Carissimi amici e lettori,
ricevo e pubblico le prime ben ponderate considerazioni su Leone XIV, da don Bastiano Del Grillo sacerdote del clero di Roma . A voi tutti buona lettura e condivisione!
Questo periodo è stato segnato dell'evento del conclave, che più di qualsiasi altro evento catalizza l'attenzione sia dei fedeli cattolici che di chi non crede. In questi giorni ne abbiamo sentite tante, da chi osanna questo papa a chi lo inizia subito ad attaccare.
Fino ad ora ho voluto esimermi dal formulare una qualsivoglia analisi, il motivo risiede soprattutto nella volontà di non farmi trascinare dall'emozione e dai sentimenti, ma di avere degli elementi concreti su cui costruire un'opinione più realistica possibile e meno sganciata da aspettative personali vaghe.
Ad oltre 10 giorni dall'elezione del card. Prevost al soglio pontificio, sento di avere quegli elementi sufficienti per formulare una bozza di opinione riguardo a questo pontificato che si sta aprendo, pur sottolineando che al momento tutto può variare e prendere ancora direzioni e pieghe inaspettate, infatti la frase che forse ho pronunciato più volte in questi giorni è: "aspettiamo, vedremo quello che succederà".
Il primo impatto
Appare piuttosto chiaro ed evidente che non ci si può basare sulla prima impressione che il nuovo papa ha dato di se uscendo dalla loggia centrale subito dopo l'"habemus papam", come detto prima, l'emozione non permette di avere un'idea obiettiva, tuttavia alcuni elementi esteriori parlano da soli, pur nella consapevolezza che questi elementi possono dire tutto o nulla. Vedere papa Leone affacciarsi dalla loggia con la mozzetta e la stola pontificale ha certamente ridato agl'occhi di molti fedeli l'impressione di trovarsi davanti ad "un papa", e non semplicemente ad un uomo con una talare bianca come successe con Francesco. Con questo non intendo dire che Francesco non fosse papa, ma se è vero che l'abito non fa il monaco è pur vero che il monaco lo riconosco dall'abito.
Dopo l'esperienza "franceschiana" non era scontato vedere il papa affacciarsi alla loggia con la mozzetta e la stola pontificale, in altre parole diremmo che quello che prima era del tutto normale oggi appare quasi una "rivoluzione" o un "tornare indietro". Per questo motivo ne mi entusiasma vedere il papa affacciarsi nuovamente vestito con mozzetta e stola, ma neanche mi lascia indifferente, semplicemente concludo dicendo a me stesso che Francesco non c'é più e ora c'è Leone. L'aver scelto di affacciarsi alla loggia vestito "da papa" non significa che abbiamo un papa tradizionalista ma nemmeno un progressista di quelli sfrenati.
Le prime parole che il pontefice ha pronunciato hanno colpito soprattutto perché non sono state parole vaghe pronunciate a braccio, gesto mai fatto dai suoi predecessori, il papa infatti ha scelto di scriversi quantomeno una bozza di appunti sulla quale basarsi per salutare i fedeli.
Questo gesto lo ritengo molto significativo, e lasciatemelo dire, anche molto rispettoso nei confronti dei fedeli. Il papa secondo il mio pensiero, non ha voluto lasciarsi prendere e incatenare dall'emozione, ma ha voluto che quel momento fosse come un primo atto di magistero, una sorta di programma sommario di quello che intende fare, ovvero pensare e riflettere su ogni parola del suo ministero, per evitare (a mio modesto parere) qualsivoglia confusione o mala interpretazione delle sue parole, d'altro canto l'esperienza confusionaria provocata dal suo predecessore deve necessariamente essere archiviata se non addirittura rettificata nel profondo. Con questo atto (sempre secondo la mia interpretazione) papa Leone ha voluto dirci "con me non ci sarà spazio all'improvvisazione".
Passando invece al contenuto del suo discorso, il ragionamento si fa più complesso. Il papa ha esordito con le parole di Gesù Cristo dopo la risurrezione: "la pace sia con voi". un saluto molto diverso dal "buonasera" di Bergoglio. Un saluto evangelico ma anche molto programmatico e se vogliamo per nulla scontato. Nel contesto internazionale drammatico che il mondo sta vivendo, l'unico augurio sensato che ci possa essere è quello della pace, ma non una pace qualsiasi, ma quella del Cristo risorto! Tuttavia la pace fra i popoli non è l'unica pace di cui il mondo ha bisogno, appare sempre più chiara l'intenzione emersa durante le congregazioni cardinalizie di realizzare una riappacificazione del tutto necessaria all'interno della Chiesa. Il pontificato di papa Francesco, è innegabile, ha lasciato in eredità una chiesa spaccata, divisa, lacerata al suo interno fra progressisti affamati di novità e tradizionalisti perseguitati come eretici. Appare quindi necessario cercare di ricucire questi strappi e rinsaldare le fratture interne della Chiesa, per poi procedere ad un cammino di verità autentico. Non sappiamo ancora in che direzione il papa vorrà posizionare il timone della barca di Pietro, ma appare chiaro che l'intenzione del collegio cardinalizio sia stato quello di scegliere una figura che plachi gli animi, vedremo se sarà così.
