LA GRANDE TENTAZIONE DELL'ARIANESIMO NELL'IMPERO DIVENUTO CRISTIANO
1. Il cosiddetto editto di Milano del 313
Costantino, padrone dell'Occidente (dal 312), incontrando a Milano Licinio nel febbraio 313, stabilì una lettera da inviare ai governatori, nella quale riconosceva ai cristiani libertà di culto:
Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, giungemmo sotto felice auspicio a Milano [nel febbraio 313] e vagliammo quel che fosse di utilità e vantaggio pubblico, abbiamo stabilito tra le altre cose che sembravano per molti aspetti essere di vantaggio per tutti, prima di tutto e specialmente di emanare editti, con i quali fosse assicurato il rispetto e la venerazione della Divinità; cioè di dare ai cristiani e a tutti libera facoltà di seguire il culto che volessero, in modo che ogni potenza divina e celeste, qualunque fosse, potesse essere benevola verso di noi e verso quanti vivono sotto la nostra autorità. [...] A nessuno è negata la facoltà di seguire e scegliere l'osservanza o il culto dei cristiani; e a ciascuno è data facoltà di applicarsi a quel culto, che egli ritenga adatto per se stesso, in modo che la divinità possa concederci in tutto la sua consueta sollecitudine e la sua benevolenza... (Eusebio, Storia della Chiesa, X, 5,4-6: Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 2, Roma, Città Nuova 2001 [Collana di Testi Patristici, 159], pp.242-243).
Dalla libertà di culto si sarebbe presto passati, con lo stesso Costantino e con i suoi successori, a fare del Cristianesimo la religione dell'Impero, in sostituzione dell'antica religione pagana.
2. La questione donatista (e il vescovo milanese Mirocle)
Costantino si sentì autorizzato a intervenire, come protettore della comunità cristiana e per mantenere in armonia il Cristianesimo su cui cercava appoggio. Un primo intervento Costantino compì per risolvere la questione donatista in Africa: uno scisma a causa della spaccatura, dopo la persecuzione di Diocleziano, di un gruppo che non accettò il vescovo Ceciliano di Cartagine (che dicevano essersi compromesso con i traditores). Ne accenno per ricordare che il vescovo milanese Mirocle, sesto della serie, partecipò a due concili, a Roma nel 313 e ad Arles nel 314, convocati da Costantino a questo proposito. È la prima attestazione di un vescovo di Milano con indicazione cronologica documentata, e in qualche modo inizia così per Milano una posizione di predominio: in quanto residenza imperiale, infatti spesso vi si riversavano le maggiori questioni religiose e il vescovo della città diventava interlocutore privilegiato e imprescindibile per l'autorità imperiale nei rapporti con l'organismo ecclesiastico e per i vescovi nelle relazioni con il vertice istituzionale dell'impero.
3. L'Arianesimo
La grande questione che esplode in quei decenni è l'Arianesimo, ad Alessandria d'Egitto. Vescovo della città è Alessandro, al quale si contrappone il prete (pure alessandrino) Ario. Ario radicalizzò il "subordinazionismo", che gli alessandrini esprimevano riguardo al Figlio (non per dichiararlo inferiore al Padre ma semplicemente per meglio distinguerlo da lui ed evitare il rischio opposto del modalismo o sabellianesimo o monarchianesimo, che vanificavano la Trinità riducendo a puri nomi le distinzioni personali di Padre Figlio Spirito, e anche per evitare il rischio di due divinità effettive parallele). Ario affermò invece che il Figlio è nettamente inferiore al Padre, e che è solo una creatura divina seppur perfetta, o comunque un "dio" minore, rifiutando esplicitamente la increaturalità del Verbo e la sua coeternità col Padre. Il dibattito