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Kwasniewski: Le 33 Falsità Vaticane dei Responsa sulla Messa in Latino.



Carissimi amici, vi  proponiamo un lavoro del Dr. Peter Kwasniewski apparso su Stilum Curiae il sette Gennaio  e su OnePeterFive, e ripreso da molti blog tradizionalisti, di cui anche il nostro "In Tua Justitia", buona lettura.

Il 18 dicembre 2021, il Vaticano ha diffuso il testo dei “Responsa Ad Dubia della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti su alcune disposizioni della Lettera Apostolica Traditionis Custodes [TC] emessa ‘motu proprio’ dal Sommo Pontefice Francesco, ai Presidenti delle Conferenze dei Vescovi”. Le risposte erano precedute da una lettera di accompagnamento del prefetto, l’arcivescovo Arthur Roche.

Non è passato molto tempo prima che internet fosse in fermento con articoli che indicavano vari difetti nel testo[1]. Esso contraddice esplicitamente il diritto canonico e (abbastanza ironicamente) il Concilio Vaticano II su un certo numero di punti, compresi i diritti e le responsabilità dei vescovi. Tenta di legiferare quando un documento curiale di questo tipo non è uno strumento legislativo. Contiene numerose affermazioni di fatto errate. Lo scopo di questo articolo è di identificare ed elencare le falsità del documento. Gli estratti che sto commentando appariranno in corsivo. Poiché alcune falsità sono ripetute più volte, non etichetterò ogni apparizione dello stesso errore.

Falsità #1

In seguito alla pubblicazione da parte di Papa Francesco della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Traditionis custodes sull’uso dei libri liturgici precedenti la riforma del Concilio Vaticano II…

La frase di apertura della lettera di accompagnamento attribuisce la riforma liturgica o la liturgia “riformata” e i suoi libri al Concilio Vaticano II in quanto tale – una mossa fatta più esplicitamente e ripetutamente in altri passaggi della TC.[2] Chiunque conosca la storia di base sa che la maggior parte dei Padri conciliari votò per Sacrosanctum Concilium, una costituzione che annunciò una revisione dei riti e articolò alcuni principi e linee guida per essa; ma il Concilio non intraprese quella riforma né pubblicò alcun libro liturgico proprio. Infatti, i padri conciliari celebrarono solo i riti tradizionali, orientali e occidentali, durante tutto l’arco del Concilio, anche se alcuni esperimenti si erano già insinuati verso la fine.

Piuttosto, Paolo VI affidò il lavoro a uno speciale super-comitato ad hoc, il Consilium, i cui progetti raggiunsero il completamento e furono approvati da Paolo VI diversi anni dopo la conclusione del Concilio. È quindi falso, e altamente fuorviante, parlare di “riforma [liturgica] del Concilio Vaticano II”. Il miglior articolo recente sull’importante distinzione tra il Concilium e il Consilium è “Does Traditionis Custodes passed Liturgical History 101?” di Dom Alcuin Reid.

Si considerino le parole di Joseph Ratzinger, che nel 1976 scrisse al Prof. Wolfgang Waldstein:

Il problema del nuovo Messale sta nel suo abbandono di un processo storico che è sempre stato continuo, prima e dopo San Pio V, e nella creazione di un processo completamente nuovo libro, sebbene sia stato compilato con materiale vecchio, la cui pubblicazione è stata accompagnata da una proibizione di tutto ciò che l’ha preceduto, cosa peraltro inaudita nella storia sia del diritto che della liturgia. E posso dire con certezza, sulla base della mia conoscenza dei dibattiti conciliari e della mia ripetuta lettura dei discorsi dei Padri conciliari, che ciò non corrisponde alle intenzioni del Concilio Vaticano II.[3]

Falsità #2

Il primo scopo [della Traditionis custodes] è di continuare “nella costante ricerca della comunione ecclesiale” (TC, Preambolo)…

Questo è palesemente falso, poiché ci sono molti altri e migliori modi per raggiungere la comunione ecclesiale che punire un numero significativo di cattolici per la presunta problematica “mentalità o atteggiamento” di una piccola minoranza di loro, e togliere ai vescovi i diritti nel processo di pretendere di affrontarla. Fu Nostra Aetate del Concilio Vaticano II a respingere l’idea della “colpa collettiva”, ad esempio che tutti gli ebrei sono responsabili della morte di Cristo. Un errore analogo a questo antisemitismo viene commesso da Francesco, Roche e dal loro partito nei confronti dei tradizionalisti. Realisticamente parlando, il primo obiettivo di TC sembra essere quello di punire i cattolici che trovano nel rito tradizionale una base più solida e più nutrimento per la loro vita spirituale, perché questi stessi cattolici generalmente tengono anche fermo l’insegnamento magisteriale sulla fede e la morale che l’attuale papa e il suo entourage hanno rifiutato.

Falsità #3

…che si esprime riconoscendo nei libri liturgici promulgati dai Papi San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, l’espressione unica della lex orandi del Rito Romano (cfr. TC, n. 1).

Come molti hanno sottolineato, è impossibile a prima vista sostenere che il rito liturgico usato dalla Chiesa romana e dalla maggior parte delle chiese locali occidentali per ben oltre un millennio – e, quando si tratta dell’Ordine della Messa, un millennio e mezzo – non sia la lex orandi (legge della preghiera) della Chiesa romana, dando fedelmente voce alla sua lex credendi (legge della fede). Perché questa affermazione o significa che la lex orandi della Chiesa (e implicitamente, la sua lex credendi) non è altro che ciò che un papa dichiara che sia in un dato momento – un nominalismo volontaristico che nega la testimonianza oggettiva e immutabile della storia alla precedente approvazione e uso unanime del rito tradizionale – o significa che si ritiene che il vecchio rito violi un nuovo credo che è in conflitto con il credo professato dalla Chiesa prima del Concilio Vaticano II. Tale rottura dogmatica, tuttavia, invaliderebbe completamente il nuovo rito stesso e renderebbe obbligatorio rifiutarlo.
Inoltre, TC e i Responsa prevedono la continuazione della celebrazione di almeno alcune delle vecchie cerimonie liturgiche. È palesemente assurdo dire, simultaneamente, che queste non contano più come qualsiasi tipo di lex orandi (perché non sono l'”unica” lex orandi, cioè il Novus Ordo) quando, nel senso più letterale, vengono pregate in pubblico da preti e fedele come una lex orandi. Si può vedere, di nuovo, il nominalismo volontaristico, che Josef Pieper ha memorabilmente descritto come “abuso di linguaggio, abuso di potere”. E mamma mia, come a Roche & Co. piace abusare del loro potere! I Responsa ripetono il mantra “espressione unica” (apparentemente nessuno ha ancora detto ai traduttori vaticani che unica dovrebbe essere reso “sole” o “only” in inglese) non una, non due, non tre, ma quattro volte. Potrebbe essere un caso di inutile ripetizione?

