di d.M.Proietti
Esattamente 138 anni fa, Papa Leone XIII scriveva una lettera che ancora oggi parla alla coscienza della Chiesa. Nel silenzio dei palazzi e nel rumore delle piazze, quella voce profetica non si è spenta. Forse oggi, con Leone XIV, la Provvidenza ci sta dicendo che è giunta l’ora di ascoltarla davvero.
Oggi è il 15 giugno. Esattamente come oggi, nel 1887, Papa Leone XIII scriveva una lettera al suo Segretario di Stato, il cardinale Rampolla. Una di quelle lettere che sembrano fatte per il momento presente più che per il proprio tempo. Non un’enciclica formale, non un documento destinato a tutti i popoli, ma un testo dal tono personale e solenne, nato dalla preghiera e dal discernimento. Eppure, se la si legge oggi, ha la forza di uno squillo profetico. Sembra scritta per noi, per questo tempo disordinato, inquieto, per questa Chiesa ferita e chiamata a ritrovare coraggio.
Già l’inizio tradisce la profondità dell’animo: “Quamvis animi nostri consilia diu multumque reputaverimus coram Deo”. Anche noi, davanti a certe scelte e a certe parole, dovremmo ritrovare questa capacità: pensare “a lungo e davanti a Dio”. Non lasciarci guidare dalla fretta, né dal calcolo, né dall’opportunismo. In quella lettera, Leone XIII parla della grave condizione in cui si trovava la Sede Apostolica, privata della sua libertà, spogliata della sua sovranità, assediata nel cuore stesso della sua missione. Ma il tono non è di lamentela: è lucido, sapiente, spirituale. È il tono di chi non vuole salvare i privilegi, ma custodire l’essenziale.
In un passaggio centrale, che oggi dovremmo rileggere come un monito, scriveva: “Se si considera che la guerra mossa al Principato civile dei Papi fu opera sempre dei nemici della Chiesa, e in quest’ultimo tempo opera principale delle sette, che, coll’abbattere il dominio temporale, intesero spianarsi la via ad assalire e combattere lo stesso spirituale potere dei Pontefici…”. Questo non è semplicemente un giudizio storico. È una chiave interpretativa. Quelle “sette”, che oggi potremmo chiamare anche con altri nomi: ideologie, sistemi, poteri, correnti culturali, non hanno cessato di agire. Hanno solo cambiato linguaggio. Hanno tolto la spada e hanno preso in mano la tastiera, il microfono, la legge, il pensiero dominante. Ma l’obiettivo è lo stesso: togliere alla Chiesa la libertà di essere se stessa. E non con la persecuzione diretta, ma con la neutralizzazione lenta. Non gridando contro, ma svuotando da dentro.
Per questo, la lettera di Leone XIII resta attuale. Non perché rimpianga un passato, ma perché ci ricorda che la Chiesa deve rimanere libera per poter essere vera. E se oggi si trova spesso stanca, silenziosa, esitante, è anche perché, in parte, quelle “sette” hanno raggiunto il loro scopo. Non hanno distrutto la fede, ma l’hanno resa irrilevante. Non hanno tolto la voce al Papa, ma hanno creato un mondo dove quella voce rischia di non essere più ascoltata. Perché ogni parola forte viene subito accusata di chiusura. Ogni verità proclamata è vista come un'offesa. E così si preferisce tacere, mediare, sfumare, adattarsi.
In questo scenario, la Provvidenza non resta in silenzio. E oggi ci sorprende con un dettaglio che ha il sapore del disegno divino: il Papa che guida oggi la Chiesa si chiama Leone XIV. E non è forzato vedere un legame. Ma non il legame che alcuni hanno subito cercato, sul piano sociale, come se si trattasse solo di riprendere una dottrina o uno stile. Il legame vero è più profondo: è il compito profetico che ricade sulle sue spalle. Non quello di trattare con i governi, ma di risvegliare le coscienze. Non di riproporre una dottrina già detta, ma di gridarla con nuovo ardore, in un mondo che ha dimenticato di averne bisogno.
Oggi, come allora, la Chiesa è tentata di sentirsi sola e schiacciata. Ma oggi, come allora, può riscoprire la sua forza solo tornando alla sua identità. E se Leone XIII ha saputo denunciare la radice del male con coraggio, Leone XIV è chiamato a liberare la Chiesa dalle sue conseguenze: la paura, l’ambiguità, la confusione, l’infedeltà spirituale. La battaglia di oggi non è per riconquistare territori, ma per riconsegnare alla Chiesa la sua voce. Una voce che nasce dalla croce, non dal consenso. Una voce che non cerca di piacere, ma di salvare.
Oggi, 15 giugno, è un giorno in cui la Provvidenza ci parla. Parla con la memoria di una lettera dimenticata, e con la realtà di un Papa chiamato a riaccendere il fuoco che brucia sotto le ceneri. Nulla è per caso. E forse la storia sta dicendo qualcosa a chi sa ascoltare. Sta dicendo che la gloria di Colui che tutto muove, come scriveva Dante, non si ferma davanti ai calcoli degli uomini. E che la Chiesa potrà ancora alzarsi, se saprà riconoscere i profeti che Dio le manda. Anche quando sembrano troppo esigenti. Anche quando chiamano le cose con il loro nome.
Perché la profezia non è il contrario della carità, ma la sua forma più alta. E Leone XIV, come il suo predecessore, potrebbe essere stato chiamato non per accontentare i tempi, ma per prepararci all’eternità.

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