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La regalità di Cristo: La grande battaglia di Mons. Lefebvre di don Pierpaolo Petrucci


Quando si legge la biografia di Mons. Lefebvre, in particolare il periodo che va dalla sua ordinazione sacerdotale del 21 settembre 1929, fino alle consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988, ci si può chiedere quale fu l’ideale profondo di una esistenza così movimentata; quale è stata la linea direttrice del suo ministero sacerdotale prima ed episcopale poi, ed il motivo profondo che lo ha spinto a prendere fermamente posizione, opponendosi anche alla “linea ufficiale”, ad un’età in cui si pensa generalmente prendere un po’ di riposo. Anche un lettore superficiale ne deduce che solo un ideale profondo può avergli dato la forza e la tenacia per perseverare, a rischio di essere considerato da alcuni membri di quella Chiesa, per la quale aveva dato la vita, come uno scismatico, uno scomunicato. Le persone che non l’hanno conosciuto o soltanto in maniera superficiale lo hanno a volte accusato di orgoglio. Ma coloro che hanno avuto la fortuna di frequentarlo sono stati costretti a ricredersi da questo a priori, impressionati dalla gentilezza e dalla bontà di Monsignore, frutto di una umiltà profonda. Considerando le sue motivazioni profonde, ci si accorge allora che tutta la sua vita è diretta da un ardente desiderio: instaurare il regno di Gesù Cristo per la salvezza delle anime. Il regno di Gesù Cristo In una bella predica al Seminario di Ecône, il 28 ottobre 1979, Monsignor Lefebvre ricordava i princìpi della Regalità di Cristo, insegnati dal papa Pio XI nell’enciclica Quas primas: «Vi sono due ragioni profonde che fondano la Regalità di Nostro Signore: la prima è l’unione ipostatica, cioè l’unione delle persona divina di Gesù con la sua natura umana. Gesù è Re perché è Dio. L’anima umana di Gesù e il suo corpo sono talmente uniti a Dio che non si possono separare. Gesù è quindi per natura il Salvatore, il Sacerdote, il Re. Gesù è Re poi per conquista, poiché ci ha redento con il suo Sangue e la sua croce. Per questo egli ha acquisito un diritto su tutte le anime. Esse gli appartengono perché Egli le ha riscattate». La conseguenza è che Gesù deve regnare, ma in che modo? «Dobbiamo chiederci – continua Monsignore – se Gesù è veramente nostro Re, in tutte le nostre azioni, in ogni istante. Egli deve essere il Re e la Luce delle nostre intelligenze: Egli è la Verità, poiché è Dio. Inoltre è Re delle nostre volontà. Egli è la Legge, non soltanto delle menti e delle volontà ma di tutta la natura che segue le sue leggi con una fedeltà incomparabile. L’uomo dovrebbe seguire la legge, iscritta nel suo cuore, in maniera intelligente e libera; legge che è la via per giungere alla nostra felicità e alla vita eterna, invece egli si allontana da essa. Gesù deve divenire realmente il re delle nostre volontà che devono conformarsi alla sua legge di amore»(1 ). Gesù deve regnare quindi sugli individui ma anche sulle nazioni mediante la sua dottrina di verità, sola capace di portare la salvezza, la pace e la vera civilizzazione. La società civile, anch’essa creatura di Dio, ha il dovere di dare a Gesù Cristo un culto pubblico tramite i suoi rappresentanti, nella sola vera religione da lui rivelata. Le leggi degli stati devono fondarsi sulla sua legge divina. Nel lezioni di Atti del Magistero che Monsignor Lefebvre impartiva ai seminaristi dell’anno di spiritualità, ricordava spesso queste verità, commentando le encicliche dei Papi. «Il regno sociale di Gesù Cristo è la vera soluzione ai problemi sociali, per la pace. È la sua grazia che può guarire la natura ferita dal peccato, comunicarci le virtù sociali e darci la forza di lottare contro l’invidia che crea l’odio. La grazia ci ottiene in particolare la giustizia, ci aiuta a capire che non siamo sulla terra per fare fortuna e che la vita futura vale ben più che quella sulla terra»(2 ).

