Intervista a don Fausto Buzzi
Buon giorno don Fausto,
mi permetta alcune domante di presentazione, prima di entrare nel cuore della nostra intervista concernente da una parte la spiritualità, dall’altro l'apostolato in Sicilia.
D. La ricerca della vita spirituale ha sempre caratterizzato la Sua vocazione, tanto che in principio Lei guardò, se non sbaglio, alla Certosa: che cosa cercava e quali i vantaggi della clausura monastica?
R. Veramente in principio guardai con grande interesse i Gesuiti, forse perché nella mia parrocchia ogni primo venerdì del mese veniva un bravo gesuita che mi seguiva spiritualmente. In seguito m’interessai molto alla vita religiosa monastica e i certosini mi affascinavano. Ciò che mi piaceva in loro era l’equilibrio tra il cenobio e l’eremo. Ma se devo in sintesi dire che cosa mi attirava della Certosa posso dirlo con una frase di dom Pollien: “chiunque ha voluto avvicinarsi a Dio, si è allontanato dagli uomini, poiché gli uomini sono lontani da Dio”.
D. Ma la riforma entrò anche in ciò che non serviva riformare ... si volle aprire al mondano ciò che per essenza è "fuga mundi propter Christum": ci racconta qualcosa del clima, soprattutto ecclesiale, di quegli anni?
R. Gli anni ‘60 - ‘70 sono stati anni di una lenta ma inesorabile penetrazione del modernismo in tutti gli ambienti ecclesiastici. Per fare un’esempio, un sacerdote nella mia parrocchia a metà degli anni ’70, ci prospettava come rimedio all’aborto il male minore cioè la contraccezione. Sempre alla stessa epoca, mi trovai una volta in una parrocchia del centro di Milano ad una riunione per gli insegnanti di catechismo. La sala era piena e il relatore, sacerdote responsabile per la catechesi mandato dalla Curia, si permise di dire, già allora, che l’inferno era vuoto. Di esempi ne potrei fare molti altri. La macchina per creare una nuova Chiesa cattolica si era messa in moto subito dopo il Concilio. Purtroppo bisogna dire che furono soprattutto gli ecclesiastici che si davano da fare per attuare i cambiamenti in tutti i settori della vita della Chiesa. Grazie a Dio a quel tempo si potevano ancora incontrare dei sacerdoti che o resistevano alle riforme o, pur accettandole, cercavano di arginare come potevano il nuovo corso.
D. Quindi l'incontro con Mons. Lefebvre e la decisione di entrare ad Ecône ...
R. Certo davanti ai nostri occhi era chiaro l’inizio dello sfacelo delle istituzioni ecclesiastiche anche se, lo ripeto, attuato lentamente. Che fare? A quel tempo militavo in quella che fu Alleanza Cattolica e devo ringraziare quest’associazione che allora mi aprì gli occhi su molti mali che affliggevano la Chiesa e il mondo cristiano. Ho ricevuto una formazione culturale veramente cattolica. Ho rivisto la storia non come la raccontano i vincitori, soprattutto nelle scuole, ma come è davanti a Dio.
D. Già, Alleanza Cattolica ... a giudicare dai recenti sviluppi e “rivelazioni”, vedi articolo del Prof. Turco, sembra aver perso parecchio del suo mordente, di fatto riallineata in chiave vatican secondista. Dove e perché è iniziato il riallineamento?
R. All’epoca non riuscivo a spiegarmi come i miei bravi maestri di Alleanza Cattolica si trasformassero in discepoli dell’errore ... furono poprio loro ad insegnarmi gli errori della rivoluzione nella Chiesa, loro che mi aiutarono ad aprir egli occhi sui gravi problemi della nuova messa, quella di Paolo VI. Oggi mi domando se il “Sinodo sulla Famiglia” approvasse la comunione ai risposati che cosa farebbe A.C. che fu una delle pochissime associazioni che si diede anima e corpo per combattere l’approvazione del divorzio in Italia; all’epoca del referendum, lavorammo notte e giorno per scongiurare quel flagello.
E’ certo che l’elezione di Giovanni Paolo II fu l’inizio della fine e fece perdere la bussola ai dirigenti di AC d’allora. Mi sentii dire, con tono estasiato, da uno dei dirigenti di Milano, circa due anni dopo l’elezione di Giovanni Paolo, che era un santo! Se mi si permette un’analogia: come si parla della “sinagoga bendata” che vuol rimanere cieca, così da 34 anni è per AC; si è bendata gli occhi e ha preferito la legalità alla verità, l’entrismo nella “ufficialità” all’esilio per quella verità che fino allora aveva professato apertamente e coraggiosamente.
