Non saremmo in grado di ricostruire su incontestabili basi documentali il tortuoso accavallarsi di polemiche e di tregue, di scontri e di accordi che hanno presumibilmente determinato, nel 2013, le inquietanti dimissioni di Benedetto XVI dalla carica di supremo Pastore della Chiesa.
Quelle dimissioni, quali che ne siano le ragioni e comunque le si voglia giudicare, incidono pesantemente sulle strutture visibili di una Chiesa insidiata dal parossistico riacutizzarsi di pericolose derive anti-tradizionali che, ad uno sguardo puramente umano (e perciò fatalmente miope), sembrano dirette a causarne il definitivo e irreparabile tramonto.
Il tragico ribaltamento del magistero pontificio, degradato a provocatorio veicolo di insultanti innovazioni, traditrici della Dottrina rivelata, si affianca alla creazione canonicamente inedita della figura del “Papa emerito” che, nella sofferta accettazione di un dignitoso e forzato silenzio, patisce (o ratifica?) il temporaneo trionfo della più sfacciata eterodossia.
Questa situazione dolorosa, che sconcerta i credenti non disposti a travisare i fatti dietro superficiali spiegazioni di comodo, non deve privarci della serena speranza nel provvidenziale aiuto divino.
Le ragioni della crisi coinvolgente la vita ecclesiale sottendono il possibile rinvio ad un contesto interpretativo che, pur mancando di riscontri direttamente verificabili, ha il pregio di rendere ragione dello sfacelo teologico e liturgico, indotto dai moti impulsivi dell’irruenza soggettivistica e dagli indomiti sperimentalismi dell’incontinente creatività profanatrice.
Il quadro più idoneo ad indicare le valenze degenerative che intorbidano e inibiscono la vitalità spirituale del cattolicesimo contemporaneo, suggerisce l’ipotesi realistica di un risolutivo conflitto interno ai diversi ranghi del progressismo clericale; la sua componente moderata che aveva metodicamente perseguito una eclettica e abborracciata contaminazione fra la teologia tradizionale e il velleitario tentativo di proporne una rilettura in chiave moderna, cede il passo alle tendenze più estreme che, avvalendosi del tenace lavorio da essa predisposto, mirano ad affrancarsi dal magistero della Chiesa.
L’elezione di Bergoglio, patrocinata da una congrega di cardinali ultra-modernisti appartenenti all’auto definitasi “mafia di S. Gallo”, segna la preminente affermazione di una falsa pastorale antidogmatica e anti-liturgica, cui i cattolici, per fedeltà alle promesse battesimali, non possono e non devono sentirsi vincolati.
Se con l’ascesa al soglio di Pietro del gesuita “venuto dalla fine del mondo”, la logica evoluzione dell’ aggiornamento conciliare si è esplicitata in tutta la coerenza delle sue latenti premesse sovvertitrici, si può sostenere senza tema di esagerazione che l’esasperata prosecuzione di un banale hypnose ecumenismo sincretistico; le favorevoli aperture alle prospettive sconsacrate e sconsacranti di una brutale deriva secolaristica, in cerca di un apprezzabile avallo pseudo-religioso; la promozione di cerimonie idolatriche in S. Pietro, tendono all’imposizione di restrizioni e di impedimenti alla celebrazione del Rito di Tradizione Apostolica.
Il recentissimo Motu proprio Traditionis custodes va ben oltre l’ abrogazione del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, respingendone perfino l’ambiguo assunto neo-modernistico di pervenire ad una armonizzazione di due riti, sottendenti concezioni liturgiche ed ecclesiologiche totalmente opposte.
L’impostazione ideologica di temi inerenti alla Fede e alla vita spirituale, rappresenta il vizio costitutivo di un documento che, ancora una volta, saggerà le proverbiali e sperimentate inclinazioni giustificatrici dei conservatori, ben disposti a riconoscere un valore dottrinario agli indirizzi neo-modernistici scopertamente professati dalla Gerarchia post- conciliare.
Il testo di Francesco, rivelativo di uno spirito acremente anti-cattolico e anti-romano, bandisce il Rito Tradizionale dalla l’ex orandi, vietandone la celebrazione nelle Chiese parrocchiali e dichiarando che la possibilità di ricorrervi è condizionata alla previa autorizzazione dei vescovi diocesani, tenuti a vigilare affinché non si formino gruppi di persone desiderose di rendere a Dio il culto dovutoGli con una Messa imparagonabile per santità e bellezza.
Se si pensa peraltro che le eventuali (e scarsamente probabili) autorizzazioni vescovili necessitano dell’arbitrato e dell’approvazione della Santa Sede, si può constatare come, abrogate le pur equivoche concessioni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, la Liturgia Tradizionale sia nuovamente sottoposta ai veti abrogativi stabiliti da Paolo VI all’indomani della sua sciagurata “riforma” del Messale Romano.
L’atavica avversione bergogliana per la Tradizione ha come naturale controparte l’apologia del concilio e del suo “spirito”: essi, avviando la rovinosa estenuazione della religione cattolica in un ruolo di umiliante conformità al potere della secolarizzazione, sono elogiati dal Papa argentino quali sicuri ed esclusivi criteri di appartenenza ecclesiale
Il contenuto del documento fa trasparire l’insinuante e beffarda ironia del titolo; i “custodi della tradizione”, chiamati a reprimere ogni tentativo di rivitalizzare la fede nelle anime attraverso la partecipazione alla Sacra Liturgia che ha forgiato animose schiere di santi e di martiri, devono operare e comportarsi da distruttori della medesima, lasciando libero corso ai cacofonici singulti dell’assemblearismo vociferante e agli ostentati sacrilegi della esagitazione “carismatica”.
Al di là delle effimere vittorie del neo-modernismo, pietosamente precipitato nelle sue insuperabili contraddizioni, la coscienza della indefettibilità della Chiesa e la memoria delle severe ammonizioni formulate da S. Pio V nella bolla Quo primum tempore, ci garantiscono che nessuna autorità può privarci della fulgida perfezione del Rito tradizionale, da Dio predestinato a durare fino a quando i tempi saranno trascesi nel gaudio supremo della Gerusalemme celeste.
CRUCE SIGNATUS Fonte Si Si NO NO
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