 Penetrato da questi princìpi di sana teologia, ricevuti al Seminario francese di Roma, don Marcel Lefebvre ha capito che amare veramente le anime significa volere il loro più gran bene: la salvezza eterna. Ma il cammino per giungere alla meta è irto di difficoltà. Lasciati alle loro sole forze, gli uomini non possono giungervi; è necessario l’aiuto della Chiesa, la grazia che producono i sacramenti; la società civile deve essere retta da delle leggi che favoriscano il bene e la virtù e puniscano il male. Occorrono dunque dei sacerdoti zelanti per instaurare il regno di Gesù Cristo. Giovane sacerdote, decide di scegliere la vita religiosa nella congregazione dei Padri dello Spirito Santo, per diventare missionario. L’esperienza Africana Il 12 novembre 1932, l’ormai Padre Marcello si imbarca per il Gabon. Durante il tempo della sua permanenza in Africa realizzerà un lavoro straordinario prima come superiore della missione, poi come Arcivescovo di Dakar, infine come Delegato Apostolico per l’Africa francofona. Durante tutto questo periodo realizza l’efficacia soprannaturale della Messa nel lavoro apostolico di santificazione delle anime e nella formazione di una società cristiana. Egli stesso ce ne ha lasciato una calorosa testimonianza. «Là ho visto, sì ho visto ciò che poteva la grazia della Santa Messa. L’ho constatato in quelle anime sante che erano alcuni dei nostri catechisti. Queste anime pagane, trasformate dalla grazia del battesimo, trasformate dall’assistenza alla Messa e dalla SS. Eucarestia […]; ho potuto vedere dei villaggi da pagani divenire cristiani, trasformarsi non soltanto spiritualmente e soprannaturalmente ma anche fisicamente,socialmente, economicamente, politicamente […]. Le popolazioni spesso volevano darsi dei capi cattolici»(3 ). La realizzazione del regno di Cristo non avviene senza ostacoli e anche là dove la civilizzazione cristiana è fiorita, le sue fondamenta possono essere intaccate. «Nolumus hunc regnare super nos - Non vogliamo che costui regni su di noi»: questo l’empio grido di coloro che vogliono rigettare la legge divina e relegare la religione ad una manifestazione privata, senza alcuna influenza sulla società, per costruire una società senza Dio. La dottrina filosofica che esprime questa volontà di indipendenza individuale e sociale da Dio in tutte le sue forme, è il liberalismo. Ora è impossibile volere il Regno sociale di Gesù Cristo senza opporsi a coloro che lo ostacolano e vogliono distruggerlo. La meditazione di sant’Ignazio su I due stendardi, nella seconda settimana dei suoi Esercizi, esprime molto bene la lotta fra Cristo e Satana nel mondo per la conquista della anime e come Gesù Cristo chiami al suo seguito tutte le anime di buona volontà. È così che Monsignor Lefebvre si trova “arruolato” in una vera battaglia, sotto lo stendardo di Cristo Re. Il nemico: Il liberalismo La formazione che aveva ricevuta al Seminario Francese di Roma, sotto la direzione del padre Henry Le Floch, era stata per questo determinante. Il Rettore di quel seminario insegnava ai seminaristi a conoscere gli errori moderni che rigettano la società cristiana e vogliono costruirla su altre basi. «Il padre Le Floch – diceva Monsignore – ci ha fatto entrare e vivere nella storia della Chiesa, in quella battaglia che le forze perverse conducono contro Nostro Signore. Questo ci ha mobilitato contro il funesto liberalismo, contro la Rivoluzione e le potenze del male all’opera per rovesciare la Chiesa, il Regno di Nostro Signore, gli stati cattolici, la cristianità intera». Quando uscirà dal seminario, don Lefebvre avrà non soltanto assimilato la dottrina insegnata dai Papi e le ragioni della loro opposizione al liberalismo, ma saprà soprattutto metterla in pratica e rimanervi fedele fino alla fine della sua vita. Cerchiamo di ritracciare brevemente un panorama storico per vedere come nasce la filosofia del liberalismo e come penetra nella Chiesa. È con gli pseudo-filosofi del XVIII secolo che l’ideologia liberale ha cominciato a manifestarsi in maniera strutturale, prima in