Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

mercoledì 2 ottobre 2024

La Rivoluzione violenta all’interno della Chiesa cattolica romana



Carissimi amici e lettori,

pochi sembrano ricordare che il più violento cambiamento all’interno della Chiesa romana si ebbe, sotto ogni aspetto, negli anni che seguirono immediatamente il Vaticano II. Mutata “ufficialmente” la dottrina su alcuni punti importanti, si procedette da parte di Papa Montini in un’impressionante opera di rivoluzione, che non risparmiò alcun aspetto della vita ecclesiale. L’intera liturgia, i seminari, la vita del clero, le regole e le costituzioni di tutti gli ordini e le congregazioni religiose, la formazione dei giovani, la bibbia, il catechismo, il diritto canonico, il cerimoniale papale: tutto fu oggetto di un ribaltamento che non potrà mai avere uguali, anche per il semplice fatto che allora il punto di partenza era l’integrità della professione di fede. Tale professione, infatti, o è integra o non è, non ha senso che essa sia “più o meno integra”: una cosa già rotta si può spezzettare ulteriormente, ma il vero cambiamento si ha nel momento in cui smette di essere integra.

Nei tempi di Papa Bergoglio, si assiste a uno scenario che presenta alcune similitudini con quello post-conciliare, con la differenza che il punto di partenza da cui Francesco sembra discostarsi è solo una certa versione della “nuova fede” postconciliare. Le dinamiche però di reazione agli atteggiamenti del Pontefice regnante somigliano a quelle che si conobbero ai tempi di Paolo VI (per ragioni più gravi e sostanziali, ma da molti dimenticate proprio per assuefazione a quella “nuova ortodossia” che contiene in sé le novità conciliari, come vedremo). Proprio come allora viene posto il problema dell’autorità papale posta al servizio della demolizione della Chiesa, e si ritrovano nei confronti di Francesco le stesse questioni che la pars sanior della Chiesa si era posta ai tempi di Paolo VI: da coloro che scrivono dubia al Pontefice riconosciuto come tale, a coloro che tentano una resistenza anche al di fuori degli schemi canonici “ordinari”, fino a quanti non riconoscono Francesco come Papa, vuoi per tesi “teologiche” di diverso valore, vuoi per bislacchi ragionamenti di stampo giornalistico alimentati (anche) dalla strana abdicazione di Papa Ratzinger. In fondo anche ai tempi di Paolo VI ci fu chi, non potendosi convincere che un vero Papa potesse fare quello che faceva Papa Montini, pensò che fosse stato sostituito da un sosia, costruendo un intero “codice” su tale tesi.

In questo scenario, che ricorda quello degli anni Settanta, dobbiamo ricordare sempre che il dibattito si svolge “in scala ridotta” rispetto ad allora, e spesso rimane interno a degli schieramenti che comunque non professano integralmente la fede cattolica, avendo (quasi) tutti accettato una qualche versione del concilio e del post-concilio, se non altro quella rappresentata dall’immagine di Benedetto XVI. La distinzione tra professione integrale della fede e sua mancanza è però ben più importante di quella delle tifoserie “pro o contro” Bergoglio.

