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“Chi ha dunque ingegno, badi di non tacere” (San Gregorio Magno) di Giuseppe Provenzale


La lezione della dottrina sociale della Chiesa: cristianizzare l’economia contro l’imperialismo internazionale del denaro
– I due concomitanti anniversari di oggi (i 125 anni della Rerum Novarum (1891) e gli 85 della Quadragesimo Anno (1931), emanata nel quarantesimo anniversario della prima enciclica) offrono l’occasione di una più che mai utile rilettura della dottrina sociale della Chiesa così come venne concepita, senza le influenze secolariste successive. Molti sono gli spunti, numerose le direttive ricavabili nel campo dell’azione dottrinale e politica, questo breve scritto si limiterà a rintracciarne alcune.


Nonostante l’apparente vorticosa rapidità che caratterizza i mutamenti dei tempi in cui ci è concesso vivere, rileggere le encicliche di Leone XIII e Pio XI non provoca affatto l’effetto antiquariato che qualcuno, non senza malizia, potrebbe presupporre.
Del resto, ciò che muta repentinamente ai nostri giorni, oltre alla tecnologia, è il costume più che decadente che i secoli a noi limitrofi hanno scientemente prodotto e lo sconvolgimento culturale, più che mai in atto, è insieme causa ed effetto dell’industrializzazione e dell’attuale anomala egemonia tirannica dell’economia di mercato, la cui connaturata assenza di etica ha guidato e favorito anche i più recenti stravolgimenti della cultura e del costume.
Non sono cambiate, pertanto, le matrici e la natura dei fenomeni che hanno generato l’attuale società, figlia sempre più orgogliosa e consapevole delle proprie primitive origini anticristiane e, anzi, il secolarismo liberale ha scritto ulteriori infausti capitoli sul disastroso distacco della politica dalla morale – e dunque dal suo essenziale fondamento religioso – dilagando in ogni settore e privando l’arte del servizio rivolto al bene comune di ogni principio correttamente ispirato.

Analisi e soluzioni proposte dalle due encicliche (le cui caratteristiche sociali – sia detto per inciso – sono il frutto della visione cattolica che oggi occorre qualificare con l’aggettivo “tradizionale”), pur volendo prescindere, se non incidentalmente, dall’aspetto magisteriale che non è di pertinenza, per le sue finalità, del presente articolo, appaiono quindi straordinariamente adatte a leggere questi tempi, e i propri estremi sviluppi turbo capitalistici ed economicistici, prendendo le mosse, appunto, dalla critica delle loro matrici concettuali.
La dottrina sociale della Chiesa punta dunque senza ambiguità alle radici degli attuali guasti, ricordandoci che “… per opera del cristianesimo fu trasformata da capo a fondo la società; [...] (e che) questa trasformazione fu un vero progresso del genere umano, anzi una risurrezione dalla morte alla vita morale, e un perfezionamento non mai visto per l’innanzi né sperabile maggiore per l’avvenire…”.
“Perciò, se ai mali del mondo v’è un rimedio, questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani.
E’ un solenne principio questo, che per riformare una società in decadenza è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l’essere, la perfezione di ogni società è riposta nello sforzo di arrivare al suo scopo: in modo che il principio generatore dei moti e delle azioni sociali sia il medesimo che ha generato l’associazione. Quindi deviare dallo scopo primitivo è corruzione; tornare ad esso è salvezza”. (1)