Falsità #4

È triste vedere come il più profondo legame di unità, la condivisione dell’unico Pane spezzato che è il Suo Corpo offerto perché tutti siano uno (cfr. Gv 17,21), diventi motivo di divisione. È dovere dei Vescovi, cum Petro et sub Petro, salvaguardare la comunione che, come ci ricorda l’apostolo Paolo (cfr. 1 Cor 11,17-34), è condizione necessaria per poter partecipare alla mensa eucaristica.


Se si seguisse la logica di Roche, si renderebbe l’esistenza di più riti, orientale e occidentale, causa di divisione, poiché non tutti celebrano allo stesso modo “il più profondo vincolo di unità”, cioè l’Eucaristia. Se, tuttavia, si ammette che una diversità di tradizioni rituali non minaccia necessariamente questo vincolo di unità, e, di fatto, ha lo scopo di rafforzarlo mostrando molti aspetti della sua insondabile profondità, allora questa affermazione cade a pezzi.[4]
Il riferimento di Roche a San Paolo nella Prima Corinzi è ironico, perché la sua citazione include il monito di Paolo contro la comunione indegna, che è presente più volte nel vecchio messale ma è totalmente assente nei nuovi libri liturgici. Perché il Vaticano di oggi e, in generale, l’establishment liturgico progressista ingoia il cammello dell’aborto e sforza il moscerino della tradizione? I politici e gli elettori macchiati dal sangue dei neonati ricevono l’Eucaristia per la loro dannazione (come da San Paolo), ma ai tradizionalisti si deve negare l’Eucaristia e gli altri sacramenti del rito tradizionale perché mettono in dubbio la prudenza e fanno notare i cattivi frutti delle revisioni umane fatte cinquant’anni fa

Falsità #5

Un fatto è innegabile: I Padri conciliari percepirono l’urgente necessità di una riforma affinché la verità della fede celebrata apparisse sempre più in tutta la sua bellezza e il popolo di Dio crescesse nella piena, attiva e consapevole partecipazione alla celebrazione liturgica (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 14)…

Questa è un’affermazione tendenziosa. Qualunque scappatoia possa essere stata inserita nel testo da personaggi senza scrupoli e successivamente attivata per ottenere il massimo effetto, la maggioranza dei Padri conciliari ha creduto di votare per una revisione moderata del rito tradizionale. I discorsi in aula (che evidentemente Roche non ha letto) mostrano una maggioranza di Padri che reagisce contro le proposte di cambiamento radicale e chiede la continuità in materie come il latino e la musica sacra, nel contesto della liturgia solenne, e riaffermando il valore dell’architettura tradizionale e delle belle arti – insomma, la liturgia “in tutta la sua bellezza”. Ai vescovi fu assicurato che il Canone Romano sarebbe rimasto al suo posto, e nulla fu detto riguardo alla creazione di nuove preghiere eucaristiche. L’idea di dire la messa di fronte al popolo fu a malapena menzionata, e tanto meno approvata. La concelebrazione e la comunione sotto entrambi i tipi dovevano essere di uso molto limitato. E così via.
Tutto questo è così ben documentato che è non solo un peccato ma uno scandalo che l’attuale capo della Congregazione per il Culto Divino sembri non conoscere affatto la letteratura pertinente. Forse non leggono molto negli ambienti di Sant’Anselmo.
Per quanto riguarda la “partecipazione attiva”, molti hanno fatto notare che il vecchio rito permette una partecipazione più piena, più attiva e più consapevole di quella offerta dal nuovo rito (vedi anche questa conferenza); che è teologicamente discutibile elevare la partecipazione soggettiva al di sopra del contenuto oggettivo della liturgia e del suo scopo primario di glorificare Dio; che l’impegno spirituale è promosso meglio dando alla gente qualcosa che vale la pena di contemplare che dando alla gente cose da fare; e infine, che il modo più basilare di partecipare attivamente è presentarsi alla Messa. Con le congregazioni sempre più ridotte al Novus Ordo nei paesi occidentali e la presenza di giovani e famiglie con molti bambini alle Messe tradizionali, diventa difficile sostenere la finzione che il rito antico respinge l’Uomo moderno mentre la riforma liturgica lo porta con successo a Cristo.[5]

Falsità #6

Come pastori non dobbiamo prestarci a sterili polemiche, capaci solo di creare divisione, in cui il rito stesso viene spesso strumentalizzato da punti di vista ideologici. Piuttosto, siamo tutti chiamati a riscoprire il valore della riforma liturgica conservando la verità e la bellezza del Rito che essa ci ha dato.

Alla maniera degli ipocriti e degli opportunisti, l’arcivescovo Roche raccomanda di non impegnarsi in sterili polemiche di cui la sua stessa lettera di accompagnamento e le risposte sono un fulgido esempio. Nessun punto di vista è più ideologico di quello della scuola sant’anselmiana capeggiata da Andrea Grillo. Quando qualcuno comincia a parlare della “verità e bellezza del Rito” di Paolo VI, si sa subito che si ha a che fare con l’ideologia, poiché è proprio la verità su questo Rito che i suoi sostenitori non sono assolutamente disposti a discutere serenamente, in una valutazione di meriti ed errori. Per un ideologo, non ci possono essere errori nella piattaforma del partito.
Per quanto riguarda la bellezza, Anthony Esolen nota che il Novus Ordo ha sempre faticato a raggiungerla con coerenza. Nella sua realizzazione senza radici, dipendente dal celebrante, anti-culturata, a forma libera, raramente raggiunge il livello di coerenza che si trova nella più bassa Messa Bassa e non eguaglia mai la maestà della Messa Alta[6]. Come possiamo vedere in quasi ogni iniziativa o desiderata di “riforma della riforma”, il Novus Ordo “riesce” nella misura in cui imita la Messa tradizionale. Inutile dire che una tale strategia è tanto sgradita al papa e alla sua curia quanto il vecchio rito stesso, nonostante le lacrime di coccodrillo sugli abusi da evitare, che il Vaticano non ha potuto o voluto sradicare per cinque decenni.

Falsità #7

Quando Papa Francesco (Discorso ai partecipanti alla 68ª Settimana Liturgica Nazionale, Roma, 24 agosto 2017) ci ricorda che “dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino, Possiamo affermare con certezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile” vuole indicarci l’unica direzione in cui siamo gioiosamente chiamati a rivolgere il nostro impegno di pastori.

Questa frase racchiude l’errore che la riforma liturgica come abbozzata dal Vaticano II, elaborata dal Consilium, e promulgata da Paolo VI sia “irreversibile”. Non dovrebbe essere necessaria una laurea avanzata per vedere che se la riforma di Pio V, commissionata da un concilio ecumenico e promulgata dalla massima autorità, non era irreversibile, allora non lo è nemmeno quella di Paolo VI. I liturgisti e i canonisti sanno che non c’è nulla di irreversibile in materia di decisioni prudenziali sulla disciplina liturgica – sebbene ci sia effettivamente qualcosa di irreversibile nella “canonizzazione” di un rito come pura espressione della fede perenne della Chiesa, che è ciò che troviamo nel Quo Primum di Pio V.

