Lumen Christi! È l’espressione classica che segna l’inizio della Veglia pasquale. Ogni anno il fedele celebra la Pasqua, e si pone al seguito di una luce che permea non solo tutto l’anno liturgico, ma l’insieme dell’esistenza di chiunque intenda porsi al seguito del Risorto. Il paradigma della luce racchiude e valorizza una metafora comune nelle tante espressioni della vita.
Dalla contrapposizione luce-tenebra a tutte le scelte caratterizzate da chiarezza e luminosità, si intreccia un insieme di prospettive che contribuiscono a rendere maggiormente comprensibile il senso della vita e, di riflesso, le scelte che richiedono di essere attuate. Il primo paradigma è quello che troviamo a livello culturale. In ogni cultura la metafora della luce evoca contenuti e prospettive che poi danno adito a espressioni che rinviano ad atteggiamenti. Così il sorgere della luce ogni giorno evoca la ripresa della vita, in contrapposizione con il sopraggiungere della tenebra che rinvia al compimento di un percorso e alla morte. Il paradigma successivo è quello che promana dalla grande storia della salvezza racchiusa nella Scrittura santa. Dalla Genesi all’Apocalisse, da quel «“Sia la luce”. E la luce fu» (Gen 1,3) fino alle prospettive dei nuovi cieli e terra nuova (cf. Ap 21) permeati dal fulgore della «stella radiosa del mattino» (Ap 22,16), notiamo come una grande metafora che lo stesso Cristo Signore assume identificandosi nella realtà della luce quando afferma: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). È naturale che a partire dal dato biblico il linguaggio della tradizione abbia assunto questa metafora e l’abbia sviluppata sotto diverse prospettive. Tra tutte emerge quella del linguaggio liturgico perché è nel contesto del culto che il Cristo-Luce trasforma il fedele credente in persona “illuminata” in modo che possa camminare sempre come figlio della luce.Ecco pertanto il senso di una riflessione che il V Forum internazionale (celebrato in Vaticano dal 28 al 30 gennaio 2010) ha concentrato attorno a un programmatico sottotitolo: «Tra mysterium, esperienza e prospettive nella via lucis Ecclesiae». Al centro si pone la sorgente luminosa, il mysterium nascosto da secoli in Dio e rivelato nella pienezza dei tempi, e reso vivo e attuale in ogni actio liturgica. Ma tutto questo impegna nel rileggere esperienze e nel delineare prospettive per una via lucis che si attua in Ecclesia attraverso la celebrazione del mysterium lucis nei santi misteri. 1. La «luce» come traiettoria teologica La «luce». Senz’altro uno straordinario filo d’oro che attraversa dalla prima all’ultima pagina il grande racconto biblico che narra l’avvento di Dio nella storia del mondo, dalla creazione alla parusia. Un filo d’oro non soltanto verbale ma sostanziale. Tant’è che di esso è intessuta da cima a fondo l’esperienza cristiana: dalla sua permanente sorgente sacramentale – in cui il Verbo, che è vita e luce, illumina e trasforma l’esistenza –, alla sua espressione intellettuale, artistica, culturale, operativa. La «luce» – nella vasta gamma linguistica del suo pluriforme modus significandi, che certo meriterebbe un attento discorso di approfondimento – è sempre conosciuta, nella sacra Scrittura e nella Traditio vivens Ecclesiae, non come soggetto ma come predicato. Dio – afferma icasticamente la prima lettera di Giovanni – è luce (cf. 1,5); e Gesù Cristo definisce se stesso luce del mondo (cf. Gv 8,12); così che anche i discepoli – in lui e per lui – son fatti e hanno da essere luce del mondo (cf. Mt 5,14). È su questa linea che vanno colti l’obiettivo e il metodo del V Forum della Pontificia Accademia di Teologia. La predicazione della luce – potremmo dire – scende dall’alto, da Dio, per squadernarsi nel mistero della salvezza, che ha il suo centro focale in Gesù Cristo, e per dispiegare di qui le sue molteplici risonanze: a livello ecclesiologico e antropologico, personale e sociale, intellettuale e pratico. Il nesso che ritma questa traiettoria è quello della corrispondenza tra lo splendere della luce di Dio sul volto di Cristo e l’aprirsi del cuore e della mente dell’uomo a tale fulgore – al tempo stesso atteso e inaudito – così che esso, dall’intimo, s’irradi nelle