Tutto il “pensiero” di Papa Bergoglio si può compendiare in questo: è convinto che le verità dogmatiche del cattolicesimo, la Tradizione, i Comandamenti – in una parola la “dottrina”, siano un ostacolo alla Misericordia, e vengano agitati dai moderni “farisei” per bloccare la nuova evangelizzazione per l’uomo postmoderno, mettere confini alla infinita Carità – o mettere a lui i bastoni tra le ruote. Più volte se l’è presa con “i nominalismi dichiarazionisti, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza, i purismi angelicati”.
Karl Marx riconoscerebbe con compiacimento in queste asserzioni la sua idea centrale: “il primato della prassi”. Tradotta dal gergo filosofico, significa: il primato dell’azione sulla teoria. Karl non ha mai avuto che scherno per i vecchi filosofi che cercavano “la verità”, come fosse qualcosa esistente e da scoprire. Nemmeno bisogna equivocare il senso del materialismo marxiano: non ha nulla a che spartire con la convinzione dei materialisti ingenui, per i quali la sola realtà è la materia (e non anche, poniamo, lo spirito); anche questi ingenui sono per lui dei “contemplativi”, dei “metafisici” – per il fatto che riconoscendo una materia esistente, in fondo ammettono che deve essere stata creata da Dio, visto che non sono stati loro a crearla, e la trovano già nel mondo esterno.
“La verità?!” – E Marx rideva
Marx è venuto a far giustizia una volta per tutte dei “nominalismi dichiarativi”, degli “intellettualismi”, di ogni pretesa di verità oggettiva. “I filosofi”, dice, hanno perso abbastanza tempo a “interpretare il mondo; adesso si tratta di cambiarlo”. Un’altra sua frase celebre dice la stessa cosa: “Keine Metaphisik Mehr”, basta con la metafisica! Pensare che esista una realtà-verità, da contemplare, è “metafisica”. Ricordiamoci che Marx viene dalla filosofia detta “idealista”, che dice: questa mela davanti a te sul tavolo non è una “realtà” esterna a te; esiste esclusivamente nel tuo io, la sua forma e il suo colore sono determinati dai “tuoi” sensi, il sapore dal “tuo” senso del gusto. Tutto il mondo, in tal senso, è una tua “Idea”. Credere che esista una mela fuori di te, è metafisica, un’illusione dogmatica dell’uomo antico, che la Germania ha per sempre smentito.
Marx accetta questa visione dell’idealismo tedesco, solo che – dichiara – mentre Hegel lo ha fatto camminare sulla testa (le idee), io lo metto sui piedi: l’azione prima del pensiero. Non chiedete dove sia la “verità”: la verità è ciò che voi costruirete con l’azione, l’azione rivoluzionaria che cambia radicalmente “lo stato di cose presente”. E’ nella storia, nella lotta, che si prova la veritàdei vostri successi. Nella lotta, ossia nello scontro fra forze materiali potenti (capitale contro proletariato), dove non è che una parte ha “ragione” e l’altra “torto”, ossia una sia nel vero e l’altra nel falso; è che con lo scontro, attuano la triade hegeliana (tesi-antitesi-sintesi), con la “negazione della negazione” salgono verso un progresso superiore. L’uomo non ha una natura propria, come credete voi contemplativi: si fa’ e cambia se stesso con l’azione. Col lavoro. L’operaio industriale è un uomo completamente diverso dal contadino medievale; il Comunismo lo trasformerà ancora, farà l’Uomo Nuovo.
Perché? Ma perché, dice Engels, semplicemente “tutto ciò che esiste merita di morire” – nichilismo assoluto. Da qui potete vedere quanto l’ideologia del transumano, l’insegnamento del gender a scuola, la moltiplicazione delle “opzioni sessuali” debba ancora al marxismo filosofico. Quello della Cirinnà o D’Alema è il marxismo dopo la vittoria del capitalismo globale: al quale “la sinistra” si mette al servizio, perché s’è dimostrato “la forza materiale più potente” - al diavolo il proletariato, che ha perso!
