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Rupnik e soci occupano un convento di suore nella diocesi di Sabina Poggio-Mirteto. Regia del card. De Donatis


Carissimi amici e lettori,

mi sarei volentieri astenuta a commentare e a scrivere sulla vicenda Rupnk, ex-membro della Compagnia di Gesù, che con le sue malefatte a gettato scandalo nella Chiesa di Cristo, godendo della protezione del Pontefice e di alti prelati, come quello del cardinale Angelo De Donatis, ex Vicario di sua Santità per la città di Roma. Mai nella Chiesa si era visto una delle più losche storie di questa che ne danno un degno epilogo del declinante pontificato. Nella diocesi di Sabina-Poggio Mirteto, guidata da S.ecc. mons. Ernesto Mandara, grazie anche alla sua incapacità di governo, l’ex vicario del Papa per Roma si è costruito un comodo appartamento, sta diventando il nuovo quartier generale degli ex gesuiti del Centro Aletti. Con relativa cacciata delle suore Oblate regolari Benedettine di Priscilla che lì risiedono. Buona lettura e condivisione.


«Le suore sono uscite, non c’è nessuno, io sono qui di passaggio e non posso far entrare», una voce femminile risponde al citofono. «Ma non si può visitare almeno la chiesa e l’esterno? Dicono che sia bellissimo», chiediamo. «No, non c’è nessuno». «Ma sappiamo che ci sono dei sacerdoti…». Silenzio, poi la comunicazione si chiude. È giovedì 27 febbraio, siamo davanti al cancello del convento delle Suore benedettine di Priscilla, a Montefiolo, nel comune di Casperia, un piccolo borgo tra le colline della Sabina, in provincia di Rieti.

Siamo arrivati fin qui perché ci è stata segnalata la presenza da diverse settimane di don Marko Ivan Rupnik, l’ex-gesuita cacciato dall’Ordine e accusato di gravi abusi a sfondo sessuale nei confronti di donne e consacrate. Non solo, con lui ci sono altri ex gesuiti del Centro Aletti che, fino allo scoppio dello scandalo, era il quartier generale di Rupnik e dei suoi adepti.

Montefiolo è un picco dove l’unica costruzione è appunto l’antico e maestoso convento che fu in origine dei Frati Cappuccini e che, dopo essere caduto in uno stato miserevole, nel 1935 venne acquistato e risistemato da mons. Giulio Belvederi. L’allora segretario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana aprì il monastero ad un gruppo di donne desiderose di vivere la vita religiosa e che nel 1936 si costituiranno come Oblate regolari Benedettine di Priscilla, entrando poi nella Confederazione benedettina. Ma ora, con un’oscura trama, sta passando nelle mani di un gruppetto di ex gesuiti, favoriti dalla posizione del convento che, circondato da un alto muro di cinta e da un bosco che lo separa dalla strada principale, ne fa un’ottima residenza per chi vuole vivere nella segretezza.

Respinti dalla voce femminile che dice di «essere di passaggio», non ci rassegniamo e restiamo per un po’ in attesa intorno all’ingresso. E dopo qualche minuto, dal convento dove «non c’è nessuno» esce un fuori strada con alla guida un uomo: si ferma, chiediamo qualcosa e ovviamente anche lui non sa nulla; ma poco dopo, vedendo il cancello aperto ecco che appare un altro uomo: questa volta si presenta, «sono un prete, mi chiamo Milan». Ed è proprio don Milan Žust, che per anni è stato superiore di padre Rupnik nella comunità dei gesuiti del Centro Aletti, e dal 2018 al 2021 socio del Delegato del Superiore Generale per le case e opere interprovinciali di Roma, quel P. Johan Verschueren che fece scorrazzare ovunque Rupnik, nonostante fosse già stato colpito dalla famosa “scomunica lampo”, e nonostante le voci di altri abusi fossero già note. È la conferma di quanto ci aveva riferito una nostra fonte.

Fingiamo ovviamente di essere turisti interessati alla chiesa e al convento, ma don Milan resta comunque sospettoso e sfuggente davanti a domande più precise: dice di essere lì da due settimane e che non possiamo entrare perché ci sono lavori di ristrutturazione e poi le suore si stanno trasferendo.
In effetti, le poche suore rimaste stanno facendo le valige per trasferirsi nella loro casa di San Felice Circeo e, a quanto ci è stato riferito, il convento rimarrà in mano a questo gruppetto di ex gesuiti che, nel frattempo hanno invaso l’area delle suore, mangiando da qualche tempo con loro, nel loro refettorio, e dettando legge.

La domanda sorge spontanea: come mai qui? E soprattutto come mai si stabilisce qui, a un’oretta di auto da Roma, Rupnik che, dopo le dimissioni dall’ordine dei gesuiti si è incardinato nella diocesi slovena di Capodistria? Anche don Milan ci dice di essere un prete diocesano, ma non di questa diocesi che è Sabina-Poggio Mirteto.

