Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

venerdì 29 maggio 2015

DIO PERDONA, SE... di J .A.






«Dio ci perdona sempre, non si stanca di perdonare. E noi non dobbiamo stancarci di andare a chiedere perdono». La Chiesa ci ricorda questa verità essenziale della nostra fede. La Chiesa,in quanto Madre e maestra , deve essere innanzitutto casa della misericordia. Proprio per dare il maggior risalto possibile a questo aspetto fondamentale della vita cristiana, i romani Pontefici, hanno sempre incoraggiato i fedeli arricchendole di indulgenze l'esercizio delle quaranta ore per celebrare la misericordia del Signore.

Una opportunità per riflettere sul sacramento della Riconciliazione prepararci così a celebrare il dono della misericordia del Signore.Eppure il sacramento della penitenza è quello più necessario all’uomo, dopo il Battesimo proprio per la fragilità della condizione umana.

Penso tuttavia che questo sacramento sia disatteso ed evitato per il fatto che i nostri fedeli non lo capiscono. Eppure qui si incontrano l’infinita misericordia di Dio e l’infinita miseria dell’uomo. Agostino lo chiama il sacramento dove, si incontrano miseria e misericordia! In un ineffabile mistero d’amore, Gesù stesso rimette i peccati attraverso il sacerdote, ridona la grazia santificante che era stata perduta con il peccato mortale.La Confessione frequente rafforza la vita cristiana, sostiene la volontà di compiere il bene e di evitare il male. La finalità tipica della penitenza-sacramento è la riconciliazione dell'uomo con Dio."Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia, abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire Il suo fine al di fuori di Dio" (GS 2).

Sono molti i cristiani che oggi si riconoscono peccatori, ma spesso non sanno che cosa sia il peccato, o ne hanno un senso vago e impreciso. Altri, non amano soffermarsi per una introspezione sulle azioni compiute, preferendo piuttosto guardare al loro avvenire e a quello del mondo. Per tutti sembra essersi perso il senso del peccato. Lo denunciò con coraggiosa lungimiranza Pio XII. "Il grande peccato dell'uomo d'oggi e che l'uomo ha perso il senso del peccato".

Era facile, in una società permeata di sacralità, di religiosità, di pietà popolare vivere in riferimento a Dio. Il divino si rivelava operante nelle leggi della natura, nel misteri della fecondità e nello sviluppo della vita, nell'organizzazione sociale e comunitaria, nell'arte e nella cultura. Tutte le tappe dell'esistenza umana erano sorrette e quasi incorniciate da una sacralità per la quale l'uomo si trovava in modo quasi connaturale in contatto con il divino. In questa atmosfera il peccato veniva sperimentato come un mancare alle leggi statiche e immutabili della natura, della vita, dell'organizzazione sociale; mancanza che era vista prevalentemente come un andare-contro il volere di Dio.


Il peccato era visto come limite oggettivo nei confronti di una legge che, in ogni caso, occorreva riparare e di cui ci si doveva purificare compiendo certi riti espiatori. In una società secolarizzata, invece, e pregna di progressivo secolarismo, in un mondo in cui l'umano sembra cedere il posto al tecnicismo e l'antropologismo assunto a sistema assoluto, il riferimento al sacro e al trascendente tende a smorzarsi. La scienza, la tecnica moderna hanno demitizzato la natura e i misteri della vita, dello sviluppo psico-sociale dell'uomo. I fenomeni e le forze che in essi si manifestano non sono più sentiti come espressione della volontà e dell'azione provvidente di Dio, ma come strumenti con i quali l'uomo conoscendo e dominando tali forze e leggi va costruendo responsabilmente il suo futuro senza Dio. Questa nuova esperienza e concezione dell'uomo e del mondo mette in crisi il senso del peccato e misconosce i valori sottolineati da questo diverso contesto socio-culturale. Ma la reazione è equivoca in sé. Si reagisce, ad esempio, contro quella concezione che riduce il peccato a ribellione contro una legge, dimenticando che peccato è anche la inat­tività e la mancanza di critica nel confronti di leggi che non aiutano l'uomo ad essere più uomo. Come pure peccato è non assumere le proprie responsabilità di fronte a scelte fondamentali.



"Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; e una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. E'stato definito una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna". Il peccato e un'offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che e male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, e una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare "come Dio" (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto e "amore di sé fino al disprezzo di Dio". Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato e diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza Peccato come rifiuto di Dio e della comunione con i fratelli.


