Cerchiamo in queste righe di sintetizzare il rapporto dei Pontefici moderni, da Paolo VI in poi, con il rito tradizionale della Messa, a partire dal momento della promulgazione del “nuovo messale” nel 1970. Per semplificare, in molti casi parleremo “per apparenze”, pur sapendo e avendo molte volte spiegato come il messale nuovo non possa dirsi rito della Chiesa, ed essendo le sanzioni contro Mons. Lefebvre del tutto invalide. Protestiamo fin dall’inizio che non esiste altro messale lecito, legittimo e legale nella Chiesa di rito romano che il messale detto tridentino, espressione della Fede di sempre e della Tradizione. Ogni altra espressione che in questo articolo sembrasse contra- stare con questa affermazione, sarà semplicemente usata nel senso delle apparenze o del modo di vedere dei modernisti, onde narrare in modo più breve le vicende in questione.
1970-1984 Il nuovo messale della nuova chiesa
Nel 1970 entrava in vigore il messale di Paolo VI, e immediatamente ogni celebrazione con il messale tridentino sembrava assolutamente abrogata. Sebbene sottili disquisizioni canoniche abbiamo fin d’allora messo in luce le problematiche legali (oltre alle palesi deviazioni dottrinali) del messale riformato, sacerdoti e laici vissero l’arrivo del nuovo rito come l’abrogazione del vecchio, né si può dire
che Paolo VI sembrasse pensarla diversamente. Il 14 giugno 1971 la Congregazione per il Culto Divino emetteva una nota che precisava chiaramente che, una volta approvate le traduzioni del nuovo messale dalle varie conferenze episcopali, si sarebbe stabilito un giorno dal quale tutti, compresi quelli che usavano ancora la lingua latina, avrebbero dovuto utilizzare «soltanto la forma rinnovata della Messa e della Liturgia delle Ore». Non si parlava certo di una forma alternativa, o “straordinaria”. Nello stesso documento, l’uso del messale o del breviario del 1962 (con le riforme successive fino al 1967) era concesso solo ai sacerdoti avanzati di età o malati, che non potevano imparare il nuovo rito, unicamente in privato e con il permesso dell’Ordinario. Come dire che il vecchio rito era permesso solo fino ad estinzione di tali soggetti, e comunque mai in pubblico. Molti ricordano anche che un’altra eccezione fu concessa: il cosiddetto indulto “di Agatha Christie” (5 novembre 1971), per cui in seguito ad una petizione firmata anche dalla famosa giallista, Paolo VI permise, in Inghilterra ed in Galles, l’uso del Messale del 1965/67 in «speciali occasioni e per certi gruppi di fedeli», a giudizio degli Ordinari. L’applicazione di un tale indulto fu, a nostra conoscenza, estremamente limitata. Certamente ci fu chi perseverò nella fedeltà al Messale con cui era stato ordinato: non è qui il momento di fare la storia dei valorosi che resistettero al messale equivoco di Bugnini e Paolo VI, da Mons. Lefebvre ai tanti preti di ogni dove che non celebrarono mai il nuovo rito. A volte perseguitati, a volte tollerati dalle autorità per evitare disordini, a volte puniti, tutti i sacerdoti fedeli presero una posizione apparentemente “contra legem”. Nello stesso tempo, e almeno fino al 1988, gli unici sacerdoti ordinati per celebrare la Messa tradizionale erano quelli di Mons. Lefebvre. Nel resto della Chiesa, nessun vescovo ordinava preti che (a qualsiasi condizione) celebrassero o imparassero il vecchio rito, per il quale vigeva totale ostracismo. Contro Mons. Lefebvre (e- splicitamente citato) e chi agiva come lui prese posizione Paolo VI nel celebre concistoro del 24 maggio 1976: «L’adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno». Tali parole, al di là del loro effettivo valore, non lasciano spazio ad equivoci: la mens effettiva del Papa era l’estinzione del vecchio Messale e la sua sostituzione con il nuovo, stabilendo un parallelo con l’atto promulgatore di san Pio V stesso. Per Paolo VI, come per tutti allora, una cosa era chiara: rifiutare il nuovo messale era rifiutare le dottrine del Concilio, legarsi alla Messa tradizionale era negare la nuova linea ecclesiale. Nello stesso discorso, Paolo VI invita i fedeli che si sentono legati alle passate forme di culto (per un «attaccamento sentimentale») a ritrovare «il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessarie, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità». Parole e idee non dissimili, lo si riconoscerà, da quelle usate da Papa Bergoglio nel suo motu proprio Traditionis custodes e nella lettera che lo accompagna. Come in tale recente documento, anche Paolo VI non dimentica poi di condannare gli abusi liturgici “a sinistra”, ponendo il Pontefice in mezzo a due apparenti estremi.