Sembra assurdo che Il Papa, un prete cattolico, condivida tale filosofia: un cattolico comincia con l’essere filosoficamente “realista”, ossia sa che la realtà esiste fuori di lui, non è stato lui a costruirla, e che esiste anche la verità che si deve soltanto “scoprire”, non “inventare”. E accettare umilmente quando è la Verità suprema, il mistero di Dio Salvatore: che infatti si è “rivelato”; mica lo abbiamo capito con le nostre forze.
Sembra assurdo. Eppure il “primato della prassi” con tanta forza imposto dal Papa alla Chiesa ci mette sulla strada. Se ci si fa attenzione, ogni frase di Bergoglio rivela una trama sottintesa marxiana.
Comincia col ridurre il compito della Chiesa, che è la salvezza eterna impetrando la grazia divina, alla sua dottrina sociale.
I principi permanenti della dottrina sociale della Chiesa costituiscono i veri e propri cardini dell’insegnamento sociale cattolico: si tratta dei principi della dignità della persona umana … nel quale ogni altro principio e contenuto della dottrina sociale trova fondamento, del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà» (Evangeli Gaudium n. 160).
Insomma la religione cattolica camminava “sulla testa”; e lui l’ha rimessa “sui piedi”. Da verticale e soprannaturale l’ha resa orizzontale, sociale. La giustizia sociale, “crescere come cittadini”, è il vero fine cristiano. L’aldiquà, non l’aldilà “metafisico e contemplativo”.
Quanto a Dio, “Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo”. Ossia: piantatela di cercare la Verità in un aldilà metafisico, o ingenui contemplativi; essa vi si rivela nei processi in corso, nel “fare”. Nell’azione.
Già padre Scalese ha avvertito qui echi della “filosofia idealistica [hegeliana], come lo storicismo, il primato del divenire sull’essere, la scaturigine dell’essere dall’azione (esse sequitur operari), ecc. Anche altri, da Don Nitoglia a Radaelli, hanno segnalato questa undercurrent hegeliano-marxiana; il mio articoletto non ha alcuna pretesa di originalità. Da vecchio anti-comunista, riconosco in Francesco le tattiche, i “metodi di lotta” e le mentalità degli antichi avversari, e mi sento ringiovanire….
Una delle centinaiaia di esecuzioni fatte da Castristi
“Naturalmente – dice con impazienza Bergoglio – nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi [notate: dice prassi, non ‘azione pastorale’] , ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cf Gv 16:13)”.
Dunque la Rivelazione come la conosciamo non è la verità completa; essa lo sarà alla “fine della storia” (come direbbe l’hegeliano Fukuyama). Anche il Dio di Bergoglio è “un dio futuro”, come si diceva del mitico orizzonte del comunismo.
Il cardinal Kasper, il “gran teologo secondo Bergoglio”, è ancora più esplicito: Dio stesso si deve evolvere come si evolve l’umanità nella storia:
“Il Dio che siede in trono sopra il mondo e la storia come essere immutabile è un’offesa all’uomo. Si deve negarlo per l’uomo stesso, perché egli (Dio) pretende per sé la dignità e l’onore che appartiene di diritto all’uomo… Dobbiamo opporre resistenza a questo Dio non solo per il bene dell’uomo, ma per Dio stesso. Egli non è il vero Dio, ma uno squallido idolo. Perché un Dio che è […] sopra la storia, che non è esso stesso storia, è un Dio finito. Se chiamiamo questo essere Dio, dunque in nome dell’Assoluto dobbiamo diventare atei assoluti. Questo Dio viene da una visione del mondo rigida; è il garante dello status quo e il nemico del Nuovo”.
Come vedete, il Dio di Kasper è il Nuovo, quello che spacca “l’ordine delle cose esistenti”, ossia lo status quo: è il “tutto ciò che esiste deve morire” di Engels.
Gott in der Geschichte”, Gott heute: 15 Beiträge zur Gottesfrage, (Mainz, 1967).
