La ricorrenza ha una importanza particolare per un fenomeno del tutto straordinario, eppure poco conosciuto, che riguarda le reliquie delle Sacre Spine. In un interessante saggio del prof. Loconsole (Michele Loconsole, La corona di spine di Cristo, Cantagalli, 2005) leggiamo: «Secondo un’antica e documentata tradizione ecclesiastica […] le macchie di sangue aggrumate su alcune spine, da secoli conservate in molte basiliche e chiese d’Europa e ritenute pertanto provenienti dalla corona di Cristo, subiscono una trasformazione cromatica. In non pochi casi si sono registrati anche prodigi legati alla fioritura, rinverdimento, inumidimento e curvatura dei sacri aculei». Nel suo ben documentato libro il Loconsole, dopo aver ripercorso la storia della Corona di spine ed il suo avventuroso viaggio da Gerusalemme all’Europa, si sofferma nel II capitolo sulla questione dell’autenticità: la domanda che ci si pone è se le spine conservate in alcune chiese siano veramente quelle che tormentarono il Capo del Salvatore. In base a cataloghi redatti nel corso dei secoli, si conclude che «…si ha notizia di oltre 100 sacre spine conservate e venerate in Italia; altrettante sono custodite in Europa, di cui la maggior parte in Francia. Diverse altre sono anche in località spagnole e tedesche» (op. cit., p. 34). Interessante è il parere riportato a p. 36 dallo studioso francese Vigouroux, che nel 1908 scriveva: «La corona di giunco si conserva ancora a Parigi e si compone di un fascio di giunchi piegato ad anello; questo ha il diametro interno di 210 millimetri, mentre il diametro della sezione del fascio è di 15 millimetri. Il fascio di giunchi è tenuto insieme da quindici o sedici attacchi fatti dai medesimi giunchi. Alcuni giunchi sono piegati e fanno vedere che la pianta è cava internamente; la loro superficie, esaminata alla lente, è solcata da piccoli rilievi. Quanto alle spine nessun dubbio che si tratti del Rhamnus, nome del genere di tre specie di piante che si accostano molto alla Spina di Pisa [Questo Rhamnus è il Zizyphus Spina Christi o giuggiolo]. Nella corona di N.S. i rami del Rhamnus spezzati o curvati verso il mezzo per assumere la forma del berretto (o cuffia) erano fissati per ciascuna della loro estremità sia al di dentro che al di fuori del cerchio di giunchi. Fu questa operazione compiuta dai soldati che gli evangelisti espressero con le parole “…Et plectentes coronam de spinis” (Matth XXVII, 29; Iohan. XIX, 2 e Marc. XV, 17)» (op. cit., p. 36). La presenza di un così gran numero di spine in giro per l’Europa, cosa che fa inarcare il sopraciglio di parecchi razionalisti, ha più spiegazioni del tutto plausibili: la prima è che molte delle spine venerate sono costituite o dalla punta spezzata o dalla sola punta senza il corpo; talvolta si tratta di un’unica spina divisa in due o di un frammento di ramo della corona, ma privo di spine. Altra ragione: la corona non era un semplice serto o anello, ma era in realtà un sorta di calotta; questa ipotesi trova riscontro nell’impronta del telo sindonico, dove le ferite (se ne contano in numero di 70) sono distribuite su tutto il capo e non solo intorno alla fronte. Terza ragione che spiegherebbe l’elevato numero di sacre spine potrebbe essere l’uso comprovato di porre a contatto con l’originale una sua copia. «Uno studio più aggiornato sulle sacre spine presenti in Italia è stato effettuato da [Giovanni Battista] Alfano, che nel 1932 classificò ben 160 spine sparse su tutto il territorio nazionale, di cui almeno 30 con evidenti fenomeni straordinari» (op. cit., p. 43). In che cosa consiste il fenomeno? «I miracoli avvenuti sulle sacre Spine venerate in Europa, documentati nell’arco dei secoli da commissioni di ecclesiastici, esperti e scienziati, si possono classificare in almeno tre differenti tipologie: arrossamento, fioritura e rinverdimento. […] La gran parte delle sacre spine conservate nelle chiese italiane appartiene alla prima tipologia, la reviviscenza delle macchie di sangue. I casi più celebri sono quelli di Andria, Bari e Vasto, documentati a partire dal XIII secolo. […] Nella seconda tipologia, quella della cosiddetta “fioritura”, ovvero l’apparizione inspiegabile di piccole gemme, foglioline e fiorellini, sulle sacre spine, vanno annoverati: Andria, Fano, Mitilene, Montone, San Giovanni Bianco, Serra San Quirico, Sulmona a Vasto. […] La terza tipologia, il rinverdimento delle sacre spine, appare più raramente. Il fenomeno è tale che le sacre spine da aride diven- tino umide e verdi, a volte rimanendo tali anche più giorni» (op. cit., p. 43 ss). La frequenza con cui avviene il miracolo varia secondo luoghi e periodi: talvolta si ripete ogni Venerdì Santo, talvolta, come detto, solo in concomitanza del 25 marzo con il Venerdì Santo. Nel libro citato, troviamo un elenco di luoghi in cui si venerano, o erano venerate, le sacre spine, con accanto indicata la tipologia del fenomeno. Nei capitoli successivi si passano in rassegna i prodigi che avvengono in Italia centro-settentrionale (cap. IV) e in Italia meridionale (cap. V). A titolo di esempio riporto qui la descrizione del miracolo avvenuto nel 1932 ad Andria. «Il 23 marzo il prelato andriese [Ferdinando Bernardi] aveva nominato una commissione che si accertasse dello stato della reliquia prima dell’atteso evento, al fine di documentare senza errore l’eventuale miracolo. Nel documento redatto dal notaio Giuseppe De Corata si afferma che: “…la S. Spina è di forma conica, con base larga in basso e vertice in alto. Il vertice si presenta leggermente scheggiata, ed alla distanza di circa quattro millimetri dall’estremo superiore presenta un filamento epidermoidale, lungo circa due millimetri. Il colorito predominante in tutta la S. Spina è color legno secco tendente al cinereo… La lunghezza della S. Spina è di circa quattro dita traverse. Alla facciata posteriore, verso il terzo inferiore, si osserva una macchia rilevante di colorito tendente al violaceo, che si sperde gradatamente. In tutta la lunghezza della S. Spina si osservano parecchie altre piccole macchie di differente grandezza”. Il 26 marzo, giorno successivo al miracolo, la commissione, tornata a riunirsi, sotto la guida del notaio,testimoniava “…che alle ore tredici e minuti quindici di oggi (25 marzo) la S. Spina è stata trasportata dalla Cappella, ove è custodita, in quella di san Riccardo nella chiesa Cattedrale. Dove è rimasta esposta all’adorazione di un’enorme folla che gremiva la chiesa… Alle ore quattordici e minuti trenta, la macchia al vertice della S. Spina ha incominciato a mostrarsi più ravvivata, e tale colorazione si perdeva gradatamente verso la base. Alle ore sedici le piccole macchie sparse su tutta la superficie della S. Spina si sono mostrate più appariscenti. Alle ore sedici e minuti quindici la macchia al vertice della S. Spina si è maggiormente ravvivata, presentandosi di color sanguigno, e con particolarità di non disperdersi a becco di flauto, ma di assumere nella sua base una linea circolare. In seguito a tali cambiamenti verificatisi sulla S. Spina, alle ore sedici e minuti venti si è proclamato l’avvenuto miracolo fra l’entusiasmo e l’esplosione di gioia di tutti» (p. 117). Nel rimandare il Lettore all’interessantissimo saggio più volte citato, mi piace concludere con le parole di un erudito ecclesiastico: «Adoriamo prostrati nella polvere, e rendiamo solenni grazie a Colui che confonde co’ prodigi l’insolente audacia della miscredenza» (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiatica da S. Pietro sino ai nostri giorni, voce “Spine [SS.]”).
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