Come fa giustamente notare Gregory DiPippo (qui e qui), la storia della liturgia è piena di iniziative che sono state poi rivalutate e ribaltate. E nella misura in cui lo “sviluppo organico” nomina una caratteristica di grande importanza, è quanto meno ragionevole sostenere che le novità recenti, controverse e fastidiose dovrebbero essere messe da parte in favore di un ritorno alla pratica perenne che ha già dimostrato il suo valore e continua a farlo ovunque venga seguita.

Consideriamo la frase dal suono orwelliano “l’unica direzione in cui siamo gioiosamente chiamati a rivolgere il nostro impegno”. L’unica direzione? Negli ultimi settant’anni abbiamo visto un papa cambiare radicalmente la Settimana Santa, e solo quattordici anni dopo, un altro papa cambiarla radicalmente di nuovo; abbiamo visto un papa che sosteneva che i vecchi riti non avrebbero mai potuto essere usati, seguito da un papa che ha detto che i vescovi dovrebbero essere generosi nel permettere il loro uso, seguito da un papa che ha detto che nessun permesso era mai stato necessario perché non erano stati abrogati, seguito da un papa che ha detto che non solo il permesso è necessario, ma in realtà i vecchi riti non esprimono più la fede della Chiesa – e, a proposito, un ignorante episcopale della CDW ci dice che sono stati abrogati dopo tutto (vedi #17 sotto), ma senza essere in grado di indicare un singolo strumento con cui un tale atto epocale è stato tentato o realizzato.
Nel mezzo di un caotico e imbarazzante pasticcio come questo, i cattolici che amano la liturgia non possono più guardare al papa o ai dicasteri romani per una guida seria o principi coerenti. Ciò che è necessario, soprattutto, è comprendere la giustezza dei riti liturgici di Roma, organicamente sviluppati, così come erano prima della sperimentale tinkerite che affligge gli irrequieti uomini di chiesa moderni che, avendo abbandonato la preghiera e la ricerca della perfezione spirituale, hanno bisogno di trovare del lavoro per giustificare la loro esistenza.
La via da seguire per i cattolici è ovvia. Non chiediamo “Possiamo usare i riti tradizionali?”. Semplicemente li usiamo. Sono belli e appropriati. Sono la perenne lex orandi e lex credendi della Chiesa – ciò che i cattolici hanno sempre fatto e creduto e dovrebbero sempre fare e credere. Tale culto è dignum et justum agli occhi di Dio e degli uomini. Il papalismo, il positivismo e il progressismo hanno dimostrato di essere dei vicoli ciechi. Il nostro lavoro è quello di riprendere la liturgia romana come esisteva nella sua pienezza prima che gli ideologi e i costruttori la saccheggiassero, e portarla avanti alle generazioni future.

Falsità n. 8

Affidiamo il nostro servizio “per conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace” (Ef 4,3), a Maria, Madre della Chiesa.

La Madre di Dio non apprezza di essere spinta al servizio di un mucchio di menzogne, e non lascerà che i loro abusanti creatori si sottraggano all’accusa di aver nominato il suo nome invano. Lo spirito della Madonna è lo spirito dei riti liturgici tradizionali, che la magnificano e inculcano le sue virtù. Colei che era presente con gli apostoli il giorno di Pentecoste sostiene la sola e unica Pentecoste che trova espressione cultuale nello svolgimento provvidenzialmente governato del culto cattolico. La Chiesa di cui lei è la Madre non è la perfida chiesa matrigna che dice ai fedeli di “non leccarsi le ferite quando nessuno è stato ferito”.

Falsità n. 9

Questa Congregazione, esercitando l’autorità della Santa Sede nelle materie di sua competenza (cfr. TC, n. 7), può concedere, su richiesta del Vescovo diocesano, che la chiesa parrocchiale sia utilizzata per celebrare secondo il Missale Romanum del 1962 solo se si stabilisce che è impossibile utilizzare un’altra chiesa, oratorio o cappella. La valutazione di questa impossibilità deve essere fatta con la massima attenzione.

Questa è la prima di molte affermazioni nei Responsa che privano i vescovi della propria competenza secondo il diritto canonico e attribuiscono alla Congregazione per il Culto Divino un’autorità maggiore di quella che effettivamente possiede. Il luogo della messa è una decisione del vescovo. In un caso straordinario può essere che il Vaticano debba intervenire per risolvere un problema di luoghi di messa, ma normalmente tali questioni sono gestite localmente, senza bisogno che la Congregazione “conceda” un permesso. Su questa e altre ambiguità e problemi canonici nei Responsa, la Latin Mass Society of England and Wales ha preparato una serie di “Note Canoniche” molto utili che ogni prete e vescovo dovrebbe leggere. (Vedi anche Shaw 1, Shaw 2, Shaw 3, Murray, Condon).

Falsità #10

Inoltre, tale celebrazione non dovrebbe essere inclusa nel programma della Messa parrocchiale, poiché vi partecipano solo i fedeli che sono membri del suddetto gruppo. Infine, non dovrebbe tenersi contemporaneamente alle attività pastorali della comunità parrocchiale. Resta inteso che quando si renderà disponibile un altro luogo, questo permesso sarà ritirato.

Nessuna congregazione vaticana ha l’autorità (anche se potrebbe averne la capacità pratica!) di dettare ciò che appare in un bollettino parrocchiale, nonostante le satire. Se ci fosse un contenuto apertamente eretico o scismatico pubblicato in un bollettino, questo sarebbe la preoccupazione dell’Ordinario locale e, nel peggiore dei casi, della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Di nuovo, la Congregazione insiste su un “permesso” immaginario che non ha alcun fondamento. Non dimentichiamo che nel 1997 la stessa Congregazione, nella sua pubblicazione ufficiale Notitiae, spiegava la posizione delle sue risposte: “Licet solutiones quae proponuntur potestatem legislativam non habeant, induunt tamen vestem officialem quia actuale magisterium et praxim huius Congregationis exprimunt” (Sebbene le soluzioni che vengono proposte [dalla Congregazione] non abbiano potere legislativo, tuttavia assumono un carattere ufficiale poiché esprimono l’insegnamento e la pratica attuale di questa Congregazione). Quindi, hanno un certo peso – solo non abbastanza per cambiare la legge esistente della Chiesa, i suoi principi giuridici, i diritti e i doveri dei vescovi, e i diritti di tradizioni immemorabili e venerabili.

Falsità #11

Non c’è alcuna intenzione in queste disposizioni di emarginare i fedeli che sono radicati nella precedente forma di celebrazione…

Questa bugia sfacciata non richiede ulteriori commenti.

Falsità #12 e #13

…vogliono solo ricordare loro che si tratta di una concessione per provvedere al loro bene (in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del Rito Romano) e non di un’occasione per promuovere il rito precedente.

