Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

domenica 27 dicembre 2015

Roma, città santa di Giovanni Papini


Per un uomo dell’Antichità, ogni città fondata secondo i riti era una città santa. Ma per un cristiano, due solamente sono segnate del sigillo della santità: Gerusalemme e Roma, l’una testimone della morte di Dio, l’altra sede del Capo della Chiesa fondata da Dio. Nessun’altra, per quanto ricca di sacre memorie e di santuari celebri, potrebbe essere comparata ad esse. Dopo che Gerusalemme venne meno, il primato doveva passare a Roma. Poiché i Gentili accettarono il messaggio rifiutato dai Giudei, la città di Cesare ereditò i diritti di primogenitura della città di Davide. A Gerusalemme Dio si manifestò in una creatura di carne, che fu offerta in sacrificio; a Roma, Dio si manifestò solo nei suoi testimoni, ma rivive continuamente nel Corpo mistico della Chiesa che ha là il suo Capo, cioè la parte più alta e più nobile. Presso il Cedron, c’è la sofferenza del Cristo; presso il Tevere, il suo trionfo. Roma, più ancora che Gerusalemme, ebbe i suoi battesimi di sangue: non fu sangue divino, ma quello di tutti i suoi fondatori. Romolo, fondatore della Città e della monarchia, fu ucciso dai patres; Giunio Bruto, fondatore della Repubblica, perì per mano di Arunzio; Giulio Cesare, fondatore dell’Impero, cadde sotto i colpi di Marco Bruto; san Pietro, fondatore della Roma cristiana, fu messo a morte dai soldati di Nerone. Vittime delle maledizioni della caduta, gli uomini subiscono questa legge inesorabile di non poter fondare niente di grande senza pagare la loro opera con la loro vita. I creatori sono, allo stesso tempo, carnefici e vittime. Romolo infatti aveva assassinato suo fratello; Giunio Bruto aveva fatto giustiziare i suoi figli; Giulio Cesare fece mettere a morte Vercingetorige e Pompeo; quanto a san Pietro, è il solo degli Apostoli che abbia cinto la spada e tentato di uccidere un uomo: Malco. Roma tuttavia non trae solamente dal sangue versato il suo carattere di città santa. Se il sangue di san Pietro illustrò per la prima volta la seconda Roma, la Roma cattolica eterna, è alla parola di san Pietro e di san Paolo che l’Urbe deve la sua consacrazione veramente soprannaturale. Con questa parola, la Città che aveva sottomesso con la forza delle armi tre continenti quasi interi, divenne la Città che sottomette, con lo Spirito, tutti i continenti della terra. All’Aquila rapace, si è sostituita la Croce redentrice: alla venerazione della Lupa del Tevere, l’adorazione del mistico Agnello. Fondandosi su un’incerta cronologia medioevale, Dante suppone che la fondazione di Roma ebbe luogo sotto il regno di Davide. Questa coincidenza si riconosce oggi esser falsa, ma ne esiste un’altra, autentica, che nessuno, a mia conoscenza, ha ancora notata. Roma fu fondata dagli Etruschi verso la metà dell’VIII secolo avanti Cristo – come le più recenti ricerche portano a credere. Il popolo etrusco era famoso per i suoi àuguri, cioè i suoi profeti che predicevano l’avvenire. Ora, alla stessa epoca, sotto Ozia, Re di Giudea, cominciava il periodo di Isaia, il più grande dei profeti prima di Giovanni e l’annunciatore più chiaro della venuta al mondo e della Passione del Cristo. Così Roma, futura sede della Chiesa del Messia, è contemporanea della più grande profezia messianica. Ma tra tutte le profezie di Isaia, ce n’è una che si applica, a mio avviso, all’unione futura del popolo romano e della Chiesa del Cristo, alla riconciliazione finale dell’Aquila e della Croce, dell’Impero e del Cattolicesimo. Tutti conoscono questa immagine famosa, enunciata a due riprese da questo straordinario profeta: «Il lupo dimorerà con l’agnello» - «Il lupo e l’agnello pasceranno insieme» (Is 11, 6; 65, 25). Quando si pensa che durante dei secoli il Lupo è rimasto l’emblema, il totem di Roma e che l’Agnello è uno dei più antichi simboli del Cristo, si dovrà riconoscere che Isaia non fu solamente il profeta dell’Incarnazione, ma anche dei futuri destini della Chiesa fondata dall’Emanuele: l’Agnello che vive in pace con il Lupo significa lo sviluppo della religione del Cristo nella capitale dei Cesari. La parola di Isaia si è verificata una prima volta con Costantino il Grande e più tardi con Carlo Magno. Ma le passioni e gli errori degli uomini non hanno permesso che durasse la perfetta armonia tra il simbolo della forza e quello dell’amore. Tuttavia, dopo diciannove secoli, la religione dell’Agnello di Dio ha il suo centro nella città della Lupa terrena. La profezia si è in parte realizzata quando san Pietro celebrò il suo primo sacrificio a Roma, vicino al Palazzo di Nerone. Ogni cristiano desiderava la realizzazione completa della promessa. Ma la bolla di Pio XI, Infinita Dei misericordia, non fu forse un appello ai lupi perché venissero infine a pascere con gli agnelli?Destinata a dominare due volte il mondo, Roma sempre fu santa. Già ai tempi di Augusto, Tito Livio poteva scrivere «Non vi è alcun luogo in questa città che non sia impregnato di religione