Francia, in particolare con Jean-Jacques Rousseau. L’uomo, buono per natura, non ha bisogno né di essere redento, né di legge imposta dal di fuori. Egli è capace di dirigere se stesso e, lasciato libero, seguirà necessariamente il bene. Questi princìpi furono applicati a livello sociale con la Rivoluzione Francese nel rifiuto di ogni dipendenza dello stato da Dio e dalla religione rivelata: lo stato laico,cioè, in ultima analisi, ateo. La maggioranza decide della bontà o meno di una legge, senza alcun riferimento alla legge divina. La libertà diventa un principio supremo e nelsuo nome, iscritto sugli edifici pubblici, si massacrarono migliaia di persone durante il periodo del Terrore poiché non vi è “Nessuna libertà per i nemici della libertà”. Le leggi e l’autorità necessarie alla vita sociale dovranno venire dal popolo e saranno determinate dalla maggioranza. I comandamenti di Dio saranno rimpiazzati da nuove “tavole della legge”: la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il 10 marzo 1791, Papa Pio VI aveva condannato i princìpi rivoluzionari, in particolare la concezione della libertà come principio assoluto. Malgrado gli avvertimenti costanti del magistero della Chiesa durante il XIX secolo, una corrente liberale si sviluppò nel suo interno. Tale movimento contò nomi celebri come Chateaubriand e de Lammenais, le cui dottrine furono condannate da Gregorio XVI nell’encilica Mirari vos del 15 agosto 1832.Altre figure di spicco, dopo la rivoluzione del 1848, furono Lacordaire e Montalembert. Quest’ultimo, durante il congresso cattolico di Malines del 1863 proclamò: «Noi accettiamo, invochiamo i princìpi e le libertà proclamate nell’‘89», in particolare la totale separazione dello Stato dalla Chiesa espressa in questa celebre frase: “libera Chiesa in libero Stato”. Monsignor Lefebvre, con la sua concisione e chiarezza abituale, riassumeva così il loro pensiero: «In politica i cattolici liberali vedono nei princìpi del 1789 delle verità cristiane, certamente un po’ spinte, ma che una volta purificate dalle idee moderne, sono tutto sommato assimilabili dalla Chiesa: la libertà; l’uguaglianza, la fraternità, la democrazia e il pluralismo»(4 ). Il cattolicesimo liberale si caratterizza in particolare per il fatto che la Chiesa Cattolica non deve richiedere alcuno statuto particolare e deve essere separata dallo Stato. Questa è la negazione del Regno sociale di Gesù Cristo. Il Concilio Vaticano II Malgrado la le condanne dei Papi, sintetizzate dalla magistrale Enciclica Quanta cura, seguita dal Syllabus, di Pio IX, le dottrine liberali, grazie anche all’azione delle società segrete(5 ), continuano a serpeggiare nella Chiesa, evolvendosi in altri minacciosi errori come il modernismo, condannato da san Pio X nell’enciclica Pascendi ed nel decreto Lamentabili. Quando si apre il Concilio, nel luglio 1962, Mons. Lefebvre fa parte dei padri conciliari e assisterà ad una vera rivoluzione. Egli stesso ce lo racconta: «Approfittando di un Papa debole (Giovanni XXIII) e di un Papa desideroso di cambiamenti radicali (Paolo VI) i liberali presero le leve del comando… per condurre a termine la rivoluzione ecumenica tanto desiderata dai nemici della Chiesa. In quel Concilio pastorale lo spirito di errore e di menzogna ha potuto lavorare liberamente, mettendo dappertutto delle bombe a scoppio ritardato che avrebbero a suo tempo fatto esplodere le istituzioni»(6 ). «Lo stesso Concilio ha integrato le idee del mondo moderno di libertà, uguaglianza, fraternità, trasformandole nelle sue dottrine sulla libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo»(7 ). La libertà religiosa è la prima di queste “bombe”. La dichiarazione Dignitatis humanae del concilio afferma che «la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa» e la definisce come l’immunità da ogni costrizione in materia religiosa nel foro esterno(8 ). Si afferma così un diritto positivo all’errore, mettendolo sullo stesso piano della verità. La dottrina cattolica dei diritti di Gesù Cristo sugli stati è abbandonata e gli uomini di Chiesa