Il pontefice ha più volte ribadito l'importanza della centralità del Cristo-Dio, non solo nel primo discorso dopo l'elezione, ma anche in altri discorsi, primo fra tutti quello nella Messa nella cappella sistina insieme ai cardinali, nella quale ha tracciato delle sommarie linee guida sulle quali impostare il cammino della Chiesa, Linee che sembrano scontate, ma che dopo il pontificato disastroso di Francesco non appaiono più cosi scontate. L'importanza di riconoscere Gesù non solo come vero uomo, ma soprattutto come unico e vero Dio sotto il quale possiamo trovare salvezza, non è per nulla scontato dopo un pontificato distaccato dalla verità soteriologica del Cristo e basato sul sentimentalistico "volemose bbene". Dobbiamo certamente attendere e vedere come questo si realizzerà nel concreto, soprattutto in relazione all'ebraismo e al mondo islamico.
Tornando al discorso dell'elezione, un altro elemento non trascurabile è il richiamo alla costruzione di ponti, ma qui lasciatemi fare una premessa. Purtroppo nell'ultimo pontificato siamo stati abituati a intendere la parola "ponte" con delle accezioni non cattoliche come ad esempio un modo per passare da un'opinione ad un'altra o nell'accezione di "incontro" fine a se stesso. Il termine "ponte" è alla base della parola "pontificato" il papa è per sua natura un "costruttore di ponti", fra Dio e gli uomini. L'uso di questo termine non deve spaventarci perché il papa è chiamato a creare un ponte fra le civiltà cristiane cattoliche e il mondo pagano in cui si trova ad operare. Se non altro dobbiamo augurarci che questo papa abbia bene in mente che i "ponti" che dobbiamo costruire servono per far passare Dio nei cuori di chi è lontano da lui, e non per realizzare "fratellanze" indefinite fondate sul sincretismo religioso o su non si sa bene cosa. Ma date le premesse, e considerando il concetto di missionarietà che emerge dalle sue parole, non sembra che questo papa sia su questa linea "franceschiana". Certo è che il discorso fatto in occasione dei saluti alle rappresentanze di altre religioni presenti il giorno di inizio pontificato lascia l'amaro in bocca. Papa Leone ha ribadito l'intenzione di creare fraternità, di continuare il lavoro di Francesco nel costruire dialoghi di pace ecc. Anche qui dobbiamo attendere, pregare e sperare che pur mantenendo un linguaggio simile a quello del suo predecessore, le intenzioni siano diverse, ribadendo l'assoluta verità della salvezza nel Cristo Uomo-Dio fondamento di ogni vera fratellanza e di ogni pace possibile.
Il richiamo alla sinodalità della Chiesa è un altro punto critico. Senza dubbio il concetto moderno di sinodalità deriva dal Vaticano II, che ha voluto dare seguito al concetto di collegialità voluto dallo stesso concilio. Questo concetto porta in se una sorta di "democratizzazione" della Chiesa che rischia di sminuire, appiattire e soffocare il ruolo di "capo supremo" della Chiesa di cui il papa è investito. Nella Chiesa dei primi secoli, i concili venivano chiamati anche "sinodi", ma alla base c'era sempre in concetto piramidale della Chiesa, nella quale la discussione teologica e spirituale aveva un ruolo fondamentale per la comprensione delle verità di fede. Se è vero che questo papa ha più volte usato il termine "sinodalità", è anche vero che Leone si è più volte dichiarato con il titolo di "vicario di Cristo". I due concetti riletti in relazione fra loro creano un campo ben diverso dal concetto di "sinodalità" inteso da Francesco, che ricordiamolo, non si è mai voluto definire "vicario di Cristo". Se Leone è ben cosciente del suo ruolo di "vicario di Cristo" saprà intendere la sinodalità per quello che dovrebbe essere, ovvero un mezzo consultivo e di ascolto del corpo ecclesiale, ben distante dal ruolo decisionale, democratico e governativo attribuitogli dal suo predecessore. Il richiamo alla frase di sant'Agostino che il papa ha fatto durante il discorso, "con voi sono cristiano, e per voi sono vescovo" fa ben sperare che Leone ha piena coscienza che lui non è semplicemente uno fra tanti, ma è il capo chiamato a governare con l'autorità di Cristo. Sarà così? Anche qui il tempo ci farà scoprire il volto di Leone XIV.
Il "tutti" più volte ripetuto lascia certamente perplessi, in linea teorica non dovrebbe allarmarci più di tanto se lo intendiamo nell'accezione classica e tradizionale. Che la Chiesa sia "cattolica" ovvero universale e rivolta a tutti non è una novità, il problema semmai è che oggi ci hanno abituato ad intendere il termine "tutti" in un'accezione talmente allargata fino al punto di dare, ad esempio all'accoglienza indiscriminata un valore dogmatico. A tal proposito basti pensare a tutto il dibattito sulla traduzione del "pro multis" della S. Messa che arbitrariamente diventa un "per tutti". La Chiesa accoglie tutti certamente, dialoga con tutti, ma non per questo si deve pretendere che tutti ne facciano parte. Resta ovvio che se il messaggio è destinato a tutti, non si può dire lo stesso per la salvezza, che è destinata solo a quei "molti" che accolgono il messaggio di salvezza e si sottomettono alla verità rivelata dal Cristo. Ribadire le verità della fede non significa essere discriminanti o non essere accoglienti, significa indicare a tutti la strada della salvezza, resta a noi la scelta se seguirla o meno. Anche qui vedremo quale sarà il modo e quale sarà il significato che Leone vorrà dare a questo termine.
