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POSTILLE ALLA NUOVA DOTTRINA BERGOGLIANA SULLA PENA DI MORTE di don Mauro Tranquillo




Abbiamo già analizzato QUI il fondo modernista della nuova dottrina di Papa Francesco che condanna la pena di morte, che invece la dottrina della Chiesa cattolica, fondata sulla Rivelazione, considera lecita si veda l'articolo di don Gleize. Tuttavia resta da fare qualche altra annotazione a margine del rescritto pontificio del 1 agosto 2018 e del discorso che lo annunciava l’11 ottobre 2017.
Nel 1962 per cambiare la dottrina (libertà religiosa, ecumenismo, collegialità, etc.) ci volle un Concilio ecumenico. Ancora nel 2016 per dare la comunione ai divorziati risposati ci è voluto un sinodo. Questo ennesimo vulnus formale all’insegnamento della Chiesa si è fatto invece con un semplice atto amministrativo di una Congregazione romana, dopo un’udienza con il Papa. Inoltre non si sono riscontrate, per il momento, reazioni o “dubia” di prelati “conservatori”. Difficile dire se ce ne saranno prossimamente. Eppure tutti gli articoli della dottrina, in quanto rivelati da Dio, hanno la stessa importanza nelle professione di fede, e la negazione di uno qualsiasi di questi articoli ci fa peccare contro la virtù di Fede. La spiegazione possibile a questo diverso atteggiamento dei “conservatori” (se sarà confermato dai fatti), come alla semplicità della procedura utilizzata in questo caso, ci pare da ravvisare in quanto afferma lo stesso Papa Francesco: «Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere […] il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici». Il riferimento, esplicitato nel discorso dell’11 ottobre, è particolarmente alla nuova dottrina sulla dignità umana, tanto cara a Giovanni Paolo II. Il conservatore, che ha fatto propria la dottrina conciliare e post-conciliare sull’argomento, anche grazie alla sintesi “neo-ortodossa” operata da Ratzinger, potrà difficilmente obiettare all’argomentazione di Papa Bergoglio, anzi con ogni probabilità finirà per trovarsi a suo agio in questo caso. Solo chi non ha assorbito la fase “ratzingeriana” di lettura del Concilio potrà reagire a questi nuovi errori, e potrà dare fondamento all’opposizione alle altre innovazioni del presente pontificato.


In conseguenza, i “conservatori” dovrebbero capire che è impossibile “congelare” il processo modernista in una delle sue fasi. Lo stesso monumento delle loro teorie, che è il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, non ha retto nemmeno trent’anni. Il modernismo o si nega alla radice o continua necessariamente il suo sviluppo dialettico. Forse avrebbero dovuto capire meglio l’immagine usata da Ratzinger nel famoso discorso alla Curia del 2005: contrapporre Benedetto a Francesco equivale a pensare che l’acqua di un fiume che allarga il suo corso nella pianura non sia la stessa che sgorgava dalla sorgente…


Il tema fondamentale di questo pontificato, cioè la visione falsamente “spirituale” della Chiesa che contrappone la legge alla “misericordia”, e che disprezza come negativa ogni incarnazione giuridica della Chiesa, non è trascurato, ma ribadito: si afferma infatti che il ricorso alla pena di morte, anche da parte della Chiesa del passato, era dettato da «una mentalità più legalistica che cristiana» che aveva fatto sovrastimare il valore della legge. La Chiesa di Papa Francesco invece si libera della legge per diventare spirituale, non è più societas perfecta ma unicamente “segno” dell’amore di Dio, e non si manifesta in forme determinate da Dio ma in atteggiamenti profetici e nella cosiddetta “misericordia”. Una chiesa di impronta gnostica, che disprezza come anticristiana l’autorità giuridicamente ordinata, per trasformarsi però in mero esercizio arbitrario di potere, senza altri riferimenti all’ordine divino, totalmente autoreferenziale. Abbiamo trattato questo argomento più volte, anche nei convegni di Rimini o su La Tradizione Cattolica.


Nel paragrafo modificato del Catechismo si precisa che nei tempi moderni «sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi». A dire il vero la Chiesa, come l’esperienza dei Santi, ha sempre ritenuto che la pena di morte, se accettata con contrizione, permettesse al reo di redimersi e scontare già quaggiù le pene dei peccati, per volare subito in paradiso. L’apostolato di grandi santi, come san Giuseppe Cafasso, si basava su questo. Come mai dunque ora si pensa che la pena capitale tolga la “possibilità di redimersi”? Evidentemente perché tale “redenzione” è vista non nel suo senso soprannaturale, ma sociale. Lo scopo della pena diventa il reinserimento del reo nella società, “redento” e rieducato. La stessa detenzione non è menzionata come pena per ristabilire la giustizia, ma come mezzo necessario per la “difesa dei cittadini”. La pena capitale toglierebbe “definitivamente” solo questo tipo di redenzione, non certo quella eterna. Ancora una volta si vede come la nuova chiesa sia totalmente appiattita sugli standard mondani e dimentichi il suo scopo soprannaturale.
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È interessante notare che sia stato fatto menzionare nel Catechismo che la Chiesa «si impegna con determinazione per la sua [della pena di morte] abolizione in tutto il mondo». Nel momento in cui la lotta contro l’aborto, uccisione di vite innocenti, è passata in secondo piano (ricordiamo che furono le fondazioni di Soros[1] a spingere diversi episcopati a spostare l’attenzione dalla bioetica ai temi “sociali”), l’uccisione del colpevole diventa meritevole di una crociata ufficialmente lanciata dal catechismo stesso. Come spesso accade, il pontificato di Papa Bergoglio si caratterizza con la repressione dei buoni e l’esaltazione dei malvagi…

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