Tra le similitudini con l’ultima fase del pontificato di Papa Montini, oltre a quelle già riscontrate sugli schieramenti degli oppositori, va notato che il pontificato di Paolo VI, come quello di Francesco, fu senza dubbio violentemente progressista e rivoluzionario, produttore di una versione adulterata della fede cattolica e della Messa, come denunciò abbondantemente Monsignor Lefebvre in quegli anni. Tuttavia almeno a partire dall’enciclica Humanae vitae (1968), pur non essendoci nei fatti un reale scostamento dalla linea modernista, con una serie di operazioni si riposizionò il Papa “al centro” del dibattito ecclesiale, mettendo in risalto situazioni più “a sinistra” del Papa stesso, che ridiventava così una sorta di ago della bilancia, secondo il sistema dialettico modernista già denunciato da san Pio X in Pascendi. Per fare brevemente degli esempi, basti ricordare il caso del catechismo olandese (che conteneva affermazioni almeno ambigue sul peccato, la redenzione, l’eucarestia, la verginità della Madonna, il ruolo della Chiesa e del Papa: in altre parole, su quasi tutti i punti essenziali della fede cattolica) o dell’abate Franzoni (favorevole al divorzio, e anticipatore dei temi panteistico-pauperisti di Laudato si’ già nella sua lettera pastorale del 1973), contro le quali il Papa prese provvedimenti, e che apparvero come degli eccessi per combattere i quali i conservatori potevano allinearsi all’autorità rassicurante del Papa. Ora in questa fase del pontificato di Papa Bergoglio noi assistiamo alla creazione di una nuova ala “più progressista”, dalla quale il Papa si discosta, ripetendo le stesse meccaniche di allora (anche se con risultati più scarsi, per il diminuito prestigio del papato e per i metodi tirannici del Pontefice). In questo senso trovano la loro spiegazione le prese di distanza pontificie dal sinodo tedesco, che ripropone più o meno le stesse tematiche ultra-progressiste che già cinquanta anni fa erano state fatte proprie dagli episcopati del nord Europa. Era infatti il 1969 quando il “Consiglio pastorale olandese”, sostenuto e creato dal Card. Alfrink e dai vescovi, proponeva insistentemente l’abolizione del celibato, la legittimazione delle unioni omosessuali, dell’aborto e dell’eutanasia, oltre al rifiuto di Humanae vitae.Una situazione piena di analogie con il famigerato sinodo tedesco di questi anni. Anche allora Roma nicchiò, anche allora si parlò di scisma, anche allora la Chiesa era guidata da un Papa che faceva riforme sconvolgenti ma non sufficienti per alcuni settori. Come Paolo VI finì per sconfessare gli eccessi di allora, pur lasciando intatto l’impianto modernista di base, così Francesco ha scritto una lettera in risposta a quattro donne tedesche datata 10 novembre 2023, confermata da una missiva ufficiale di Parolin datata 25 ottobre 2023, ribadendo che non ci si può scostare dal cammino della Chiesa universale, che l’ordinazione delle donne è stata esclusa da Giovanni Paolo II, e che non si discute la dottrina sull’omosessualità. Lo stesso documento Fiducia supplicans (18 dicembre 2023), che ammette la benedizione (non liturgica) di coppie irregolari e omossessuali, è paradossalmente un tassello di questa operazione. Se rimandiamo ad altri studi per un’analisi accurata di un tale atto blasfemo, facciamo notare qui che il Papa prende due piccioni (o tre) con una fava: se mediaticamente ha seguito le richieste del mondo, con il conseguente successo di immagine, ha al tempo stesso sconfessato i tentativi tedeschi (e non solo) di rendere la benedizione delle coppie in questione istituzionale e liturgica, chiudendo in contropiede la partita con loro. L’applicazione poi di un documento che appare come “conservatore” a chi voleva benedizioni contestuali alle unioni civili (cosa che rimane teoricamente proibita), sarà di fatto così libera che non impedirà alla “vita ecclesiale” di continuare il processo ormai avviato (secondo la formula cara a Papa Francesco) fino alle estreme conseguenze. Infine, il Papa segna un altro punto rimarcando che la vita vera della Chiesa è altro rispetto a quella puramente istituzionale, che secondo la sua concezione (di stampo gnostico) è una sorta di limite da superare, né può coincidere con il piano di Dio. In questo modo egli appare contemporaneamente più conservatore e più progressista dei progressisti, che volevano ingabbiare il processo verso una Chiesa al passo con il mondo nei soliti documenti e nella fissità delle formule. I conservatori dal canto loro potranno continuare a dire che il Papa afferma di non approvare le unioni come tali e che nessun rito liturgico è previsto, e potranno accusare di “abuso” coloro che vorranno unire le benedizioni ai vari atti civili.