La frase strapperebbe applausi al vecchio Karl: ecco il vero “umanesimo” come lo intendo io! Non a caso ho scritto: “La critica della religione perviene alla dottrina che l’uomo è l’Essere Supremo per l’uomo”. Non a caso ho dato alla filosofia “la professione di Prometeo, “Odio tutti gli dèi; essa sarà sempre “contro tutti gli dei che non riconoscono la coscienza umana come la più alta divinità”.
Kasper, come tanti prelati germanici e come il loro Rahner, sono intrisi e infettati di hegelismo, storicismo, evoluzionismo marxiano. Bergoglio deve aver preso di lì molte delle sue idee, se possiamo chiamale idee.
Si tratta, essenzialmente, di quelli che lui chiama “i cinque postulati” da cui farebbe guidare la sua azione. Li si possono trovare qui:
Impressionante il terzo dei suoi “cinque postulati”. «La realtà è piú importante dell’idea», traduce il marxiano “finiamola con l’interpretare il mondo, è ora di cambiarlo”. La realtà qui infatti non è quella di Tomaso d’Aquino, ossia il reale a cui l’intelletto non ha che da adeguarsi; è la “realtà” che si fa dinamicamente nell’azione, nel futuro. Ciò che conta è “occuparsi di iniziare processi […], di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici» (EG n. 223).
Ciò porta al conflitto? Alla tensione fra passatisti e progressisti? Bene. «Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato – dice Francesco –. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà. Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il piú adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (nn. 226-227).
Ditemi voi se questa non è, pari pari, la visione dialettica hegel-marxiana: tesi-antitesi-sintesi. Ma non una costruzione intellettuale, bensì da realizzare nel fuoco dell’azione , beninteso di “misericordia”, socialità”, che il Bergoglio intende – come lotta. Per lui, e lo dice, la solidarietà è una “sfida”. Ma perché mai la solidarietà dovrebbe essere una “sfida”, se non per un marxista che lotta per cancellare lo stato di cose presenti? Un’arma ideologica da gettare contro i “farisei” o contemplativi che credono a un Dio nell’iper-uranio. Ciò spiega per esempio la sua volontà che la società presente (che deve morire) accolga senza limiti migranti di altre fedi, avversari; nel disordine sociale si tratta di “avviare processi”:
«La solidarietà, intesa nel suo significato piú profondo e di sfida, diventa uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (n. 228).
Ancora una volta la triade dialettica, affermazione-negazione-negazione della negazione. Il piano superiore che conserva in sé le polarità in contrasto è l’orizzonte della società senza stato di cui favoleggiava Marx, del mitico “a ciascuno secondo i suoi bisogni da ciascuno secondo le sue capacità”, la fine di ogni alienazione, il paradiso in terra.
Agnoletto
Pro-Global
Infatti è la “globalizzazione”, unita beninteso con la “localizzazione” (EG 234). Perché “Il tutto è superiore alla parte, ed è anche piú della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene piú grande che porterà benefici a tutti noi”: e qui è la globalizzazione da abbracciare.
Che sarà benissimo conciliabile con la “storia del proprio luogo, che è un dono di Dio”; un Tutto globale dove però “la persona [lungi dall’omologarsi, standardizzarsi e alienarsi] conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili» (EG 235).
Ma questa, signori, è la riproposizione “glocal” della mitica “società comunista” e mai esistita di Marx, quella per cui potrò “la mattina andare a caccia, il pomeriggio a pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia”. Perché ci sarà abbondanza e tempo libero.
E’, oggi, il sogno dei no-global, che sono per la globalizzazione eccome (rifiutano ogni patria, ogni identità obbligante), ma la sognano “felice”. Non a caso Vittorio Agnoletto, il promotore del Social Forum e mente dei movimenti globali, saluta in Francesco il “nuovo leader della Sinistra mondiale”.
