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L’immortale Atanasio: faro per la Chiesa di oggi



Carissimi amici e lettori,
vi propongo la lettura della vita e delle tribolazioni, che Sant'Atanasio patì in difesa della fede cattolica articolo apparso sulla rivista: la tradizione cattolica.
di don Lorenzo Biselx

Atanasio, in greco, vuole dire “immortale”. Un nome del tutto appropriato per questo splendido araldo della fede cattolica. Questo grande figlio dell’Egitto cristiano appare come l’uomo suscitato dalla divina Provvidenza per fronteggiare l’arianesimo, la più terribile delle eresie antiche. Già all’epoca, san Basilio salutava in lui «il medico inviato da Dio per guarire le ferite della società cristiana». San Gregorio di Nazianzo lo chiamava «colonna della Chiesa, padre dell’Ortodossia». Di fronte ad un’eresia che negava la divinità di Cristo, Atanasio fu l’alfiere della dottrina tradizionale. Fu un intelligente e chiaro espositore del dogma cristologico: un vero Dottore della Chiesa che commentò con amore il dogma e l’attestò in base alle due fonti della Rivelazione: la Scrittura santa e la sacra Tradizione.

Presenza di Ario

Sono ormai trascorsi diciassette secoli dallo scatenamento dell’eresia ariana. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti soltanto di una vecchia tematica sprovvista d’importanza nel nostro mondo odierno. Non è così semplice. Qualche anno fa, Jean Madiran, nel suo libro Présence d’Arius, dimostrava l’attualità di questa problematica. Ho personalmente incontrato cinque anni fa, tra due treni, un pastore protestante professore di teologia. Mi diceva che aveva dato le dimissioni dal suo posto di docente universitario perché doveva lottare con dei colleghi pastori che non credevano più alla divinità di Gesù Cristo. Purtroppo, in questo baratro postconciliare, costatiamo che anche molti cattolici sono divenuti più o meno ariani. Mancanza di formazione? Certo. Ma c’è anche l’influsso perseverante del modernismo, nemico dei misteri soprannaturali. È ovvio che il Vaticano II non ha negato la divinità di Gesù. Però il Concilio, con la sua nuova dottrina della libertà religiosa e l’abbandono della Regalità sociale di Cristo, ha minato alcuni baluardi dottrinali intrinsecamente collegati alla “Torre” centrale che è il dogma della divinità di Gesù. Se Gesù è Dio, non posso scegliere liberamente la religione che preferisco nel “supermercato” religioso. Se Gesù è Dio, quando gli dico «adveniat regnum tuum» (venga il tuo regno), non posso fare nessuna restrizione. Devo pensare: venga il tuo regno sulla mia persona, sulla mia famiglia, sulla mia impresa, sul mondo intero. Anche la politica, gli stati e i loro governanti devono riconoscere la sua sapientissima regalità che scaturisce dal mistero dell’Uomo-Dio.