Sull’ordinazione delle donne il Papa si è cimentato a più riprese, ritenendo la questione esclusa, a differenza del celibato del clero (del quale, secondo lui, potrebbe occuparsi un suo successore). Nel libro Non sei solo, come in altri recenti interventi, Francesco ha ribadito idee assai confuse sul perché di un tale diniego, rispolverando la teoria del modernista Von Balthasar (da lui espressamente citato nel discorso alla Commissione teologica internazionale del 30 novembre) sui due “princìpi”, quello petrino e quello mariano, all’interno della Chiesa, specificando che quello mariano (che appartiene alle donne) sarebbe «più importante». Una teologia quantomeno bizzarra e senza fondamenti nella tradizione, che introduce nella società ecclesiastica elementi mai sentiti prima, e che sembrano di carattere poetico ed emozionale più che giuridico e visibile, secondo la concezione “spirituale” della Chiesa stessa, tanto cara a Francesco. Un “no” al sacerdozio femminile che alimenta allo stesso tempo strane visioni ecclesiali, peggiorate dalle parole confuse del libro sopra citato, dove si dice che le donne potrebbero essere “cardinali” come consigliere del Papa ma non come elettrici, perché gli elettori del Papa dovrebbero essere assolutamente vescovi, benché non necessariamente cardinali. Può essere che il Pontefice sia così tanto al di fuori della storia e della teologia e del diritto, al punto di esprimersi con una tale confusione di concetti? Sul fronte opposto, Francesco ha risposto il 25 settembre (tramite il Dicastero per la Dottrina della Fede) anche ai cinque dubia che i cardinali “conservatori” Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-kiun, gli avevano posto (in data 10 luglio) su alcune questioni relative alla interpretazione della Divina Rivelazione, sulla benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, sulla sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, sulla ordinazione sacerdotale delle donne e sul pentimento come condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale. I dubia stessi sono importantissimi per capire quale dibattito si stia realmente svolgendo tra il Papa e questi settori della gerarchia, e come tutti condividano almeno una parte degli errori moderni, e necessariamente la loro premessa modernista. Per questo ci soffermeremo un momento sull’argomento. I cinque cardinali che si dicono preoccupati della dottrina cattolica esordiscono con una domanda assolutamente legittima, cioè chiedono «se nella Chiesa la Divina Rivelazione debba essere reinterpretata secondo i cambiamenti culturali del nostro tempo e secondo la nuova visione antropologica che questi cambiamenti promuovono; oppure se la Divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile e quindi da non contraddire». La domanda è posta in modo molto corretto, ed attacca direttamente la visione modernista dell’evoluzione del dogma. Il Papa dal canto suo si dilunga nello spiegare in quale senso (secondo lui) si possano “reinterpretare” Tradizione, Scrittura e Magistero, con affermazioni (poco) sorprendenti che vanno dallo storicismo vero e proprio alla modernistica “gerarchia delle verità”. Lasciando ad altra sede il compito di esaminare le affermazioni di Papa Francesco, dobbiamo far notare che il Pontefice avrebbe potuto cavarsela in modo più semplice nel rispondere ai suoi cinque cardinali. Infatti essi stessi, nella domanda sulla sinodalità, affermano che, per istituzione del Cristo, «la suprema e piena autorità della Chiesa viene esercitata, sia dal Papa in forza del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme col suo capo il Romano Pontefice (Lumen gentium 22)». Quindi i cinque cardinali ammettono esplicitamente (come è del resto noto e logico) la dottrina del doppio soggetto del potere supremo nella Chiesa, secondo il dettato del Vaticano II, dottrina che contraddice il Magistero infallibile del Vaticano I (e di tutto l’insegnamento precedente). Tale nuova dottrina, benché ampiamente confermata nel nuovo diritto canonico e in numerosi documenti di Benedetto XVI, rimane contraria alla Rivelazione. A questo punto il Pontefice avrebbe potuto rispondere ai dubbiosi che lui può ammettere una “reinterpretazione” della dottrina sull’omosessualità, la comunione ai divorziati e il sacerdozio femminile esattamente come è avvenuto per la dottrina sul papato e la collegialità (e non solo) durante il Vaticano II. A che titolo essi potrebbero ammettere una “reinterpretazione” che porta a contraddire il Magistero precedente, e rifiutarne altre? 
