: dagli umili che andavano ad invocarvi la protezione e l’aiuto del padre Benedetto, ai dignitari ecclesiastici [...] ai potenti del secolo, quale il re dei Goti Totila, che al santo chiedevano parole di vita e di conforto». Uomo di carattere fermo e deciso, Benedetto non cerca altro che Dio, desideroso di consacrarsi al suo servizio. «Vissuto nei tempi della massima depressione d’Italia, mentre l’antico mondo romano cadeva in rovina, con la sua creazione ne preparava la ricostruzione. Salvando il monachesimo occidentale mediante l’adattamento dei princìpi vitali dell’Oriente alla mentalità romana, con il suo codice sacro (la Regola) trasmise ai nuovi popoli le tradizioni dei padri e il più alto commento pratico della vita evangelica. Forniva così alla Chiesa gli operai per il dissodamento dell’immane campo di lavoro che ad essa si apriva innanzi e preparava i tempi novelli». È in questo senso che si può vedere in san Benedetto uno degli artefici dell’unità europea, il vero Padre dei popoli affratellati nel nome sacro di Cristo e in quello augusto di Roma. Scrive uno storico: «I primordi di tutta la nostra civiltà non furono se non un capitolo stralciato dalla storia del monachesimo» (A. Harnack). «In quelle colonie monastiche [...] una delle leggi fondamentali era quella del lavoro: la Regola lo aveva valorizzato e ne diffondeva la stima. “Così san Benedetto ha impresso alla sua istituzione quell’aspetto eminentemente sociale che tutti gli storici si compiacciono di riconoscergli” (F. Schmitz). [...] È opera dei monaci il dissodamento dei terreni. [...] Le norme dell’agricoltura impiantata dai primi monaci sono rimaste a dirigere quasi inalterate il lavoro dei campi fino al subentrare dei sistemi moderni più scientifici. Intorno alle loro fattorie, centri di produzione e di scambi, si sono venuti formando le borgate, i villaggi, le città. Così in Italia erano bonificate larghe zone, in varie epoche della sua storia, mediante l’opera dei grandi monasteri di Bobbio, della Novalesa, di Nonantola, di Pomposa, ecc. [...] Le dipendenze staccate in regioni più lontane agivano come colonie che ripetevano i sistemi e gli indirizzi della casa madre. Anche a vantaggio delle popolazioni andavano in gran parte le rendite dei monasteri. Detrattene le spese indispensabili per il sostentamento della comunità e quelle per l’abbellimento degli edifici, il resto veniva impiegato in opere di carità. Fra questre avevano un posto speciale gli ospedali e gli ospizi per i pellegrini. Non solo la badia aveva un ospedale ben costituito, ma anche le case e i paesi dipendenti ne erano forniti, così come la dimensione sociale dell’ospitalità veniva praticata, in mancanza di alberghi, tanto dagli stessi monasteri quanto da appositi edifici costruiti nei principali punti di passaggio o presso importanti santuari. E per dar lavoro agli abitanti di una vasta zona, un abate di Montecassino, ad es., li inviterà a costruire strade, un altro disporrà dei lavori pubblici». I MONACI, CUSTODI DELLA SAPIENZA E DELL’ARTE Ma vi è un altro campo in cui l’attività dei monaci benedettini ha lasciato orme indelebili: quello intellettuale e artistico. Pensiamo al lavoro che si svolgeva negli scriptoria, dove i copisti lavoravano senza posa riproducendo le opere con rara abilità: dobbiamo a loro la conservazione di opere altrimenti perse per sempre, come il Pro Cluentio di Cicerone, le Metamorphosis di Apuleio, alcune parti delle Historiae di Tacito, la Pereginatio ad loca sancta, ecc. Pensiamo anche all’arte monastica della miniatura e della rilegatura. Bilioteche ed arte libraria erano presupposti necessari per lo sviluppo delle scuole, un’altra delle attività svolte dai monasteri benedettini. Si consideri infine il contributo dato dall’Ordine di san Benedetto allo sviluppo intellettuale dell’Europa rappresentato dalla schiera di uomini insigni, formati a tali scuole o vissuti all’ombra dei chiostri. Qualche nome: san Gregorio Magno, figura incontrastata nella storia della Chiesa; san Beda il Venerabile (m. 733), un altro dei fondatori del medioevo e padre della storia d’Inghilterra; Alcuino (m. 804), il braccio destro di Carlomagno nell’organizzazione intellettuale dell’Impero; Rabano Mauro (m. 856), il pedagogo della Germania; Paolo Diacono (m. 799), storico dei Longobardi; sant’Anselmo d’Aosta (m. 1109); san Pietro Damiani (m. 1072), campione della libertà della Chiesa; Ildebrando di Soana (santo), Papa col nome di Gregorio VII. Sant’Ignazio di Loyola L’unità dell’Europa riparata dopo la pseudo-riforma protestante Sant’Ignazio nasce nel 1491, diventa gentiluomo del