La Congregazione riesce a confezionare tre errori in una frase (il secondo è già stato notato). Primo, afferma erroneamente che l’uso della immemorabile e venerabile liturgia della Chiesa di Roma, mai abrogata perché inabrogabile, è una concessione piuttosto che un diritto intrinseco (cfr. #17 sotto). Secondo, raddoppia l’erronea (perché ecclesiologicamente impossibile) affermazione che la liturgia riformata di Paolo VI è l’unica lex orandi del Rito Romano. In terzo luogo, afferma che la celebrazione del vecchio rito “non è un’opportunità per promuovere il rito precedente”, il che, qualunque cosa significhi, contraddice la dimensione intrinsecamente pubblica, comunitaria e partecipativa di ogni liturgia lecita e valida, nonché il carattere essenzialmente missionario della Chiesa sulla terra.[7]

Falsità #14 e #15

Il Motu Proprio TC intende ristabilire in tutta la Chiesa di rito romano un’unica e identica preghiera che esprima la sua unità, secondo i libri liturgici promulgati dai Papi San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II e in linea con la tradizione della Chiesa.

Molti hanno fatto notare che la Chiesa di rito romano ha sempre avuto molteplici forme di preghiera liturgica, come gli usi variati degli ordini religiosi e gli usi di alcune diocesi, e che questo modello continua fino ad oggi nel rito dell’Ordinariato per gli ex anglicani, che si dice faccia parte del rito romano e tuttavia differisce notevolmente sia dal Novus Ordo che dal rito tridentino.

Inoltre, l’apparente desiderio di totale uniformità contraddice l’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Di nuovo, la Congregazione sostiene che i libri liturgici di Paolo VI e Giovanni Paolo II sono “conformi ai decreti del Concilio Vaticano II”, il che, come abbiamo detto, è discutibile per molti motivi, “e in linea con la tradizione della Chiesa”, il che è manifestamente falso, come migliaia di articoli e decine di libri hanno dimostrato. È “in linea” con la tradizione nel modo in cui una struttura completamente nuova costruita sullo stesso pezzo di terra su cui un vecchio edificio è stato prima abbattuto è “in linea” con essa: cioè, per successione cronologica. Come si è espresso il membro del Consilium Joseph Gelineau, S.J:
Se cambiano le forme, cambia il rito. Se si cambia un solo elemento, si modifica il significato dell’insieme. Che coloro che come me hanno conosciuto e cantato una Messa Alta in latino e in canto gregoriano la ricordino, se possono. Che la confrontino con la Messa che abbiamo ora dopo il Vaticano II. Non solo le parole, ma anche le melodie e alcuni gesti sono diversi. A dire il vero, è una diversa liturgia della messa [c’est une autre liturgie de la messe]. Bisogna dirlo senza ambiguità: il rito romano come lo conoscevamo non esiste più [le rite romain tel que nous l’avons connu n’existe plus]. È stato distrutto. [Alcuni muri dell’antico edificio sono caduti mentre altri hanno cambiato aspetto, al punto che esso appare oggi o come una rovina o come la parziale sottostruttura di un altro edificio.[8]
Ciò che più di tutto non è in linea con la tradizione è la falsa filosofia alla base di tutta la riforma.

Falsità #16

Il vescovo diocesano, come moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica, deve lavorare per assicurare che la sua diocesi ritorni ad una forma unitaria di celebrazione…

Papa Francesco e la Congregazione amano ripetere ancora e ancora che il vescovo diocesano è responsabile della vita liturgica della sua diocesi – aggiungendo immediatamente che egli non ha altra scelta che eseguire i loro ordini. La falsità qui è sostenere che una qualsiasi di queste disposizioni aumenti l’autorità o il ruolo del vescovo. Dove Summorum Pontificum toglie alcune questioni dalle mani dei vescovi e le mette nelle mani dei sacerdoti, Traditionis Custodes toglie quasi tutte le questioni importanti (chi tra i nuovi sacerdoti può dire il vecchio rito, dove può essere detto, quali gruppi vi hanno accesso, come può essere pubblicizzato, per quanto tempo può rimanere in vigore, ecc. È la mossa più disperatamente accentratrice e non sinodale che abbiamo visto da decenni.

Falsità #17

Questa Congregazione, esercitando l’autorità della Santa Sede nelle materie di sua competenza (cfr. TC, n. 7), afferma che, per progredire nella direzione indicata dal Motu Proprio, non dovrebbe concedere il permesso di usare il Rituale Romanum e il Pontificale Romanum che sono anteriori alla riforma liturgica, questi sono libri liturgici che, come tutte le norme, istruzioni, concessioni e usanze precedenti, sono stati abrogati (cfr. Traditionis Custodes, n. 8).

Ancora una volta, la Congregazione pretende che sia necessario un permesso per usare il Rituale Romanum e il Pontificale Romanum, e che la Congregazione abbia il potere di permettere o proibire questi libri. Nessuna delle due cose è vera. Né la Congregazione è la fonte del potere dei vescovi di permettere il libero uso del Rituale Romanum, né la libertà di discernimento e di favore del vescovo può essere limitata alle parrocchie personali di vecchio rito.
Sorprendentemente, la Congregazione afferma, quasi di sfuggita, che il Rituale e il Pontifcale “sono stati abrogati”, senza indicare una sola prova che tale abrogazione sia stata legalmente ed esplicitamente effettuata. Il riferimento a TC è ridicolmente inadeguato allo scopo, poiché ci dovrebbe essere qualche ragione per immaginare che questi libri siano in conflitto con le (altre) norme di TC, quando non ce n’è nessuna. Più fondamentalmente, Papa Benedetto XVI, riflettendo sui risultati di una commissione di cardinali sotto Giovanni Paolo II, ha articolato la sua ragione per ritenere che l’usus antiquior, in toto, non fosse stato abrogato: “Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. È doveroso per tutti noi conservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto” (Lettera ai vescovi, 7 luglio 2007). Egli ha così enunciato un principio universale secondo il quale è inconcepibile che la Chiesa voglia o possa mai bandire un rito tradizionale.[9]

Falsità #18

Nell’attuazione di queste disposizioni, si dovrà avere cura di accompagnare tutti coloro che sono radicati nella forma precedente di celebrazione verso una piena comprensione del valore della celebrazione nella forma rituale che ci è stata data dalla riforma del Concilio Vaticano II.

In questo passaggio, “accompagnare” i fedeli sembra significare “provvedere alla cessazione della forma amata dai” fedeli. Tuttavia, nei documenti di Papa Francesco, “accompagnare” sembra significare lasciare che le persone abbiano ciò che attualmente credono sia buono (o abbastanza buono, o necessario) per loro, senza imporre ulteriori oneri o requisiti. Quindi c’è un grave equivoco in opera che vizia il testo.