Atanasio il Grande: una vita

Di conseguenza, studiando la vita di sant’Atanasio, troviamo un esempio bellissimo per il nostro attuale combattimento dottrinale e spirituale. Questo studio è anche un arricchimento per la nostra cultura cattolica: Atanasio è senza dubbio una delle figure più straordinarie della storia della Chiesa. Sappiamo che Atanasio è nato verso il 295 in Egitto nella metropoli di Alessandria dove ricevette una solida formazione. Il suo vescovo, Alessandro, lo ordinò diacono nel 319 e lo assunse come segretario. L’eresia di Ario Era il momento giusto perché nasceva in Egitto, proprio in quel momento, un nuovo drago: un’eresia estremamente pericolosa. Il suo creatore era un prete libico che esercitava il suo apostolato in Egitto. Si chiamava Ario. Aveva studiato ad Antiochia alla scuola del famoso Luciano. Nelle sue prediche, Ario negava la divinità di Gesù. Fermiamoci un attimo per riassumere la sua teoria: secondo lui, il Figlio di Dio, il Logos, è la prima delle creature di Dio; come le altre creature, il Logos è stato tratto dal nulla. Ci fu quindi un tempo in cui il Figlio di Dio non esisteva. In modo soltanto improprio, si può dargli il titolo di Dio poiché Dio l’ha adottato in previsione dei suoi meriti. Questo Logos occupa un posto intermedio tra il mondo e Dio che l’ha creato per farne lo strumento della creazione. Lo Spirito santo è ancora “meno dio” se possiamo dire: è la prima creatura del Logos. Questa teoria ereticale appare come la fogna di almeno tre fiumi avvelenati. Il primo è il subordinazianismo di Luciano. Ario lo spinge all’estremo, fino ad un’aperta negazione della divinità del Figlio. Il secondo è lo gnosticismo che, per evitare ogni “contatto” tra Dio e la materia (vista come cattiva) inventa una serie di “eoni” e un “demiurgo” creatore. La terza è una tendenza molto radicata nell’orgoglio umano, che potremmo chiamare razionalista: davanti al mistero che umilia la ragione umana, c’è spesso una reazione di rigetto. La ragione rifiuta di accettare qualcosa che sorpassa le sue capacità. E il mistero è appunto questo: una verità talmente luminosa, abbagliante, che la ragione umana non riesca a capirla. Così la talpa, abituata ai suoi sotterranei, non riesce a guardare il sole. Fu già, come lo ricorda san Giovanni nel capitolo sesto del suo Vangelo, l’atteggiamento di parecchi discepoli che abbandonarono Gesù quando presentò loro il mistero dell’Eucaristia. Possiamo dire che l’eresia d’Ario liquidava il mistero della santissima Trinità, il mistero di un solo Dio in tre persone uguali e distinte. Distruggeva anche il mistero dell’Incarnazione: per lui, le parole del Vangelo «il Verbo si è fatto carne» non significavano l’unione misteriosa delle due nature, la divina e l’umana, nell’unica Persona del Figlio eterno. Significavano soltanto che il Verbo, il Logos, adempiva nell’uomo Gesù la funzione dell’anima. La Redenzione era anche lei ridotta al niente perché il sacrificio di una creatura, fosse la più eccellente, non poteva realmente riscattare l’umanità.

