Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

domenica 12 agosto 2018

DOTTRINA SULLA PENA DI MORTE, MODERNISMO E PAPA FRANCESCO


Con un rescritto ex audientia Sanctissimi, la Congregazione per la Dottrina della Fede ci ha fatto sapere che un altro elemento della religione cattolica dovrà considerarsi cambiato ufficialmente: la dottrina sulla liceità della pena di morte.

Il Catechismo pubblicato da Giovanni Paolo II, pur contenendo già le innovazioni conciliari, ammetteva ancora (seppur in maniera piuttosto teorica) che l’autorità civile potesse comminare la pena capitale in casi gravissimi. Invece, la modifica al numero 2267 del citato catechismo ci informa che, contrariamente a quanto affermato in passato, «la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo». Si specifica, seguendo la dottrina conciliare, che la dignità umana non si può mai perdere, nemmeno per crimini gravissimi (san Tommaso d’Aquino faceva un discorso opposto).

Tale innovazione era stata annunciata nel Discorso dell’11 ottobre 2017 ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione, da noi commentato nel Convegno di Rimini di fine ottobre 2017. Per quanto gravissima sia un’alterazione della dottrina cattolica su un ennesimo punto, ci preme sottolineare da quali princìpi provenga una tale possibilità, princìpi specialmente sottolineati da Papa Francesco nel discorso qui menzionato. Da dove può venire la conoscenza di una dottrina diversa da quella tramandata? Forse si sono lette le fonti della Rivelazione in modo più accurato? Forse finora l’infallibilità sonnecchiava? Papa Francesco risponde enunciando la tipica dottrina modernista sull’evoluzione del dogma, pur facendo anche un appello del tutto retorico al “Vangelo”. Vediamo cosa dice il discorso citato.

Papa Bergoglio precisa chiaramente, a proposito del catechismo, che «non è sufficiente, [quindi,] trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce». Non si illuda chi vede nel nuovo corso ecclesiale un semplice mutamento di linguaggio: la fede di sempre non basta, né basta trovare un modo di esprimerla adatto all’uomo di oggi: si deve attuare un vero e proprio processo profetico, che guardi alle necessità (“sfide”) dell’uomo moderno come a una vera fonte della rivelazione divina. Francesco si fa più esplicito: «conoscere Dio, come ben sappiamo, non è in primo luogo un esercizio teorico della ragione umana, ma un desiderio inestinguibile impresso nel cuore di ogni persona. È la conoscenza che proviene dall’amore, perché si è incontrato il Figlio di Dio sulla nostra strada (cfr Lett. enc. Lumen fidei, 28)». Parole apparentemente affascinanti, ma che rivelano il pensiero modernista sulla fede: non ci sono delle verità rivelate da accettare, ma un “desiderio” del divino che è dentro l’uomo. Ovviamente tale desiderio non è legato alla rivelazione di verità esterne all’uomo (da accettare con la ragione illuminata dalla fede - e per ciò stesso immutabili), ma può essere esplicitato in tanti modi, secondo le circostanze di tempi o luoghi: così nascono le varie religioni e così sono possibili infiniti mutamenti delle dottrine, a seconda delle necessità e delle sensibilità dei tempi. Una società religiosa organizzata come la Chiesa cattolica non potrà ovviamente ignorare la mutata sensibilità, e a tempo debito dovrà fare propria l’esperienza del suo momento storico che rileggendo il Vangelo scopre “cose nuove”. Chi non lo facesse, indubbiamente resisterebbe allo “Spirito santo”, che altro non sarebbe che lo spirito del mondo e della storia. L’operazione, felicemente portata a termine per la libertà religiosa e l’ecumenismo al concilio, e per la “famiglia” al sinodo di Papa Bergoglio, è ora estesa al tema sensibile della pena di morte.

Il Papa infatti prosegue in modo anche più esplicito: «Questa problematica [della pena di morte] non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale». Qui la “mutata consapevolezza del popolo” è chiaramente presentata come una “fonte” della dottrina cattolica. E continua: «La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare». Chiaro il richiamo a una permanente rivelazione: non si deve trasmettere (sarebbe “conservare in naftalina”) ma progredire verso un “compimento”, in modo inarrestabile, pena il peccato contro lo Spirito santo, esplicitamente evocato poco sotto: «Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo. “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri” (Eb 1,1), “non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio” (Dei Verbum, 8). Questa voce siamo chiamati a fare nostra con un atteggiamento di “religioso ascolto” (ibid., 1), per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso i nuovi orizzonti che il Signore intende farci raggiungere».

Difficilmente si potrebbe sperare in un’esposizione più chiara della dottrina modernista sull’evoluzione del dogma, benché Papa Francesco ripeta più volte che «non si tratta di un cambiamento di dottrina». Chi ragiona da cattolico e pensa che la dottrina della Chiesa corrisponda a una rivelazione conclusa che va trasmessa, non potrà non vedere una contraddizione insanabile, e si dovrà chiedere se la Chiesa abbia sbagliato finora o se sbagli Papa Francesco, in ultima analisi se Cristo abbia detto che la pena di morte è lecita oppure il contrario. Il modernista invece non vedrà contraddizioni: Dio non ha rivelato una dottrina, ma sta dentro di noi, e lo spunto datoci dal “Cristo storico” (che chissà poi che ha detto: non c’erano i registratori…) ci fa vivere un’esperienza religiosa che mettiamo in comune nella Chiesa, con formule concordate tra noi. Questa è l’azione “profetica” dello “Spirito santo”, che non cessa mai, specie quando cerchiamo di rivivere “l’entusiasmo degli inizi”. Così armonizzeremo in nuove formule i nostri rinnovati bisogni e desideri, suggeritici da quello spirito della storia che è Dio stesso, e al quale non bisogna resistere (e che comunque “non si può fermare”). Esattamente la dottrina che san Pio X condannò nell’enciclica Pascendi.

Nel momento in cui una tale variazione dottrinale viene imposta ai fedeli in modo ufficiale, è dovere di ciascuno restare fedele alla dottrina tradizionale definita dalla Chiesa e professarlo nei modi e nei tempi appropriati, come fece Monsignor Lefebvre per gli errori del Concilio.

don Mauro Tranquillo
(fonte FSSPX)

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