Oggi AC ipertrofizza la funzione del Magistero dimenticandosi che il Magistero è al servizio della Tradizione; il dramma di AC è di ostinarsi a non voler vedere i mali della Chiesa conciliare, volendoli spudoratamente giustificare ad ogni costo. Questa associazione oggi porta solo il nome di quella che fu. Ormai la sua attività più importante sembra essere quella di fare il guardaspalle a una gerarchia ecclesiastica che continua imperterrita a demolire la Cristianità. Appunto “Cristianità”, una rivista che ho diffuso per 3 anni. In uno dei numeri di quel periodo si poteva leggere una bellissima lettera pastorale sui doveri dei pastori, risalente al 1791, del vescovo francese Mons. De Roger. Leggendola si vedrà lo spirito che animava allora AC rispetto a quello che, purtroppo, è diventata oggi.
D. Dicevamo: quindi l'incontro con Mons. Lefebvre e la decisione di entrare ad Ecône …
R. Per me l’incontro con Mons. Lefebvre è stata la grazia più grande della mia vita. Lo conobbi i primi di giugno del 1972 e lo rincontrai l’anno dopo sempre ad un ritiro di AC a Bocca di Magra. Ho ancora una registrazione di quelle conferenze. Devo ringraziare la Divina Provvidenza che per mezzo di quest’associazione e per mezzo di Agostino Sanfratello, mi ha fatto conoscere un vescovo ancora integralmente cattolico. Da questo incontro in seguito ho ricevuto un’altra grandissima grazia: conobbi p. Barrielle e gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio a cui devo la mia entrata in seminario di Ecône.
D. Un aspetto forse poco conosciuto della Fraternità San Pio X è l'opera di predicazione degli Esercizi ignaziani: che cosa sono gli Esercizi e perché fare oggi gli Esercizi Spirituali?
R. Per quanto riguarda gli Esercizi, ho scritto un articolo su Tradizione Cattolica e qui sarebbe troppo lunga la risposta. In generale si può dire che sono una delle più grandi grazie che un uomo possa ricevere per la salvezza eterna della sua anima.
D. Tramite padre Vallet e padre Barielle i "cinque giorni" vengono, potremmo dire, donati alla Fraternità e "salvati" dall'oblio: cosa direbbe se dovesse descrivere i primi tre vantaggi del metodo degli Esercizi Spirituali ignaziani in 5 giorni?
R. Il primo è staccarsi un po dal mondo e iniziare a dar una ridimensionata al proprio IO, gonfiato dalle nostre illusioni e vanità, cercando di sentire e capire profondamente, possibilmente con lacrime, che offendere Dio è gravissimo. Molti cattolici conoscono la gravità del peccato ma non ne sentono più il peso.
In secondo luogo: imparare a mettere davanti al nostro piccolissimo io una “D” maiuscola, ossia che Dio viene prima di tutto e bisogna amarlo sopra ogni cosa e che, benché sia misericordia infinita “Deus non irridetur”, cioè che non bisogna prendersi gioco di Lui.
Terzo direi … conoscere intimamente Nostro Signore Gesù Cristo. Troppi cattolici credono in Gesù Cristo ma non lo fanno entrare quasi per niente nella loro vita di tutti i giorni. Gesù non è amato perché Gesù non è conosciuto, diceva S Teresa d’Avila. Bisognerebbe uscire dagli Esercizi con un gran desiderio di amarlo, metterlo al centro della nostra vita senza fare più compromessi con il peccato e con il mondo che lo odia.
D. Negli anni ‘60 i parroci, stanchi dei polverosi e tarlati mobili in legno, comprarono i più moderni mobili in fòrmica; ciò che necessitava solo di essere spolverato e lucidato, fu invece sfasciato e sostituito, i medesimi venditori ritirarono le vecchie sacrestie. Quando i magazzini dei rigattieri furono pieni, ecco la riscoperta dell' “arte povera”, del mobile antico, del restauro.
Così per i mobili, così per la riforma liturgica, così per la spiritualità ... cos'è che nella Chiesa ha generato questo strabismo spirituale?
R. La causa di tutto questo “strabismo”, come dice Lei, è riconducibile alla perdita della fede. A poco a poco vennero meno con il concilio e la riforma liturgia lo spirito di fede e la fede stessa. Non si vide più il mondo come un nemico, e poco a poco si perdette la nozione stessa di conversione … iniziò la mondanizzazione della Chiesa. Chiesa che fino ad allora aveva esportato al mondo le verità della salvezza ma che, con la nuova visione umanitarista, importerà nel suo seno quei principi liberali che ancor oggi vediamo operanti; il risultato fu di spegnere ogni zelo apostolico, secolarizzare il clero, avvelenare le menti dei fedeli. Non più una visione ultra-terrena della vita ma tutto fu ricondotto ai valori puramente umani e sociali.
Di conseguenza non si avrà più coraggio di parlare di peccato mortale, di inferno, né tantomeno di penitenza; non sarà più il sacerdote che santificherà i suoi fedeli, ma sarà la comunità che santificherà il sacerdote, poiché il “popolo di Dio” diverrà il “luogo teologico” dove attingere le verità per adattare la fede alle sue esigenze “di sacro”.
