di Antonio Socci
In una recente conferenza in Spagna, il card. Gerhard Müller, custode della dottrina cattolica, cercando di mettere una toppa sulle esplosive trovate eterodosse dell’Amoris laetitia di Bergoglio, ha affermato che nessun papa può cambiare la dottrina sui sacramenti istituiti da Cristo.
Poi Müller ha spiegato la loro centralità: «Sant'Agostino ha visto nell'economia sacramentale della Chiesa l’architettura fondamentale dell’arca di Noè, che è il corpo di Cristo, con il battesimo come grande porta. La Chiesa può navigare perché il suo guscio e la sua alberatura hanno la forma di questo amore di Gesù, comunicato nei sacramenti».
Eppure proprio contro i sacramenti si è scatenata l’opera demolitrice di papa Bergoglio che rischia di far affondare la nave.
Quelli più colpiti - con atti ufficiali - sono stati i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della confessione (insieme con un paio di Comandamenti). Ma anche il battesimo - con artiglieria minore - è stato bersagliato.
Ora è arrivato il momento di colpire il sacerdozio e Bergoglio lo fa in diversi modi. Anzitutto c’è il simbolico linguaggio dei gesti.
Per esempio, il papa argentino non ha mai voluto celebrare la “Messa in coena Domini” in Laterano col clero romano.
Era tradizione dei papi lavare i piedi a dodici preti romani perché il giovedì santo si fa memoria dell’istituzione dei sacramenti dell’eucaristia e dell’ordine sacerdotale, connessi l’uno all'altro.
Invece i giovedì santi bergogliani sono stati dedicati alla lavanda dei piedi di immigrati di tutte le religioni da parte del papa (sempre in favore di telecamera).
Poi c’è la delegittimazione del celibato ecclesiastico, a proposito del quale Bergoglio ebbe a dire: «Non essendo un dogma di fede, c’è sempre la porta aperta».
Ma c’è pure chi spinge per l’ordinazione delle donne.
Su questo Bergoglio sa che la strada gli è sbarrata dalla Lettera Apostolica “Ordinatio Sacerdotalis” di Giovanni Paolo II che - in continuità con tutto il magistero della Chiesa - ha definito “infallibilmente” l’esclusività maschile dell’ordinazione.
Può forse essere aggirata con il diaconato alle donne? Ieri qualcuno deve averlo pensato leggendo i siti dei giornali di tutto il mondo che annunciavano “il papa apre alle donne diacono”.
Bergoglio vuole istituire una Commissione per studiare la cosa. Ma dovrebbe sapere che una tale “commissione” c’è già stata e lavorò per dieci anni, pubblicando le conclusioni nel 2003. Dunque non c’è più nulla da chiarire e studiare.
Il professor Roberto De Mattei, storico della Chiesa, spiega: «Fin dalle origini la gerarchia apostolica istituita da Gesù Cristo ebbe tre gradi: diaconi, presbiteri e vescovi. Questo ministero ecclesiastico è di diritto divino e ha natura sacramentale. Fin dall’inizio la partecipazione a questo ministero fu riservata ai soli battezzati maschi. Le cosiddette “diaconesse” dei primi secoli non ricevevano alcuna ordinazione sacramentale, e non avevano niente a che fare con questa sacra gerarchia, come spiega sant’Epifanio, nel suo Panarion, e san Tommaso nella Summa Theologica». Dunque da sempre “la tradizione e la prassi” della Chiesa sono chiare e univoche.
De Mattei aggiunge: «Nei primi secoli della Chiesa furono gli eretici (gnostici, marcioniti, montanisti) ad inserire le donne nella gerarchia ecclesiastica, ammettendole ai compiti del predicatore o del sacerdote. A questi eretici i Padri della Chiesa hanno sempre opposto il comportamento di Gesù che scelse gli Apostoli solo tra gli uomini e non affidò a Maria alcun ministero all’interno della Chiesa, pur costituendone Ella il cuore. Infatti, come afferma papa Innocenzo III, “anche se la beatissima Vergine Maria si trova in un grado più alto ed è più di tutti gli apostoli messi insieme, il Signore non ha affidato a lei, ma agli apostoli, le chiavi del regno”».