*****

Il liberalismo massonico anglosassone era, nella sua declinazione positivistica, già ai tempi di Papa Pecci, un’ artificiale sovrapposizione al vero progresso e alla vera civiltà, che indossava la maschera dionisiaca e trionfante di un progresso alternativo e superiore, di un’ inedita civiltà.
Nessuna impresa politica, però, nessuna storia di civiltà può essere edificata prescindendo dal riferimento al Creatore, questo è il grave peccato, condiviso da marxismo e liberalismo, che le due encicliche individuano con grande chiarezza.
Lo ha ben compreso oggi, tra gli altri, Vladimir Putin. Riedificando la sua Russia dalle macerie dell’ateismo collettivista sovietico – e vanificando al tempo stesso l’ immediata famelica aggressione del capitalismo liberale – attraverso un convinto ritorno al reale, egli ha neutralizzato con i necessari anticorpi l’avvento di quella società senza anima culturale e religiosa, priva di una certa metafisica e quindi destinata a crollare, come era appena accaduto all’U.R.S.S., che il modello occidentale inevitabilmente imponeva.
La sola efficace medicina sociale, ammoniscono le encicliche in oggetto e ce lo conferma la buona prassi della rinascita russa, è dunque, prima di tutto, religiosa; e il cancro oggi più comune e apparentemente inarrestabile è certamente quel liberalismo i cui idoli “affrontava coraggiosamente … e li rovesciava”(2) la dottrina di Leone XIII.

Ecco perché quanto indicato dai vecchi Pontefici serve addirittura per meglio comprendere, rispetto a certe più recenti e superficiali letture, quanto folle sia, già da tempo, il nostro tempo (il bisticcio di parole è voluto) nel suo precipitare in ogni settore contro natura, quanto oltre si sia spinto il mondo e quanto vichianamente ricorrano condizioni di privazione e violenza contro l’uomo che il liberismo selvaggio ha di fatto applicato, fornendo concreta attuazione a dottrine economico-politiche – e politiche solo perché derivanti da una supposta superiorità pragmatica e antimetafisica dell’economia – provenienti anche da quello che una volta dipingeva come l’irriducibile avversario marxista; si pensi all’effettiva abolizione della proprietà privata che l’attuale sistema sta realizzando, a dispetto dei suoi stessi dichiarati assunti teorici, in modo progressivamente devastante.

Di fronte alla morte del marxismo puro, poi, la condanna del liberalismo e della sua dottrina economica, così come la formularono Smith e Ricardo, riletta nei tempi del suo tragico, per i popoli e le loro speranze, trionfo, seppur giunto in tempi di manifesta crisi – sempre per i popoli e le loro speranze non certo per chi, generandola per i propri scopi e facendosi della crisi riparo ha rinnegato le mirabolanti promesse dei suoi padri (benessere, felicità, libertà, democrazia ecc.) – assume l’aspetto di uno svelamento totale, di uno smascheramento radicale, proprio perché ante litteram, che non può non essere estremamente utile anche nell’ora presente, anche contro certe posizioni dialoganti e/o ottimistiche della Chiesa degli ultimi decenni.
Già, perché la Chiesa ha smesso di condannare, come già fece col comunismo, anche il liberalismo, limitandosi ad una timida azione dialogante/mitigatrice, da quando si è convertita a quell’umanesimo laicista formale e sostanziale che troppe sue componenti pretendono di poter sintetizzare con il cristianesimo.
La Quadragesimo Anno, esplicitando ulteriormente e aggiornando le indicazioni dell’enciclica precedente, non lascia spazio ad interpretazioni e rimette al giusto posto quelle scienze umane che non possono sfuggire, non senza gravi guasti, alla disciplina di una precisa gerarchia, reale perché metafisica, che vuole sia lo Stato, e quindi la politica, a dirigere l’economia: “… il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo anzi, come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale dimenticando o ignorando che l’economia ha un suo carattere sociale, non meno che morale, ritenne che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio, secondo cui sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata.”
La supremazia economica “che in questi ultimi tempi è andata sostituendosi alla libera concorrenza” non può certo assolvere al compito “poiché, essendo essa una forza cieca e una energia violenta, per diventare utile agli uomini ha bisogno di essere sapientemente frenata e guidata”.
“Perciò è necessario che alla giustizia sociale si ispirino le istituzioni dei popoli, anzi di tutta la vita della società; e più ancora è necessario che questa giustizia sia davvero efficace, ossia costituisca un ordine giuridico e sociale a cui l’economia tutta si conformi”.(3)