1970-1984 Il nuovo messale della nuova chiesa
Nel 1970 entrava in vigore il messale di Paolo VI, e immediatamente ogni celebrazione con il messale tridentino sembrava assolutamente abrogata. Sebbene sottili disquisizioni canoniche abbiamo fin d’allora messo in luce le problematiche legali (oltre alle palesi deviazioni dottrinali) del messale riformato, sacerdoti e laici vissero l’arrivo del nuovo rito come l’abrogazione del vecchio, né si può dire
che Paolo VI sembrasse pensarla diversamente. Il 14 giugno 1971 la Congregazione per il Culto Divino emetteva una nota che precisava chiaramente che, una volta approvate le traduzioni del nuovo messale dalle varie conferenze episcopali, si sarebbe stabilito un giorno dal quale tutti, compresi quelli che usavano ancora la lingua latina, avrebbero dovuto utilizzare «soltanto la forma rinnovata della Messa e della Liturgia delle Ore». Non si parlava certo di una forma alternativa, o “straordinaria”. Nello stesso documento, l’uso del messale o del breviario del 1962 (con le riforme successive fino al 1967) era concesso solo ai sacerdoti avanzati di età o malati, che non potevano imparare il nuovo rito, unicamente in privato e con il permesso dell’Ordinario. Come dire che il vecchio rito era permesso solo fino ad estinzione di tali soggetti, e comunque mai in pubblico. Molti ricordano anche che un’altra eccezione fu concessa: il cosiddetto indulto “di Agatha Christie” (5 novembre 1971), per cui in seguito ad una petizione firmata anche dalla famosa giallista, Paolo VI permise, in Inghilterra ed in Galles, l’uso del Messale del 1965/67 in «speciali occasioni e per certi gruppi di fedeli», a giudizio degli Ordinari. L’applicazione di un tale indulto fu, a nostra conoscenza, estremamente limitata. Certamente ci fu chi perseverò nella fedeltà al Messale con cui era stato ordinato: non è qui il momento di fare la storia dei valorosi che resistettero al messale equivoco di Bugnini e Paolo VI, da Mons. Lefebvre ai tanti preti di ogni dove che non celebrarono mai il nuovo rito. A volte perseguitati, a volte tollerati dalle autorità per evitare disordini, a volte puniti, tutti i sacerdoti fedeli presero una posizione apparentemente “contra legem”. Nello stesso tempo, e almeno fino al 1988, gli unici sacerdoti ordinati per celebrare la Messa tradizionale erano quelli di Mons. Lefebvre. Nel resto della Chiesa, nessun vescovo ordinava preti che (a qualsiasi condizione) celebrassero o imparassero il vecchio rito, per il quale vigeva totale ostracismo. Contro Mons. Lefebvre (e- splicitamente citato) e chi agiva come lui prese posizione Paolo VI nel celebre concistoro del 24 maggio 1976: «L’adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno». Tali parole, al di là del loro effettivo valore, non lasciano spazio ad equivoci: la mens effettiva del Papa era l’estinzione del vecchio Messale e la sua sostituzione con il nuovo, stabilendo un parallelo con l’atto promulgatore di san Pio V stesso. Per Paolo VI, come per tutti allora, una cosa era chiara: rifiutare il nuovo messale era rifiutare le dottrine del Concilio, legarsi alla Messa tradizionale era negare la nuova linea ecclesiale. Nello stesso discorso, Paolo VI invita i fedeli che si sentono legati alle passate forme di culto (per un «attaccamento sentimentale») a ritrovare «il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessarie, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità». Parole e idee non dissimili, lo si riconoscerà, da quelle usate da Papa Bergoglio nel suo motu proprio Traditionis custodes e nella lettera che lo accompagna. Come in tale recente documento, anche Paolo VI non dimentica poi di condannare gli abusi liturgici “a sinistra”, ponendo il Pontefice in mezzo a due apparenti estremi.
In sintesi in questo periodo
Nessuna Messa tridentina pubblica può considerarsi “legale” (le virgolette sono d’obbligo). Quelle private sono ammesse fino ad estinzione dei sacer- doti più anziani. l I sacerdoti che continuano a celebrare pubblicamente sono generalmente perseguitati, raramente tollerati, mai approvati. La loro fedeltà al rito tradizionale equivale, anche agli occhi delle autorità, a una condanna della nuova messa e del nuovo corso. Solo Mons. Lefebvre e pochi altri hanno continuato a formare ed ordinare preti per il rito (e la dottrina) tradizionale, in aperta opposizione al Concilio e alla nuova messa, essendo “sanzionato” con una “sospensione a divinis” nel 1976.