La vera essenza del peccato sta nel rifiuto di Dio, nella "chiusura a Dio, rifiuto della sua amicizia, rottura dell'alle­anza infedeltà, adulterio, idolatrìa" (ESP 40) II peccato è essenzialmente una realtà religiosa che tocca il rapporto dell'uomo con Dio in quanto sottende un rifiuto della comunione con lui e con gli altri uomini in Cristo e nello Spirito Santo. Il peccatore è infatti tale perché rifiuta di essere figlio del Padre, rifiuta di essere amato da lui, rifiuta la chiamata del Cristo a costruire la comunione con i fratelli per "cieli nuovi e terre nuove", rifiuta il Regno. Il peccato consiste nel non riconoscere Dio come Dio e pertanto nel non riconoscere la dipendenza totale che l'uomo ha da Lui e l'ordinazione radicale che l'uomo ha verso lui. Situato in tale prospettiva il peccato appare come infedeltà e adulterio perché tocca Dio nel suo amore, perché è rifiuto di Dio come amore. Rifiuto perché si tratta di una negazione data a Dio che non per proprio interesse, ma per uno stupendo atto di amore soggettivo e oggettivo insieme è entrato nella storia umana per incontrare ogni uomo e tutti gli uomini per offrire loro la vita e offrirla "in abbondanza" . 

E' Dio che fa esistere l'uomo e lo chiama alla costruzione del futuro personale e sociale in comunione con Lui e il prossimo. Di qui, alienato da Dio e quindi da se stesso l'uomo diventa incapace di costruire un vero rapporto con gli altri; diventa piuttosto "estraneo" ai propri fratelli, anzi si pone in conflitto con loro, sviluppando rapporti fondati sull' ingiusti­zia e sulla violenza e non sul riconoscimento della dignità  per­sonale  dell'altro. Il peccato infatti è lacerazione personale interiore, alienazione da se stesso e dagli altri, è diminuzione che impedisce all'uomo di realizzare se stesso e conseguire la pienezza della vita, alla quale Dio lo chiama.La dimensione sociale del peccato


Con il peccato anche il rapporto dell'uomo con l'universo diventa disordinato: la creazione è sottomessa alla caducità e resa schiava della corruzione.
 Il peccato, in quanto

─ rifiuto dell'alleanza,

─ no dell'uomo al progetto e alla chiamata di Dio,

─ rifiuto dell'amore e della comunione con Dio e con i fratelli,

─ sfiducia nella promessa divina,

Implicitamente è rifiuto di costruire con gli altri l'avvenire promesso da Dio. E' opposizione alla costruzione del Regno del Signore Gesù nelle sue dimensioni comunitarie e sociali secondo la immagine teologica del corpo mistico. Non può quindi sussistere un amore verso Dio puramente privato e individualistico. Se esiste, esso non può non abbracciare i fratelli con i quali viviamo. "Come puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami i fratelli che vedi"?, ricorderebbe oggi più che mai Sant'Agostino.

Il peccatore si chiude nel suo egoismo e questo suo atteggiamento può produrre il suo influsso in termini espliciti e diretti o in termini impliciti e indiretti. Può produrre un influsso diretto allorquando l'egoista peccatore coinvolge un'altra persona o istituzione nel male dei pensieri, parole, opere e omissioni. 
Tuttavia anche il peccato più intimo e personale ha in sé una dimensione sociale ed esercita, anche se implicitamente, un influsso negativo sulla comunità. Infatti l'opzione fondamentale del peccatore non rimane un atteggiamento di chiusura puramente interiore, ma incarna nell'azione il limite della pienezza, dell'assolutezza, della vita vera in Cristo. Perciò in virtù della dimensione storico-sociale dell'uomo e del progetto di Dio nei suoi riguardi, qualunque modo di esistere dell'uomo nel mondo come persona che rifiuta l'amore e la chiamata di Dio influisce sull'accidia e sulla positività della risposta degli altri. Esso inaugura e conferma una situazione esistenziale di egoismo e accentua e contribuisce a creare quelle situazioni ingiuste e oppressive che minacciano la libertà, la giustizia, la pace tra gli uomini.Per confessarsi bene



Per confessarsi bene occorrono cinque cose.


L’esame di coscienza

E’ una diligente ricerca dei peccati commessi contro Dio, il prossimo e noi stessi dopo l’ultima confessione ben fatta. Ricorda il Catechismo che l’esame di coscienza è bene sia “fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli e il discorso della montagna, gli insegnamenti apostolici” 


Il dolore.

E’ l’elemento essenziale della Confessione. Consiste nel rincrescimento interno, sommo, universale, soprannaturale di aver offeso Dio e di aver meritato i suoi castighi. Il Catechismo dice che la contrizione è « il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire »


Il proponimento.

E’ il proposito sincero di non voler più ricadere nel peccato e di fuggirne le occasioni.

La Confessione.

E’ l’accusa dei propri peccati. Deve essere integra, sincera, chiara, per i peccati mortali. E’ bene confessare anche quelli veniali. Ricorda il Catechismo “La confessione dei peccati (l'accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l'accusa, l'uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire”.

La soddisfazione.

E’ la penitenza che ci impone il confessore alla quale ogni anima cristiana aggiunge l’offerta delle sue sofferenze quotidiane. Il Catechismo ricorda: “Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve « soddisfare » in maniera adeguata o « espiare » i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche « penitenza ».”

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