Un nome un programma?
Il card. Prevost ha voluto chiamarsi "Leone", il che fa pensare ad un infinità di cose. Lui stesso ha detto di essersi ispirato a Leone XIII, un papa che ha scritto delle encicliche importantissime, che ha regnato in un periodo particolare nel quale non gli fu possibile esercitare il così detto "potere temporale". Leone XIII infatti si trovò a guidare la Chiesa nel periodo compreso fra la presa di Roma e i patti lateranensi, quindi di fatto non è mai stato capo di stato ma solo capo della Chiesa come istituzione religiosa. Tuttavia Leone XIII è stato un papa di grande vicinanza ai temi sociali che si condensarono dell'enciclica "Rerum Novarum", ma anche un papa di grande spiritualità. A lui dobbiamo la composizione dell'"Esorcismo Minore" dal quale scaturisce la preghiera a S. Michele che egli stesso ha voluto che si recitasse al termine di ogni S. Messa letta. Sappiamo come questa decisione avvenne a seguito di una famosa visione che il pontefice ebbe al termine della celebrazione della S. Messa. Visione nella quale vedeva la Chiesa attaccata dai demoni dal suo interno.
Alcune coincidenze devono necessariamente essere prese in considerazione e rilette come "segni" dall'alto: Leone XIV è stato eletto l'8 maggio, nel giorno in cui la Chiesa ricorda l'apparizione di S. Michele e la Madonna di Pompei. In un tempo in cui la gente va alla ricerca spasmodica di "messaggi divini" perché trascurare queste coincidenze? Questo papa avrebbe potuto chiamarsi Francesco II, piuttosto che Giovanni Paolo III, ma se il nome scelto identifica un "programma di pontificato" non si può rimanere indifferenti davanti a questa scelta. Anche qui la scelta può significare tanto ma può non dire nulla.
ricevo e pubblico le prime ben ponderate considerazioni su Leone XIV, da don Bastiano Del Grillo sacerdote del clero di Roma . A voi tutti buona lettura e condivisione!
Questo periodo è stato segnato dell'evento del conclave, che più di qualsiasi altro evento catalizza l'attenzione sia dei fedeli cattolici che di chi non crede. In questi giorni ne abbiamo sentite tante, da chi osanna questo papa a chi lo inizia subito ad attaccare.
Fino ad ora ho voluto esimermi dal formulare una qualsivoglia analisi, il motivo risiede soprattutto nella volontà di non farmi trascinare dall'emozione e dai sentimenti, ma di avere degli elementi concreti su cui costruire un'opinione più realistica possibile e meno sganciata da aspettative personali vaghe.
Ad oltre 10 giorni dall'elezione del card. Prevost al soglio pontificio, sento di avere quegli elementi sufficienti per formulare una bozza di opinione riguardo a questo pontificato che si sta aprendo, pur sottolineando che al momento tutto può variare e prendere ancora direzioni e pieghe inaspettate, infatti la frase che forse ho pronunciato più volte in questi giorni è: "aspettiamo, vedremo quello che succederà".
Il primo impatto
Appare piuttosto chiaro ed evidente che non ci si può basare sulla prima impressione che il nuovo papa ha dato di se uscendo dalla loggia centrale subito dopo l'"habemus papam", come detto prima, l'emozione non permette di avere un'idea obiettiva, tuttavia alcuni elementi esteriori parlano da soli, pur nella consapevolezza che questi elementi possono dire tutto o nulla. Vedere papa Leone affacciarsi dalla loggia con la mozzetta e la stola pontificale ha certamente ridato agl'occhi di molti fedeli l'impressione di trovarsi davanti ad "un papa", e non semplicemente ad un uomo con una talare bianca come successe con Francesco. Con questo non intendo dire che Francesco non fosse papa, ma se è vero che l'abito non fa il monaco è pur vero che il monaco lo riconosco dall'abito.
Dopo l'esperienza "franceschiana" non era scontato vedere il papa affacciarsi alla loggia con la mozzetta e la stola pontificale, in altre parole diremmo che quello che prima era del tutto normale oggi appare quasi una "rivoluzione" o un "tornare indietro". Per questo motivo ne mi entusiasma vedere il papa affacciarsi nuovamente vestito con mozzetta e stola, ma neanche mi lascia indifferente, semplicemente concludo dicendo a me stesso che Francesco non c'é più e ora c'è Leone. L'aver scelto di affacciarsi alla loggia vestito "da papa" non significa che abbiamo un papa tradizionalista ma nemmeno un progressista di quelli sfrenati.
Le prime parole che il pontefice ha pronunciato hanno colpito soprattutto perché non sono state parole vaghe pronunciate a braccio, gesto mai fatto dai suoi predecessori, il papa infatti ha scelto di scriversi quantomeno una bozza di appunti sulla quale basarsi per salutare i fedeli.
