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Omelia di mons.Carlo Maria Viganò nel Mercoledì delle Sacre Ceneri, in capite Jejunii



ET NON DABO VOS ULTRA OPPROBRIUM IN GENTIBUS






Immutemur habitu, in cinere et cilicio:
jejunemus, et ploremus ante Dominum:
quia multum misericors est dimittere peccata nostra
Deus noster.

Giole 2, 13



Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris.
 

Abbiamo udito pronunciare queste parole poco fa, durante il rito dell’imposizione delle Ceneri: Ricordati, uomo, che sei polvere, e che polvere tornerai. Mentre ci apprestiamo ad entrare nel sacro tempo penitenziale della Quaresima in preparazione al tempo di Passione e alla Santissima Pasqua, è certamente salutare rammentarci da dove veniamo e cosa ci attende.

Veniamo dalla polvere, con la quale il Creatore si è degnato di plasmare il nostro corpo in cui infondere un’anima immortale, facendoci a Sua immagine e somiglianza. Destinati alla beatitudine eterna, con il peccato siamo tornati nella polvere dell’esilio. Condannati alla perdita dell’immortalità, alla polvere della zolla abbiamo mescolato il sudore della nostra fronte. Chiamati in Abramo verso la terra promessa, nella polvere abbiamo attraversato il deserto. Nella polvere predicò il Precursore, nella polvere delle rocce il Signore fu tentato da Satana. Le nostre innumerevoli colpe hanno umiliato nella polvere del Golgota il Salvatore Nostro Gesù Cristo. Nella polvere si dissolverà il nostro corpo mortale dopo la sepoltura, in attesa della resurrezione della carne alla fine dei tempi. Nella polvere si consumerà il mondo, quando l’eterno Giudice verrà judicare sæculum per ignem. Polvere sono i monumenti antichi, polvere le carte dei sapienti, polvere i tesori raccolti, polvere i tessuti preziosi.

E, per nostra consolazione, in polvere si sgretoleranno le dimore dei malvagi, in polvere saranno dispersi i loro averi, il loro denaro, i loro idoli. Come fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato (Sal 36, 2); poiché i malvagi saranno sterminati, ma chi spera nel Signore possederà la terra. Ancora un poco e l’empio scompare, cerchi il suo posto e più non lo trovi (ibid. 9-10). In polvere si dissolveranno i loro piani infernali, i loro progetti di dominio, le loro agende e il loro great reset. Moriranno anch’essi, mentre il loro sogno di immortalità e di aperta sfida a Cristo si schianterà dinanzi a quella pena capitale cui nessun figlio di Adamo può sottrarsi. Il sepolcro si aprirà anche per loro, e con esso il Giudizio particolare e la giusta condanna.

In questo destino di polvere che tutti inesorabilmente attende, dobbiamo portare impressa nella mente quella Croce che per qualche ora avremo segnata in fronte con la cenere, causa proferendæ humilitatis (Bened. Cinerum, 2a Oratio); perché solo la Croce è la nostra unica speranza – spes unica – nel dissolversi delle cose effimere. Stat Crux dum volvitur orbis. Ma per amare la Croce, per comprendere la sua ineluttabilità e necessità se vogliamo salvarci, occorre comprendere – nei limiti della nostra umana fragilità – quale ineffabile miracolo di Carità abbia mosso la Santissima Trinità – il sommo Iddio Uno e Trino – a decretare che il Verbo eterno del Padre dovesse incarnarSi, patire e morire per redimere l’umanità peccatrice in Adamo. Deus caritas est (I Jo 4, 8). Il miracolo della divina Carità che brucia nelle fiamme dell’amore purissimo del Figlio immolato, le colpe degli uomini e ripara la loro infinita offesa immolando Dio a Dio, sacrificando il Figlio per le colpe del servo, e giungendo a renderSi realmente presente nell’Augustissimo Sacramento dell’Altare fino alla fine dei tempi perché la creatura si nutra del Creatore, perché lo schiavo si alimenti del proprio Liberatore. Caritas ejus in nobis consummata est (ibid., 12)

La magnificenza di Dio sfolgora nell’opera creatrice del Padre, che chiama all’essere dal nulla; nell’opera redentrice del Figlio, che ripristina in Croce l’ordine divino infranto dal peccato; nell’opera santificatrice dello Spirito Santo, che riversa nelle anime gli infiniti meriti della Redenzione mediante la Grazia. E in questo splendore divino ogni creatura è creata in modo unico ed irripetibile: non vi è la venatura di una foglia che sia uguale all’altra, e nessun uomo è identico all’altro. Similmente, ogni anima si trova redenta in modo altrettanto unico, e in modo irripetibile è toccata dalla Grazia. La Santissima Trinità – proprio perché Dio onnipotente – ha un rapporto personale con ogni anima, dal momento in cui essa è pensata e voluta e amata. Il Padre non crea in serie. Il Figlio non redime masse indistinte. Il Paraclito non santifica a caso. È sempre un rapporto personale, individuale, unico per le mille vie che il Signore sceglie per accompagnarci, ammonirci, incoraggiarci, premiarci o – Dio non voglia! – punirci. Ciascuno di noi sa bene quante infedeltà dobbiamo rimproverarci, e quante volte la Misericordia di Dio ci ha risollevato de stercore e ci ha aiutato a progredire nel Suo amore.