Agnoletto è stato al “Terzo incontro dei movimenti organizzato in Vaticano da Papa Francesco”, non credeva alle sue orecchie: davanti
“a 180 attivisti sociali provenienti da tutto il mondo chiamati a discutere per quattro giorni sui temi del lavoro, della casa e della Terra”, il Papa ha fatto “un discorso che va ben oltre la dottrina sociale della Chiesa, fortemente in sintonia con la Teologia della Liberazione e con quanto i movimenti altermondialisti sostengono da 15 anni”.
El Papa si è messo a capo del movimento rivoluzionario ultimo, quello dell’altermondialismo. Lo ha fatto, bisogna riconoscerlo, con la consumata abilità dell’agitatore e del capo militante. Per cui, qui da Marx dobbiamo passare a Lenin, il grande realizzatore del marxismo nella storia, colui che ha insegnato metodi per la sovversione. A cominciare dalla strumentalizzazione dell’opinione pubblica: Lenin prescrive che il suo sia “un partito capace di seguire la mentalità delle masse e di influenzarle”.
Anche Lenin è contro i dogmi: “La teoria rivoluzionaria non è un dogma, - scrisse - essa si forma definitivamente solo” nell’azione, “solo in stretto legame con la pratica di un movimento realmente di massa e realmente rivoluzionario”: è ancora una volta l’azione a dettare la “verità”.
Anzi: Lenin riconoscerebbe di aver da imparare da Francesco, abilissimo utilizzatore dei media sovversivi postmoderni – tweet, interviste in volo a braccio, omelia di Santa Marta che diventano “magistero” per la RAI e SkyNews, conversazioni con Scalfari senza appunti e ricostruite a memoria – tutti nel senso di riscuotere l’approvazione del progressismo globale. Francesco conosce benissimo i suoi polli giornalistici – i suoi cani di Pavlov, diciamo meglio – e fa dire loro esattamente quel che lui non può dire apertamente. Tipo: “Papa perdona l’aborto”. I “valori non negoziabili” sono liquidati.
Poi il Vaticano qualche volta rettifica o precisa; lui mai.
Ha “messo in moto processi”. Sapendo che sarà “la società” radical-chic a “generare nuovi dinamismi”, facendo cadere gli ultimi “tabù”, le visioni che lui chiama, con spregio, “eticismi senza bontà”. Lui detesta chi (nella Chiesa e fuori) “oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto: ha una visione statica e involutiva” – invece lui l’ha dinamica e progressiva.
Ben si comprende, perciò che non abbia risposto a quei quattro cardinali (Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner) che gli hanno espresso dubbi sulla sua esortazione apostolica Amoris laetitia: ha o no affermato che si può dare la Comunione ai divorziati risposati? Più a fondo: è ancora valido l’insegnamento della Chiesa “circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?”, ci sono circostanze in cui l’adulterio non è peccato? E’ cancellata la “Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive?”. Doveva rispondere con un sì o un no.
Ingenui, anzi falsi ingenui, “lingue verminose” (come le ha definite padre Spadaro, biografo di Francesco: aggettivazioni che, negli anni ‘50, venivano usate dalla Pravda contro i “nemici interni” del Partito che, avendo fatto arrabbiare Stalin, sarebbero presto finiti nel GuLag.
Questi falsi ingenui – mi par dica il Papa – vogliono costringermi a “dogmatizzare”, a rendere dogma di fede, verità infallibile, ciò che ho detto e non-detto. Mi vogliono insomma chiudere nel Passato – quel passato della Chiesa che è chiuso. Non hanno ancora capito – anzi non vogliono capire – che la “verità” non sta in un’asserzione testuale, la verità si fa nella storia, si costruisce nell’azione; non sta nel passato, sta nel futuro concreto.
Engels ve l’ha pur spiegato: “La filosofia dialettica dissolve tutte le nozioni di verità assoluta, definitiva […]. Non vi è niente di definitivo, di assoluto, di sacro davanti ad essa; […] Non esiste altro per essa che il processo ininterrotto del divenire e del transitorio”.