Questo gesto lo ritengo molto significativo, e lasciatemelo dire, anche molto rispettoso nei confronti dei fedeli. Il papa secondo il mio pensiero, non ha voluto lasciarsi prendere e incatenare dall'emozione, ma ha voluto che quel momento fosse come un primo atto di magistero, una sorta di programma sommario di quello che intende fare, ovvero pensare e riflettere su ogni parola del suo ministero, per evitare (a mio modesto parere) qualsivoglia confusione o mala interpretazione delle sue parole, d'altro canto l'esperienza confusionaria provocata dal suo predecessore deve necessariamente essere archiviata se non addirittura rettificata nel profondo. Con questo atto (sempre secondo la mia interpretazione) papa Leone ha voluto dirci "con me non ci sarà spazio all'improvvisazione".
Passando invece al contenuto del suo discorso, il ragionamento si fa più complesso. Il papa ha esordito con le parole di Gesù Cristo dopo la risurrezione: "la pace sia con voi". un saluto molto diverso dal "buonasera" di Bergoglio. Un saluto evangelico ma anche molto programmatico e se vogliamo per nulla scontato. Nel contesto internazionale drammatico che il mondo sta vivendo, l'unico augurio sensato che ci possa essere è quello della pace, ma non una pace qualsiasi, ma quella del Cristo risorto! Tuttavia la pace fra i popoli non è l'unica pace di cui il mondo ha bisogno, appare sempre più chiara l'intenzione emersa durante le congregazioni cardinalizie di realizzare una riappacificazione del tutto necessaria all'interno della Chiesa. Il pontificato di papa Francesco, è innegabile, ha lasciato in eredità una chiesa spaccata, divisa, lacerata al suo interno fra progressisti affamati di novità e tradizionalisti perseguitati come eretici. Appare quindi necessario cercare di ricucire questi strappi e rinsaldare le fratture interne della Chiesa, per poi procedere ad un cammino di verità autentico. Non sappiamo ancora in che direzione il papa vorrà posizionare il timone della barca di Pietro, ma appare chiaro che l'intenzione del collegio cardinalizio sia stato quello di scegliere una figura che plachi gli animi, vedremo se sarà così.
Il pontefice ha più volte ribadito l'importanza della centralità del Cristo-Dio, non solo nel primo discorso dopo l'elezione, ma anche in altri discorsi, primo fra tutti quello nella Messa nella cappella sistina insieme ai cardinali, nella quale ha tracciato delle sommarie linee guida sulle quali impostare il cammino della Chiesa, Linee che sembrano scontate, ma che dopo il pontificato disastroso di Francesco non appaiono più cosi scontate. L'importanza di riconoscere Gesù non solo come vero uomo, ma soprattutto come unico e vero Dio sotto il quale possiamo trovare salvezza, non è per nulla scontato dopo un pontificato distaccato dalla verità soteriologica del Cristo e basato sul sentimentalistico "volemose bbene". Dobbiamo certamente attendere e vedere come questo si realizzerà nel concreto, soprattutto in relazione all'ebraismo e al mondo islamico.
Tornando al discorso dell'elezione, un altro elemento non trascurabile è il richiamo alla costruzione di ponti, ma qui lasciatemi fare una premessa. Purtroppo nell'ultimo pontificato siamo stati abituati a intendere la parola "ponte" con delle accezioni non cattoliche come ad esempio un modo per passare da un'opinione ad un'altra o nell'accezione di "incontro" fine a se stesso. Il termine "ponte" è alla base della parola "pontificato" il papa è per sua natura un "costruttore di ponti", fra Dio e gli uomini. L'uso di questo termine non deve spaventarci perché il papa è chiamato a creare un ponte fra le civiltà cristiane cattoliche e il mondo pagano in cui si trova ad operare. Se non altro dobbiamo augurarci che questo papa abbia bene in mente che i "ponti" che dobbiamo costruire servono per far passare Dio nei cuori di chi è lontano da lui, e non per realizzare "fratellanze" indefinite fondate sul sincretismo religioso o su non si sa bene cosa. Ma date le premesse, e considerando il concetto di missionarietà che emerge dalle sue parole, non sembra che questo papa sia su questa linea "franceschiana". Certo è che il discorso fatto in occasione dei saluti alle rappresentanze di altre religioni presenti il giorno di inizio pontificato lascia l'amaro in bocca. Papa Leone ha ribadito l'intenzione di creare fraternità, di continuare il lavoro di Francesco nel costruire dialoghi di pace ecc. Anche qui dobbiamo attendere, pregare e sperare che pur mantenendo un linguaggio simile a quello del suo predecessore, le intenzioni siano diverse, ribadendo l'assoluta verità della salvezza nel Cristo Uomo-Dio fondamento di ogni vera fratellanza e di ogni pace possibile.
Il richiamo alla sinodalità della Chiesa è un altro punto critico. Senza dubbio il concetto moderno di sinodalità deriva dal Vaticano II, che ha voluto dare seguito al concetto di collegialità voluto dallo stesso concilio. Questo concetto porta in se una sorta di "democratizzazione" della Chiesa che rischia di sminuire, appiattire e soffocare il ruolo di "capo supremo" della Chiesa di cui il papa è investito. Nella Chiesa dei primi secoli, i concili venivano chiamati anche "sinodi", ma alla base c'era sempre in concetto piramidale della Chiesa, nella quale la discussione teologica e spirituale aveva un ruolo fondamentale per la comprensione delle verità di fede. Se è vero che questo papa ha più volte usato il termine "sinodalità", è anche vero che Leone si è più volte dichiarato con il titolo di "vicario di Cristo". I due concetti riletti in relazione fra loro creano un campo ben diverso dal concetto di "sinodalità" inteso da Francesco, che ricordiamolo, non si è mai voluto definire "vicario di Cristo". Se Leone è ben cosciente del suo ruolo di "vicario di Cristo" saprà intendere la sinodalità per quello che dovrebbe essere, ovvero un mezzo consultivo e di ascolto del corpo ecclesiale, ben distante dal ruolo decisionale, democratico e governativo attribuitogli dal suo predecessore. Il richiamo alla frase di sant'Agostino che il papa ha fatto durante il discorso, "con voi sono cristiano, e per voi sono vescovo" fa ben sperare che Leone ha piena coscienza che lui non è semplicemente uno fra tanti, ma è il capo chiamato a governare con l'autorità di Cristo. Sarà così? Anche qui il tempo ci farà scoprire il volto di Leone XIV.