si allargò, e intervenne Costantino, che indisse un concilio a Nicea, nel 325, invitandovi i vescovi dell'intera ecumene cristiana, circa duecentocinquanta/trecento vescovi (vennero anche i rappresentanti di Roma e alcuni vescovi occidentali). Si trattò di una novità grandiosa e impensata a pochi anni dall'ultima persecuzione. Così ce ne parla Eusebio di Cesarea, sostenitore convinto della svolta costantiniana: (ma il brano serve anche a mettere in guardia dall'abbraccio troppo stretto, e interessato, dell'autorità imperiale verso il cristianesimo, ora e nei decenni successivi, come vedremo):
Si riunirono nello stesso luogo i vertici della gerarchia ecclesiastica di tutte le Chiese, che avevano sede nell'intiera Europa, in Libia e Asia; un unico sacro edificio, come ampliatosi per opera divina, accoglieva tra le sue mura e nel medesimo spazio Siri e Cilici, Fenici Arabi e Palestinesi; e poi ancora Egiziani Tebani Libici e quanti erano partiti dalla Mesopotamia. Era presente al concilio anche il vescovo persiano, né venne meno al consesso il presule della Scizia; nel contempo, il Ponto e la Galazia, la Cappadocia e l'Asia, la Frigia e la Panfilia inviarono le loro personalità più illustri. Giunsero anche Traci e Macedoni, Greci ed Epiroti e, tra costoro, anche i più distanti accorsero; tra gli Spagnoli partecipava al concilio insieme con tutti gli altri quel famoso personaggio [Osio] che era da tutti tenuto nella più alta stima e considerazione. A causa dell'età avanzata mancava il vescovo della città regina [Roma], ma erano presenti suoi presbiteri che ne facevano le veci. [...] Nel giorno stabilito per l'inaugurazione del concilio [...] i convocati [...] fecero il loro ingresso nella sala centrale del palazzo imperiale [...] e tutti andarono a sedere ai posti loro assegnati. [...] Al segnale che indicava l'ingresso dell'imperatore, tutti si levarono in piedi, e finalmente Costantino in persona passò attraverso il corridoio centrale, simile a un celeste angelo dei Signore: la sua veste splendente lanciava bagliori pari a quelli della luce, ed egli appariva tutto rilucente dei raggi fiammeggianti della porpora, adorno del fulgido scintillio emanato dall'oro e dalle pietre preziose. [...] In quello stesso periodo cadeva l'anniversario del suo ventesimo anno di Impero. Per questa ragione in tutte le altre nazioni erano in corso pubblici festeggiamenti e l'imperatore in persona, dal canto suo, volle offrire un banchetto ai ministri di Dio. [...] Al banchetto imperiale presero parte tutti i vescovi. L'avvenimento fu tale che qualsiasi parola risulterebbe inadatta a descriverlo: dorifori [portatori di lancia] e opliti [soldati di fanteria pesante], disposti in cerchio, presidiavano con le spade sguainate l'ingresso del palazzo imperiale; in mezzo a essi passavano senza alcun timore gli uomini di Dio, spingendosi fin negli ambienti più interni della reggia. Poi, mentre alcuni sedevano alla stessa mensa dell'imperatore, gli altri si adagiavano su divani che erano stati sistemati su entrambi i lati della sala. Sembrava quasi di vedere un'immagine del regno di Cristo, ed era come se quell'avvenimento si svolgesse in un sogno, non già nella realtà. Dopo che il banchetto si fu sontuosamente concluso, l'imperatore salutò tutti i presenti e con grande liberalità si degnò di onorare i convitati distribuendo anche dei doni personali, commisurati al prestigio e alla dignità di ciascuno (Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, 7,1,-2; 10,1-2; 15,1-2; 16: Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, Napoli, D'Auria, 1984, pp. 125-128-131).