Bergoglio con sprezzatura da compiuto storicista, nell’intervista a La Civiltà Cattolica, n. 3918, 19 settembre 2013, sancisce: “Solamente nella narrazione si può fare discernimento, non nella esplicazione filosofica o teologica (p. 455); Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia (p. 468)”.
Quante volte ve lo dovete far ripetere?
A quei detestabili cardinali aveva già risposto in anticipo nella stessa intervista ( pp. 469-470): “Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente”.
E infatti nemmeno una parola avranno i cardinali. Il Papa così loquace col miliardario Scalfari, coi giornalisti sull’aereo, con la Emma Bonino, verso i cattolici adotta il mutismo. E il bastone. Già. Quando il Papa punisce, lo fa’ da muto: se spiegasse il perché, ricadrebbe nel vecchio vizio che avevano i Papi di prima – di teorizzare, razionalizzare, condannare a ragion veduta, insomma fare “nominalismi dichiarativi”.
Anche qui è da notare una analogia storica. Il Socialismo reale si presentava all’esterno come il gran movimento di liberazione e riscatto degli oppressi, e all’interno dell’URSS era il regime del Terrore. La Chiesa bergogliana, all’esterno, è tutta misericordia, accoglienza, carità, “chi sono io per giudicare”; all’interno ha instaurato ciò che si può dare di più simile al Terrore in ambiente clericale: espulsioni, messe a riposo d’autorità, degradazioni, privazione degli stipendi, stroncature di carriere. Fino alle vere persecuzioni di massa contro i Francescani dell’Immacolata, e al suo fondatore, il novantenne padre Manelli, un processo canonico che è la riedizione dei sinistri “processi-farsa” staliniani, basati su accuse false e fantastiche: in URSS, di tradimento e intelligenza col nemico, sabotaggio industriale, deviazionismo; qui, fino all’accusa al novantenne di aver violato il segreto confessionale per scopi di lussuria, patti di sangue, giuramenti sacrileghi. E la similitudine non si ferma qui. Assolto dalla giustizia laica, padre Manelli resta prigioniero di quella clericale. Indefinitamente. “Dieci anni senza diritto alla corrispondenza”, dicevano i capi del GuLag. Perché nell’instaurato Regno della Misericordia senza limiti, come nel regime leniniano, non ci sono più leggi a cui l’imputato possa appellarsi. Il diritto è stato abolito, abolite le istanze giudiziarie (quindi il diritto alla difesa), perché il diritto è “formale e borghese” (diceva Lenin), non sostanziale. Insomma un ‘eticismo senza bontà’. In attesa della realizzazione del comunismo, ossia del Regno dell’Amore in cui non ci sarà più stato né bisogno di legge penale, si pratica la dittatura del proletariato ossia “la violenza senza limiti legali e morali” (Lenin). Ma niente paura, è solo una fase temporanea.
Una eccezionale illustrazione dell’uso rivoluzionario della parola – non per dire la verità ma per “avviare processi” – è nelle numerose interviste a Scalfari. Senza appunti, senza registratore, a memoria di novantenne, il fondatore di Repubblica ripete poi ciò che ha capito del “magistero” papale. “il proselitismo è una solenne sciocchezza”; “non esiste un Dio cattolico”; sul celibato dei preti, “le soluzioni le troverò” (frase da dittatore); il relativismo: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene» – la sua asserzione che “il suo obiettivo è l’affratellamento di tutte le religioni visto che tutte credono in un unico Dio, e l’unificazione delle chiese cristiane”.
Ora, se non erro, solo una volta il Vaticano (cioè lui) ha smentito e rettificato qualcosa, di modesta importanza, un racconto dei momenti dopo la sua elezione che Scalfari ha messo in bocca a Francesco. Magari avrebbe dovuto essere l’occasione per non concedere più altri ”colloqui”; ma lui li ha ripetuti, e li ha lasciati scrivere. Dopo tante volte, si deve dire che è una tattica volontaria. Egli vuole che il suo “pensiero” (chiamiamolo così) sia filtrato dalla memoria del novantenne non credente, che non conosce il linguaggio teologico ed ecclesiastico; vuole deliberatamente dunque che sia riprodotto in modo imperfetto e pressapochista. Non solo, vuole che la domanda “ma il Papa ha detto davvero così o no?”, resti insoluta. Vuole anche che le sue asserzioni (le abbia dette o no) restino un “semi-magistero” senza formulazione precisa; sono ballons d’essai; frasi che uno intenderà in un modo, e un altro in un altro; da vero storicista e ideologo marxiano, non le dice come verità, ma come esche lanciate “per cambiare lo stato di cose esistente”.