Il "tutti" più volte ripetuto lascia certamente perplessi, in linea teorica non dovrebbe allarmarci più di tanto se lo intendiamo nell'accezione classica e tradizionale. Che la Chiesa sia "cattolica" ovvero universale e rivolta a tutti non è una novità, il problema semmai è che oggi ci hanno abituato ad intendere il termine "tutti" in un'accezione talmente allargata fino al punto di dare, ad esempio all'accoglienza indiscriminata un valore dogmatico. A tal proposito basti pensare a tutto il dibattito sulla traduzione del "pro multis" della S. Messa che arbitrariamente diventa un "per tutti". La Chiesa accoglie tutti certamente, dialoga con tutti, ma non per questo si deve pretendere che tutti ne facciano parte. Resta ovvio che se il messaggio è destinato a tutti, non si può dire lo stesso per la salvezza, che è destinata solo a quei "molti" che accolgono il messaggio di salvezza e si sottomettono alla verità rivelata dal Cristo. Ribadire le verità della fede non significa essere discriminanti o non essere accoglienti, significa indicare a tutti la strada della salvezza, resta a noi la scelta se seguirla o meno. Anche qui vedremo quale sarà il modo e quale sarà il significato che Leone vorrà dare a questo termine.
Un nome un programma?
Il card. Prevost ha voluto chiamarsi "Leone", il che fa pensare ad un infinità di cose. Lui stesso ha detto di essersi ispirato a Leone XIII, un papa che ha scritto delle encicliche importantissime, che ha regnato in un periodo particolare nel quale non gli fu possibile esercitare il così detto "potere temporale". Leone XIII infatti si trovò a guidare la Chiesa nel periodo compreso fra la presa di Roma e i patti lateranensi, quindi di fatto non è mai stato capo di stato ma solo capo della Chiesa come istituzione religiosa. Tuttavia Leone XIII è stato un papa di grande vicinanza ai temi sociali che si condensarono dell'enciclica "Rerum Novarum", ma anche un papa di grande spiritualità. A lui dobbiamo la composizione dell'"Esorcismo Minore" dal quale scaturisce la preghiera a S. Michele che egli stesso ha voluto che si recitasse al termine di ogni S. Messa letta. Sappiamo come questa decisione avvenne a seguito di una famosa visione che il pontefice ebbe al termine della celebrazione della S. Messa. Visione nella quale vedeva la Chiesa attaccata dai demoni dal suo interno.
Alcune coincidenze devono necessariamente essere prese in considerazione e rilette come "segni" dall'alto: Leone XIV è stato eletto l'8 maggio, nel giorno in cui la Chiesa ricorda l'apparizione di S. Michele e la Madonna di Pompei. In un tempo in cui la gente va alla ricerca spasmodica di "messaggi divini" perché trascurare queste coincidenze? Questo papa avrebbe potuto chiamarsi Francesco II, piuttosto che Giovanni Paolo III, ma se il nome scelto identifica un "programma di pontificato" non si può rimanere indifferenti davanti a questa scelta. Anche qui la scelta può significare tanto ma può non dire nulla.
Liturgia e tradizione
Alcune indiscrezioni ci dicono che papa Prevost sia un grande estimatore della Messa Tridentina, e che il papa l'abbia celebrata più volte in privato. Quanto sia vera questa indiscrezione non lo sappiamo, ma il discorso pronunciato in occasione dell'udienza alle Chiese cattoliche orientali ci fa pensare che il suo approccio alle tradizioni liturgiche antiche sia piuttosto favorevole. Senza entrare troppo nell'analisi del testo in questione, ritengo importante sottolineare come il papa abbia evidenziato la necessità di "sensibilizzare i latini" alla ricchezza delle liturgie orientali, e perché non iniziare a farlo attraverso la conoscenza della liturgia romana antica? Leone ha affermato che "abbiamo bisogno di recuperare il senso del mistero" e perché non iniziare a farlo partendo dalla celebrazione della Messa tridentina?
C'è una frase che più di tutte mi ha colpito, e la riporto per intero:
"[...] quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista."[1]
Questa parte del discorso è incredibilmente applicabile alla liturgia Romana tradizionale, nella quale emerge particolarmente il "primato di Dio, il valore della mistagogia, dell'intercessione incessante, della penitenza, del digiuno del pianto dei propri peccati e dell'intera umanità." Queste tipicità che il papa ritrova nelle liturgie orientali sono tipiche anche nella liturgia tridentina, che purtroppo però ha subito quello che il papa spera che non accada nell'oriente. La Chiesa latina infatti ha annacquato e corrotto la propria tradizione liturgica per seguire una presunta praticità e comodità, spinta soprattutto da uno spirito consumistico e utilitaristico che potremmo identificare nel famigerato "spirito del concilio".
