Passa ai contenuti principali

Aniversário del dies natalis di mons. Marcel François Lefebvre



Carissimi amici e lettori,
La principale caratteristica di Monsignor Lefebvre è la romanità, vale a dire la sintesi delle quattro note della Chiesa (Una, Santa, Cattolica ed Apostolica); essa è (o dovrebbe essere) la caratteristica di ogni cattolico. Monsignor Lefebvre la incarnò anche e, forse, soprattutto quando si trovò in urto con le Autorità romane.

Il 25 marzo del 2025 saranno già trascorsi 34 anni della scomparsa di mons. Lefebvre. Con queste righe intendiamo dargli un piccolo omaggio, vorremmo ricordarlo evidenziare innanzitutto quella nota caratteristica della sua eredità morale che sembra essere la più paradossale: la sua romanità. Come è possibile definire «profondamente romano» un prelato che è entrato in aperta e pubblica collisione con le autorità romane, fino al punto da essere sanzionato dalle medesime? Per rispondere è necessario innanzitutto riflettere su che cosa sia la romanità, nel senso teologico, più pieno e compiuto del termine. La romanità non è una parola vuota che esprime una scelta basata su criteri estetici o romantici. La romanità non è nemmeno un semplice sentimento di attaccamento alla Città Eterna e alla sede di Pietro, basato su una simpatia o su una semplice eredità culturale.

La romanità è in realtà la sintesi delle quattro note che contraddistinguono inequivocabilmente l’unica e vera Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo, che per definizione è Una, Santa, Cattolica, Apostolica e, quindi, Romana. Nel definirla anche “Romana”, non si intende far altro che riassumere in una sola parola ciò che le quattro note classiche contenute nel Credo esprimono. Sì, la sposa bellissima che Cristo si è scelta, quella sposa che non ha ruga né macchia né alcunché di simile, è Romana e parla latino, perché è innanzitutto a Roma che si è “incarnata” nel mondo e a partire da Roma si è irradiata ovunque e la sua lingua è la lingua di Roma: è innanzitutto in questa città che il Vangelo ha rifulso «et quae eras magistra erroris, facta es discipula veritatis» . È infatti il papato romano che, fedele al mandato ricevuto da Nostro Signore, ha garantito nel corso dei secoli l’unità della Chiesa e ne ha custodito diligentemente tutti quei tesori che ne fanno la sua ricchezza spirituale e soprannaturale. È la serie ininterrotta dei Pontefici Romani che ha custodito fedelmente quel deposito il cui valore è inestimabile e che si chiama Tradizione: è il loro Magistero costante che ha custodito la Tradizione perenne ed è impossibile restare cattolici senza aderire a questo Magistero e questa Tradizione che esso ha custodito.

È proprio in relazione a questo ruolo irrinunciabile e insostituibile che il Magistero trova tutta la sua grandezza e la sua stessa ragion d’essere. Pertanto è giocoforza che ogni errore, ogni scisma, ogni eresia, ogni ribellione siano sempre e necessariamente accompagnati da un disprezzo, aperto o malcelato, per la romanità della Chiesa. Purtroppo nemmeno gli errori che sono alla base della crisi terribile che la Chiesa attraversa oggi sfuggono a questa legge universale: non è un segreto per nessuno il disprezzo per la Tradizione e per il passato che hanno animato pressoché tutte le riforme che dal Concilio a oggi hanno contribuito a trasformare il volto della Chiesa: disprezzo della liturgia romana, della teologia tradizionale e romana, del latino, della curia romana e dello stesso papato. 
Il Concilio stesso è incominciato con una “rottura” antiromana, con un colpo di spugna su tutto ciò che era stato preparato dalle commissioni romane, quale sintesi del magistero costante e della teologia di sempre. 
La dottrina sulla collegialità, più di ogni altro elemento, ha contribuito a distruggere e a paralizzare l’autorità del pontefice romano, trasformando il governo della Chiesa in una sorta di parlamento in cui i vescovi riuniti danno l’impressione di essere gli unici arbitri di quella “nuova” chiesa che non preferisce più definirsi “romana” ma “conciliare”.