1984-1988 La Messa come bandiera o l’indulto
Prendendo atto della mancata estinzione del rito tradizionale, anzi vedendone il successo persistente e il netto collegamento con l’opposizione al Concilio, la Santa Sede decide di fare un passo che al tempo stesso accontenti i sostenitori del rito tradizionale e li allontani dall'opposizione al nuovo sistema di credenze. Viene così emanato da Giovanni Paolo II il cosiddetto “indulto”, con la famosa lettera Quattuor abhinc annos del 3 ottobre 1984, mandata dalla Congregazione del Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali sotto il titolo De usu Missalis Romani juxta editionem typicam anni MCMLXII. Il testo si inserisce nel quadro di un’inchiesta iniziata quattro anni prima dalla Congregazione per volontà di Giovanni Paolo II sull’applicazione e la ricezione del Messale di Paolo VI, e circa renisus forte superandos, cioè sulle eventuali resistenze da superare. I risultati di tale consulto (pubblicati su Notitiae n.185 del dic. 1981), ha cura di informarci la lettera, sono stati consolanti: «quasi in tutto il mondo è sembrato risolto il problema di quei sacerdoti e fedeli che erano rimasti attaccati al rito tridentino». Quindi, prima nota, l’epistola dichiara la necessità dell’applicazione del Messale di Paolo VI, e considera l’attaccamento al rito tridentino un “problema” (sic). Poiché dunque, osserva l’epistola, qua e là «il problema perdura» il Santo Padre, che desidera assecondare tali gruppi (di sacerdoti e fedeli), concede un indulto per la celebrazione della Messa secondo il Messale del 1962, che i Vescovi avranno facoltà di applicare a tali sacerdoti e fedeli (ben precisati e delimitati) che vorranno farne richiesta.Notiamo che un indulto è un’eccezione, un permesso di far eccezione ad una legge generale, concesso in questo caso a condizioni ben precise, enumerate nella lettera. Innanzitutto doveva essere anche pubblicamente chiaro («sine ambiguitate etiam publice constet») che sacerdoti e fedeli beneficiari dell’indulto non avevano nulla a che spartire (il famoso nullam partem) con coloro che mettono in dubbio “la forza legale” e la “rettitudine dottrinale” del Messale di Paolo VI. Tutte le altre condizioni trattano di circostanze di tempo e luogo che rivelano bene la mens del “legislatore”: essenzialmente si poteva celebrare solo in chiese precise, determinate dal Vescovo, nei tempi e nelle condizioni da lui decisi, escluse le parrocchie (tranne casi straordinari);non si dovevano mischiare vecchio e nuovo rito. La lettera si concludeva poi notando la benevolenza del Santo Padre verso tutti i suoi figli,precisando che tale concessione non doveva assolutamente pregiudicare «l’osservanza della riforma liturgica nella vita di ciascuna Comunità ecclesiale». Questo primo indulto porta già in sé tutte le linee guida per capire in che senso vada intesa la “vigenza” del vecchio rito in contemporanea con il nuovo: seppure i termini potranno cambiare leggermente fino a Traditionis custodes, vedremo che per i Papi post-conciliari il rito tradizionale esiste unicamente come eccezione straordinaria al nuovo, che è il rito normale, ordinario di tutta la Chiesa, e a condizione di non mettere in discussione questo punto. Cioè sì al rito tradizionale, ma solo se non si associa al rifiuto del nuovo, a un’ecclesiologia superata. Nell’indulto tale condizione era esplicitamente richiesta a chiunque facesse richiesta al vescovo, al punto che l’assistenza stessa a tali messe “concesse” non poteva non significare l’adesione almeno esterna a tali principi. Fu per questa ragione che Mons.Lefebvre rifiutò tale“concessione”,non corrispondente ai principi di associazione del rito alla fede che egli portava avanti. È interessante notare che, come racconta lo stesso Mons. Lefebvre, nell’udienza che il Papa polacco gli concesse nel novembre 1979, e nella quale egli chiedeva di poter continuare la Messa tradizionale, l’allora Prefetto della Dottrina della Fede, Card. Seper, aveva messo in guardia il Pontefice (che sembrava benevolo verso l’antica liturgia): «Mais, Très Saint Père, ils font de cette Messe un drapeau!». Il Cardinalea veva ben chiaro che la Messa tridentina era, fino a quel momento, l’insegna di una ben più vasta e chiara opposizione al concilio e al modernismo, e come tale non poteva assolutamente essere permessa. Con le condizioni imposte esplicitamente dall’indulto, si voleva togliere alla Messa questa qualità di “bandiera”. Sebbene la significazione dei gesti della Messa tradizionale non fosse cambiata, e rimanesse per forza di cose opposta a quella del rito nuovo, il richiedente doveva ufficialmente negarla nell’atto stesso di domandare la possibilità di celebrare. La situazione dunque fino al 1988 appare la seguente: l Sono introdotte delle Messe tridentine “legali”, a giudizio dei vescovi, in luoghi e tempi ben determinati, e solo a condizione dell’accettazione, da parte di celebranti e fedeli, della bontà e legittimità della messa di Paolo VI. La Fraternità San Pio X e alcuni altre istituzioni religiose alcune a essa legate altri indipendenti (monasteri, etc.), oltre a diversi preti nel mondo,rifiutano tali condizioni e continuano a celebrare solo la Messa tridentina in quanto rifiutano la nuova. Solo Mons. Lefebvre e Mons. De Castro Mayer a Campos formano ed ordinano preti che continueranno a celebrare la Messa tradizionale, rifiutando la nuova.
