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La virtù di Giustizia è richiamata innumerevoli volte come attributo di Dio



Giotto La Giustizia (Cappella degli Scrovegni, Padova)


di d.Bruno O.S.B

Carissimi amici e lettori,
le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) si chiamano così perché fanno da cardine della vita morale. 
Proseguiamo la nostra riflessione sulle virtù cardinali. Oggi, dopo aver visto la virtù di prudenza, ci occupiamo della virtù di giustizia.

Dopo la prudenza, la giustizia è la virtù cardinale più eccellente, perché suo compito è muovere la volontà al bene. È di assoluta necessità tanto nell’ordine individuale quanto in quello sociale. Essa pone ordine e perfezione nelle nostre relazioni con Dio (cf. tutto quanto detto sulla virtù della Religione) e con il prossimo, fa sì che rispettiamo vicendevolmente i nostri diritti; proibisce la frode e l’inganno, prescrive la semplicità, la veracità e la mutua gratitudine. Regola le relazioni private degli individui tra di loro, di ognuno con la società e della società con gli individui (politica).
Pone ordine in tutte le cose umane e, per tanto, se ben applicata e osservata, porta con sé la pace e il benessere di tutti, giacché la pace è quella "tranquillità dell’ordine". Dice la Parola di Dio che “Opus iustitiae, pax” (la pace è opera della giustizia) (Is 32,17). La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane quell' armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune.
L' uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri sacri, si distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. Perciò la regola d’oro del Vangelo è universale: Tratta gli altri come vuoi essere trattato da loro, e non fare al prossimo ciò che non vuoi per te. Dall’osservanza o meno di questa regola d’oro dipende il successo della convivenza sociale. Quando Gesù afferma che nel giudizio finale «i giusti splenderanno come il sole» (Mt 13,43), ci fa capire come la giustizia rifletta la luce e la bellezza di Dio, perché ci aiuta a rapportarci a Lui e al prossimo nel modo che meglio corrisponde allo splendore della verità e alla forza contagiosa del bene. Essa chiede di dare a ciascuno il suo “unicuique suum”, (fra i principali precetti ispiratori del diritto romano) e di vivere le relazioni fondamentali dell’esistenza – quella al Signore e quella ai nostri compagni in umanità – in maniera da non fare preferenze o discriminazioni verso nessuno e da trattare tutti nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti. «Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia», afferma il libro del Levitico (19,15). E l'apostolo Paolo, richiamando il riferimento supremo al Signore, semplifica: «Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1).
Mi sembra utile soffermarmi un po’ a lungo sulle riflessioni che nascono da quanto abbiamo evocato a proposito della giustizia e che esprimo sotto forma di domande.
Nel Vangelo secondo Luca, Gesù afferma: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (20, 25). Che cosa significa dare a Dio ciò che gli è dovuto? come e quando darglielo? La giustizia verso Dio è chiamata “virtù di religione”, proprio per indicare che c’è una giustizia da esercitare verso Dio. Non però nel senso che possiamo davvero rendere a Dio in proporzione del nostro debito; infatti, essendo noi creature, tutto è suo, tutto dobbiamo a lui. La religione è una giustizia che sa di dover rendere a Dio - al di là dell’obbedienza pura e semplice - adorazione, lode, amore, fiducia, culto. La religione è un atto di giustizia che, non potendo colmare il suo debito, si esprime in atteggiamenti profondi, veri, come appunto la lode, il silenzio del cuore, l’ascolto, il ringraziamento.  Provate a chiedervi: nelle preghiere quotidiane, ho coscienza di quanto debbo a Dio? ho coscienza di quanto sono ingiusto verso di lui quando lo dimentico? Perché ogni peccato, ogni dimenticanza di Dio è in qualche modo un’ingiustizia. Nelle mie preghiere, lo adoro, lo lodo, lo benedico, gli professo umiltà e amore? do tempo a Dio nella mia giornata? Ancora: do tempo a Dio nella mia settimana? partecipo alla Messa domenicale come un atto di giustizia verso Dio? Non dobbiamo credere che il nostro andare a Messa o il nostro pregare siano un piacere, una gentilezza che facciamo a Dio. Noi gli siamo debitori di tutto e, con alcuni atti di culto, riconosciamo la nostra creaturalità, i nostri sentimenti di gratitudine. Le comunità religiose dovrebbero in proposito ricordare che tutto questo si esprime per loro nella preghiera quotidiana, nella meditazione assidua, nel silenzio, nell’esercizio della lectio divina, nel modo con cui si assiste e si vive la liturgia quotidiana: rendendo lode, onore e gloria a Dio anche per coloro che non lo fanno.  Riprendiamo la prima parte del versetto lucano per chiederci: che cosa significa dare al prossimo ciò che gli è dovuto? quali gli ostacoli, i mezzi, lo stile? Abbiamo davanti un campo immenso, perché la giustizia tra gli uomini giunge a coprire tutte le nostre relazioni sociali. Chi è il prossimo di cui sono tenuto a rispettare i diritti? a chi debbo giustizia? Evidenzio quattro cerchi concentrici, cominciando dal più ristretto. Il prossimo sono i genitori ai quali devo onore, riverenza, rispetto, obbedienza; sono i familiari ai quali devo fraternità, affetto, amore; sono coloro con i quali ho rapporti di incontro, di conversazione, di amicizia. Per questo cerchio, in realtà, non si può parlare di giustizia nel senso stretto, in quanto non è giustizia di scambio, bensì di risposta amorosa, fraterna. Tuttavia è fondamentale per l’esistenza. Nella vita sociale, il prossimo sono tutti coloro con cui ho rapporti di scambio: di contratto, di lavoro, di commercio, di associazione, di compravendita, di prestazioni reciproche. Come rendo giustizia in questo tipo di rapporti? Un cerchio ancora più grande è quello della giustizia nella vita politica. Tale giustizia riguarda quanti hanno una responsabilità amministrativa, sociale, politica: amministratori, funzionari di enti privati e pubblici, responsabili di qualche realtà sociale, tutti i politici. Dalle deviazioni drammatiche che emergono in questi mesi, ci accorgiamo come sia importante questo campo della giustizia e come le deviazioni rompano il tessuto della società, quel tessuto base di fiducia sul quale si instaura la capacità di vivere insieme. C’è un quarto cerchio, dove il prossimo sono coloro verso cui ho una responsabilità più remota, perché sono lontani; e però si tratta di una responsabilità reale: i paesi del Terzo mondo, per esempio, rispetto ai quali i paesi del Nord devono fare giustizia. E poi ciascuno di noi, ogni gruppo sociale, ha una responsabilità verso l’ambiente, perché il problema tocca le generazioni presenti, ma anche quelle future, di cui siamo responsabili. Dunque, il campo delle nostre responsabilità è largo: va dai luoghi dove la giustizia è più facilmente determinabile con criteri minuziosi, ai luoghi dove la giustizia ci responsabilizza per gli altri, per l’umanità intera, per il futuro dell’umanità. Conclusione Ricordiamoci sempre che la radice della giustizia è nella creazione voluta da Dio. È lui il garante ultimo di ogni giustizia; è lui che anzitutto fa giustizia a noi devianti, poveri, peccatori; è lui che ci perdona, ci riabilita, ci ama; e, in grazia della sua giustizia salvifica, siamo messi in grado di esprimere anche noi giustizia, bontà, amore, perdono verso tutti gli altri, siamo messi in grado di vivere qualcosa di quella giustizia del Regno che chiediamo ogni giorno nel Padre nostro: “Venga il tuo Regno!”.

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