suo parente il duca di Nàjera, vicerè di Navarra. In questa veste prende parte alla difesa della Rocca di Pamplona, dov’è gravemente ferito dai Francesi (20 maggio 1521). Durante la convalescenza, mentre aspira nei suoi sogni mondani alla mano di una Infanta (donna Caterina, sorella di Carlo V?), la Grazia lo trasforma in quel perfetto “Cavaliere di Cristo” descritto dai libri che gli furono portati da leggere, invece dei soliti romanzi cavallereschi: il Flos Sanctorum e la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia. La sua vita è trasformata. Durante il suo ritiro a Manresa, come san Paolo durante il misterioso soggiorno in Arabia, riceverà tali lumi da Dio che potrà ben presto, lui cavaliere digiuno di filosofia e di teologia, arruolare e preparare uomini coltissimi al servizio di Dio. Lo spirito sarà sempre quello combattivo del soldato, la sua “Compagnia di Gesù” sarà tutta protesa a conquistare le anime, al servizio di Cristo Re. Notiamo le date: 1517: Lutero mette il fuoco alle polveri formalizzando la sua ribellione; 1521: Dio suscita Ignazio per arginare la piena che sta per travolgere l’Europa. Le sue armi sono sostanzialmente due: la Compagnia di Gesù, appunto, e gli Esercizi spirituali. Vediamole brevemente. LA SOCIETAS JESU La Societas Jesu, o Compagnia di Gesù, vede il giorno nel 1534, anno in cui Ignazio raccoglie a Parigi il primo gruppo di compagni. L’Ordine sarà poi approvato formalmente da Paolo III nel 1540. Il primo secolo di vita della Compagnia è caratterizzato da una prodigiosa espansione: «I pochi religiosi, richiesti un po’ dappertutto, specialmente dai Vescovi, corrono a ciò che è più urgente: la predicazine, i catechismi, le controversie, l’opera della riforma ecclesiastica e religiosa. Due (gesuiti) sono mandati dal Papa in Irlanda, altri in Polonia e nel Portogallo, alle diete e conferenze religiose in Germania, i migliori teologi al Concilio di Trento. Poi con l’afflusso delle reclute e la fondazione dei primi collegi (dal 1548), l’azione si organizza in forma più stabile, occupando posti chiave per sbarrare il passo al Protestantesimo. Infatti la loro azione si presenta allora come tipica della Riforma cattolica, nel senso pieno e positivo della parola, e nella stessa direzione si orienta l’attività pedagogica, non contemplata da sant’Ignazio se non dopo parecchi anni, ma nella quale s’impegna ora decisamente (Pensiamo alla benefica influenza dei gesuiti nell’educazione della gioventù, specialmente dei figli della nobiltà, n.d.a.). Un posto a parte ebbe dal principio il Collegio Romano (1551), seminario modello per gli altri, ed il Collegio Germanico (1552), per il rinnovamento del clero in Germania. Il generalato del P. Aquaviva (1581- 1615) segna un momento importantissimo della storia della Compagnia di Gesù, ma anche dell’Europa. Sono di questo periodo alcuni santi che hanno profondamente segnato la storia della Chiesa: - san Pietro Canisio, olandese, chiamato “apostolo della Germania”, “martello degli eretici”, “il Girolamo e l’Agostino del suo secolo”. Con la sua predicazione, con i suoi libri di polemica, con le missioni, la fondazione di collegi, arginò vigorosamente i progressi del Protestantesimo; - san Roberto Bellarmino (m. 1621), professore di teologia a Lovanio, predicatore, controversista: con i suoi libri di polemiche portò colpi terribili all’eresia protestante, mentre con il suo catechismo, tradotto in quaranta lingue, spargeva in tutti i paesi la conoscenza della dotrina cattolica. Fu il direttore spirituale di un altro grande santo gesuita, Luigi Gonzaga. Sono anche di questo periodo i beati martiri di Aubenas, in Francia (1593), mentre in Inghilterra troviamo i beati martiri Campion (1583) e Southwell (1595), vittime dello scisma anglicano. «La storia attesta - afferma il Papa Pio XI – e i nemici stessi della Chiesa ne convengono, l’universo cattolico, opportunamente difeso dall’aiuto di Ignazio, riprese a respirare. Non si possono ricordare le numerose e gradi opere di ogni tipo che la Compagnia di Gesù, dietro l’ispirazione e la direzione di Sant’Ignazio, compì per la gloria di Dio». IL “CODICE PERFETTO DI CUI DEVE FARE USO OGNI BUON SOLDATO DI CRISTO” L’altra arma impiegata da Ignazio e dai suoi figli per arginare i danni della pseudo-riforma protestante sono gli Esercizi spirituali. «Considerato dagli stessi protestanti come un capolavoro di psicologia, questo piccolo libro (degli Esercizi) è stato per il popolo tedesco, per la storia della fede e della sua civilizzazione, uno dei più importanti dei tempi moderni [...] ha esercitato una influenza così