Dal punto di vista terminologico la questione fu risolta adottando contro Ario un termine non biblico per indicare l'uguale divinità del Figlio e del Padre: si definì infatti il Figlio homoousios, "della stessa sostanza del Padre". La posta in gioco era ovviamente fondamentale: ammettere una qualche inferiorità del Figlio rispetto al Padre significava togliere la specifica novità del Cristianesimo, quella di un Dio che si fa uomo. Perché qualsiasi subordinazionismo, una volta tematizzato, comportava come conseguenza che Dio non si era fatto veramente uomo: era stata mandata una creatura, o comunque un "dio" inferiore, ma il Dio vivo e vero, l'eterno e l'infinito, stava lontano, non si era coinvolto con questo mondo. Ecco precisamente il testo del Credo di Nicea:
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose, visibili ed invisibili. E [crediamo] in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di lui tutte le cose sono state create, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si è incarnato e si è fatto uomo, ha patito, il terzo giorno è risuscitato, è salito al cielo. E verrà per giudicare i vivi e i morti. E [crediamo] nello Spirito Santo.
Con homoousios si indicava che la sostanza divina era uguale nel Padre e nel Figlio; anzi, si indicò che quella sostanza era la stessa, l'unica, del Padre e del Figlio: c'è infatti una sola sostanza divina del Padre e del Figlio. In questo senso Gesù aveva detto: "Io e il Padre siamo una cosa sola, (Gv 10,30, ego et Pater unum sumus). Non dice: "noi siamo uno (una sola persona)", al maschile. Purtroppo, in oriente, si sospettò che il termine "consostanziale" potesse avere questo significato, e facesse così perdere la distinzione fra le persone divine (come nel modalismo). Così vari concili e riunioni proposero in oriente professioni di fede alternative, tutte in qualche modo subordinazioniste: si disse il Figlio solo "simile" al Padre, oppure "simile in tutto" o "di sostanza simile" (con un iota in più: homoiousios). Lo stesso Costantino passò poi a riabilitare Ario, e suo figlio Costanzo in oriente prese le parti degli Ariani (omei, homoios, simile).
4. Atanasio e la lotta all'Arianesimo
A difendere Nicea in tutto il suo valore sorse Atanasio (259ca.-373), diacono di Alessandro di Alessandria al concilio di Nicea e, dal 328, suo successore. A causa di vari interventi imperiali (in particolare di Costanzo) Atanasio subì quattro o cinque esili (venne pure in occidente, compreso a Milano). L'Arianesimo raggiunse il suo apice, sostenuto da Costanzo, negli anni 359-360; ma solo dopo due decenni, di fatto nel 381, col concilio di Costantinopoli, lo si poté dire sconfitto in tutte le sue posizioni (e pure si affermò con chiarezza la divinità della terza persona della trinità: lo Spirito Santo). Nel frattempo Atanasio morì nel 373: il suo atteggiamento di fronte al potere imperiale rimane esemplare. Nonostante il prestigio immenso dell'imperatore cristiano in una Chiesa che usciva dalla persecuzione, Atanasio non ha temuto di sfidare Costantino e il figlio Costanzo. Pur poco seguito dall'episcopato orientale, Atanasio seppe tutelare lo spazio d'indipendenza, in ultima istanza indispensabile alla Chiesa per poter conservare la purezza della propria fede. Il pensiero e l'atteggiamento di Atanasio sono ben rispecchiati nella sua Apologia a Costanzo. Di identico tenore è per altro una lettera di Osio di Cordova, che era stato consigliere di Costantino ed era difensore della fede di Nicea e amico di Atanasio:
Ho confessato Gesù Cristo nella persecuzione che Massimiano, vostro avo, suscitò contro la Chiesa. Se volete ripeterla mi troverete disposto a soffrire qualsiasi cosa piuttosto che tradire la verità e spargere il sangue dell'innocente [Atanasio]. [...]. Non sono turbato né dalle vostre lettere né dalle vostre minacce: è inutile continuarle. Vi sarà più utile rinunciare ai pensieri di Ario, non ascoltare gli Orientali. [...] In quello che dicono non mirano tanto ad attaccare Atanasio quanto a stabilire la loro eresia. La mia età mi deve far trovare considerazione nel vostro spirito. [...] Non proseguite per questa via, ve ne scongiuro. Ricordatevi che siete un uomo mortale. Temete il giorno del giudizio. Disponetevi a comparirvi puro e irreprensibile. Non immischiatevi negli affari ecclesiastici. Non comandateci nulla in questo campo. Imparate piuttosto da noi quanto dovete credere. Dio a voi ha dato il governo dell'Impero, a noi quello della Chiesa. Chiunque osa attentare alla vostra autorità si oppone all'ordine di Dio. Allo stesso modo fate attenzione di non rendervi colpevole di un grande delitto usurpando l'autorità della Chiesa. Ci è stato comandato di rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. A noi non è permesso attribuirci l'autorità imperiale. Ma voi, a vostra volta, non avete alcun potere nel ministero delle cose sante. Ecco quanto ho creduto mio dovere scrivervi, nel desiderio che nutro della vostra salvezza. È tutta la risposta che devo dare alle vostre lettere. Io non farò comunione con gli Ariani. Al contrario, anatematizzo la loro eresia. Non sottoscriverò la condanna di Atanasio. [...] Non lasciatevi trascinare dietro i desideri di questi uomini senza onore e senza religione. [...] Non è prudente gettarsi in pericoli sì gravi per servire la passione degli altri. Fermatevi, dunque, principe, fermatevi e datemi retta. È questo il linguaggio che devo tenere con voi e voi non dovete disprezzarlo (Osio di Cordova, Lettera a Costanzo: Liébaert cit., p.175).
Ecco ora un testo di Atanasio inerente la fede di Nicea (una dichiarazione precisa sulla Trinità):
Pertanto la Trinità è santa e perfetta, riconosciuta da Dio nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Essa non è mescolata con nulla di estraneo o estrinseco; non consta di Creatore e realtà prodotta, ma tutta intera crea e produce. È identica in se stessa, indivisibile nella natura, unica nella sua operazione. Il Padre infatti opera ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo, e così è mantenuta l'unità della Santa Trinità. Per tanto nella Chiesa si predica un solo Dio che è sopra tutti, attraverso tutti e in tutti (cfr. Ef 4,6). È sopra tutti come Padre, principio e fonte; attraverso tutti per mezzo del Verbo; in tutti nello Spirito Santo. È Trinità non solo di nome o per puro suono verbale, ma per sussistenza vera. Come infatti il Padre è colui che è, così anche il suo Verbo è colui che è e Dio al di sopra di tutto. E lo Spirito Santo non è insussistente, ma esiste e sussiste veramente. La Chiesa cattolica pensa esattamente così; non meno, per non cadere nell'errore degli odierni Giudei seguaci di Caifa o in quello di Sabellio; e neanche di più, per non essere trascinata nel politeismo degli Elleni. Che proprio questa sia la fede della Chiesa, lo imparino da come il Signore nell'inviare gli Apostoli ordinò dì porre ciò come fondamento alla Chiesa, dicendo: "Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e dei Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Gli Apostoli andarono e così insegnarono, e questa è la predicazione che si fa per tutta la Chiesa sotto il cielo (Atanasio, Prima lettera a Serapione, 28,2-4: Atanasio, Lettere a Serapione, Roma, Città Nuova Editrice [Collana di testi patristici, 55], 1986, pp.94-95).