Cuore pulsante dell’economia contemporanea è la moneta, essa è oggi “l’anima dell’economia”,
e la Quadragesimo Anno, come ben comprese Giacinto Auriti, fornisce le basi analitiche e suggerisce le soluzioni per affrontare anche il nodo della questione monetaria: “… ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui però dispongono a loro grado e piacimento.
Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il denaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare”.(4)
Commentava Auriti: “In questo sistema pretendere di pagare con denaro un debito di denaro è come pretendere di pagare un debito con un altro debito: è impossibile. A lungo andare i debiti si pagano con il prodotto del proprio lavoro e con la proprietà del capitale”.
Rimettendo le cose al loro posto, e applicando la dottrina al contesto dell’Eurozona, quindi: “… l’autonomia della BCE deve essere funzionalmente limitata al solo momento dell’emissione, mentre la proprietà della moneta e quindi le libertà giuridiche essenziali alla sua utilizzazione devono essere riconosciute come prerogativa esclusiva degli Stati Membri. Il rapporto organico, per essere razionale, deve distinguere il momento strumentale o funzionale -prerogativa dell’organo- dal momento edonistico (relativo al godimento sociale della funzione stessa ndr) -prerogativa della collettività -“.(5)
Quanto appena affermato costituisce l’analisi più correttamente ispirata che deve guidare la conseguente soluzione integrale della proprietà popolare della moneta, l’unica in grado di liberare i popoli dalla moderna schiavitù dell’ “internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro”(6) perché in grado di “cristianizzare” l’economia.

L’attuale guerra antinaturale contro la famiglia e il diritto alla proprietà privata

“La proprietà privata è di diritto naturale”, affermava la Rerum Novarum, replicando alle accuse e alle minacce socialiste contro il diritto ad essa; ma Leone XIII definendo il socialismo quale “falso rimedio” alla questione sociale, pur comprendendone molto bene le comuni origini, non poteva del tutto prevedere che sarebbero stati gli esiti del capitalismo liberale ad attuare in concreto, pur negandone l’intenzione, l’abolizione del diritto alla proprietà privata per la maggioranza dei lavoratori.
Non è un mistero, d’altra parte, che certo marxismo s’è fatto umile vassallo della supremazia economica, causa ed effetto del nichilismo liberale contemporaneo, offrendo volentieri all’idolo trionfante il proprio bagaglio ideologico, ovviamente depurato dalle migliori istanze di giustizia sociale.
La programmata e perdurante crisi attuale, dunque, annullando ogni possibilità di risparmio anche per chi conserva un lavoro stabile, ha cancellato anche il diritto essenziale alla proprietà, riducendolo a mera enunciazione di principio, se non per i monopolisti. Questo stato di cose illumina ulteriormente sul profilo criminale e demoniaco di ideologie e visioni del mondo che fanno della astratta “libertà” il proprio vessillo.

E’ il turbo capitalismo che impedisce al padre di provvedere adeguatamente ai figli, lo Stato servo del mercato “offende” e non aiuta la famiglia, anche a partire dalla sua disintegrazione culturale, e, costituendo la proprietà privata un diritto inalienabile perché naturale (“né più né meno che la stessa mercede [il diritto alla giusta retribuzione ndr]“, “la mercede medesima travestita di forma”) ne impedisce di fatto l’acquisizione al lavoratore.(7)
Fallito il marxismo, morto quasi del tutto il comunismo reale, gli attuali governi liberali asserviti alla grande usura sono responsabili, quindi, di una “colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio” (8), come quelle unioni a cui si attribuiscono anche in Italia – proprio mentre scrivo queste parole – in forza di particolari “orientamenti sessuali” diritti uguali a quelli delle famiglie, quasi a voler dimostrare l’esistenza di una parvenza di giustizia ed effettivo progresso per un’epoca che mostra, ogni giorno di più, di essere la peggiore tra tutte o, se preferite, la migliore nel negare alla giustizia e al sano progresso un qualche diritto di cittadinanza. L’era più disumana fra tutte che, in nome dell’uomo, l’Uomo distrugge.