Occorre aver ben presente che il dibattito in corso tra Papa Bergoglio e i settori della Chiesa rappresentati dai cinque cardinali è un dibattito interno alle diverse velocità del modernismo, non è un dibattito tra la dottrina cattolica tradizionale e delle eventuali novità bergogliane. Il grande successo dell’operazione culminata con il pontificato di Ratzinger è stato quello di allineare tutti, compresi i cardinali più “conservatori”, a una sorta di nuova “ortodossia” di riferimento, che comprende il Vaticano II e non lo discute più. Una nuova pseudo-“ortodossia” che non è però il dogma cattolico: questo e solo questo è il vero “codice Ratzinger”. Papa Bergoglio sembra poi fare una strana distinzione, funzionale a tenere aperto il dibattito, circa il documento di Giovanni Paolo II sul “no” al sacerdozio femminile: egli spiega che il no è definitivo, ma non c’è una definizione dogmatica, quindi si chiede cosa significhi esattamente questa distinzione. Secondo lui, una “dichiarazione definitiva” «non è una definizione dogmatica, eppure deve essere accettata da tutti. Nessuno può contraddirla pubblicamente e tuttavia può essere oggetto di studio».Facciamo notare che, se è pacifico per noi Attualità che l’impossibilità del sacerdozio femminile sia dottrina rivelata, l’idea che il documento Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994) di Giovanni Paolo II non impegnasse l’infallibilità non è un’invenzione di Papa Francesco, ma l’interpretazione ufficiale data dell’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Josef Ratzinger. Una risposta ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede del 28 ottobre 1995 confermava quanto già detto dal card. Ratzinger nella presentazione del documento: questo sarebbe stato «un atto del Magistero pontificio ordinario, in sé non infallibile». La tesi ufficiale era dunque che un atto papale non infallibile certificava una dottrina che sarebbe stata insegnata infallibilmente dal Magistero Ordinario Universale. Si capisce qui come Papa Bergoglio possa trovare buon gioco nel porre i suoi dubbi sulla natura “definitiva ma non dogmatica” della chiusura al sacerdozio femminile… 
Se pure quindi i dubia manifestano una certa preoccupazione per alcune ulteriori deviazioni, essi vanno inseriti in un contesto dottrinale che condivide gli stessi princìpi sull’evoluzione dogmatica di Papa Bergoglio, e sono semplicemente la residua espressione di una fase dialettica precedente del modernismo stesso. Vanno visti come parte di un processo dialettico interno alla “Chiesa conciliare”, ben distinto dalla battaglia per la fede. A questo punto però si deve uscire da tale apparente dibattito per entrare nelle cose che veramente contano, tanto per il Papa quanto per la grandissima parte della gerarchia (benché si fatichi a capire quanto siano realmente penetrate tra il clero e i fedeli residui). Per il Papa ciò che contava realmente era la partecipazione alla COP28 di Dubai, per intervenire sul tema del cambiamento climatico e della casa comune, oggetto anche dell’enciclica Laudate Deum, in cui la Santa Sede abbraccia interamente la “visione scientifica” del momento (altro che caso Galileo!). Impossibilitato dal rendersi di persona a causa della salute malferma, l’ottantasettenne Pontefice ha mandato un messaggio spingendo i convenuti a risoluzioni concrete per «l’eliminazione dei combustibili fossili» e la riduzione delle emissioni. Il Papa sposa concretissimi interessi economici e una visione multilaterale della politica globale, ovviamente senza alcun riferimento soprannaturale (anzi, l’esempio di san Francesco citato nel messaggio papale serve come parabola per stabilire delle presunte verità mondane, all’inverso del modo di procedere del vangelo). In una situazione mondiale in cui al globalismo a guida unilaterale statunitense si affianca dialetticamente ormai un globalismo multilaterale che persegue interessi economici alternativi, il Papa si pone come pedina su una scacchiera di alternative che non hanno nulla di cristiano, e che sono due vie alchemicamente contrapposte per arrivare al “mondo nuovo”. Allo stesso tempo in Italia abbiamo visto a cosa sono intenti i vescovi, così sordi alla rinnovata e aggravata crisi delle vocazioni, alla chiusura di parrocchie e santuari e conventi e seminari (anche in questo, un ritorno a percentuali