1988-2007 Ecclesia Dei adflicta
Il 30 giugno 1988 Mons. Lefebvre ordina ad Ecȏne quattro vescovi, in ragione gravissima necessità in cui versa la Chiesa, e da cui non si vede uscita: è infatti impossibile (allora come oggi) essere ordinati preti secondo le vie legali ordinarie se non accettando almeno esternamente la nuova messa ed il Concilio con tutti i suoi errori ed eresie. A un tale male occorre rispondere prendendo i mezzi eccezionali che il diritto divino e quello ecclesiastico per le situazioni eccezionali mettono a disposizione, e quindi l’Arcivescovo francese procede a tali consacrazioni episcopali. L’allora Pontefice Giovanni Paolo II, non riconoscendo un tale stato di necessità (proprio perché ne era egli stesso la causa, lui che due anni prima aveva permesso e voluto ad Assisi l’adorazione di tutti i falsi dèi, nel silenzio o nella complicità di tutto l’episcopato mondiale), dichiara che Mons. Lefebvre è incorso nella scomunica con il motu proprio Ecclesia Dei adflicta. Tale motu proprio conferma le disposizioni dell’indulto, invitando i vescovi ad applicarlo più generosamente, e permette in più (per sottrarre preti e fedeli a Mons. Lefebvre) la creazione di istituti sacerdotali che avranno l’uso della liturgia tridentina, ma alle condizioni consuete di accettazione del Concilio etc. Nasce così la Fraternità San Pietro, e sotto tale regime si installano alcuni monasteri e diverse fondazioni negli anni successivi (Istituto di Cristo Re etc.). La Pontificia Commissione Ecclesia Dei viene fondata per amministrare da Roma queste questioni. Per capire la mens di tali disposizioni, vale la pena citare una profetica risposta di Mons. Perl, allora Segretario della citata Commissione Ecclesia Dei, datata 18 novembre 1993 (Prot. N. 109/92). Il prelato, richiesto di un parere sulla commistione tra vecchio e nuovo calendario, rispondeva ufficialmente quanto segue: «nella Messa celebrata secondo il Messale del 1962 si usa normalmente il calendario proprio di questo messale. Però essendo l’Indulto una concessione che non è destinata a durare sempre, (il rito romano infatti, non può avere per sempre due forme!), tutto ciò che potrebbe contribuire ad avvicinare le due forme del rito romano, è da favorire. Quindi è possibile pure l’uso del nuovo Calendario riformato da Paolo VI. L’unità dei cattolici di rito romano si conserva meglio se venissero celebrate le stesse feste negli stessi giorni […] È da rendersi conto che la celebrazione della messa secondo il Messale del 1962 è l’eccezione, la regola invece, la riforma liturgica introdotta dalla Chiesa 25 anni fa, e seguita dal 99% della Chiesa». Per la Santa Sede, i principi rimangono chiari: la norma è la messa di Paolo VI, e chi lo accetta può entro certi limiti celebrare il rito precedente, almeno finché ci sarà da gestire un'opposizione che è meglio tollerare e mantenere nell’alveo del concilio piuttosto che lasciarla in mano a Mons. Lefebvre, il quale è ormai considerato “fuori” dalla nuova chiesa, non in quanto celebra la Messa tridentina, ma in quanto ne fa una bandiera di una fedeltà a una dottrina che considera fondamentale al punto da ritenere legittima la consacrazione di vescovi senza mandato romano pur di conservarne la professione esplicita. L’accordo di Mons. Rangel (che era stato consacrato nel 1991 dai vescovi della FSSPX) e dei preti di Campos con la Santa Sede, e la successiva consacrazione episcopale di Mons. Rifan (2002), non si discostano dai casi succitati, anche per l’aperta adesione di tale vescovo e Sacerdoti alla nuova messa e alle nuove dottrine. Vale la pena, nel contesto in cui siamo, ricordare che nel maggio 2003 della rivista francese La Nef appariva un’intervista di Rifan che, spiegando la differenza della sua nuova posizione con quella della FSSPX, affermava qualcosa che risuona le parole del card. Seper: «grazie a Dio i nostri fedeli distinguono l’amore per la messa tradizionale dall’atteggiamento che rende questa uno striscione da sventolare contro la gerarchia». La Messa tradizionale sì, ma non le concezioni di cui è bandiera. Vedremo nel seguito dell’articolo l’evoluzione di tali affermazioni. In sintesi in questo periodo: Mons. Lefebvre ordina, oltre ai preti, anche dei vescovi che continuino a celebrare il rito tradizionale come segno di adesione a una dottrina ben determinata, ed opposta a quella della nuova Messa. La FSSPX e coloro che si riconoscono in quelle posizioni al di fuori di essa perseverano nel loro rifiuto delle eresie. La Santa Sede continua il regime dell’indulto del 1984, ma permette ora anche l’ordinazione di preti in determinati istituti (e nel 2002 anche di un vescovo) che celebrino la Messa tridentina a condizione di accettare (ed eventualmente celebrare) la nuova, ed il Concilio etc. Ogni prete di tali istituti fa esterna professione di aderire al Concilio ed al nuovo rito per essere ordinato e per poter avere il permesso di celebrare.