Potrà essere tutto questo un preludio ad un ritorno stabile, duraturo e fortemente motivato alla liturgia tradizionale? E' ancora presto per dirlo, ma di certo ci sono dei buonissimi presupposti perché questo possa avvenire. Dobbiamo solo sperare e pregare!
Considerazioni e conclusioni
Concludendo questo breve esame che nasce da una prima e superficiale analisi delle parole e dei gesti di papa Leone XIV, mi sento di dover dire qualcosa che ritengo molto più importante di quanto detto finora.
In questi giorni ho letto molti articoli su questi primissimi passi di papa Leone, la cosa che spesso mi ha irritato è vedere due atteggiamenti uguali ma opposti; da una parte i progressisti più "avantisti", convinti che questo papa possa mettere da parte l'opera demolitrice di Francesco e frenare le loro smisurate smanie di riforma, oltre che a temere lo spettro del ritorno ad un passato troppo legato ai dogmatismi, e dall'altra quei "tradizionalisti benpensanti da salotto" che che hanno iniziato a lamentarsi di questo papa come un progressista convinto perché parla di sinodalità, di "fratelli tutti" di continuità con il concilio Vaticano II ecc.
Partendo dal presupposto che il tradizionalismo di cui parliamo è una categoria nata dopo il Vaticano II, e che la Tradizione in senso stretto è un concetto nobile legato al concetto stesso di "fede cattolica", personalmente non posso definirmi ne un progressista, ma nemmeno un tradizionalista di quelli legati ad una Chiesa che non esiste più e che non tornerà mai in essere. Se proprio dovessi catalogarmi mi definirei un cattolico legato alla tradizione vera, quella che ha a cuore il bene delle anime, quella tradizione così come intesa da mons. Lefebvre, ovvero quell'insieme di tesori spirituali, liturgici e teologici necessari alla conservazione e alla diffusione della fede cattolica[2]. Chiarito questo concetto di "Tradizione" ritengo di dover dare alla realtà un valore oggettivo. Non è pensabile che un papa arrivi e dall'oggi al domani possa con un colpo di spugna eliminare tutto quello che è stato costruito in bene o in male nell'arco di sessant'anni. Il collegio cardinalizio chiamato ad eleggere oggi il successore di Pietro, e in generale tutto il corpo episcopale della Chiesa di oggi, si è formato nel "mito del concilio" e non si poteva pretendere che da quel cilindro magico della Sistina potesse uscire uno che buttasse all'aria tutto quello su cui questi signori hanno costruito la loro stessa esistenza.
Lasciamo da parte i sogni e proviamo a ragionare ad occhi aperti. Molti di questi uomini vengono dal concilio, lo hanno vissuto, lo hanno plasmato, o quantomeno sono figli di quell'epoca. Gli anni immediatamente successivi al concilio sono per loro come un meraviglioso pavimento cosmatesco creato dalle loro stesse mani, pensare che uno di loro lo smantelli significa come chiedere ad uno di loro di demolire il "luogo" su cui hanno mosso i loro passi fin dai primi anni del loro sacerdozio. Questi uomini non hanno la capacità di vedere in maniera obbiettiva il disastro arrecato alla Chiesa dal concilio, e anche se sono pienamente consapevoli di trovarsi davanti ad un evidente decadimento della Chiesa, non lo attribuiscono affatto a quell'evento a cui sono legati indissolubilmente anche da un aspetto emozionale e sentimentale. Per loro il concilio vaticano II "è la Chiesa".
Se Leone cita papa Francesco, il concilio, la sinodalità e tutte queste cose moderne e moderniste lo fa non solo perché gli e dovuto, ma perché è figlio di quel modo di intendere la Chiesa, la teologia, la spiritualità e il papato. Forse questo è un male, ma è una realtà che a denti stretti dobbiamo accettare.
Un colpo di spugna oggi non porterebbe ad alcun risultato se non quello di creare ulteriori spaccature, confusioni e scismi deleteri per la salute delle anime. Non dimentichiamoci che gli scismi, oltre ai loro attori principali, hanno sempre portato molte anime verso la confusione, l'eresia e addirittura all'apostasia. Pensare oggi ad un papa che agisca con il pugno duro, significa non aver a cuore il bene delle anime meno edotte e dottrinalmente più fragili che frequentano, spesso inconsapevolmente, le nostre parrocchie, e considerando le enormi lacune del popolo santo di Dio in materia di dottrina e di morale, si rischierebbe di consegnarle alla dannazione eterna. E' questo quello che vogliamo?
Certo, papa Leone XIV con molta probabilità non sarà quel tipo di pontefice che correggerà gli errori moderni, ma senza alcun dubbio non sarà nemmeno quel tipo di papa che ridurrà il papato ad una barzelletta come avvenuto sotto il pontificato di Francesco. Tuttavia dobbiamo avere la speranza che questo pontefice si lasci guidare dallo Spirito Santo, e che riceva delle grazie di stato particolari che lo aiutino a fare scelte che possano porre le basi per un ritorno all'ortodossia della fede.