molteplici relazioni che tessono il destino dell’umano. Il Lumen Christi – come recita il titolo del Forum – si coniuga dunque, con pertinenza teologica, nella via lucis Ecclesiae tra mysterium, esperienza Ecco pertanto il senso di una riflessione che il V Forum internazionale (celebrato in Vaticano dal 28 al 30 gennaio 2010) ha concentrato attorno a un programmatico sottotitolo: «Tra mysterium, esperienza e prospettive nella via lucis Ecclesiae». Al centro si pone la sorgente luminosa, il mysterium nascosto da secoli in Dio e rivelato nella pienezza dei tempi, e reso vivo e attuale in ogni actio liturgica. Ma tutto questo impegna nel rileggere esperienze e nel delineare prospettive per una via lucis che si attua in Ecclesia attraverso la celebrazione del mysterium lucis nei santi misteri. 1. La «luce» come traiettoria teologica La «luce». Senz’altro uno straordinario filo d’oro che attraversa dalla prima all’ultima pagina il grande racconto biblico che narra l’avvento di Dio nella storia del mondo, dalla creazione alla parusia. Un filo d’oro non soltanto verbale ma sostanziale. Tant’è che di esso è intessuta da cima a fondo l’esperienza cristiana: dalla sua permanente sorgente sacramentale – in cui il Verbo, che è vita e luce, illumina e trasforma l’esistenza –, alla sua espressione intellettuale, artistica, culturale, operativa. La «luce» – nella vasta gamma linguistica del suo pluriforme modus significandi, che certo meriterebbe un attento discorso di approfondimento – è sempre conosciuta, nella sacra Scrittura e nella Traditio vivens Ecclesiae, non come soggetto ma come predicato. Dio – afferma icasticamente la prima lettera di Giovanni – è luce (cf. 1,5); e Gesù Cristo definisce se stesso luce del mondo (cf. Gv 8,12); così che anche i discepoli – in lui e per lui – son fatti e hanno da essere luce del mondo (cf. Mt 5,14). È su questa linea che vanno colti l’obiettivo e il metodo del V Forum della Pontificia Accademia di Teologia. La predicazione della luce – potremmo dire – scende dall’alto, da Dio, per squadernarsi nel mistero della salvezza, che ha il suo centro focale in Gesù Cristo, e per dispiegare di qui le sue molteplici risonanze: a livello ecclesiologico e antropologico, personale e sociale, intellettuale e pratico. Il nesso che ritma questa traiettoria è quello della corrispondenza tra lo splendere della luce di Dio sul volto di Cristo e l’aprirsi del cuore e della mente dell’uomo a tale fulgore – al tempo stesso atteso e inaudito – così che esso, dall’intimo, s’irradi nelle molteplici relazioni che tessono il destino dell’umano. Il Lumen Christi – come recita il titolo del Forum – si coniuga dunque, con pertinenza teologica, nella via lucis Ecclesiae tra mysterium, esperienza Ecco pertanto il senso di una riflessione che il V Forum internazionale (celebrato in Vaticano dal 28 al 30 gennaio 2010) ha concentrato attorno a un programmatico sottotitolo: «Tra mysterium, esperienza e prospettive nella via lucis Ecclesiae». Al centro si pone la sorgente luminosa, il mysterium nascosto da secoli in Dio e rivelato nella pienezza dei tempi, e reso vivo e attuale in ogni actio liturgica. Ma tutto questo impegna nel rileggere esperienze e nel delineare prospettive per una via lucis che si attua in Ecclesia attraverso la celebrazione del mysterium lucis nei santi misteri. 1. La «luce» come traiettoria teologica La «luce». Senz’altro uno straordinario filo d’oro che attraversa dalla prima all’ultima pagina il grande racconto biblico che narra l’avvento di Dio nella storia del mondo, dalla creazione alla parusia. Un filo d’oro non soltanto verbale ma sostanziale. Tant’è che di esso è intessuta da cima a fondo l’esperienza cristiana: dalla sua permanente sorgente sacramentale – in cui il Verbo, che è vita e luce, illumina e trasforma l’esistenza –, alla sua espressione intellettuale, artistica, culturale, operativa. La «luce» – nella vasta gamma linguistica del suo pluriforme modus significandi, che certo meriterebbe un attento discorso di approfondimento – è sempre conosciuta, nella sacra Scrittura e nella Traditio vivens Ecclesiae, non come soggetto ma come predicato. Dio – afferma icasticamente la prima lettera di Giovanni – è luce (cf. 