2007-2021 e la filosofia del Summorum Pontificum
Un elemento apparentemente nuovo nello scenario irrompe con la promulgazione da parte di Benedetto XVI del motu proprio Summorum Pontificum il 7 luglio 2007. Tale documento (con la lettera di presentazione che lo accompagna) afferma da un lato che la Messa tridentina non fu mai abrogata (smentendo di fatto Paolo VI), e dall’altro determina nuove e più ampie condizioni per la celebrazione della medesima. La messa montiniana è però presentata sempre come il rito ordinario della Chiesa, che secondo Ratzinger avrebbe “due forme del medesimo rito romano” in vigore: una come ordinaria e l’altra come straordinaria.La Messa Tridentina non è abrogata come rito straordinario, ma non vige certo come rito ordinario della Chiesa. Crisi nella Chiesa Le due espressioni della lex orandi del rito romano, secondo il testo, «non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano». Abbiamo dimostrato come sia scientificamente assurdo pretendere che i due riti possano essere due usi del rito romano; affermare poi che non possano portare divisione nella lex credendi significa affermare che i due riti esprimono le stesse credenze. In quale modo due riti voluti come contraddittori possano esprimere le stesse credenze, è esattamente il problema che tutti si pongono dal tempo del Breve esame critico (alla cui lettura rimandiamo); che l’autorità affermi una cosa del genere però appare molto problematico. In effetti ogni segno significa secondo una convenzione; la tradizione apostolica e patristica, con l’autorità dei pontefici, avevano associato i gesti e le parole della Messa di san Pio V ai concetti della fede e dell’ecclesiologia tradizionale. Identificando la lex credendi espressa dai due riti, Ratzinger sembra voler mutare la significazione dei gesti del messale tridentino (visto che ordinario è il rito di Paolo VI), pur conservandone le forme esterne. Essendo egli il Papa, chiunque ne riconosce gli atti o si richiama ad essi, implicitamente accetta tale nuova significazione (a meno che non la rifiuti apertamente). In questo modo, se l’indulto esigeva dal soggetto che ne beneficiava una professione di fede contrastante con il significato della Messa tridentina, con Ratzinger è il messale tridentino stesso a cambiare significato. Operazione idea- listica certo, contrastante con la realtà (comprensibile solo se i due riti diventano entrambi puri simboli di realtà inconoscibili, in senso modernista), ma comunque operazione sotto la quale si venivano a trovare, almeno esternamente, tutti coloro che beneficiavano del documento, o quantomeno ad esso si richiamavano in modo esplicito per la celebrazione della Messa tradizionale. Un’operazione in linea con l’idealistica ermeneutica ratzingeriana, per cui vecchio e nuovo messale, vecchia e nuova Chiesa (una e molteplice) possono essere ridotti ad unum, sintetizzati in modo da chiudere un conflitto in attesa di aprirne un altro, secondo la classica dialettica modernista. In un modo nuovo si applicava il vecchio concetto: la Messa tridentina sì, ma non come bandiera. Anzi, la Messa tridentina diventa innocua perché il Pontefice la dichiara uguale alla nuova, vi impone il significato della nuova: ecco perché per il motu proprio tutti i preti la possono celebrare, almeno in privato, ed anche in pubblico con alcuni limiti organizzativi, senza più dover sottoporsi a condizioni particolari circa la professione della nuova fede. Tutti possano usare questo libro perché il Papa ne ha cambiato il senso, senza cambiarne