In realtà il convento di Montefiolo era residenza già nota e frequentata da quelli del Centro Aletti, che, in un’ampia ala dell’enorme costruzione, chiamata “Casa della Risurrezione”, vi organizzavano corsi di esercizi spirituali. Ma – e qui viene il bello – a manovrare, nemmeno troppo dietro le quinte, l’avvicendamento è stato il cardinale Angelo De Donatis, ex-Vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma e ora Penitenziere Maggiore. Non è un segreto che il Cardinale sia il grande protettore di Rupnik e che, in illo tempore, abbia liquidato come calunnie le numerose e circostanziate accuse che emergevano ai danni dell’ex-gesuita sloveno e sia arrivato persino ad emanare una ridicola nota che lodava l’irreprensibile realtà del Centro Aletti, mentre le vittime di Rupnik chiedevano verità e giustizia.

De Donatis è di casa a Montefiolo, dove si è costruito una dimora a due piani dentro la proprietà delle monache («un bellissimo appartamento», ci dice in paese chi l’ha visto), recuperando e sistemando una struttura che le suore utilizzavano per parcheggiare i loro mezzi, sul declivio che guarda a valle, verso il Monte Soratte. E poi, nella vicina località di Poggio Catino, il cardinale possiede anche un ex-agriturismo con piscina, nel quale sembra abbia fatto alloggiare Rupnik & C., in attesa di inserirli a Montefiolo.

Lì, nella chiesa del convento, pare ci sia il finimondo. «Una casa protetta dalle Belle Arti, la stanno completamente stravolgendo. C’è la chiesa, che ha anche un accesso esterno, che stanno pitturando a più non posso. E poi, nella parte antica del monastero, un antico romitorio dove ha vissuto come eremita San Felice da Cantalice: stanno facendo dipinti anche lì», ci spiega un informatore. Che continua: «Per anni non si è potuto fare niente, perché servivano permessi; ora, in poco tempo, hanno eretto un muro dove erano i due scalini che portavano all'altare e lo hanno affrescato».

Le povere suore non sembrano passarsela bene, sono praticamente ostaggio del cardinale De Donatis e del gruppo di Rupnik, ed è impedito loro di aprire il convento a estranei. Cercando altre informazioni nel paese di Casperia, veniamo a sapere che in effetti le suore, una volta molto presenti in paese e note anche per la qualità dei loro ricami, da un bel po’ di tempo sono sparite e non se ne sa più nulla. Otteniamo anche il numero di telefono personale di una di loro e ci suggeriscono di provare a chiedere di acquistare il miele che vendono, come stratagemma per entrare nel convento. Proviamo: «Non è possibile - ci risponde la suora con un tono impaurito - non vogliono che apriamo». «Non vogliono? Chi non vuole? - incalziamo noi, a questo punto giocando a carte scoperte -. Il cardinale De Donatis? Don Rupnik?» La suora a questo punto è terrorizzata: «Non so nulla, ora devo andare a messa». Click.

Si comprende bene la paura, perché ci risulta che il cardinale, non sappiamo a che titolo, abbia in mano la gestione economica dell’Istituto religioso. Infatti, ci dicono che anche la sistemazione della proprietà a San Felice Circeo, ai piedi del Colle del Morrone, donata alle suore dal Cav. Carlo Selbmann, passi dalle mani del cardinale. Insomma, per le suore, non si muove foglia che De Donatis non voglia.

Morale della favola, il cardinale è il regista della nuova sistemazione di Rupnik e del gruppetto che ha lasciato la Compagnia di Gesù in una proprietà che non è sua, ma nella quale egli si è fatto un’abitazione e che gestisce come fosse sua. Non potendo incardinare egli stesso Rupnik nella diocesi di Roma, decisamente troppo sotto i riflettori dopo lo scandalo mediatico, si è cercato e trovato in mons. Jurij Bizjak (dal 1° febbraio scorso sostituito con Peter Štumpf) un vescovo disposto ad un’incardinazione puramente formale, per poi lasciare libero Rupnik di formare una nuova comunità e continuare le sue attività artistiche. De Donatis non ha avuto nulla in contrario nel mettere Rupnik, dopo tutto quello che è emerso, nuovamente a contatto diretto con delle religiose.

Non è difficile capire che le suore hanno dovuto accettare la situazione, volens nolens, trovandosi evidentemente sotto scacco, dal momento che De Donatis ha in mano l’amministrazione dei loro beni mobili e immobili. E sfidare l’ira del cardinale (sì, ci risultano anche scintille tra le suore e De Donatis) potrebbe tradursi anche in incomodi che suore ormai anziane, alcune delle quali in sedia a rotelle, non sono in grado di affrontare.

Abbiamo cercato di contattare direttamente il cardinale De Donatis, ma finora alla nostra mail non ha risposto. Così come ha evitato accuratamente di risponderci il vescovo di Sabina-Poggio Mirteto, mons. Ernesto Mandara, nella cui diocesi sta avvenendo il nuovo abuso a danno di suore. La signora Daniela, che il 27 febbraio al telefono si è qualificata come sua segretaria personale, ci ha negato l’accesso al vescovo perché «non si occupa del convento di Montefiolo»; il giorno successivo un altro addetto alla segreteria ci ha detto che era intenzione del vescovo richiamarci, cosa che però non è mai avvenuta.

Abusi, trame, omertà: lo scandalo Rupnik si arricchisce di un nuovo capitolo, con la complicità di vescovi e cardinali, mentre il processo a suo carico rimane fermo.

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