Tra le tremende invettive contro il clero corrotto, offerteci dai Sermoni del "dolce" Sant'Antonio di Padova (+1231), ve ne presento una piuttosto lunga e focosa, tratta dai paragrafi 13-15 del Sermone per la IV domenica dopo Pentecoste. Mi pare ancora attuale, dopo quasi 800 anni, a richiamare gli interessati, soprattutto per l'afflato biblico che pervade e rende sempre freschi e affilati gli scritti antoniani.
Mi sembra importante però sottolineare che il "domani" di cui parla il Santo Dottore non è un domani storico: come i poveri saran sempre con noi - secondo ciò che dice Gesù -, avremo tuttavia anche la compagnia dei cattivi maestri, ma solo fino al giorno del giudizio.
Per chi pensa, dunque, che in un mitico bel tempo andato, tipo ai tempi di San Francesco o Sant'Antonio preti, vescovi e abati fossero un ricettacolo di moralità e purezza, mentre tutta la corruzione e le porcherie sono arrivate a sporcar la chiesa negli ultimi anni, ecco un buon testo su cui meditare:
Dai "Sermoni" di S.Antonio di Padova, Dottore della Chiesa.
(IV dom. p. Pent., 13-15)
«Disse loro anche una parabola: Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una fossa? Non c'è discepolo da più del maestro; ma ognuno sarà perfetto, se sarà come il suo maestro» (Lc 6,39-40).
Il cieco raffigura il prelato o il sacerdote, indegni o corrotti, privi della luce della vita e della scienza. Dei prelati ciechi della chiesa, dice Isaia: «Voi tutte, bestie della campagna, venite a mangiare, e anche voi tutte, bestie della foresta. I suoi [di Israele, della chiesa] sorveglianti sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare, visionari, sonnolenti e amanti dei sogni; sono cani avidissimi, non conoscono sazietà. Gli stessi pastori sono incapaci di comprendere: tutti vanno per la loro strada, ciascuno ai propri interessi, dal più elevato al più basso. Venite, beviamo vino e ubriachiamoci: come è oggi, così sarà anche domani, e molto di più» (Is 56,9-12).
Nelle bestie della campagna sono indicati i demoni; in quelle della foresta gli istinti della carne, i quali divorano la chiesa e l'anima fedele. E questo perché? Appunto perché i sorveglianti della chiesa sono tutti ciechi, privi della luce della vita e della scienza; cani muti, che hanno in bocca il «rospo» del diavolo, e perciò sono incapaci di latrare contro il lupo. Sono visionari, perché predicano per denaro, e credono di richiamare le anime al pentimento dicendo quasi per burla: «Pace, pace, e pace non c'è» (Ger 6,14; Ez 13,10). Dormono nei peccati, amano i sogni, cioè le cose temporali che poi deludono amaramente coloro che le amano. Sono cani avidissimi, sfrontati come una prostituta, e non vogliono arrossire (cf. Ger 3,3). Non conoscono sazietà; dicono sempre: Porta, porta!, e mai: Basta! (cf. Pro 30,15). I pastori stessi pascolano se stessi (cf. Gd 12), sono privi di quella intelligenza della quale dice il Profeta: «Agirò con intelligenza nella via dell'innocenza» (Sal 100,2).
Tutti camminano per la loro strada, non sulla strada di Gesù Cristo, ciascuno pensando ai propri interessi. È quella strada buia e scivolosa (cf. Sal 34,6) sulla quale tutti procedono, dal più elevato al più basso, dal padrone fino al porcellino più piccolo. Essi stessi si invitano: «Venite, beviamo vino», «il quale porta alla lussuria» (Ef 5,18), «e diamoci all'ubriachezza», la quale toglie cuore e cervello (cf. Os 4,11), «e tutto sarà come oggi».
Ma, credete a me: domani non sarà come oggi. Leggiamo infatti nel primo libro dei Maccabei: «La gloria del peccatore è sterco e vermi. Oggi è esaltato e domani non si trova più, perché è ritornato alla polvere e i suoi progetti sono falliti» (1Mac 2,62-63). «Domani risponderà per me la mia giustizia» (la mia onestà), dice Giacobbe nella Genesi (Gn 30,33). Oggi, cani sfrontati, siete pieni di ubriachezza, ma domani, vale a dire nel giorno del giudizio, vi troverete di fronte alla morte eterna. Dice l'Apocalisse: «Quanto si innalzò e si circondò di piaceri, tanto dategli di tormenti» (Ap 18,7).