parole e gesti. Operazione,lo ripetiamo, di stampo idealistico, che non ha funzionato per tutti così. Ma che non dimostra un cambiamento significativo nella mens della Santa Sede circa il rapporto tra i due riti, né circa la dottrina ad essi sottesa. A questo punto, se vige la nuova lex credendi anche per il messale tradizionale, poco importa e poco vale il fatto che “non sia stato abrogato”, o anche (come interpretano alcuni) che non sia “abrogabile”: esso, infatti, è stato intenzionalmente “svuotato” di senso, e reso quindi speculativamente inoffensivo. Inoltre, va ricordato che il motu proprio concede la facoltà di usare i libri antichi solo ai sacerdoti “non giuridicamente impediti”. Ora, nessuno è oggi ordinato sa- cerdote secondo le leggi ordinarie senza accettare il Concilio e la nuova messa, e senza firmare la nuova professione di fede conciliare imposta da Giovanni Paolo II nel 1989, nemmeno negli istituti (ex) Ecclesia Dei. Salvo quindi eccezioni lodevoli, ma del tutto accidentali, di sacerdoti che avevano preso giuste e pubbliche posizioni dopo la loro ordinazione, poteva utilizzare il motu proprio solo chi già accettava Concilio e nuova messa. In questo periodo quindi, si creano le se- guenti situazioni: La FSSPX (con alcuni altri soggetti e comunità) continua a celebrare la Messa tridentina a causa del rifiuto della nuova, e nonostante il ritiro delle invalide “scomuniche” (2009) e alcune concessioni, non modifica la sua posizione, continuando a formare preti che esplicita- mente rifiutano la nuova messa e le nuove dottrine. l Il nuovo regime del motu proprio da un lato continua a far fiorire la celebrazione di Messe tridentine cui è chiaramente legato il significato della nuova e l’accettazione del nuovo sistema;dall’altro mette nelle mani di numerosi sacerdoti e laici il rito tradizionale, che pur trovandosi esternamente sotto il regime delle concezioni ratzingeriane, non ne comprendono necessariamente il meccanismo, o non lo condividono interiormente, ritrovando nella Messa tradizionale il suo significato “naturale” dato dalla tradizione e dagli antichi Pontefici, che scoprono incompatibile con il nuovo. Ciò porta poi a diverse reazioni e prese di posizione, che non è qui il momento di catalogare.
16 luglio 2021: Traditionis custodes
Papa Bergoglio interviene nella gestione della Messa tridentina all’interno del nuovo sistema con un documento (e una lettera introduttiva) ormai a tutti noto, sui dettagli canonistici del quale non è nostra intenzione dilungarci. Il documento, seppur molto restrittivo, non si discosta molto dalla lettera e dallo spirito dell’indulto del 1984. Si ribadisce che l’unica forma vigente della lex orandi di rito romano è il messale di Paolo VI, ritornando alle affermazioni di Papa Montini e smentendo apparentemente Papa Ratzinger. In realtà però la perdurante (seppur limitata) concessione del messale tridentino fa capire che tale “unicità” è quella ordinaria, perché è sempre lecito usare in alcuni casi di una forma precedente. Che si parli di indulto o di rito straordinario, il concetto è affine: la legge precedente vale per eccezione, come diceva Mons. Perl. Vi è però nel documento di Papa Bergoglio una forte insistenza sul dovere dei ve- scovi di verificare che la celebrazione della Messa tridentina non nasconda o non diffonda una concezione tradizionale (o comunque “non allineata”) della Chiesa, ovvero che non diventi una “bandiera”. Stessi concetti dell’indulto o del Summorum, ma rinforzati da una serie di misure e raccomandazioni stringenti.