Falsità #19

Questo dovrebbe avvenire attraverso una formazione adeguata che permetta di scoprire come la liturgia riformata sia la testimonianza di una fede immutata, l’espressione di una ecclesiologia rinnovata, e la fonte primaria di spiritualità per la vita cristiana.

Qui abbiamo a che fare non tanto con una pura falsità quanto con un nodo intricato di incoerenza. Se la fede espressa dal nuovo rito è effettivamente “immutata” rispetto alla fede espressa dal vecchio rito, perché la vecchia lex orandi non deve più essere permessa o promossa, ma la nuova deve essere messa al suo posto? Se l'”ecclesiologia rinnovata” è essenzialmente la stessa, differendo solo in punti di enfasi, come potrebbe essere questa la base per bandire una forma e imporne un’altra? Riti liturgici diversi hanno grandi differenze nei loro punti di enfasi. Se l’ecclesiologia è diversa, e la nuova versione è superiore mentre la vecchia è inadeguata, come può questa conclusione evitare di mettere in discussione la fedeltà diacronica della Chiesa di Cristo?
Se, inoltre, la “liturgia riformata” è la “fonte primaria di spiritualità per la vita cristiana”, questo dove colloca i cattolici di rito orientale? Se riescono a trarre un po’ di spiritualità cristiana dalla loro tradizione, per quanto diversa (e persino contraddittoria) dal Novus Ordo, i cattolici romani non potrebbero forse trarre un po’ di spiritualità cristiana dalla loro tradizione, un tempo approvata e un tempo universale?

Falsità #20

Se un sacerdote a cui è stato concesso l’uso del Missale Romanum del 1962 non riconosce la validità e la legittimità della concelebrazione – rifiutando di concelebrare, in particolare, la Messa Crismale – può continuare a beneficiare di questa concessione? Negativo.

Tuttavia, prima di revocare la concessione di usare il Missale Romanum del 1962, il Vescovo dovrebbe avere cura di stabilire un dialogo fraterno con il sacerdote, per accertare che questo atteggiamento non escluda la validità e la legittimità della riforma liturgica, l’insegnamento del Concilio Vaticano II e il magistero dei Sommi Pontefici, e per accompagnarlo verso una comprensione del valore della concelebrazione, in particolare nella Messa Crismale.
La visione della concelebrazione che si trova nei Responsa presuppone erroneamente che l’attuale pratica della concelebrazione sia quella che i Padri del Vaticano II hanno votato e che sia compatibile con la pratica storica della Chiesa occidentale – entrambi i presupposti sono facilmente confutabili.
Inoltre, il termine “validità” può riferirsi solo alla validità sacramentale, che non è influenzata dalla concelebrazione in un modo o nell’altro. Se “legittimo” significa legalmente predisposto e ammissibile, i sacerdoti che accettano la validità sacramentale di una Messa concelebrata – anche quelli che non vogliono mai concelebrare – non potrebbero negare che un rito di concelebrazione sia stato legalmente redatto e ufficialmente emesso. È quindi impossibile vedere come il desiderio di non concelebrare, e/o di assistere in coro, possa o debba essere preso come un segno delle colpe menzionate nel Responsa.
Il diritto del sacerdote alla celebrazione individuale è riaffermato dal Vaticano II e fortemente affermato nel diritto canonico; la Congregazione non ha l’autorità di cancellare questo diritto o di porre condizioni irragionevoli ad esso.

Falsità #21

Il rifiuto esplicito di partecipare alla concelebrazione, in particolare alla Messa Crismale, sembra esprimere una mancanza di accettazione della riforma liturgica e una mancanza di comunione ecclesiale con il Vescovo, entrambi requisiti necessari…

Ci sono numerosi segni di comunione ecclesiale attraverso i quali l’accettazione di un sacerdote dei riti liturgici riformati – intesi nel senso strettamente limitato che sarebbe teologicamente richiesto – così come la sua unità con il vescovo è manifestamente significata (vedi la seconda metà di questo articolo).

Falsità #22

Il Concilio Vaticano II, mentre riaffermava i vincoli esterni dell’incorporazione nella Chiesa – la professione di fede, i sacramenti, la comunione – affermava con Sant’Agostino che rimanere nella Chiesa non solo “con il corpo” ma anche “con il cuore” è una condizione di salvezza (cfr. Lumen Gentium, n. 14).

Questa citazione di TC cita in modo ingannevole sia Agostino che Lumen Gentium, come il Cardinale Müller fece notare per la prima volta il 19 luglio 2021 – il che diede alla Congregazione tutto il tempo di correggere l’errore, cosa che, ovviamente, non fece – e come Reid Turner ha esposto più recentemente a OnePeterFive.

Falsità #23

L’art. 3 §3 del Motu Proprio TC afferma che le letture devono essere proclamate in lingua volgare, usando le traduzioni della Sacra Scrittura per uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali.

Apparentemente la Congregazione non sa che nessuna traduzione moderna della Bibbia approvata da una conferenza episcopale corrisponde al testo della Vulgata dell’usus antiquior. Sarebbe sbagliato sostituire le letture approvate ecclesiasticamente nel messale dell’altare con altre letture che si discostano notevolmente da esse; infatti, le letture latine sono parte integrante dell’usus antiquior e, come tali, devono essere lette o cantate, anche se successivamente viene letta una traduzione vernacolare per l’aiuto della congregazione.[10]

Falsità #24

Poiché i testi delle letture sono contenuti nel Messale stesso, e quindi non esiste un Lezionario separato, e per osservare le disposizioni del Motu Proprio, si deve necessariamente ricorrere alla traduzione della Bibbia approvata dalle singole Conferenze Episcopali per l’uso liturgico, scegliendo le pericopi indicate nel Missale Romanum del 1962… La pubblicazione del Lezionario, oltre a superare la forma “plenaria” del Missale Romanum del 1962 e a tornare all’antica tradizione dei singoli libri corrispondenti ai singoli ministeri, realizza il desiderio della Sacrosanctum Concilium, n. 51…

Come Joseph Shaw ha fatto notare per primo, sembra che la Congregazione non sappia nemmeno che esistono libri separati per le letture del vecchio rito. Infatti, ci sono diversi libri del genere: l’Epistolarium; l’Evangeliarium; e il Lectionarium che combina i due precedenti. Sì, il messale d’altare è un missale plenarium che contiene anche tutte le letture, le antifone e le preghiere, ma il libro separato delle letture è ancora necessario per la celebrazione della Messa Solenne, come lo sono i libri di canto separati per la schola. Potrebbe aiutare i funzionari del Congregazione a uscire un po’ e fare un po’ di esperienza della vita liturgica tradizionale. Forse un po’ della loro egregia ignoranza troverebbe una cura.

Falsità #25

Bisogna ricordare che l’attuale Lezionario è uno dei frutti più preziosi della riforma liturgica del Concilio Vaticano II.