favoriscono il principio liberale dello stato laico, che accorda i medesimi diritti a tutte le religioni. Dopo il Concilio ci si applicherà a smantellare gli stati cattolici che continuavano ad esistere, imponendo nuovi concordati dove si chiede per la Chiesa unicamente il diritto comune, come per esempio il nuovo concordato firmato con l’Italia il 21 febbraio 1984 che ne fa uno stato laico, di fatto ateo(9 ). La seconda di queste “bombe” è la dottrina sulla collegialità episcopale che attacca la costituzione divina della Chiesa. La si vuole così trasformare da monarchica in democratica, attribuendo il potere supremo, oltre che al Papa, anche al collegio dei Vescovi. Questa dottrina del Concilio sarà così sintetizzata nel Nuovo Codice di Diritto canonico: «Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi […] è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale»(10). Ultima, ma non meno devastante, la “bomba” dell’ecumenismo. L’idea di base è quella di restaurare l’unità fra i cristiani (e per estensione fra tutte le religioni), ma non tramite la conversione degli erranti alla verità cattolica, come la Chiesa ha sempre voluto e ricercato con la predicazione e la preghiera. Si ricerca invece un’unione fondata sui caratteri comuni di ogni confessione, per la giungere alla solidarietà e alla pace che divengono i beni supremi. Il decreto conciliare Unitatis redintegratio afferma che le chiese cristiane non cattoliche «non sono per niente sprovviste di significazione e di valore nel mistero della salvezza» e che «lo spirito di Cristo non rifiuta di servirsi di esse come mezzi di salvezza»(11). La nuova liturgia della messa traduce questa preoccupazione ecumenica. Si è cercato di forgiare un nuovo rito in modo da renderlo accetto sia ai cattolici che ai protestanti. La nuova messa, composta con l’ausilio di sei pastori protestanti, sarà il frutto avvelenato dell’ecumenismo che si manifesterà in seguito con riunioni interreligiose, prima fra tutte quella di Assisi del 27 ottobre 1986, che non avranno altro frutto se non quello di generare nelle menti l’idea che tutte le religioni si equivalgono, portando così all’indifferentismo. Tale dottrina distrugge nella Chiesa lo spirito missionario. Se infatti tutte le religioni hanno valori di salvezza, non appare più la necessità di predicare il vangelo a tutte le genti, secondo la prescrizione di Gesù, per convertirle all’unica vera religione rivelata. Molto interessante è notare come questa penetrazione delle idee liberali nella Chiesa sia stata constatata in maniera chiara dai liberali stessi. Il senatore del Doubs, M. Prélot, si rallegrava della vittoria liberale al concilio affermando: «Abbiamo lottato durante centocinquant’anni per far prevalere le nostre idee all’interno della Chiesa e non ci siamo riusciti. È arrivato infine il Concilio e abbiamo trionfato. Ormai le tesi e i princìpi del cattolicesimo liberale sono definitivamente e ufficialmente accettate dalla Santa Chiesa»(12). Mons. Lefebvre era scandalizzato da dichiarazioni come quella del Cardinal Suenens: «Egli diceva che il Concilio è stato l’‘89 nella Chiesa (la Rivoluzione Francese n.d.r.). Lui se ne rallegrava. Noi lo deploriamo. L’‘89 è stato l’adorazione della dea ragione, la distruzione, la profanazione delle chiese. Ciò che viviamo oggi è peggio della rivoluzione dell’‘89, se facciamo un bilancio nelle chiese, nelle famiglie, nelle case religiose… Una rivoluzione si è operata nella Chiesa, una rivoluzione che attacca la Regalità di Nostro Signore, che vuole distruggere il suo regno poiché quando si vuole la laicità degli stati si distrugge il regno di Nostro Signore Gesù Cristo»(13). I rimedi Non è sufficiente piangere sulle catastrofi. Mons. Lefebvre è sempre stato un uomo d’azione: «Per quel che mi riguarda – scriveva – non mi rassegnerò ad assistere con le mani in mano all’agonia di mia Madre la Santa Chiesa. […] Dobbiamo lottare più che mai per il Regno sociale di Gesù Cristo. In questa lotta non siamo soli; abbiamo con noi tutti i Papi fino a Pio XII incluso. Dio non ha