Un altro testo di Atanasio, precisamente sulla divinità del Verbo:
La verità mostra come il Verbo non faccia parte degli esseri creati ma piuttosto è lui il Creatore. Così ha assunto il corpo umano creato per rinnovarlo come Creatore, divinizzarlo in se medesimo e introdurci così tutti nel Regno dei cieli a sua somiglianza. L'uomo, solidale con la creazione, non sarebbe stato divinizzato se il Figlio non fosse stato veramente Dio; l'uomo non si avvicinerebbe al Padre se colui che ha rivestito il corpo non fosse per natura sua vero Verbo. Come non saremmo stati liberati dal peccato e dalla maledizione se il Verbo non avesse assunto una carne umana per natura (non avremmo infatti nulla in comune con ciò che è da noi estraneo), così l'uomo non sarebbe stato divinizzato se il Verbo fatto carne non fosse per natura nato dal Padre, suo Verbo vero e reale. Così, l'unione è avvenuta in modo tale che associa l'uomo a Colui che appartiene per natura alla divinità e la salvezza dell'uomo e la sua divinizzazione sono saldamente garantite. Coloro che negano che il Figlio derivi per natura dal Padre e sia proprio della sua sostanza, neghino anche che egli ha ricevuto una vera carne umana da Maria sempre vergine. Noi uomini non avremmo tratto alcun maggiore vantaggio, se il Verbo non fosse stato veramente e per natura Figlio di Dio o se non fosse stata vera la carne che assunse. Ma egli assunse una vera carne, nonostante le follie di Valentino [gnostico doceta], e il Verbo era per natura Dio vero, a onta dei deliri degli Ariani, ed è diventato per noi, in questa carne, principio della nuova creazione, in quanto lui stesso è stato creato uomo per noi e in quanto apre anche a noi questa via della nuova creazione (Atanasio, Contro gli ariani, II, 70: Liébaert, pp, 227-228).
Ovviamente il Verbo divino ha assunto un carne umana, è vero uomo, però nelle sue opere si riconosce la Potenza divina del Verbo:
Dunque, quando i teologi dicono di lui che mangiava e beveva e fu partorito, sappi che fu il corpo a essere partorito come un corpo e nutrito con alimenti appropriati, ma a quel corpo era unito lo stesso Dio Verbo che ordina l'universo, il quale mediante le opere che compiva nel corpo si faceva conoscere non già come un uomo ma come Dio Verbo. Tuttavia di lui si dice questo perché il corpo che mangiava, che fu partorito e che patì non era di un altro ma del Signore, e perché, da quando era diventato uomo, era giusto che si dicesse questo di lui come di un uomo affinché fosse chiaro che ha un corpo vero e non apparente. Ma come da questo si capiva che era presente corporalmente, cosi dalle opere che compiva mediante il corpo si faceva conoscere come Figlio di Dio. [...] Come, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, così una volta diventato uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma la Potenza e il Verbo di Dio. Infatti comandare ai demoni e scacciarli non è opera umana ma divina. Oppure, chi, vedendo che guariva le malattie alle quali è soggetto il genere umano, lo considerava ancora un uomo e non un Dio? Mondava i lebbrosi, faceva camminare gli storpi, apriva l'udito dei sordi, dava la vista ai ciechi; in una parola, allontanava dagli uomini tutte le malattie e ogni infermità. In base a queste azioni chiunque poteva contemplare la sua divinità. [...] Per questo, anche all'inizio, quando discese da noi, si plasmò il corpo dalla Vergine per offrire a tutti un non piccolo segno della sua divinità poiché chi ha plasmato quel corpo è anche creatore degli altri corpi. Infatti, chi vedendo un corpo proveniente soltanto da una Vergine senza il concorso dell'uomo, non pensa che colui che si manifesta in esso è Creatore e Signore anche degli altri corpi? [...] Nutrendo con poco cibo una così grande moltitudine, facendola passare dalla penuria all'abbondanza, cosi da saziare cinquemila uomini con cinque pani e avanzarne ancora così tanto, non mostrava di essere il Signore della provvidenza universale? (Atanasio, L'incarnazione del Verbo, 18: Atanasio , L'incarnazione del Verbo, Roma, Città nuova, 1976 [Collana di testi patristici, 2], pp. 68-70).