Il Summorum non permetteva certo al celebrante della Messa tridentina di rifiutare il nuovo rito o il Concilio: perché dunque insistere così tanto su una condizione da sempre necessaria? Ebbene, la concezione ratzingeriana per cui la Messa tradizionale poteva diventare inoffensiva è idealisticamente parlando, e nel filone interpretazionista di una certa filosofia germanica, assolutamente ineccepibile. L’autorità cambia la convenzione, e automaticamente le parole e i gesti e i riti cambiano di senso, pur conservandoli esteriormente come in un bel museo. In ambienti preparati a questa particolare concezione della continuità (che il teologo Ratzinger ammetteva perfino per le formule dottrinali, mantenute fisse ma con nuovo significato ), l’esperimento ratzingeriano poteva non porre problemi. Gli ambienti Ecclesia Dei, almeno esteriormente abituati a questo doppio pensiero, non hanno mai dato infatti particolari difficoltà (si veda il seguito). Ma data in mano a tutti, la Messa tradizionale ha finito per imporre, ai sacerdoti e ai fedeli che spontaneamente vi si sono avvicinati, il suo proprio significato “naturale”, tradizionale appunto, evidentemente incompatibile con quello del rito montiniano. Ciò è avvenuto in molti casi anche lì dove si invocava il motu proprio per celebrare senza noie: se esternamente si accettava l’impostazione di Benedetto XVI, di fatto non si era in grado di coglierla interiormente, e la Messa quasi naturaliter imponeva la sua propria teologia. Specialmente per il clero più giovane, cui la vecchia liturgia e la vecchia dottrina sono state per decenni sistematicamente occultate o mistificate, e la cui preparazione anche nella nuova teologia è assai carente, la rivelazione del “mondo di ieri” tramite la Messa è stata una bomba capace di far scoprire il senso del sacerdozio negato dai formatori dei seminari. Questo è il vero effetto buono, per quanto accidentale e non voluto, del documento dell’ex Papa. Questo è quanto i progressisti, meno accademici di Ratzinger e più pragmatici, avevano temuto. Papa Bergoglio viene dunque a mettere ordine, dicendo in sunto: “vi avevamo detto: sì la Messa tridentina e no la dottrina precedente, e voi avete fatto diversamente. Avete voluto di nuovo sventolare la Messa come uno stendardo. Questo perché è stata troppo facilmente messa in mano a tutti, specie ai giovani. Il perdurare di questa messa rischia di essere il perdurare di una concezione della Chiesa che noi assolutamente combattiamo. Deve quindi ritornare in mano a pochi e scelti gruppi, ben monitorati, dove non vi sia rischio di confusione”. Soprattutto deve essere tolta di mano al giovane clero, che facilmente si lascia deformare da queste concezioni sorpassate. Possibilmente, nel tempo, un oggetto così pericoloso e potente dovrebbe anche sparire (anche se quanto affermato sulla progressiva scomparsa del rito tridentino sembra più l’espressione di un “pio desiderio” che un progetto vero e proprio, che essi stessi riconoscono per irrealizzabile). Il questionario mandato ai vescovi doveva servire a fare questa diagnosi, a noi non importa se pretestuosa o meno, ma certamente rivelatrice della mens dei Pontefici. Il Papa usa termini duri, secondo il suo costume, e generalizza accuse estremizzando i termini, ma il concetto è chiaro: non c’è una Chiesa del messale tridentino, c’è solo quella del Vaticano II, e il messale tridentino non la può esprimere; chi usa il messale tridentino sta cercando di far rivivere una “vera Chiesa” contrapposta a quella del Vaticano II e del messale montiniano, , crimine imperdonabile.
Reazioni a riprova
La linea difensiva delle comunità Ecclesia Dei e di alcuni personaggi legati al mondo del Summorum è come una prova del nove di quanto abbiamo detto circa le condizioni delle concessioni romane e il loro significato.In effetti pressoché tutti hanno insistito su un punto, cioè “non siamo noi quelli che vogliono fare della Messa una bandiera! Se qualcuno l’ha fatto la colpa è solo sua, non collettiva!”. Ciò è palese nella dichiarazione ufficiale della Fraternità San Pietro dopo il 16 luglio, dove si ricorda la fedeltà al Vaticano II e si afferma chiaramente che la San Pietro «non si riconosce affatto nelle critiche formulate» dal Papa agli utilizzatori del messale tridentino, che appunto secondo Francesco sarebbero il voler proporre una dottrina inconciliabile con quella del nuovo corso. Un discorso anche peggiore è stato fatto da Mons. Rifan, che non solo esclude se stesso dagli accusati, ma getta anche la pie- tra sugli altri dando ragione al Pontefice. Nella predica per la passata festa del Carmelo egli ha criticato quelli che «usano la Messa per criticare il Concilio, criticare il vescovo locale, criticare tutta la Chiesa. Questo pregiudica anche la Messa tradizionale, perché finiscono per strumentalizzare la Messa per creare problemi nella Chiesa», ovvero tutti coloro che (come lui fino a una ventina di anni fa) fanno della Messa uno stendardo della professione di fede romana. Nel lungo documento di analisi del motu proprio Traditionis custodes pubblicato dal Card.Burke,la linea di difesa è sempre la stessa, ossia negare le accuse. «Per quanto riguarda il percepito male grave costituito dall’Usus Antiquior, ho una vasta esperienza di molti anni