di decrescita non più viste dalla “botta” dell’immediato postconcilio). I giornali e media nazionali ci hanno ampiamente edotti sulla vicenda dei finanziamenti CEI a Casarini (invitato speciale al Sinodo) e alla sua ONLUS che recupera i migranti e li traghetta in Italia, con tutto il suo corteo di spiacevoli aneddoti e menzogne. Essendo i vescovi tra i principali gestori dei meccanismi di “accoglienza”, c’è da pensare che l’investimento non sia stato in perdita. Che tra le urgenti opere di carità cui i vescovi potrebbero indirizzare le offerte dei cattolici si sia scelta proprio questa, fa capire bene quale disegno politico multiculturale e multireligioso sia nel progetto della nuova gerarchia. Del resto, il cardinal Fernandez, alla presa di possesso del suo titolo cardinalizio, cita liberamente il consiglio buddista di «essere come l’acqua perché si adatta a qualsiasi contenitore, si allenta... se entra in una bottiglia prende la forma di una bottiglia, è flessibile, è adattabile».Sul fronte “culturale” o “dei diritti”, come si dice ora, lo stesso cardinal Fernandez dal suo dicastero emette pronunciamenti sul battesimo dei “trans” o dei “figli” nati da utero affittato da coppie gay, senza in realtà rispondere al fondo dei problemi, e limitandosi a “aprire dei processi”. Fernandez ammette che si può battezzare un bambino solo se si ha la speranza fondata che sia cresciuto da cristiano (ribadisce insomma un principio molto generale), ma non ci spiega come una tale speranza si possa applicare a un bambino educato da due omosessuali “sposati” o conviventi. Così ci parla del battesimo dei trans senza spiegare cosa si debba chiedere loro al momento della loro conversione… delle risposte che non rispondono assolutamente a nulla, e sicuramente superate dalla “bibbia queer” edita dalle Dehoniane di Bologna. Il testo si presenta ufficialmente così: «EDB porta in Italia il commento queer della Bibbia. Testi di studiosi e pastori attingono alle teorie femministe, queer, decostruzioniste e utopiche, alle scienze sociali e ai discorsi storico-critici per offrire una lettura della Scrittura come non si era mai fatto. L’attenzione è rivolta sia al modo in cui la lettura da prospettive contestuali influisce sulla lettura e Attualità sull’interpretazione dei testi biblici, sia al modo in cui i testi biblici hanno influenzato e influenzano le comunità LGBTQ+. Un testo rivoluzionario, rigoroso, che dà un nuovo volto della Sacra Scrittura». Il disegno è proprio questo, totalmente alieno dal messaggio evangelico. Ce lo confermano, in chiusura, due rappresentanti dell’episcopato che vorremmo qui citare per la loro chiarezza. Il primo è un passo della predica per l’Immacolata di Mons. Tremolada, vescovo di Brescia: «La Chiesa è anche chiamata a riconoscere come suo obiettivo la pace universale». Un’utopia massonica, che fa eco alle parole di Paolo VI all’ONU, presentata come “obiettivo della Chiesa”, che ormai ha semplicemente un’agenda politica e intramondana. Agenda confermata dalle parole del neocardinale Aguiar, in occasione della GMG di Lisbona dello scorso anno nel mese di  luglio: egli non solo assegna alla Chiesa un fine mondano, ma esclude positivamente quello soprannaturale. «La GMG è un grido di questa Fraternità universale – aveva detto alla Radio Televisione Portoghese -, vuole essere una scuola pedagogica per vedere il gusto e la gioia di conoscere il diverso. Il diverso deve essere inteso come una ricchezza. Cattolici, non cattolici, religiosi, con la fede, senza la fede: la prima cosa è capire che la diversità è una ricchezza» … «Vogliamo che sia normale che un giovane musulmano, un ebreo o di un’altra religione non abbia problema a decidere chi sei, e che tutti comprendiamo che la diversità è una ricchezza. Così il mondo sarà oggettivamente migliore». E infine, per chi non avesse capito bene: «Non vogliamo convertire i giovani a Cristo o alla Chiesa cattolica. Niente di tutto questo, assolutamente».All’inizio del suo pontificato, Papa Francesco aveva sostenuto che la Chiesa non può diventare una sorta di ONG. Alla luce di tutto questo, che senso reale potevano avere quelle parole? E che senso può avere la rinnovata condanna della massoneria, da parte del Dicastero per la dottrina della Fede (13 novembre), quando se ne condividono apertamente gli scopi ed i princìpi?
a cura della redazione
Fonte la Tradizione Cattolica

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