Atanasio e il concilio di Nicea 

Aiutato dal suo giovane segretario Atanasio, il vescovo Alessandro cercò di riportare all’ovile della fede Ario e i suoi complici d’eresia. Davanti al loro rifiuto ostinato, Alessandro convocò un sinodo egiziano ad Alessandria. Insieme con gli altri vescovi, condannò Ario e i suoi seguaci. Ario si ribellò e si studiò di trovare alleati tra i suoi vecchi amici di Antiochia. Parecchi erano diventati vescovi. Il più influente di loro, Eusebio di Nicomedia, gli concesse tutto il suo appoggio. Così, il fuoco dell’eresia si propagò con potenza nell’Oriente. Allarmato, l’imperatore Costantino decise di intervenire per impedire un ulteriore estendersi dell’eresia e dei disordini. Convocò un concilio universale a Nicea nel 325. In quella sede, l’arianesimo fu condannato e la fede nella divinità di Gesù solennemente proclamata. Ogni domenica abbiamo la gioia di cantare queste immortali parole del Simbolo niceno: «E (io credo) in un solo Signore, Gesù Cristo, Figliuolo unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, lume da lume, vero Dio da vero Dio; che fu generato e non fatto, ed è consustanziale al Padre; per mezzo del quale tutte le cose furono fatte». Il primo concilio ecumenico (cioè universale) consacrava una parola tecnica, molto precisa, per dire che il Padre e il Figlio sono un solo Dio (ovviamente con lo Spirito santo): homoousios to Patri che il latino traduce con la parola consubstantialem Patri. Questo termine homoousios, come trinitas, transsubstantiatio, o altri del genere, sono parole che la Chiesa, illuminata dallo Spirito santo, ha create per esprimere adeguatamente e proteggere efficacemente la fede. L’homoousios sarà di fatti rifiutato non solo dagli ariani puri ma anche dai semi-ariani. Non siamo sorpresi di vedere i neo-modernisti del XX secolo fare una smorfia davanti a questo termine che, nella traduzione francese del Credo, per esempio, è stato sostituito da un ambiguo «de même nature que le Père», fortemente criticato all’epoca da Maritain e Gilson. La nuova versione (2020) del messale di Paolo VI rimetterà il “consubstantiel”. Ogni errore corretto è un piccolo segno che il modernismo può bensì avere vinto molte battaglie... ma alla fine perderà la guerra. La lotta dopo il concilio Nelle deliberazioni di Nicea, Atanasio svolse un ruolo di primo piano. L’eresia sembrava ormai vinta. Dopo la chiusura del concilio, Atanasio ritornò ad Alessandria con il suo vescovo. Morto questo dopo tre anni, Atanasio divenne il suo successore e cercò con zelo di applicare i decreti antiariani di Nicea. Però il diavolo non tardò a rialzare il capo. Oltre i partigiani di Ario sempre ribelli, c’era anche in Egitto una potente comunità nata dallo scisma del vescovo Melezio. Le due fazioni fecero causa comune sotto l’alta protezione del vescovo Eusebio di Nicomedia che si fece il loro avvocato presso l’imperatore Costantino. Atanasio fu attaccato con argomenti “canonici” per cercare di dimostrare l’invalidità della sua elezione. Per oscurare alla corte la fama d’Atanasio, i suoi nemici lo accusarono di comportamento violento e di esercizio despotico del potere episcopale. Atanasio respinse le accuse, ma invano, nel sinodo di Tiro, nel 335. Fu deposto e il suo viaggio a Costantinopoli, dove poté comparire davanti all’imperatore, non servì a nulla. Costantino era troppo influenzato da Eusebio di Nicomedia che (secondo la sua versione) lo battezzerà in punto di morte. Atanasio fu mandato in esilio a Treviri. Qualche tempo dopo, Costantino decise addirittura di richiamare Ario... che fu colto dalla morte poco prima di questa non meritata riabilitazione. La morte di Costantino nel 337 permise in fine il ritorno d’Atanasio nella sua diocesi. Atanasio condannato dai sinodi Ma i suoi nemici non disarmavano affatto. Su istigazione di Eusebio deposero una seconda volta Atanasio in un sinodo riunito ad Antiochia nel 339. Al suo posto, insidiarono con la forza Gregorio di Cappadocia. Atanasio fuggì a Roma dove trovò sicuro appoggio presso il Papa Giulio I che, avendo riunito un sinodo, lo discolpò totalmente. Nella capitale della cristianità, frequentò circoli di ascetici fedeli che affascinava con i suoi racconti sul fiorente monachesimo del deserto egiziano. Poté ritornare nella sua cara Alessandria in ottobre 346, dopo la morte dell’usurpatore Gregorio. Quattro anni dopo, Costanzo, nemico d’Atanasio, diventava l’unico imperatore dell’Occidente e dell’Oriente.

Il papato nella tempesta

Fu un periodo estremamente oscuro. La Chiesa attraversava un’eclissi terribile. “Il mondo, gemendo, scrisse san Girolamo, stupì nel trovarsi ariano”. In quell’ora di tenebre, Atanasio provò il dolore più acuto della sua vita: la condanna papale. Secondo alcune fonti, Liberio, spossato dalle sofferenze del esilio, avrebbe firmato una dichiarazione (la formula detta di “Sirmio I”) che, senza essere eterodossa, evitava appositamente di utilizzare la parola-chiave nicena “homoousios” (consustanziale). Più gravemente, e ciò in quattro lettere (Denzinger, Enchiridion Symbolorum, numeri 138; 141-143), papa Liberio affermava che Atanasio non era più in comunione con lui. Un eminente specialista dell’arianesimo, il professore Manlio Simonetti, scrive, a proposito di queste lettere di cui l’autenticità fu talvolta messa in dubbio nel passato: «[…] ormai tutti sono convinti che esse effettivamente furono scritte dal vescovo romano e non sono da considerare un falso: reputo perciò inutile accennare alla questione, che fu sollevata per motivi di carattere apologetico e non scientifico» (La Crisi ariana nel IV secolo, Roma, 1975, p. 235). La caduta, temporanea, di Liberio fu certo una macchia nella storia gloriosa del papato, ma può anche “consolare” i nostri cuori afflitti da tanti fatti e parole dei papi postconciliari. Sappiamo che il Vicario di Cristo partecipa all’infallibilità di Gesù, però solo in alcuni casi precisi, come ce l’insegna il Concilio Vaticano I. Siccome Dio non permette il male che per un bene superiore, forse una delle conseguenze positive dei tempi bui odierni sarà una più chiara conoscenza dell’aspetto... umano del papato. Un aspetto troppo dimenticato da tante persone come i cosiddetti sedevacantisti che pretendono risolvere i problemi della crisi attuale... con l’eliminazione pratica del papato. Mi fanno pensare a questi medici che guariscono i malati... con l’eutanasia.