A mio parere, questa è la più grande e sottile falsità di tutte, e quella più comunemente ripetuta ad nauseam dai sostenitori della liturgia riformata – ricordando il verso di Shakespeare: “come uno che dicendo

il falso sempre, fa di sua memoria tal peccatrice che finisce poi col creder vera la menzogna sua,” (Tempesta, I, 2, 99-102). Come per altri aspetti della riforma, negli ultimi anni è stato fatto un ampio lavoro sulle debolezze del nuovo lezionario: il suo allontanamento dal contenuto di vecchia data; la sua grandezza poco digeribile e la sua diffusione che inibisce la memoria; le sue studiate omissioni; i suoi presupposti accademici e artificiali; la sua mancanza di armonia con il ciclo santorale; e così via. Lo studio più completo finora è “A Systematic Critique of the New Lectionary, On the Occasion of Its Fiftieth Anniversary”, ma i lettori interessati possono anche consultare “Not Just More Scripture, But Different Scripture-Comparing the Old and New Lectionaries”; “A Tale of Two Lectionaries: Qualitative versus Quantitative Measures”; “Who Was Captain of the Ship in the Liturgical Reform? Il 50° anniversario di una lettera imbarazzante”.

Falsità #26

L’articolo 4 del testo latino (che è il testo ufficiale a cui fare riferimento) recita come segue: “Presbyteri ordinati post ha Litteras Apostolicas Motu Proprio datas promulgatas, celebrare volentes iuxta Missale Romanum anno 1962 editum, petitionem formalem Episcopo dioecesano mittere debent, qui, ante concessionem, a Sede Apostolica licentiam rogabit”. Non si tratta di un semplice parere consultivo, ma di una necessaria autorizzazione data al Vescovo diocesano dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che esercita l’autorità della Santa Sede nelle materie di sua competenza. (cfr. TC, n. 7). Solo dopo aver ricevuto questo permesso, il Vescovo diocesano potrà autorizzare i sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu Proprio (16 luglio 2021) a celebrare con il Missale Romanum del 1962.

Per mesi ci si è chiesti quando sarebbe stato creato il testo latino “autorevole” del Motu Proprio. I Responsa hanno rivelato che un tale testo latino è stato finalmente elaborato a partire da una o più delle versioni vernacolari che lo hanno preceduto – e anche che sono stati apportati alcuni interessanti cambiamenti.
Per esempio, i testi in vernacolo avevano detto che i sacerdoti ordinati dopo il 16 luglio 2021 che desideravano dire la vecchia Messa dovevano presentare una richiesta al vescovo e il vescovo doveva consultare la Sede Apostolica prima di concedere l’autorizzazione. Nel testo latino, questo è stato cambiato: ora il vescovo deve ricevere una “licenza”, cioè un permesso espresso, dalla Santa Sede. I Responsa hanno poi il coraggio di dire: “Questa regola ha lo scopo di aiutare il Vescovo diocesano a valutare una tale richiesta: il suo discernimento sarà debitamente preso in considerazione dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti”.
Traduciamo questo in parole povere: I vescovi che sono favorevoli a concedere le richieste dei sacerdoti neo-ordinati di dire la vecchia Messa hanno bisogno di essere “assistiti” nel raggiungere la conclusione opposta, e il modo in cui questa assistenza sarà resa è negando il permesso richiesto. Ancora una volta, vediamo l’alta stima in cui il Vaticano tiene i vescovi – ideale per un’epoca di sinodalità!

Parlo di una falsità qui perché nessun sacerdote ha bisogno del permesso del suo vescovo per imparare, o per offrire, la Messa antica, almeno in privato. Una Messa pubblica, programmata come tale, entra più nella sfera della supervisione del vescovo; egli avrebbe il diritto di sapere, anche se non necessariamente il dovere di scoprire, le Messe programmate offerte dal suo clero. Tuttavia, in circostanze pastorali normali, nessun vescovo ha bisogno della Santa Sede per autorizzare le Messe pubbliche del suo clero, così come non ha bisogno della Santa Sede per dettare ciò che appartiene ai bollettini parrocchiali o se può confermare i bambini nel vecchio rito. L’insulto pungente offerto a ogni vescovo del mondo da TC e dai Responsa merita di essere ricambiato con una politica di deliberata non consultazione e di decisione locale in vista del bene dei fedeli sotto la sua cura.

Falsità #27

Il Motu Proprio esprime chiaramente il desiderio che quanto contenuto nei libri liturgici promulgati dai Papi San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sia riconosciuto come espressione unica della lex orandi del Rito Romano: è quindi assolutamente essenziale che i Sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu Proprio condividano questo desiderio del Santo Padre.

“Essenziale” in che senso? Essenziale per la salvezza? Ovviamente no. Essenziale per seguire il Concilio Vaticano II? Ovviamente no, poiché esso ha delineato una riforma, ma non ha eseguito la riforma né ha insegnato che qualsiasi rito tradizionale dovesse essere rifiutato – né avrebbe potuto farlo. Essenziale per la comunione con il papa e i vescovi? Ovviamente no, poiché la comunione ecclesiale ha requisiti più fondamentali che non dipendono da usi o riti liturgici specifici. Essenziale per seguire l’insegnamento del Vaticano I sulla giurisdizione universale del papa? Ovviamente no, se si comprende che il papato esiste per preservare e proteggere il bene comune della Chiesa, che include la ricezione e la trasmissione del suo patrimonio liturgico, e che una cosa è emettere nuove cerimonie ma un’altra è cercare di abolire o proibire quelle tradizionali.

Falsità #28

Tutti i formatori dei seminari, cercando di camminare con sollecitudine nella direzione indicata da Papa Francesco, sono incoraggiati ad accompagnare i futuri diaconi e sacerdoti alla comprensione e all’esperienza della ricchezza della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Tale riforma ha valorizzato ogni elemento del Rito Romano e ha favorito – come auspicato dai Padri conciliari – la piena, consapevole e attiva partecipazione di tutto il popolo di Dio alla liturgia (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 14), fonte primaria dell’autentica spiritualità cristiana.

Abbiamo già commentato uno degli errori qui: la riforma liturgica voluta dal Vaticano II non può essere assunta come identica a quella che oggi chiamiamo liturgia riformata. Ma l’errore titanico è l’affermazione che la riforma “ha valorizzato ogni elemento del rito romano”.
È difficile capire come una riforma che ha omesso così tanto del culto precedente della Chiesa – non solo nel contenuto eucologico (preghiera-testo) ma nel ciclo santorale, nella perdita della bellezza del ciclo temporale (con caratteristiche antiche come i Giorni delle Ceneri, le Rogazioni, l’Epifania, il Settuagesimatide, il periodo della Passione, il carattere unico del Triduo, i tocchi insoliti nel tempo di Pasqua, l’Ottava di Pentecoste, il Tempo dopo Pentecoste), nell’abolizione di rubriche attente, segni di riverenza verso l’Eucaristia, gesti, oggetti e paramenti simbolici, nell’abbandono dell’interazione dei quattro minori

ordini e tre ordini maggiori, riferimenti all’ascetismo, al diavolo, al paradiso e all’inferno, l’intricata interazione tra la Messa e il Breviario, e così via, in una lista che potrebbe rapidamente crescere in un libro – è, come ho detto, difficile capire come qualcuno possa sostenere che una tale riforma abbia “migliorato” (!) “ogni elemento” (!) del “rito romano” (!). Gran parte della riforma consisteva nello smantellare e sopprimere, inventare e mescolare ogni sorta di elementi: pseudo-romani, non romani e anti-romani.
Se le bugie potessero vincere dei premi, questa riceverebbe la medaglia d’oro.