straordinaria che nessun altro scritto ascetico gli può essere paragonato» (Jannsen). Pio XI così parla degli esercizi: «Nel ritiro di Manresa, Sant’Ignazio apprese dalla Madre di Dio come doveva combattere le battaglie del Signore. Fu come dalle sue mani che ricevette questo codice perfetto [...] di cui deve fare uso ogni buon soldato di Cristo. [...] Essi sono una prova della bontà divina verso la sua Chiesa» (Meditantibus nobis, 1922). Lo stesso Papa li definisce anche «[...] il più sapiente ed universale codice di governo spirituale delle anime [...] guida sicurissima alla conversione e alla più alta spiritualità» (Mens nostra). Tra gli esercitanti si trovano Cardinali, Vescovi, diplomatici, professori di università uomini influenti, ma soprattutto sacerdoti e religiosi di vari ordini. Chi può dire il bene fatto? Grandi apostoli come san Carlo Borromeo, san Vincenzo de’ Paoli, san Francesco di Sales, san Giovanni Eudes li hanno praticati e diffusi. Il bene fatto dagli Esercizi spirituali continua ancora nel nostro tempo. Si pensi che in Olanda, all’inizio del XX secolo, quindici case di esercizi ricevettero in 20 anni qualcosa come 340.000 persone venute a seguire i ritiri spirituali che vi si predicavano (17.000 per anno!). Qualche anno dopo, la Spagna riceverà i benefici degli Esercizi spirituali grazie ad un apostolo e divulgatore instancabile, il P. Vallet. Scrive P. Barielle (suo collaboratore): «Il numero di conversioni, di vocazioni, di trasformazioni soprannaturali, di martiri che P. Vallet ha preparato per mezzo degli Esercizi Spirituali predicati tra ogni ceto, operaio, intellettuale, tra gente sposata, tra religiosi o ecclesiatici, è inimmaginabile! Soltanto in Spagna nel 1936, tra 5.000 e 8.000 ex-esercitanti furono assassinati in odio alla fede!». L’ORA DELLE TENEBRE Il bene operato dalla Compagnia di Gesù era troppo grande per non dispiacere all’inimicus homo. Sin dai primi anni del XVIII secolo essa fu oggetto di una campagna infamante: «Il concerto di accuse, il più sovente di calunnie, che troviamo contro i Gesuiti in tutti gli scritti del tempo ha qualcosa di spaventoso. Tutto l’ordinamento giudiziario, tutti i vecchi giansenisti, una gran parte del clero secolare e di altri ordini monastici [...], tutti i filosofi e i pretesi “spiriti forti”, tutti i libertini che non volevano più freni ai loro costumi, si erano riuniti per denunciare i Gesuiti e per proclamare il loro abbassamento come un trionfo della ragione umana. E nello stesso tempo i monarchi sembravano dichiararsi contro di loro». Il 3 settembre 1759 i Gesuiti furono espulsi dal Portogallo; in Francia, dopo una inchiesta sulle costituzioni e sull’Ordine, il 6 agosto 1761 furono messi al rogo 24 libri dei Gesuiti giudicati sovversivi e fu decretata la chiusura di un centinaio di collegi; una serie di maneggi provocò l’espulsione dei Gesuiti anche dalla Spagna (27 febbraio 1767), seguita
dal Perù, Paraguay, Argentina, Messico e Filippine. «Tale fu l’accecamento di tanti uomini ben pensanti – scrive lo storico protestante Schoell – che fecero causa comune con una setta che avrebbero aborrito se ne avessero conosciute le intenzioni. Questo genere di sbagli non sono rari, ogni secolo ha i suoi... ma per rovesciare il potere ecclesiastico, bisognava isolarlo togliendogli l’appoggio di questa falange sacra che si era dedicata alla difesa del trono pontificio, cioè dei Gesuiti. Fu questa la vera causa dell’odio che si giurò contro questa società». Tu t t o q u e s t o “ m o v i m e n t o d’opinione”, prima, e le espulsioni poi, si sa, non sono un “moto spontaneo”, ma rientrano nei piani occulti della Massoneria, quel «potere delle tenebre che agisce nei modi più imprevisti e colpisce inesorabilmente sul piano sociale, procede ora in modo violento, come nella Rivoluzione Francese, ora in maniera evolutiva, come nell’operazione Littré per la liberalizzazione dell’aborto in Francia e nell’attuale azione mondialista neomalthusiana, portata avanti con la forza martellante degli strumenti della comunicazione sociale. È una tecnica costante della Rivoluzione far precedere le operazioni con adeguati “battages” pubblicitari, che hanno efficacia in misura della sprovvedutezza delle masse». Quando poi si pensa che, nel caso della Compagnia di Gesù, la pressione fu tale che il Papa Clemente XIV fu costretto a sopprimerla – con il Breve Dominus ac Redemptor del 31 luglio 1773 – sacrificando «un corpo troppo bersagliato per rendere la pace alla Chiesa», si comprende che la Massoneria non è un nemico da sottovalutare.
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