Il ritorno di Atanasio

Alla morte di Costanzo, la situazione cambiò bruscamente: l’usurpatore Giorgio fu assassinato e il nuovo imperatore, Giuliano l’Apostata, decise di richiamare i vescovi esiliati. Come Costanzo era piuttosto semi-ariano, in esilio c’erano vescovi delle due tendenze opposte: niceni e ariani estremi. Giuliano, nel suo machiavellismo, li richiamava tutti per seminare la discordia nel campo cristiano. Comunque, Atanasio tornò ad Alessandria il 22 febbraio 362. Subito cominciò a riportare all’ovile ariani e semi-ariani. Organizzò un sinodo ad Alessandria per dissipare i malintesi. Si sforzò di spiegare bene la formula homoousios che alcuni rifiutavano perché la capivano male: invece della consustanzialità (unica sostanza, natura divina) ci vedevano la “con-personalità” (unica persona). Quindi la rigettavano come una negazione della trinità delle persone. Questo ministero di buon pastore spiacque profondamente a Giuliano che aveva tutt’altri scopi. Cacciò quindi Atanasio come «perturbatore della pace e nemico degli dèi». Questo quarto esilio non durò a lungo perché il superbo Giuliano morì tragicamente l’anno seguente (363). Gli ultimi anni di sant’Atanasio Atanasio tornò, ma fu ancora esiliato una quinta ed ultima volta sotto Valente che favoriva il partito ariano. Tuttavia ci fu un tale malcontento nel popolo cattolico d’Alessandria che, spaventato, l’imperatore permise al santo vescovo di ritornare il 1° febbraio 366. Atanasio visse poi in pace i sette ultimi anni della sua eroica vita e morì il 2 maggio 373. Campione dell’ortodossia contro il drago ariano, Atanasio fu anche uno scrittore instancabile. Ci lascia un prezioso retaggio soprattutto di opere dogmatiche, ma anche esegetiche e pastorali. Tra queste ultime ci piace ricordare la Vita di sant’Antonio che è il più importante documento della prima epoca monacale. Atanasio ci dà la biografia del padre del monachesimo che aveva conosciuto personalmente. Antonio aveva una volta, alla domanda di Atanasio, lasciato il suo caro deserto per venire ad attaccare pubblicamente l’eresia ad Alessandria. La Vita scritta da Atanasio ebbe un’immensa importanza nella diffusione dell’ideale monastico e contribuì fortemente alla sua introduzione in Occidente. Il grande Agostino testimonia, nelle Confessioni, che questo libretto esercitò una grande influenza sulla sua conversione e su altre vocazioni religiose. Un esempio fulgido per i nostri tempi
Quando il padre degli eremiti, san Paolo, arrivò a 113 anni, capì che la morte era molto vicina. Chiamò l’amico sant’Antonio. Scambiarono celesti discorsi, con tante preghiere, durante una buona parte della notte. Dopo, Paolo gli chiese d’involgere semplicemente il suo corpo, dopo la sua morte, nella sua veste “di lusso”: il manto che sant’Atanasio gli aveva regalato. Così fece Antonio. Poiché non aveva nessun arnese, la fossa fu scavata da due leoni mandati miracolosamente da Dio. Questa ultima volontà del vecchio Paolo, leone della vita eremitica, eseguita dal leone della vita monastica, è un bell’insegnamento per noi. Il loro gesto è un ultimo omaggio d’amicizia soprannaturale verso il leone della fede, il grande Atanasio che ha salvato la pura fede nella divinità di Cristo. Paolo vuole morire nel manto d’Atanasio per ricordarci che dobbiamo tutti fare la stessa cosa: dobbiamo stare tutta la vita involti nel manto della santa fede cattolica. La fede ci protegge contro il freddo mortale del neo-arianesimo moderno e di ogni errore. Col manto della fede di Atanasio, portato in vita e in morte, possiamo meritare la tunica raggiante di luce della vita eterna.

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