Nell’ultima intervista (o semi o pseudo-intervista) Scalfari mette in bocca al Papa la seguente affermazione: «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere» – assoluto travisamento delle parole di Gesù, che non ha parlato di dare il potere agli esclusi, ma è venuto per salvarci dalla dannazione eterna, dalle “tenebre esteriori dove è pianto e stridor di denti”. Quella lì è una tipica frase della Teologia della Liberazione, da comunista del Terzo Mondo. Se l’avesse detta il Papa, sarebbe un’enormità. Ma forse se l’è inventata Scalfari… Ciò non toglie che le interviste di Scalfari vengano riprese pari pari – certo su ordine papale – dall’Osservatore Romano.
Ciò significa giocare con l’equivoco i molti cattolici ingenui per cui qualunque cosa dica il papa è “magistero” e implica “infallibilità” – laddove quelle sono opinioni personali che non meritano alcuni rispetto perché sono buttate lì, riferite forse male, e lo stesso Bergoglio non vuol dare alle sue parole alcun contenuto veritativo. Se no, lui sa benissimo come fare pronunce infallibili: deve seguire delle forme precise che comprendono il dichiarare che non esprime le sue opinioni private, ma il pensiero della Chiesa da duemila anni.
Non è un comportamento disonesto? No, secondo Lenin: “La nostra morale è interamente subordinata alla lotta di classe”, quindi i rivoluzionari di professione devono saper usare “tutti gli stratagemmi, le astuzie, i metodi illegali – essere decisi a tacere e celare la verità”.
Questa deriva è la conseguenza coerente del “primato della prassi”, del privilegiare l’azione sul pensiero, di metter l’Amore al posto primo, che spetta alla Verità. Per l’Amore, la misericordia, il “bene del proletariato”, si finirà per usare metodi illegali, e tacere la verità. Come aveva già dimostrato Solgenitcyn, dal primato della prassi si sbocca nell’Impero della Menzogna.
E’ per questo che, nella fede cristiana, “in principio c’è il Verbo, e non l’Amore” (secondo dice Romano Amerio), il Logos precede l’Azione, la verità viene prima della volontà. E’ una questione grave. Mettere “in principio l’Amore” prima del Verbo è una sovversione ben peggiore della rivoluzione politica e sociale.
Su questo tema, Enrico Maria Radaeli ha scritto un saggio di cui si consiglia la lettura:
“In principio era il Verbo” è infatti la prima frase nel Vangelo di Giovanni. Io mi limito a ricordare come il Dottor Faust di Goethe s’impunta su quell’inizio. Sta leggendo i vangeli di Lutero, che ha tradotto “la Parola”:
“Sta scritto “In principio era il Verbo”. Son già bell’e fermo! Chi mi aiuta a proseguire? E’ impossibile ch’io stimi la “parola” (das Wort) in modo così alto. Devo tradurre altrimenti, se lo Spirito m’illumina bene”. Faust prova altre traduzioni:
“In principio era il Pensiero”. Rifletti bene, sin dalla prima riga, affinché la tua penna non abbia troppa fretta. E’ forse il pensiero che tutto crea ed in tutto agisce? Allora dovrebbe essere: “In principio era la Forza”. Ma mentre scrivo questa espressione, già un non so che mi ammonisce che non mi ci fermerò. Lo Spirito mi aiuta! Improvvisamente mi si fa luce dentro: “In principio era l’Azione“.
Allora, come evocato, entra Mefisto.
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