Carissimi amici e lettori,
La principale caratteristica di Monsignor Lefebvre è la romanità, vale a dire la sintesi delle quattro note della Chiesa (Una, Santa, Cattolica ed Apostolica); essa è (o dovrebbe essere) la caratteristica di ogni cattolico. Monsignor Lefebvre la incarnò anche e, forse, soprattutto quando si trovò in urto con le Autorità romane.
Il 25 marzo del 2025 saranno già trascorsi 34 anni della scomparsa di mons. Lefebvre. Con queste righe intendiamo dargli un piccolo omaggio, vorremmo ricordarlo evidenziare innanzitutto quella nota caratteristica della sua eredità morale che sembra essere la più paradossale: la sua romanità. Come è possibile definire «profondamente romano» un prelato che è entrato in aperta e pubblica collisione con le autorità romane, fino al punto da essere sanzionato dalle medesime? Per rispondere è necessario innanzitutto riflettere su che cosa sia la romanità, nel senso teologico, più pieno e compiuto del termine. La romanità non è una parola vuota che esprime una scelta basata su criteri estetici o romantici. La romanità non è nemmeno un semplice sentimento di attaccamento alla Città Eterna e alla sede di Pietro, basato su una simpatia o su una semplice eredità culturale.
La romanità è in realtà la sintesi delle quattro note che contraddistinguono inequivocabilmente l’unica e vera Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo, che per definizione è Una, Santa, Cattolica, Apostolica e, quindi, Romana. Nel definirla anche “Romana”, non si intende far altro che riassumere in una sola parola ciò che le quattro note classiche contenute nel Credo esprimono. Sì, la sposa bellissima che Cristo si è scelta, quella sposa che non ha ruga né macchia né alcunché di simile, è Romana e parla latino, perché è innanzitutto a Roma che si è “incarnata” nel mondo e a partire da Roma si è irradiata ovunque e la sua lingua è la lingua di Roma: è innanzitutto in questa città che il Vangelo ha rifulso «et quae eras magistra erroris, facta es discipula veritatis» . È infatti il papato romano che, fedele al mandato ricevuto da Nostro Signore, ha garantito nel corso dei secoli l’unità della Chiesa e ne ha custodito diligentemente tutti quei tesori che ne fanno la sua ricchezza spirituale e soprannaturale. È la serie ininterrotta dei Pontefici Romani che ha custodito fedelmente quel deposito il cui valore è inestimabile e che si chiama Tradizione: è il loro Magistero costante che ha custodito la Tradizione perenne ed è impossibile restare cattolici senza aderire a questo Magistero e questa Tradizione che esso ha custodito.
Il Concilio stesso è incominciato con una “rottura” antiromana, con un colpo di spugna su tutto ciò che era stato preparato dalle commissioni romane, quale sintesi del magistero costante e della teologia di sempre.
La dottrina sulla collegialità, più di ogni altro elemento, ha contribuito a distruggere e a paralizzare l’autorità del pontefice romano, trasformando il governo della Chiesa in una sorta di parlamento in cui i vescovi riuniti danno l’impressione di essere gli unici arbitri di quella “nuova” chiesa che non preferisce più definirsi “romana” ma “conciliare”.
(fonte La Tradizione Cattolica)
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