e in molti luoghi diversi con i fedeli che adorano regolarmente Dio secondo l’Usus Antiquior. In tutta onestà, devo dire che questi fedeli, in nessun modo, rifiutano “la Chiesa e le sue istituzioni in nome di quella che viene chiamata la vera Chiesa”. Né li ho trovati fuori dalla comunione con la Chiesa o divisivi all’interno della Chiesa. Al contrario, amano il Romano Pontefice, i loro Vescovi e sacerdoti, e, quando altri hanno fatto la scelta dello scisma, hanno voluto sempre rimanere in piena comunione con la Chiesa, fedeli al Romano Pontefice, spesso a costo di grandi sofferenze. Essi, in nessun modo, si ascrivono a un’ideologia scismatica o sedevacantista» (n. 9). «La scelta dello scisma» fatta da altri è, per il Cardinale, quella di Mons. Lefebvre, che noi invece chiamiamo «professione di fede cattolica»; per il Cardinale, i fedeli Summorum in molti casi ignorano quasi l’esistenza di Mons. Lefebvre (n. 10) e non hanno alcun contatto (nullam partem, come diceva l’indulto del 1984) con la FSSPX. Sono innocenti!Lo stesso Mons. Schneider, pur rivendicando il diritto per ogni sacerdote alla Messa tridentina, e invitando a una certa resistenza al nuovo documento di Papa Bergoglio, non esce da questa logica, affermando semplicemente che «una parte considerevole di questi cattolici [che frequentano la Messa tridentina, n.d.r.] si tiene lontana dalle discussioni dottrinali riguardanti il Vaticano II, il nuovo Ordine della Messa (Novus Ordo Missae), e altri problemi che riguardano la politica ecclesiastica. Vogliono solo adorare Dio nella forma liturgica attraverso la quale Dio ha occato e trasformato i loro cuori e le loro vite. L’argomento invocato nel motu proprio e nella lettera di accompagnamento, cioè che la forma liturgica tradizionale crea divisione e minaccia l’unità della Chiesa, è smentito dai fatti». La risposta corale poi delle comunità Ecclesia Dei, uscita il 31 agosto 2021, insiste in modo formale sull’adesione al Concilio e il riconoscimento della nuova messa, tenendo così a ricordare la scissione tra Messa tridentina e dottrina tradizionale da essi sempre accettata. Citiamo il passaggio chiave, che equivale a una solenne contro-professione di fede: «Tuttavia, non ci riconosciamo nella descrizione data dalla Lettera che accompagna il motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021 […] Noi non ci consideriamo affatto la “vera Chiesa”. Al contrario, vediamo nella Chiesa cattolica la nostra Madre nella quale troviamo la salvezza e la fede. Siamo lealmente soggetti alla giurisdizione del Sommo Pontefice e a quella dei vescovi diocesani […] Riaffermiamo la nostra adesione al Magistero (compreso quello del Vaticano II e quello successivo) secondo la dottrina cattolica del debito assenso (cfr. specialmente Lumen gentium, n. 25, e Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 891 e 892), come testimoniano i numerosi studi e tesi di dottorato presentati da diversi di noi negli ultimi 33 anni».
Conclusioni
Se la resistenza al motu proprio di Papa Francesco, negli ambienti “conservatori”, ha assunto questi toni, possiamo dire che la politica ratzingeriana, pur avendo prodotto qualche risultato accidentalmente buono, ha avuto il suo effetto proprio pienamente realizzato: ha convinto anche i “resistenti” alla linea di Francesco che non ci sia alcun bisogno di attaccare la nuova messa e il Concilio per continuare a dire la Messa tradizionale. Anzi, che si ha diritto a dirla proprio in quanto la si è slegata da quelle “polemiche”. Dall’indulto del 1984, la politica papale di tolleranza limitata e regolata (seppure in vari modi nel tempo) ha ottenuto il suo primo e principale scopo presso questi personaggi e gruppi: non tanto eliminare la Messa tridentina (cosa quasi impossibile) ma convincere tutti che non deve per forza essere bandiera di un’opposizione al nuovo corso. Tutti… o quasi. La Fraternità San Pio X, continuando ad innalzare la Messa come stendardo della fede, e non come semplice patrimonio spirituale del passato, si pone tuttora come riferimento a tutti quei sacerdoti e fedeli che, in questi anni, si sono avvicinati alla Messa liberi da ideo- logie ed idealismi, e ne hanno visto tutta la potenza dottrinale e tutto il significato ecclesiologico, direttamente contrario a quello del nuovo rito e del “nuovo corso” ecclesiale. Saranno loro a dover prendere ora posizione, senza compromessi, per tutto ciò che la Messa di sempre significa per la Chiesa Romana, ora che i vescovi modernisti chiederanno conto esplicitamente della loro adesione al Concilio. L’esplicito rifiuto di tali condizioni, senza tatticismi, sarà l’unica garanzia per la continuazione del rito romano, paradossalmente soprattutto proprio per coloro che se lo sono visti “concedere” in grazia della paura che i modernisti hanno del legame tra rito tridentino della Messa e dottrina tradizionale, legame la cui potenza essi ben conoscono e temono. In questi anni ci è stato dimostrato che essere legati alla Messa tridentina non è sufficiente ad esprimere la fede. Solo chi fonda il suo attaccamento alla Messa tridentina sul rifiuto del nuovo rito si pone, oggi come nel 1970, nella posizione indispensabile per conservare la professione della fede cattolica senza alterazioni
Nessun commento:
Posta un commento