L'unica cosa che è in nostro potere, e ce ne dimentichiamo troppo spesso, è la preghiera in tutte le sue forme, soprattutto quella di supplica e di intercessione. Ci siamo abituati nostro malgrado, a vedere la Chiesa come una realtà umana, ma non scordiamoci che la Chiesa è di Cristo, ed è una realtà soprannaturale. Cadere nello sconforto di non avere un papa come lo vorremmo noi, equivale a mettersi al posto di Dio e dire che Dio ha abbandonato la sua Chiesa, quella Chiesa a cui Cristo stesso ha assicurato che "le porte degli inferi non prevarranno" (Mt. 16,18).
Probabilmente questo papa ci deluderà su molte cose, e forse non serve aspettare molto, ma potrebbe anche stupirci, aprire porte inaspettate, nominare vescovi o capi di dicastero ricchi si capacità evangeliche e di santità, non possiamo ancora saperlo. E' vero che papa Francesco ci ha gettati nello scoraggiamento, nella sfiducia e nell'angoscia, ma non possiamo continuare a vivere nello sconforto, sforziamoci almeno in questa fase iniziale di questo nuovo pontificato di esercitare la virtù di speranza. Supplichiamo Dio Padre perché guidi questo papa nel suo ministero petrino, che lo accompagni passo passo a ricostruire le basi della Chiesa. Invochiamo l'intercessione dei santi perché ci aiutino a sostenere il pontefice in questo compito così grave, difficile ma meraviglioso di restaurazione della Chiesa, e affidiamolo alla nostra Madre Maria Ss.ma Ausiliatrice perché protegga il Leone dalle iene e dai lupi, affinché schiacciando la testa del drago antico, trionfi il suo cuore immacolato.
don Bastiano Del Grillo
Riferimenti:
[1] Discorso ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali. Aula Paolo VI, Mercoledì 14 maggio 2025.
[2] Cfr. Storica dichiarazione di mons. Marcel Lefebvre, 21 novembre 1974
Alcune indiscrezioni ci dicono che papa Prevost sia un grande estimatore della Messa Tridentina, e che il papa l'abbia celebrata più volte in privato. Quanto sia vera questa indiscrezione non lo sappiamo, ma il discorso pronunciato in occasione dell'udienza alle Chiese cattoliche orientali ci fa pensare che il suo approccio alle tradizioni liturgiche antiche sia piuttosto favorevole. Senza entrare troppo nell'analisi del testo in questione, ritengo importante sottolineare come il papa abbia evidenziato la necessità di "sensibilizzare i latini" alla ricchezza delle liturgie orientali, e perché non iniziare a farlo attraverso la conoscenza della liturgia romana antica? Leone ha affermato che "abbiamo bisogno di recuperare il senso del mistero" e perché non iniziare a farlo partendo dalla celebrazione della Messa tridentina?
C'è una frase che più di tutte mi ha colpito, e la riporto per intero:
"[...] quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista."[1]
Questa parte del discorso è incredibilmente applicabile alla liturgia Romana tradizionale, nella quale emerge particolarmente il "primato di Dio, il valore della mistagogia, dell'intercessione incessante, della penitenza, del digiuno del pianto dei propri peccati e dell'intera umanità." Queste tipicità che il papa ritrova nelle liturgie orientali sono tipiche anche nella liturgia tridentina, che purtroppo però ha subito quello che il papa spera che non accada nell'oriente. La Chiesa latina infatti ha annacquato e corrotto la propria tradizione liturgica per seguire una presunta praticità e comodità, spinta soprattutto da uno spirito consumistico e utilitaristico che potremmo identificare nel famigerato "spirito del concilio".
Potrà essere tutto questo un preludio ad un ritorno stabile, duraturo e fortemente motivato alla liturgia tradizionale? E' ancora presto per dirlo, ma di certo ci sono dei buonissimi presupposti perché questo possa avvenire. Dobbiamo solo sperare e pregare!
Considerazioni e conclusioni
Concludendo questo breve esame che nasce da una prima e superficiale analisi delle parole e dei gesti di papa Leone XIV, mi sento di dover dire qualcosa che ritengo molto più importante di quanto detto finora.
In questi giorni ho letto molti articoli su questi primissimi passi di papa Leone, la cosa che spesso mi ha irritato è vedere due atteggiamenti uguali ma opposti; da una parte i progressisti più "avantisti", convinti che questo papa possa mettere da parte l'opera demolitrice di Francesco e frenare le loro smisurate smanie di riforma, oltre che a temere lo spettro del ritorno ad un passato troppo legato ai dogmatismi, e dall'altra quei "tradizionalisti benpensanti da salotto" che che hanno iniziato a lamentarsi di questo papa come un progressista convinto perché parla di sinodalità, di "fratelli tutti" di continuità con il concilio Vaticano II ecc.