permesso che trionfassero, ma non è una ragione per deporre le armi! Bisogna resistere. Occorre costruire mentre gli altri demoliscono»(14). Ed è questo che Monsignore ha fatto senza stancarsi, senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà, alle condanne di coloro che dovevano, in tutta logica, sostenerlo. Fonda la Fraternità San Pio X per la difesa del sacerdozio; riafferma la dottrina cattolica nelle sue prediche, conferenze, libri. Mette tutte le sue forze per applicare l’ideale di san Pio X, scelto come patrono: «Omnia instaurare in Christo – restaurare tutto in Cristo». La sua linea di battaglia è chiara: «Bisogna prendere i rimedi che i Papi ci hanno indicato contro gli errori moderni: la filosofia tomista, la sana teologia e il Diritto che proviene da queste scienze». Per formare i suoi seminaristi e illuminare le menti dei fedeli, Mons. Lefebvre spesso invitava a meditare sulla natura di Dio: «Dio sussiste in sé, non ha ricevuto l’esistenza ma ce l’ha di per sé: Egli è “ens a se – l’essere in sé”, per opposizione a tutti gli altri esseri che sono “ens ab alio – ricevono l’esistenza da un altro”, per il dono che Dio ha fatto loro dell’esistenza! Questa realtà è talmente inimmaginabile, straordinaria che la si potrebbe meditare durante delle ore. Una semplice meditazione che ci rimette al nostro posto di fronte a Dio: è questo piccolo essere “ab alio”, che riceve il suo stesso essere da Dio, che avrebbe il potere di limitare la gloria di Dio? Che avrebbe il diritto di dire a Dio: “Voi avete diritto a questo, ma non di più! Regnate nei cuori, nelle sacrestie, nelle cappelle, ma non nelle strade, nelle nazioni” […]. Che assurdità la rivolta del liberalismo!»(15). Così monsignor Lefebvre ha fatto per i suoi figli spirituali ciò che un buon padre di famiglia fa per i suoi figli: con le parole e ancora di più con l’esempio ha cercato di inculcare loro le verità essenziali che aveva lui stesso ricevute durante i suoi studi. Per amore della Chiesa L’amore alla Chiesa si manifesta oggi con la resistenza agli errori moderni che vogliono distruggerla dal di dentro. Monsignor Lefebvre diceva con perspicacia: «Coloro che sono contro il Regno di Gesù Cristo fanno scisma… non noi! La vera obbedienza si deve alla Chiesa e a Nostro Signore Gesù Cristo. La fede non ci appartiene, non appartiene neppure al Papa e neanche ai Vescovi; essa appartiene alla Chiesa e a Nostro Signore… Nella misura in cui essa ci è trasmessa noi siamo pronti ad accettarla in ginocchio… ma nella misura in cui la si distrugge non obbediamo più. Non possiamo permettere che ci distruggano la fede… non siamo disobbedienti; obbediamo a Nostro Signore»(16). Non si tratta di difendere opinioni personali, di pretendere il libero esame, e nemmeno di giudicare le autorità della Chiesa: «Non siamo noi che giudichiamo il Papa ed i vescovi… è la nostra fede, è la tradizione, è il catechismo che la Chiesa da sempre ha insegnato… Noi siamo con i 2000 anni di insegnamento costante della Chiesa e non con i 12 anni di quello della chiesa conciliare, come Monsignor Benelli l’ha chiamata. Io non conosco la chiesa conciliare; conosco la Chiesa Cattolica. Coloro che distruggono la Chiesa fanno l’opera della Massoneria. Saremo forse perseguitati, ma conserveremo la fede». Alla fine della sua vita Monsignore poteva in tutta sincerità lasciare questa testimonianza: «Penso che tutta la mia vita sacerdotale ed episcopale è stata orientata da questa lotta contro il liberalismo»(17). Lotta contro il liberalismo per fedeltà alla dottrina della Chiesa, alla fede come gli era stata insegnata. Così, Monsignor Marcel Lefebvre poteva in tutta verità chiedere che si scrivessero sulla sua tomba queste parole di san Paolo: «Tradidi quod et accepi – Ho trasmesso ciò che ho ricevuto». È compito adesso dei suoi figli spirituali di mostrarsi degni di una tale eredità e continuare coraggiosamente la battaglia di questo grande e coraggioso Vescovo, sotto lo stendardo di Cristo Re e della Vergine Immacolata.

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