e non appartenga a qualche divinità... gli dèi la abitano». Queste parole, in una certa misura, erano esatte. Ma quando Tito Livio (morto tra l’altro nel 17 a. C.) scriveva queste parole, Colui che doveva dare ad esse il loro senso autentico e immortale stava per nascere in Palestina. Gli dèi – o meglio i vecchi idoli greco-latini, vanamente ringiovaniti e sostenuti dalle dottrine filosofiche o dai misteri – durarono ancora a Roma fino al IV secolo, ma la loro illusoria potenza svanì alla venuta di san Pietro. La pluralità degli dèi pagani fu sostituita dalla Vera Unità. Il grande Pan era morto al momento della Crocifissione, e la moltitudine degli dèi dell’Olimpo si era immediatamente fissata nell’immobilità. Le idee-forze dei Miti fantasisti non furono più che statue, nomi e marmi. Il Dio unico e vivo che aveva mandato sulla terra il suo Figlio unico per morirvi e risuscitare si era manifestato in un modo così evidente, così irrefutabile che tutta la vecchia schiera di fantasmi ritornò nel nulla. È così che all’arrivo di un uomo ben in vita, svaniscono le ombre senza consistenza. È a Roma che l’Inviato del Re dei re fissa la sua residenza perpetua e sui sette colli fa conoscere i sette Doni dello Spirito Santo. È vero che nel corso dei secoli gli uomini – spoglia mortale del Corpo mistico della Chiesa e del Cristo eterno – non hanno sempre rispettato la santità di questi luoghi e che per la colpa di qualche cattivo servitore dell’Agnello la Roma cristiana a visto prodursi vergogne e scandali degni della vecchia stirpe della Lupa. Tutto questo non ha potuto, né poteva, cancellare il carattere sacro della Città, carattere indelebile come quello del sacerdozio. Perché Roma, fondata all’epoca della grande profezia messianica, fu dalla sua origine segnata per essere la sede legittima ed eterna degli eredi del Messia? La sua storia ne risponde. Il cristianesimo destinato a divenire religione “cattolica”, cioè universale e a cancellare le antiche religioni egoiste della tribù e della polis, doveva necessariamente avere il suo padre spirituale nella capitale di un Impero quasi universale, cioè “cattolico”. L’Impero Romano, come si è già osservato, fu condotto dalla logica stessa del suo spirito di dominio a distruggere le singolarità delle stirpi, e a sopprimere il numero considerevole di repubbliche e regni allo scopo di unificare il mondo civilizzato in una comune disciplina e con un potere centrale sempre più assoluto. La Roma repubblicana rappresentava,certo, una patria, ma la Roma imperiale sorpassò l’idea di patria. Per la prima volta, malgrado la diversità delle lingue e delle razze, poté raggruppare un gran numero di popoli che obbediva a un solo signore e a una sola legge. Dal punto di vista dell’organizzazione politica, l’Impero preparò questa universalità che il cristianesimo doveva, a poco a poco (non ha ancora terminato) instaurare nell’ordine spirituale. La classe patrizia dei primi secoli della Repubblica scomparve sotto l’Impero e quasi tutti gli abitanti delle Province ebbero diritto al titolo di cittadino romano. Dopo la venuta del Cristianesimo si fece un nuovo passo avanti: tutti gli uomini, anche gli schiavi e i barbari, ebbero il diritto di rivendicare la qualità di cittadino del Regno dei Cieli. Roma aveva attenuato le distinzioni etniche e civiche; la Chiesa le abolì. In questo senso, si può dire che la Roma antica fu la misteriosa prefazione del grande poema sacro della Roma cattolica. Un Pontefice Unico succedette necessariamente a un Imperatore Unico. La dimora di Romolo divenne la dimora di Pietro e gli dèi di Tito Livio cedettero il posto al Dio crocifisso di Paolo. Sulla vasta tenda imperiale, gli Apostoli scrissero a lettere di sangue i segni della proprietà che non si cancellano mai. Dopo essersi nascosti per tre secoli – come il suo Fondatore era rimasto tre giorni nella Tomba – la Chiesa uscì dal sepolcro profondo delle Catacombe e risplendette al sole, sotto il gran cielo di pietra del Buonarroti. San Pietro si è fissato in Italia, perché Gerusalemme rappresentava il nazionalismo giudaico e che Roma, al contrario, personificava l’idea universale di un solo gregge e un solo Pastore. Non è l’Impero che ha reso il Cristianesimo vittorioso, ma è lui che ha annunciato la Chiesa e l’ha sostenuta nei suoi inizi. Per quelli che vedono l’intervento della Provvidenza nella Storia, Roma dalla sua fondazione fu città santa, benché il suo carattere sacro non apparisse chiaramente dall’origine. La sua santità vera si affermò solo a partire dall’anno 66 e con le persecuzioni neroniane. La croce di san Pietro e il ceppo di san Paolo costituiscono i primi trofei di questa definitiva santificazione. La Città del Vaticano non è solamente una riunione di chiese, palazzi, meraviglie d’arte rinchiuse in dei musei, è una delle acropoli mistiche della terra, è una sfera immensa che sorpassa le sue frontiere visibili e tocca le sponde stellate del soprannaturale: è la Città di Dio.

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