Il diritto alla proprietà privata, al risparmio, il diritto di un padre a provvedere adeguatamente ai figli, il diritto al lavoro e alla pensione… Nessun diritto è ormai realmente garantito nell’era sciagurata degli pseudo diritti derivanti da costumi sessuali, economici e sociali contro natura: l’usura divoratrice si nutre dei costumi degenerati e sembra trionfare, anche con la complicità di pastori e guardiani del gregge, nel migliore dei casi, poco reattivi.
L’età dei diritti per tutti sta sopprimendo i diritti naturali fondamentali, così ben individuati da quei papi così “anacronistici”, per mezzo di un attacco micidiale alla famiglia e ad ogni corpo intermedio che è insieme di anti natura antropologica e sociale, poiché nega all’istituto familiare il valore esclusivo e fondante e ne annulla di fatto, allo stesso tempo, il ruolo di formidabile ammortizzatore sociale naturale.
E’ dunque essenziale qui, contro l’attuale statolatria democratica, riaffermare con Pio XI il principio della sussidiarietà:”deve […] restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”.(9)

“Non può sussistere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”.(10)

E’ evidente a tutti come questa massima, principio essenziale di ogni società organica costruita come comunità di destino, sia oggi più che mai ampiamente odiata dalla moderna finanza speculativa che non solo ha scisso capitale e lavoro, ma, ponendolo sul trono, ha reso virtuale, pur nella sua concreta egemonia, il primo e precarizzato il secondo, con la conseguenza di privarlo progressivamente di quelle garanzie un tempo sbandierate come conquiste irrinunciabili.
Tanto è ingiusta l’attuale libertà di sfruttamento quanto è attuale obiettivo rigenerante di giustizia sociale che non possa “una classe escludere l’altra dalla partecipazione degli utili” e che, per di più, “il lavoro (non) sia l’unico titolo per ricevere vitto e proventi”(11) perché non si può né si deve lavorare tutta la vita o si ha necessità di provvedere a lavori, come quelli domestici o puramente intellettuali, che non contemplano ordinariamente una retribuzione.
“A ciascuno dunque si deve attribuire la sua parte di beni e bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale”. (12)
E’ dunque essenziale l’obiettivo di combattere il fenomeno oggi nuovamente dilagante della proletarizzazione della classe media, quella classe media che il Fascismo aveva costruito e ampliato, adesso ridotta ai minimi termini, ecco il programma di sana ricostruzione: “… che […] i capitali guadagnati […] si distribuiscano […] fra i prestatori d’opera […] perché amministrando con saggezza l’aumentata proprietà (essi) possano più facilmente sostenere i pesi della famiglia, e usciti da quell’incerta sorte di vita, in cui si dibatte il proletariato, non solo siano in grado di sopportare le vicende della vita, ma possano ripromettersi che alla loro morte saranno convenientemente provveduti quelli che lasciano dopo di sé”.(13)

*****

In conclusione, davvero nulla resta al di fuori e molti altri potrebbero essere i riferimenti utili ad una sana ricostruzione dell’attuale disastrata società ricavabili dalla rilettura delle encicliche sociali, si pensi, ad esempio, alla dottrina corporativa.
Che l’odierno anniversario, coincidente con la domenica di Pentecoste, possa concretamente e nuovamente informare l’azione politica necessaria a quell’inversione di rotta che sola potrà garantirci di rompere le catene dell’attuale schiavitù causata in ogni campo dall’affermazione tirannica della falsa libertà, che è nemica giurata della natura e dell’uomo perché acerrima nemica di Dio.
Vicesegretario nazionale di Forza Nuova

Note

(1) S.S. Leone XIII:”Rerum Novarum”, 4b
(2) S.S. Pio XI: “Quadragesimo Anno”, 15
(3) Ibidem, 89
(4) Ibidem, 105/106
(5) Giacinto Auriti:”CONTENUTI E LIMITI FUNZIONALI DELL’AUTONOMIA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA NEI RAPPORTI CON GLI STATI MEMBRI” 27/5/1998
(6) “Quadragesimo Anno”, 109
(7) “Rerum Novarum”, 4
(8) Ibidem, 17
(9) “Quadragesimo Anno”, 80
(10) “Rerum Novarum”, 16
(11) “Quadragesimo Anno”, 58/59
(12) Ibidem, 60
(13) Ibidem, 63

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