Falsità #29

La facoltà concessa dal Vescovo diocesano di celebrare usando il Missale Romanum del 1962 vale solo per il territorio della propria diocesi? La risposta è: Affermativa.

Per le ragioni già dette, è chiaro che come un sacerdote non ha bisogno di alcun permesso per dire la Messa privatamente e, in alcuni casi, pubblicamente, così egli può offrire la Messa nel vecchio rito ovunque egli vada, in accordo con le usuali norme e usanze che si applicherebbero all’offerta della Messa in tali circostanze.

Falsità #30

Se il sacerdote autorizzato è assente o impossibilitato a partecipare, la persona che lo sostituisce deve avere anche un’autorizzazione formale? La risposta è: Affermativa.

Questo particolare dubium e la sua risposta indicano la crudeltà di bassa lega con cui abbiamo a che fare. Diciamo che un prete “autorizzato” a dire la M.T.L. si ammala, e l’unico sostituto che può chiamare è un prete “non autorizzato”. Secondo la Congregazione, la Messa dovrebbe essere annullata o dovrebbe essere messa al suo posto una Messa di nuovo rito. Questo è contrario al bene dei fedeli e alla salvezza delle anime, che è la legge più alta che governa tutte le altre. Quindi, questa risposta non conta nulla.

Falsità #31

I diaconi e i ministri istituiti che partecipano alle celebrazioni con il Missale Romanum del 1962 devono essere autorizzati dal Vescovo diocesano? La risposta è: Affermativa.

Qualsiasi diacono, in virtù del suo essere tale, e a condizione che non abbia fatto nulla che lo squalifichi, ha il diritto di ministrare come diacono in qualsiasi liturgia cattolica che abbia luogo con il permesso esplicito o implicito dell’Ordinario locale. Quando una liturgia è approvata, il coinvolgimento degli altri ministri richiesti dal rito è ipso facto approvato.

Falsità #32 e #33

Il parroco o il cappellano che – nell’adempimento del suo ufficio – celebra nei giorni feriali con l’attuale Missale Romanum, che è l’espressione unica della lex orandi del Rito Romano, non può binare celebrando con il Missale Romanum del 1962, né con un gruppo né privatamente. Non è possibile concedere la binazione adducendo la mancanza di una “giusta causa” o di una “necessità pastorale”, come richiesto dal canone 905 §2: il diritto dei fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia non è affatto negato, poiché viene loro offerta la possibilità di partecipare all’Eucaristia nella sua forma rituale attuale.

Come la Latin Mass Society ha fatto notare, questa risposta è in contrasto con la prerogativa del vescovo – che la CDW non ha alcuna autorità di scavalcare – di prendere decisioni sulla combinazione per il suo clero. La risposta è così preoccupata di cercare di impedire l’uso del Messale del 1962 che ignora completamente la ragione più comune per la combinazione, cioè offrire diversi orari di messa per permettere al massimo numero di fedeli di assistere. Per esempio, in una parrocchia con una Messa del mattino e una Messa della sera dette dallo stesso sacerdote, non c’è ragione per cui una Messa non possa essere secondo il messale del 1969 e l’altra secondo quello del 1962. Si scopre così un secondo errore: la risposta presuppone un sacerdote che compia il suo ufficio pastorale usando il messale del 1969, ma come abbiamo visto, non ci sono motivi canonici per negare che un sacerdote possa compiere il suo ufficio pastorale altrettanto bene o meglio usando il messale del 1962. Infatti, conosco più di qualche prete diocesano che comunemente dice la sua unica messa quotidiana con il messale del 1962, e nulla in TC o nei Responsa può impedire che ciò avvenga.


***

Compromessi da così tanti gravi errori in ecclesiologia, teologia sacramentale e scienza liturgica, segnati da pervasivi fraintendimenti e violazioni canoniche, è impossibile sfuggire alla doppia conclusione che (a) i Responsa sono illegittimi e privi di forza vincolante, e (b) che il Prefetto della Congregazione è professionalmente incompetente e incapace di adempiere ai suoi gravi obblighi.

Osservando questo possente nido di falsità, si potrebbe esclamare con Falstaff: “Signore, Signore, come è dato questo mondo alla menzogna!” (Enrico IV, Parte 1, V, 4, 140). Oppure, si potrebbero prendere le parole del Salmista pregate alle Lodi nell’Ufficio Divino tradizionale per 2.000 anni (ma omesse nella Liturgia delle Ore di Paolo VI perché, beh, “difficili per l’uomo moderno”):

Coloro che cercano di distruggere la mia vita scenderanno nelle profondità della terra;

Saranno consegnati al potere della spada, saranno preda degli sciacalli.

Ma il re si rallegrerà in Dio; tutti coloro che giurano per lui si glorieranno;

perché la bocca dei bugiardi sarà fermata.[11]

E nel Salmo 5:

Tu odi tutti gli operatori di iniquità:

Tu distruggerai tutti coloro che dicono menzogne.

Il sanguinario e l’ingannatore il Signore aborrirà.

Ma quanto a me, nella moltitudine della tua misericordia, entrerò nella tua casa;

Adorerò verso il tuo santo tempio, nel tuo timore.

Conducimi, o Signore, nella tua giustizia:

a causa dei miei nemici, dirigi la mia via al tuo cospetto.

Poiché non c’è verità nella loro bocca, il loro cuore è vano.

La loro gola è un sepolcro aperto:

hanno agito con inganno con le loro lingue.

Giudicali, o Dio. Fa’ che cadano dai loro inganni:

secondo la moltitudine della loro malvagità, scacciali:

perché ti hanno provocato, o Signore.[12]

Concludo con le parole di P. John Hunwicke in un suo pezzo pubblicato il 22 gennaio 2014, che acquistano una nuova rilevanza nel momento attuale:

Summorum Pontificum ha confermato giuridicamente che la Chiesa latina ha vissuto per circa quattro decenni sotto il dominio di una menzogna. Il Vetus Ordo non era stato legittimamente proibito. Gran parte delle persecuzioni dei sacerdoti e dei laici devoti che ebbero luogo durante quei decenni sono quindi ora viste come vis sine lege [forza senza legge]. Che questo sia stato così a lungo vero per quanto riguarda il Santo Sacrificio della Messa, che sta al centro della vita della Chiesa, sostiene una profonda malattia nel profondo della Chiesa Latina. E la Grande Bugia è stata rafforzata da una moltitudine di Piccole Bugie… che il Concilio ha imposto il riordino dei Santuari… che il Concilio ha imposto l’uso esclusivo della lingua volgare… La situazione di fatto creata dalla Grande Bugia e dalle Piccole Bugie messe insieme non dovrebbe essere considerata come normativa. La sua discutibile discendenza deve darle un grado di provvisorietà, anche (forse soprattutto) a coloro che la trovano comoda da vivere. L’assalto ai Francescani dell’Immacolata suggerisce che c’è chi, ai vertici dell’amministrazione della Chiesa, non ha ancora interiorizzato né le conclusioni giuridiche di Summorum Pontificum né il suo appello pastorale all’armonia.