1,5); e Gesù Cristo definisce se stesso luce del mondo (cf. Gv 8,12); così che anche i discepoli – in lui e per lui – son fatti e hanno da essere luce del mondo (cf. Mt 5,14). È su questa linea che vanno colti l’obiettivo e il metodo del V Forum della Pontificia Accademia di Teologia. La predicazione della luce – potremmo dire – scende dall’alto, da Dio, per squadernarsi nel mistero della salvezza, che ha il suo centro focale in Gesù Cristo, e per dispiegare di qui le sue molteplici risonanze: a livello ecclesiologico e antropologico, personale e sociale, intellettuale e pratico. Il nesso che ritma questa traiettoria è quello della corrispondenza tra lo splendere della luce di Dio sul volto di Cristo e l’aprirsi del cuore e della mente dell’uomo a tale fulgore – al tempo stesso atteso e inaudito – così che esso, dall’intimo, s’irradi nelle molteplici relazioni che tessono il destino dell’umano. Il Lumen Christi – come recita il titolo del Forum – si coniuga dunque, con pertinenza teologica, nella via lucis Ecclesiae tra mysterium, esperienza 4. «In viam lucis» Non basta dare vita a un Forum per esaurire tutte le sfide che esso comporta o che sono state all’origine di una condivisione. Relazioni e dibattiti, anche in questa circostanza, hanno evidenziato che il tema meritava di essere considerato; che quanto sottolineato è solo una minima parte di ciò che la tematica racchiude; che molto lavoro sta dinanzi (in viam...) con l’apertura di scenari prima impensati o appena intravisti. Al di là di quanto emerso nelle singole relazioni, si profilano numerose sfide che in sintesi possono essere così riproposte a livello di interrogativo che interpella la coscienza, la ricerca, la fede: Come il Lumen Christi arriva oggi all’umanità, e come è da essa eventualmente recepito? Quale rapporto intercorre tra rivelazione e testimonianza di vita epifanica? Come continuare a far dialogare il Lumen Christi con quel raggio di verità che illumina altre religioni (cf. Nostra aetate, n. 2)? Perché considerare la dimensione antropologica del rapporto luce-tenebra? Come rielaborare il «mito della caverna» (di platoniana memoria) di fronte all’odierno rifiuto della luce? o di fronte alla nebbia dell’umanità? Come rileggere sotto l’aspetto fenomenologico e antropologico la luce in quanto metafora e simbolo? Quale dialettica scaturisce dal Lumen Christi in un contesto di postilluminismo? Perché per venire alla luce bisogna fare la verità? è una condizione previa o un metodo di vita? Come educare al rapporto tra celebrazione e contemplazione del mysterium Christi perché la sua luce sia sempre brillante? Come far sì che la ricerca filosofico-teologica – all’insegna di Optatam totius, n. 16 – possa contribuire a tracciare percorsi in vista di una sintesi unitaria del mistero della salvezza, in dialogo con ciò che comporta l’auditus culturae? Dal Cristo-Luce alla luce del Risorto che brilla davanti a ogni persona ancora in cammino: anche i risultati del V Forum possono costituire un’opportunità per riflettere in contesto ecclesiale a partire dalla metafora della luce. La sua frequenza terminologica talvolta fa dimenticare la sua importanza e la forza del richiamo che essa comporta. La riflessione su di essa apre l’orizzonte su variegati ambiti in cui la Scrittura, la Tradizione, la teologia e la cultura sono chiamati a interagire per continuare il cammino che, pur attuandosi in una penombra qual è quella costituita dai tanti limiti della vita, è sempre all’insegna di una luce che mai conosce tramonto: quel Lumen Christi gloriose resurgentis che è invocato perché dissipet tenebras cordis et mentis, come si annuncia nella Veglia pasquale. Quanto elaborato a partire dalle istanze di tutta la Tradizione ha come obiettivo di contribuire a quell’incontro tra fede e cultura in vista di una sapienzialità che connota – è un auspicio – l’umanesimo cristiano e dà sostanza a una vita spirituale e mistica. Una riflessione che tende a una sintesi il più possibile unitaria, pur nella problematicità dei diversi livelli e ambiti di ricerca e nella complessità dei linguaggi che troppo spesso si muovono all’insegna di una incomunicabilità.
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