Con queste premesse la reazione di mons. Lefebvre alle deviazioni conciliari e postconciliari non poteva che essere profondamente romana, guidata dalla luce intramontabile della Roma eterna e del magistero costante, fedele a tutti i papi in tutto ciò che hanno in comune e che hanno trasmesso dall’età apostolica fino ai giorni nostri, garantita nella sua ortodossia non da un concetto personale di Tradizione, ma dall’irrinunciabile Tradizione perenne che tale magistero ha custodito. Vorremmo concludere citando lo stesso mons. Lefebvre che così si esprime nell’ultima pagina del suo testamento spirituale: «Non si può negare che il fatto incontestabile dell’influenza romana sulla nostra spiritualità, sulla nostra liturgia e anche sulla nostra teologia sia un fatto provvidenziale: Dio, che guida ogni cosa, nella Sua Saggezza infinita ha preparato Roma a diventare la sede di Pietro e il centro di irradiamento del Vangelo […]. La “romanità” non è una parola vana. La lingua latina ne è un esempio importante. Essa ha portato l’espressione della fede e del culto cattolico fino ai confini del mondo. E i popoli convertiti erano fieri di cantare la loro fede in questa lingua, simbolo reale dell’unità della fede cattolica… Amiamo esaminare come le vie della Provvidenza e della Sapienza divina passano per Roma e ne concluderemo che non si può essere cattolici senza essere romani […]. Spetta anche a noi custodire la Tradizione romana voluta da Nostro Signore, così come Egli ha voluto che avessimo Maria per Madre»

(fonte La Tradizione Cattolica)

Commenti

Post popolari in questo blog

LA PREGHIERA CONSEGNATA DALLA MADONNA STESSA (REGINA DEGLI ANGELI) PER INVIARE GLI ANGELI A SCONFIGGERE I DEMONI

Nel 1864, in Francia, la Madonna apparve a un prete e gli insegnò una potente preghiera per combattere e sconfiggere i poteri dell’inferno. Il 13 gennaio 1864, il beato padre Luis-Eduardo Cestac fu improvvisamente colpito da un raggio di luce divina. Vide dei demoni sparsi per tutta la terra, causando un’immensa confusione. Allo stesso tempo, ha avuto una visione della Vergine Maria. La Madonna le ha rivelato che in effetti il ​​potere dei demoni era stato scatenato in tutto il mondo e che più che mai era necessario pregare la Regina degli Angeli e chiederle di inviare le legioni dei santi angeli per combattere e sconfiggere poteri dell’inferno. “Madre mia”, disse il prete, “sei così gentile, perché non mandi questi angeli per te senza che nessuno te lo chieda?” “No”, rispose la Beata Vergine, “la preghiera è una condizione stabilita da Dio stesso per ottenere questa grazia”. “Allora, santissima Madre”, disse il prete, “insegnami come vuoi che ti venga chiesto!” Fu allora che il Beato ...

Francesco decapita la diocesi di Roma, promuovendo per rimuovere. Via il suo vicario De Donatis e il suo “nemico”, l’ausilario Libanori

I due vescovi litigarono sul destino del gesuita Rupnik, accusato di violenza sessuale da 5 suore Papa Francesco ha deciso a modo suo di risolvere la lunga disputa fra il suo vicario a Roma, cardinale Angelo De Donatis e il gesuita Daniele Libanori, vescovo ausiliare della capitale: li ha sollevati entrambi dall’incarico ricoperto promuovendoli ad altro incarico. Come spiegato dal bollettino della sala stampa vaticana di sabato 6 aprile, il cardinale De Donatis è stato nominato nuovo penitenziere maggiore del Vaticano in sostituzione del cardinale Mauro Piacenza dimissionato qualche mese in anticipo (compirà 80 anni a fine estate). Libanori è stato invece nominato assessore personale del Papa per la vita consacrata, incarico creato ad hoc perché non è mai esistito: dovrà occuparsi di tutti gli istituti di vita consacrata. Con il suo vicario le incomprensioni iniziarono con la pandemia Era da tempo che il Papa aveva fatto trapelare l’intenzione di sostituire De Donatis, che lui stesso a...

Perché disobbedire – anche al Papa – può essere un dovere

Carissimi amici e lettori, La vera fedeltà e obbedienza non implicano un rinnegamento della nostra personalità, del nostro pensiero e della nostra volontà!Nell' ottobre 2022 il vescovo Athanasius Schneider ha gentilmente fornito a LifeSite un'analisi (vedi testo completo sotto) in cui discute la natura e i limiti dell'obbedienza al Papa buona lettura ( link originale ) “L’obbedienza”, dice, “non è cieca o incondizionata, ma ha dei limiti. Quando c’è un peccato, mortale o di altro tipo, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di disobbedire”. Il Papa, essendo il vicario di Cristo, è tenuto a servire la verità cattolica e a non alterarla. Pertanto, “si deve sicuramente obbedire al Papa, quando propone infallibilmente la verità di Cristo, [e] quando parla ex cathedra, cosa molto rara. Dobbiamo obbedire al Papa quando ci ordina di obbedire alle leggi e ai comandamenti di Dio [e] quando prende decisioni amministrative e giurisdizionali (nomine, indulgenze, ecc.)”. Tutta...