Ma come l’azione creatrice, redentrice e santificatrice della Santissima Trinità si manifesta in modo diverso e unico per ciascuno di noi, così unico e personale è il nostro rapporto con Dio – che non esclude ovviamente la mediazione della Chiesa – nel rispondere e nel corrispondere alla volontà del Signore. Ciò significa che le buone azioni che compiamo, i sacrifici che accettiamo, le penitenze e i digiuni che facciamo, le preghiere che recitiamo salgono al cospetto della Maestà Divina con su scritto, per così dire, il nostro nome. Dirigatur, Domine, oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum (Sal 140, 2). E quel nome noto solo all’onniscienza di Dio vi rimane anche quando quelle buone opere sono riposte nel Tesoro di Grazie insieme ai meriti infiniti di Nostro Signore e a quelli di tutti i Santi a cui attinge la Provvidenza. Questa è una grande consolazione, perché rende ciascuno di noi veramente unico nel progetto di Dio. Ma per lo stesso motivo sono individuali e uniche anche le nostre colpe, i nostri peccati: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?» (Mt 26, 68). Ogni nostro peccato – meditiamolo spesso, specialmente in questa Quaresima – è uno sputo al Volto di Cristo, un colpo di canna che affonda le spine della corona nel Suo Capo. Ogni nostra colpa è una verberata che lacera le Sue Carni, un colpo di flagello che le squarcia, un colpo di martello nei palmi delle Sue Mani, una ferita di lancia al Suo Costato. E quei colpi, quegli schiaffi, quegli sputi portano su scritto il nostro nome. Come portano il nostro nome le frecce acuminate con cui trapassiamo il Cuore Immacolato della Sua Santissima Madre, misticamente unita alla Passione del Figlio.

Ma se le vicende presenti e l’attacco infernale del Nemico ci vedono impegnati in una guerra logorante che troppo spesso ci distoglie dalla preghiera, dal raccoglimento e dalla penitenza, in questo sacro tempo di Quaresima noi siamo chiamati ad esercitare lo spirito – come in un allenamento dell’anima – per rafforzarlo nell’amore di Dio, nell’unione alla Sua Passione e nella fuga dal peccato.

Così, come un soldato si cimenta in quelle discipline nelle quali si troverà poi a combattere, parimenti il fedele, che è soldato di Cristo, non può affrontare con efficacia lo scontro spirituale senza prima essersi esercitato nella lotta contro il mondo, la carne e il diavolo. La preghiera posta alla fine dell’imposizione delle Ceneri usa una terminologia chiaramente militare: Concede nobis, Domine, præsidia militiæ christianæ sanctis inchoare jejuniis: ut, contra spiritales nequitias pugnaturi, continentiæ muniamur auxilio. E se nella battaglia quotidiana dobbiamo schierarci principalmente contro nemici esterni, durante la Quaresima il nostro primo nemico siamo noi stessi, ad iniziare dal nostro difetto dominante: perché le armi che ci mette a disposizione il Signore devono trovarci in grado di impugnarle, mentre troppo spesso crediamo di poter scendere nel campo di battaglia con le nostre sole forze.

Immutemur habitu, in cinere et cilicio. Cambiamo comportamento, mutiamo la nostra condotta nella cenere e col cilicio, ossia tenendo ben fisso il nostro destino eterno, e con esso la caducità delle cose di questo mondo. Cambiamo la prospettiva dalla quale osserviamo gli eventi, considerando che tutte le nostre azioni, buone e cattive, non rimangono senza nome, né senza ricompensa o punizione. Non possiamo prendere a pretesto della nostra indolenza la società, la Gerarchia, i governanti, gli eversori del Nuovo Ordine Mondiale, i traditori, i malvagi, i tiepidi cercando di giustificare la nostra condotta o di sottrarci alla cenere e al cilicio, ossia allo spirito di penitenza e rinuncia alle cose di questo mondo che è l’unica palestra di umiltà e santità. Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis (Sal 140, 4). Perché il Giudizio di Dio è personale, e individuale è il merito delle nostre azioni. Le iniquità altrui siano dunque uno sprone a rimediare, riparare, espiare e non un alibi dietro al quale nasconderci. Emendemus in melius: ripariamo al male commesso nella nostra ignoranza affinché, colti all’improvviso dal giorno della morte, non cerchiamo inutilmente tempo di pentirci e non ci sia possibile trovarlo (Impositio Cinerum, Responsorium).

Guardiamo alla Vergine Santissima, prescelta dalla Santissima Trinità per essere tabernacolo vivente del Dio Incarnato: il Suo benedetto Fiat – personale e formulato nel silenzio dell’interiorità – ha reso possibile la nostra Redenzione. Sia esso ogni giorno – e specialmente in questo tempo propizio di digiuno e penitenza – il modello di obbedienza alla volontà del Signore. E così sia.



+ Carlo Maria, Arcivescovo

14 Febbraio 2024
Feria IV Cinerum

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