Nella nuova chiesa conciliare non ci sarà più niente di verticale ma tutto oramai sarà orizzontale: i problemi sociali prenderanno il posto dei problemi spirituali. La spiritualità nella sua dimensione soprannaturale e con le sue esigenze derivate: distacco e disprezzo del mondo, imitazione di Cristo etc. diviene una sorta di psicologia, o di antropologia.
L’ideale non sarà più la salvezza dell’anima, di tutte le anime, ma sarà una fratellanza umana e universale, vissuta nella solidarietà, nelle “diversità culturali e religiose”. Ecco lo strabismo degli uomini di Chiesa dal 1962, ma potremmo dire già dalla morte di Pio XII.
D. Quali dunque i pilasti della vita spirituale del cristiano?
R. Sono la preghiera e lo spirito di sacrificio che si devono alimentare continuamente con la S. Messa.
D. … e quali i pilastri della vita spirituale del sacerdote?
R. Una costante e profonda vita di preghiera, vivere sempre di più la S. Messa che ogni giorno celebra: questo sarà l’anima del suo apostolato. Così il sacerdote eviterà due scogli: la febbre spasmodica dell’attivismo e la tiepidezza nello zelo.
Il sacerdote più degli altri deve far vivere la sua anima in un clima interiore di calma e serenità soprannaturale. Ma non potrà realizzarlo se non con una vera profonda vita interiore, necessaria per resistere a tutti gli attacchi, a tutte le seduzioni, che continuamente riceve, dall’esterno e dall’interno. E’ a questo scopo che Mons. Lefebvre ha voluto i Priorati, affinché fossero per i sacerdoti delle oasi spirituali di pace, per rinfrancarsi spiritualmente per poi ripartire nell’apostolato.
D. Lei è anche il referente per l'apostolato in Sicilia; quale l'attitudine dei siciliani verso la Tradizione?
R. Tendenzialmente i cattolici siciliani hanno un animo tradizionale. Credo che si possa dire che la Sicilia, come anche la Sardegna, fossero, prima del concilio, due grandi monasteri ove la religione cattolica scandiva i ritmi religiosi e civili della popolazione. Era un mondo veramente cattolico. Purtroppo la Sicilia cattolica è stata danneggiata gravemente da due tragici avvenimenti storici: il Risorgimento massonico e il concilio Vaticano II.
D. Quale la situazione della Chiesa in Sicilia?
R. Un po’ come in tutta Italia. L’unica differenza è che in Sicilia rimane ancora molta fede popolare anche se con il tempo purtroppo si sta sfaldando. Anche la famiglia, pilastro della società siciliana, sta venendo meno. La rivoluzione liberale e modernista non risparmia nessuno!
D. Sei cresimati recentemente, una bella soddisfazione! Come sono stati preparati?
R. Approfittavo delle visite mensili per fare catechismo, cercando di insegnare l’essenziale. Sono stato anche aiutato dal padre di uno essi, che ha veramente preparato bene suo figlio. Un bell'esempio che tutti i padri di famiglia dovrebbero seguire, quando la presenza del sacerdote non può essere assidua.
D. Sua Eminenza, pur non essendo certamente un conservatore, comunque ci rispetta e comprende bene la nostra situazione; come sono i rapporti con il Cardinale?
R. Il cardinale Francesco Montenegro, l’ho conosciuto 5 anni fa. Andai a trovarlo dopo qualche mese dal suo insediamento ad Agrigento come Arcivescovo della diocesi. Fu cordiale e molto gentile e sicuramente ci rispetta, che ci comprenda non ne sono tanto sicuro ma si è instaurato un certomodus vivendi.
D. A quando un priorato in Sicilia e quali ne sarebbero i vantaggi?
R. La Sicilia ha una estensione quasi come la Svizzera e ci sono più di 5 milioni di abitanti. Ma per aprire un priorato oltre l’alta densità di abitanti ci vogliono sacerdoti. Un priorato richiede infatti almeno 3 membri; attualmente il numero dei fedeli non sembra giustificare l’apertura di un priorato.
Sicuramente la presenza continua di più sacerdoti sull’isola permetterebbe di ampliare l’apostolato e di farsi conoscere meglio. Come dicevo l’animo dei siciliani tende alla tradizione e in molti sicuramente c’è la ricerca della tradizione della Chiesa. Lasciamo alla Divina Provvidenza di mostrarci i segni per fare questa nuova fondazione. Per il momento è importante continuare a seminare e sono sicuro che un giorno ci sarà qualcuno che raccoglierà tanto in questa terra che, come lo stesso giudice Borsellino la definì, è “bellissima e sfortunata”.
Grazie mille don Fausto per il suo tempo e la ricchezza della sua condivisione.
don Massimo Sbicego
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