[1] Dei molti pezzi che sono stati pubblicati dal 18 dicembre, raccomanderei vivamente Hazell, Campbell, Murray, Chessman, Pocquet du Haut Jussé, Basden, e Mosebach; i lettori potrebbero anche trovare valore nella mia reazione ai Responsa. L’antologia From Benedict’s Peace to Francis’s War contiene una ricchezza di articoli, conferenze, saggi e interviste che descrivono e confutano più profondamente le falsità riassunte nel presente articolo.
[2] Nel motu proprio: “I libri liturgici promulgati da San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica [recte: unica] espressione della lex orandi del Rito Romano”; “…la riforma voluta dal Concilio Vaticano II…”; “…la riforma liturgica, dettata dal Concilio Vaticano II…”; “…una delle misure chiave del Concilio Vaticano II…”; “…la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II…” Tali frasi elidono i desiderata conciliari con i risultati effettivi del lavoro del Consilium, sui quali c’è sempre stata qualche controversia.

[3] Il testo in tedesco: Wolfgang Waldstein, “Zum motu proprio Summorum Pontificum”, Una Voce Korrespondenz 38/3 (2008): 201-214. Questo paragrafo è stato portato alla nostra attenzione da Ruben Peretó Rivas. Così, a poco più di dieci anni dalla fine del Concilio, Ratzinger era disposto ad affermare senza mezzi termini che il nuovo messale promulgato appena sette anni prima era qualcosa di palesemente diverso da quanto la Sacrosanctum Concilium e i Padri conciliari avevano previsto. Per quello che vale, questo si armonizza con quello che ho visto nel mio studio dei discorsi conciliari. Ricordiamo che il Maestro Generale dei Domenicani fece un discorso in cui avvertì che se il Concilio non fosse stato attento, presto il latino sarebbe scomparso dalle chiese – un’affermazione accolta con una risata, tanto era assurda l’idea.

[4] Confronta la strana formulazione più avanti nel Responsa: “in tutta la Chiesa di rito romano una sola e identica preghiera che esprima la sua unità.” Ma già i cattolici latini hanno molteplici riti riformati, come l’ambrosiano e il mozarabico, così come un uso ordinario; eppure questa molteplicità sembra non costituire un pericolo per l’unità della Chiesa latina. Inoltre, è chiaro che Francesco e la CDW non oserebbero dire che la grande diversità dei riti cattolici orientali è un problema. Perché i diversi modi di dire la messa dovrebbero essere un problema, a meno che non ci sia qualcosa di effettivamente errato nel rito tridentino? Questo, in effetti, è ciò che essi credono, ma si guardano bene dal dirlo apertamente, perché allora il loro modernismo sarebbe esposto alla piena vista.
[5] Come ricordava Giovanni Paolo II ai vescovi attivisti americani nel 1998: “La partecipazione attiva significa certamente che, nel gesto, nella parola, nel canto e nel servizio, tutti i membri della comunità prendono parte ad un atto di culto, che è tutt’altro che inerte o passivo. Tuttavia la partecipazione attiva non esclude la passività attiva del silenzio, dell’immobilità e dell’ascolto: anzi, la esige. I fedeli non sono passivi, per esempio, quando ascoltano le letture o l’omelia, o seguono le preghiere del celebrante, i canti e la musica della liturgia. Queste sono esperienze di silenzio e di quiete, ma sono a loro modo profondamente attive. In una cultura che non favorisce né promuove la quiete meditativa, l’arte dell’ascolto interiore si impara solo con difficoltà. Qui vediamo come la liturgia, pur dovendo essere sempre propriamente inculturata, deve essere anche controculturale” (Discorso ad limina ai vescovi degli Stati Uniti nord-occidentali, 9 ottobre 1998).
[6] “Anti-culturato”: un gioco di parole con la parola “inculturato”. Per inculturare, ci deve essere una cultura (in parte) buona e bella da cui la sacra liturgia può attingere, come è avvenuto nella maggior parte degli incontri tra la Chiesa e le culture pagane fin dall’antichità. La modernità, però, è caratterizzata da un assalto all’ordine, alla bellezza, alla sacralità, alla vita stessa, e quindi tende alla dissoluzione delle culture. Quando la liturgia viene adeguata o adattata alla modernità, essa si anticultura, cioè perde le qualità culturali positive e diventa un’altra forza dissolvente.
[7] Il Codice di Diritto Canonico elenca, tra gli scopi per cui possono esistere associazioni di fedeli nella Chiesa: “promuovere il culto pubblico” (can. 298; cfr. Codice del 1917 can. 685). Questa è una cosa ovviamente buona e riconosciuta come tale dalla Chiesa. Ancora una volta, la CDW non può cambiare questo in contrario.
[8] Demain la liturgie: Essai sur l’évolution des assemblées chrétiennes (Paris: Les Éditions du Cerf, 1977), 9-10.
[9] La regola dei 200 anni specificata in Quo Primum sostiene questo punto di vista: un rito più giovane di 200 anni non può rivendicare il pedigree, l’ortodossia garantita e il sostegno di tutta la Chiesa che un rito di diversi secoli o addirittura di durata millenaria può rivendicare e deve ricevere. È quindi il colmo dell’ironia che Francesco osi paragonarsi a Pio V, quando (come molti hanno fatto notare) la stessa regola di Pio V annullerebbe istantaneamente il Novus Ordo, specialmente sulla base delle premesse di Francesco stesso che (a) il Novus Ordo è così diverso dal rito tridentino che i due non possono essere considerati parocchialmente compatibili, e (b) che i preti che celebrano il rito tridentino sono come i preti che acquisiscono facoltà “biritane”!
[10] Certo, l’Istruzione Universae Ecclesiae del 2011 ha tentato di affermare che le letture possono essere fatte esclusivamente in volgare in una Messa Bassa. All’epoca questo non ha attirato le critiche che avrebbe dovuto, e infatti un influente cardinale della Chiesa è arrivato al punto di pontificare a Chartres in una liturgia che ha omesso del tutto le letture in latino.

[11] Sal 63,9-11 RSV [62,10-12 Vul.].

[12] Sal 5,7-11 DRA.
fonte Stilum Curiae

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