Inoltre, questi ciechi ci danno la prova della loro malizia dicendo, sempre con le parole di Isaia: «Come ciechi abbiamo tastato la parete, e come privi di occhi vi ci attacchiamo; abbiamo inciampato a mezzogiorno come nelle tenebre; siamo come i morti nei luoghi oscuri: noi tutti ruggiamo come orsi» (Is 59,10-11)...come gli orsi non hanno alcuna forza nella testa, così questi indegni prelati della chiesa non hanno alcuna energia spirituale, non essendo capaci di resistere alle tentazioni del diavolo: ma tutta la forza l'hanno nelle braccia e nei fianchi, forza di rapina e di lussuria. Tendono insidie agli alveari delle api, cioè alle case dei poveri; bramano in sommo grado i dolci favi della lode e della vanagloria, cioè i saluti nelle piazze, i primi posti nelle cene, i primi seggi nelle sinagoghe (cf. Mt 23,6-7), essi che, alla fine, saranno privati anche dei secondi.
Tali ciechi e zoppi non dovrebbero entrare nel tempio (cioè nella chiesa), quel tempio che oggi è dato loro in custodia, e dalla cui cieca custodia invece vengono accecati molti e sono con loro parimenti travolti nella fossa della dannazione. Giustamente quindi è detto: Se un cieco guida un altro cieco, cadranno tutti e due nella fossa (cf. Lc 6,39).
Sant'Antonio sulle tentazioni di Cristo e dei Cristiani
(Prima Domenica di Quaresima)
Come il diavolo tentò il Signore di gola nel deserto, di vanagloria nel tempio e di avidità sul monte, così fa anche con noi ogni giorno: ci tenta di gola nel deserto del digiuno, di vanagloria nel tempio dell'orazione e dell'ufficiatura, e di tante forme di avidità sul monte delle nostre cariche.
Mentre digiuniamo ci tenta di gola, con la quale pecchiamo in cinque modi, come è detto nel seguente versetto di san Gregorio: Troppo presto, lautamente, troppo, voracemente, con raffinatezza...
Parimenti il diavolo ci tenta di vanagloria nel tempio. Infatti mentre siamo in preghiera, mentre recitiamo l'ufficio divino e siamo occupati nella predicazione, siamo assaliti dal diavolo con i dardi della vanagloria e, purtroppo, molto spesso feriti. Ci sono infatti alcuni che vogliono esser visti mentre pregano e fanno genuflessioni e mandano sospiri. E ci sono altri che quando cantano in coro modulano la voce e gorgheggiano, e desiderano essere ascoltati. E ci sono altri ancora che, quando predicano, e tuonano con la voce, e moltiplicano le citazioni, le commentano a modo loro e si attorcigliano, bramano esser lodati. Tutti questi mercenari, credetemi, «hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,2)....
Inoltre sul monte delle nostre cariche, della nostra transitoria dignità, siamo tentati a commettere molti peccati di avidità. Non c'è solo l'avidità del denaro ma anche quella dell'esser ritenuti i primi (non tantum est avaritia pecuniae sed etiam excellentiae). Gli avidi più hanno e più bramano di avere, e coloro che sono posti in alto, quanto più salgono tanto più si forzano di salire, e così avviene che crollino con una caduta molto più rovinosa...
Dice Salomone in proposito: «Il fuoco non dice mai: basta!» (Pro 30,16). Il fuoco, cioè l'avarizia del denaro e della eminenza, non dice mai: basta! Ma cosa dice? «Dammi, dammi!» (Pro 30,15). O Signore Gesù, togli, togli (aufer, aufer) questi due «dammi, dammi» (affer, affer) dai prelati della tua chiesa, che si pavoneggiano sul monte delle dignità ecclesiastiche e sperperano il tuo patrimonio, da te conquistato con gli schiaffi, con i flagelli, con gli sputi, con la croce, con i chiodi, con l'aceto, con il fiele e la lancia.Fra Modestino del santo Volto
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