5. Milano e l'Arianesimo (prima di Ambrogio)
Milano rimase defilata rispetto alle discussioni sulla questione ariana compiute in oriente. L'occidente infatti seguiva pienamente (ma senza grandi riflessioni) il credo di Nicea e sosteneva esplicitamente Atanasio. E l'imperatore Costante, che governava la parte occidentale dell'Impero, seguiva questa linea. Proprio Costante nel 342 (o all'inizio del 343) volle ricevere a Milano Atanasio, che si presentò all'imperatore accompagnato dal vescovo della città Protaso. La presenza di Protaso al fianco del vescovo di Alessandria ci assicura la chiara linea filonicena del vescovo milanese, confermata del resto dalla sua partecipazione e adesione al concilio di Serdica (Sofia) del 343. Anche Eustorgio I successore di Protaso, continuò la linea dottrinale del suo predecessore. Ce ne dà chiara attestazione un elogio rivoltogli da Atanasio in una lettera ai vescovi dell'Egitto e della Libia: in essa il vescovo di Alessandria, in un contesto in cui metteva in guardia dai raggiri degli ariani, inserì il nome di Eustorgio in un elenco di vescovi di sicura ortodossia antiariana. Però, alla morte di Costante nel 350, il filoariano Costanzo poté manovrare anche l'occidente. Ilario di Poitiers racconta a questo proposito la vicenda del concilio di Milano del 355, in cui Costanzo costrinse i vescovi presenti a condannare Atanasio e a porsi quindi contro Nicea. Iniziati, infatti i lavori conciliari, i vescovi filoariani, appoggiati dall'imperatore, cominciarono a tenere lontano dall'aula Eusebio di Vercelli, a tutti noto come strenuo difensore della causa nicena; e indussero l'assemblea a verificare la posizione di Atanasio previamente ad ogni presa di posizione sulla fede di Nicea. Quando la discussione, per le manovre indicate e per l'incompetenza di molti Padri conciliari, stava ormai approdando ad una nuova condanna di Atanasio, venne chiamato anche Eusebio. Questi tuttavia esigette che, prima di ogni altro adempimento, si procedesse a sottoscrivere la professione di fede nicena. Allora...
...i1 vescovo Dionigi di Milano per primo prese un foglio. Ma, come egli cominciò a scrivervi la propria dichiarazione (a favore di Nicea), Valente con violenza gli strappò di mano foglio e penna, gridando che non si poteva procedere oltre. La faccenda si svolse con molto clamore davanti agli occhi della gente, e grande fu il dolore di tutti, che la fede venisse avversata dagli stessi vescovi (filoariani). Essi allora, temendo il giudizio popolare, si trasferirono dalla chiesa al palazzo imperiale (Ilario di Poitiers, Liber I ad Constantium, II, 3 (8): CSEL 65, pp. 186-187).
In tal modo Costanzo riuscì a piegare tutti i vescovi che sottoscrissero la condanna di Atanasio, eccezion fatta per Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari e Dionigi che furono mandati in esilio in oriente (Dionigi senza più far ritorno in sede). Costanzo pensò bene di collocare a Milano L'"omeo" Aussenzio. A Milano poi, nel seguente anno 356, avvenne un incontro fra Costanzo e papa Liberio, condotto davanti a lui per ordine imperiale. Per la prima volta nella storia della Chiesa un papa sta davanti al tribunale dell'imperatore cristiano, personalmente presente. Nessun documento avrebbe testimoniato con più realismo che cosa era in gioco. Sembra di rileggere gli interrogatori del tempo delle persecuzioni, ed è significativa la presenza del vescovo di Roma quale difensore della fede e avvocato della libertà per la terra intera. Con simili atteggiamenti Costanzo spezzava ogni resistenza e tendeva a imporre un'unità religiosa di tipo ariano; e nel 359 due concili, a Rimini e a Seleucia, manovrati dall'imperatore, avrebbero dato l'impressione che tutti fossero ormai divenuti "omei". Bastò che morisse Costanzo nel 361, per permettere a molti di riesprimere la loro fede nicena: il tutto avrà solenne conferma, come ricordavano, al concilio di Costantinopoli del 381. Noi concludiamo con il testo del lungo interrogatorio di Liberio:
L'imperatore Costanzo disse: "Sia perché sei cristiano, sia perché sei vescovo della nostra città noi abbiamo ritenuto giusto convocarti e ti chiediamo di rifiutare la comunione con l'indicibile follia dell'empio Atanasio. La terra intera, infatti, ha riconosciuto che questo è giusto e per decisione di un concilio ha stabilito che egli è estraneo alla comunione della Chiesa". - Il vescovo Liberio disse: "O imperatore, i processi ecclesiastici devono essere condotti con molta giustizia. Perciò, se sembra così alla tua pietà, ordina che si riunisca il tribunale; se poi Atanasio appare meritevole di condanna, allora si stabilirà la sentenza contro di lui secondo la norma del diritto ecclesiastico; infatti non è giusto condannare un uomo che non abbiamo giudicato". - L'imperatore Costanzo disse: "Tutta la terra ha condannato la sua empietà, ed egli, come ha fatto fin dall'inizio, si prende gioco di ciò che gli capita". - Il vescovo Liberio disse: "Quanti hanno firmato, non erano testimoni oculari di ciò che è accaduto, ma sono stati influenzati dalla paura di te, e dal fatto che tu potevi stimarli o disprezzarli". - L'imperatore: "In che senso parli di paura, stima e disprezzo?". - Liberio: "Quanti non amano la stima di Dio, preferendo i doni che ricevono da parte tua, condannarono senza averlo giudicato uno che non avevano visto di persona; questo non è cristiano". [...] - L'imperatore disse a Liberio: "Quale parte sei della terra, per prendere tu solo le difese di un uomo empio e distruggere la pace del mondo e dell'intero universo?". - Liberio: "La verità della fede non è in inferiorità per il fatto che io sono solo; anche nell'Antico Testamento, infatti, troviamo tre persone, che si opposero da sole ad un decreto" (cfr. Dan 3,8-9). - L'eunuco Eusebio disse: "Tu paragoni il nostro imperatore a Nabucodonosor!". - Liberio: "Niente affatto. Tu, piuttosto, condanni in un modo così arbitrario un uomo che non abbiamo giudicato. Io chiedo che prima si rediga una dichiarazione generale che confermi la fede esposta a Nicea; così, una volta richiamati i nostri fratelli dall'esilio e collocatili di nuovo nelle loro sedi, se si vede che quanti ora fan sorgere disordini nelle Chiese sono nella linea della fede apostolica, allora tutti noi, riuniti presso la Chiesa di Alessandria, dove si trovano l'accusato, gli accusatori e il loro difensore, esamineremo ciò che li riguarda e prenderemo una decisione comune". [...] - L'imperatore: "Una sola cosa è da ricercare. Dato che aspiri alla comunione con le Chiese, voglio rimandarti a Roma. Per questo lasciati persuadere dalle necessità della pace: firma e torna a Roma". - Liberio: "Ho già detto addio ai fratelli di Roma. Le leggi della Chiesa sono più importanti della mia residenza a Roma". - L'imperatore: "Dunque hai tre giorni per riflettere; se vuoi, firma e torna a Roma, oppure decidi in quale luogo vuoi essere spostato". - Liberio: "Tre giorni non possono mutare la mia decisione; quindi mandami dove vuoi". - L'imperatore, interrogato Liberio dopo due giorni e avendolo trovato sempre dello stesso parere, lo fece esiliare a Berea, in Tracia. Alla partenza di Liberio, l'imperatore gli inviò 500 monete d'oro per le spese. Liberio disse a chi gliele aveva portate: "Vattene e rendile all'imperatore; infatti ne ha bisogno per darle ai suoi soldati". Anche l'imperatrice gli inviò la stessa somma. Liberio disse: "Dalle all'imperatore; ne ha bisogno infatti, per le spese di viaggio dei soldati. Se non ne ha bisogno l'imperatore, le dia ad Aussenzio e a Epitteto (di Civitavecchia): loro ne hanno bisogno". - Poiché non aveva accettato nulla da parte di quelli, l'eunuco Eusebio gli porto dell'altro denaro. Liberio gli disse: "Dopo aver spogliato le chiese della terra, mi fai l'elemosina come a un condannato? Vattene, diventa prima cristiano". Dopo tre giorni, senza accettare nulla, andò in esilio (Pier Franco Beatrice, I Padri della Chiesa, Vicenza, Edizioni Istituto S.Gaetano, 1983, pp.205-210).
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