Ma qual è allora il senso di questa nuova “apertura” di Bergoglio? Semplice. Fino a Benedetto XVI la Chiesa è stata un ostacolo (katéchon) per certi poteri mondani. Chi ha spinto per “dimissionare” Benedetto e lanciare Bergoglio vuole omologare la Chiesa al mondo, diluendola nell’ideologia dominante.
Bergoglio dice che tale “adeguamento” serve per permettere alla fede cristiana di raggiungere gli uomini moderni. Ma i fatti dimostrano l’esatto contrario, dicono che è un suicidio.
Le confessioni protestanti che sono andate in questa direzione modernista sono alla canna del gas, ormai irrilevanti e inesistenti.
Al contrario - come ha rilevato il sociologo americano Rodney Stark - dove e quando si propone una vita cristiana impegnativa e rigorosa, con una forte connotazione ideale, fedele al Vangelo, si ha una risposta (anche vocazionale) straordinaria.
La strada da intraprendere per la Chiesa sarebbe dunque chiara. Ma la via scelta da Bergoglio è invece quella della resa alle ideologie mondane.
Egli imita le confessioni protestanti con cui - peraltro - Bergoglio prospetta una specie di ricongiungimento nel 2017, in occasione dei 500 anni dal devastante scisma luterano.
Anche la scelta bergogliana di abbandonare e rinnegare tutte le battaglie pubbliche sui “principi non negoziabili” ha questa ragione: non ostacolare l'ideologia e i poteri dominanti. Per questo Bergoglio ha (mal)trattato con gelido disprezzo il Family day e la recente “Marcia per la vita”.
Egli preferisce loro il Centro sociale Leoncavallo e cavalca le battaglie “politically correct” amplificate dai media: immigrati, ecologia, riscaldamento globale, ecumenismo.
Il caso della recente legge sulle unioni gay è emblematico. A vararla è stato il trio Renzi-Boschi-Alfano, cioè tre “cattolici”.
Nessuno di loro - se non altro per motivi di bottega elettorale - avrebbe firmato un'operazione simile avendo contro la Chiesa. Con Benedetto XVI, per capirci, non sarebbe accaduto.
Invece da Bergoglio hanno avuto rassicurazioni: egli disse che su queste materie “io non m'immischio” (mentre però s'immischiava nelle presidenziali americane bombardando Trump per il tema dell'emigrazione).
Poi il sì bergogliano alle unioni gay è stato addirittura messo nero su bianco in quella “Amoris laetitia” che è un vero manifesto per la demolizione della Chiesa.
Leggere per credere: «Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio». (n. 52)
Attenzione alla furbizia gesuitica. Solo in apparenza qua si nega il riconoscimento. In realtà queste parole implicano: (1) che «le unioni omosessuali» fanno parte della «grande varietà di situazioni familiari» da «riconoscere» (fino a ieri la Chiesa affermava che esiste una sola famiglia); (2) che «le unioni dello stesso sesso» offrono una «certa regola di vita (stabilità)» e (3) che «le unioni omosessuali» possono essere «equiparate» al matrimonio, però non in maniera «semplicistica»: con qualche finzione.
È precisamente quanto fa la legge appena approvata, che di fatto equipare le unioni gay al matrimonio senza dirlo ufficialmente.
Mons. Galantino ha finto una “protesta”, ma - attenzione - sul metodo di approvazione, non sul merito. Era un modo per salvare le apparenze di fronte ai cattolici, come ha scritto Marcello Sorgi sulla Stampa. La solita furbatella bergogliana.
Chi ha capito benissimo che con Bergoglio ci troviamo davanti a un’ “altra Chiesa” (non più cattolica) è Emma Bonino che dichiara: «Questa Chiesa non ha nulla a che vedere con la veemenza intrusiva di Ruini». E infatti il titolo della sua intervista sulla Stampa è: «Ora avanti con eutanasia, cannabis, cittadinanza e asilo». Bergoglio e la “sua” chiesa non saranno certo d’ostacolo. I papi per duemila anni hanno detto di seguire l’esempio dei santi, ma invece il “papa argentino” di recente ha indicato proprio la Bonino e Napolitano come i «grandi italiani» da ammirare.
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