Partendo dal presupposto che il tradizionalismo di cui parliamo è una categoria nata dopo il Vaticano II, e che la Tradizione in senso stretto è un concetto nobile legato al concetto stesso di "fede cattolica", personalmente non posso definirmi ne un progressista, ma nemmeno un tradizionalista di quelli legati ad una Chiesa che non esiste più e che non tornerà mai in essere. Se proprio dovessi catalogarmi mi definirei un cattolico legato alla tradizione vera, quella che ha a cuore il bene delle anime, quella tradizione così come intesa da mons. Lefebvre, ovvero quell'insieme di tesori spirituali, liturgici e teologici necessari alla conservazione e alla diffusione della fede cattolica[2]. Chiarito questo concetto di "Tradizione" ritengo di dover dare alla realtà un valore oggettivo. Non è pensabile che un papa arrivi e dall'oggi al domani possa con un colpo di spugna eliminare tutto quello che è stato costruito in bene o in male nell'arco di sessant'anni. Il collegio cardinalizio chiamato ad eleggere oggi il successore di Pietro, e in generale tutto il corpo episcopale della Chiesa di oggi, si è formato nel "mito del concilio" e non si poteva pretendere che da quel cilindro magico della Sistina potesse uscire uno che buttasse all'aria tutto quello su cui questi signori hanno costruito la loro stessa esistenza.
Lasciamo da parte i sogni e proviamo a ragionare ad occhi aperti. Molti di questi uomini vengono dal concilio, lo hanno vissuto, lo hanno plasmato, o quantomeno sono figli di quell'epoca. Gli anni immediatamente successivi al concilio sono per loro come un meraviglioso pavimento cosmatesco creato dalle loro stesse mani, pensare che uno di loro lo smantelli significa come chiedere ad uno di loro di demolire il "luogo" su cui hanno mosso i loro passi fin dai primi anni del loro sacerdozio. Questi uomini non hanno la capacità di vedere in maniera obbiettiva il disastro arrecato alla Chiesa dal concilio, e anche se sono pienamente consapevoli di trovarsi davanti ad un evidente decadimento della Chiesa, non lo attribuiscono affatto a quell'evento a cui sono legati indissolubilmente anche da un aspetto emozionale e sentimentale. Per loro il concilio vaticano II "è la Chiesa".
Se Leone cita papa Francesco, il concilio, la sinodalità e tutte queste cose moderne e moderniste lo fa non solo perché gli e dovuto, ma perché è figlio di quel modo di intendere la Chiesa, la teologia, la spiritualità e il papato. Forse questo è un male, ma è una realtà che a denti stretti dobbiamo accettare.
Un colpo di spugna oggi non porterebbe ad alcun risultato se non quello di creare ulteriori spaccature, confusioni e scismi deleteri per la salute delle anime. Non dimentichiamoci che gli scismi, oltre ai loro attori principali, hanno sempre portato molte anime verso la confusione, l'eresia e addirittura all'apostasia. Pensare oggi ad un papa che agisca con il pugno duro, significa non aver a cuore il bene delle anime meno edotte e dottrinalmente più fragili che frequentano, spesso inconsapevolmente, le nostre parrocchie, e considerando le enormi lacune del popolo santo di Dio in materia di dottrina e di morale, si rischierebbe di consegnarle alla dannazione eterna. E' questo quello che vogliamo?
Certo, papa Leone XIV con molta probabilità non sarà quel tipo di pontefice che correggerà gli errori moderni, ma senza alcun dubbio non sarà nemmeno quel tipo di papa che ridurrà il papato ad una barzelletta come avvenuto sotto il pontificato di Francesco. Tuttavia dobbiamo avere la speranza che questo pontefice si lasci guidare dallo Spirito Santo, e che riceva delle grazie di stato particolari che lo aiutino a fare scelte che possano porre le basi per un ritorno all'ortodossia della fede.
L'unica cosa che è in nostro potere, e ce ne dimentichiamo troppo spesso, è la preghiera in tutte le sue forme, soprattutto quella di supplica e di intercessione. Ci siamo abituati nostro malgrado, a vedere la Chiesa come una realtà umana, ma non scordiamoci che la Chiesa è di Cristo, ed è una realtà soprannaturale. Cadere nello sconforto di non avere un papa come lo vorremmo noi, equivale a mettersi al posto di Dio e dire che Dio ha abbandonato la sua Chiesa, quella Chiesa a cui Cristo stesso ha assicurato che "le porte degli inferi non prevarranno" (Mt. 16,18).
Probabilmente questo papa ci deluderà su molte cose, e forse non serve aspettare molto, ma potrebbe anche stupirci, aprire porte inaspettate, nominare vescovi o capi di dicastero ricchi si capacità evangeliche e di santità, non possiamo ancora saperlo. E' vero che papa Francesco ci ha gettati nello scoraggiamento, nella sfiducia e nell'angoscia, ma non possiamo continuare a vivere nello sconforto, sforziamoci almeno in questa fase iniziale di questo nuovo pontificato di esercitare la virtù di speranza. Supplichiamo Dio Padre perché guidi questo papa nel suo ministero petrino, che lo accompagni passo passo a ricostruire le basi della Chiesa. Invochiamo l'intercessione dei santi perché ci aiutino a sostenere il pontefice in questo compito così grave, difficile ma meraviglioso di restaurazione della Chiesa, e affidiamolo alla nostra Madre Maria Ss.ma Ausiliatrice perché protegga il Leone dalle iene e dai lupi, affinché schiacciando la testa del drago antico, trionfi il suo cuore immacolato.
don Bastiano Del Grillo
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[1] Discorso ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali. Aula Paolo VI, Mercoledì 14 maggio 2025.
[2] Cfr. Storica dichiarazione di mons. Marcel Lefebvre, 21 novembre 1974
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