Intervista del Tagespost a S.E. Mons. Bernard Fellay
Il 28 giugno 2018 mons. Bernard Fellay ha rilasciato un’intervista al settimanale tedesco Die Tagespost, in cui fa il punto sulla situazione attuale della Fraternità e della Chiesa. Proponiamo ai lettori la traduzione italiana dell’intervista.
Tagespost: Nel 1988 Bernard Fellay è stato consacrato Vescovo senza il permesso del Papa. Oggi spera in una riconciliazione. Lo abbiamo incontrato a Stuttgart. Eccellenza, come ha vissuto trent'anni fa la sua consacrazione episcopale? Per lei è stata una separazione definitiva dellla Fraternità da Roma oppure solo una tappa intermedia nel conflitto, nel contesto della quale aveva già in mente la riconciliazione?
Mons. Fellay: Se si fosse trattato di una separazione da Roma, oggi non sarei qui. Mons. Lefebvre non mi avrebbe mai consacrato a questo scopo, e io stesso non lo avrei accettato. Non si è trattato, dunque, di una separazione dalla Chiesa, ma di proteggersi dallo spirito moderno, dai frutti del Concilio. Nel frattempo anche altri hanno riconosciuto che qualcosa è andato storto. Molti pensieri ed aspetti che noi abbiamo combattuto e combattiamo, nel frattempo sono stati confermati anche da altri. Noi non abbiamo mai detto che il Concilio contenga dichiarazioni direttamente eretiche. Però si è indebolito il muro di protezione contro l'errore e in questo modo si è lasciato sorgere l’errore. I fedeli hanno bisogno di protezione. In questo consiste la continua battaglia della Chiesa militante: difendere la fede.
Tagespost: Però non tutti quelli che criticano il “Concilio dei media” (e tra questi c’è anche il Papa emerito Benedetto XVI) approvano un conflitto che vada fino alla scomunica. Perché non ha rafforzato le file di coloro che sono fedeli alla Tradizione all’interno della Chiesa e combattuto per la Verità in unione con Roma?
Mons. Fellay: Questo dipende sicuramente, in parte, dalla storia dei francesi. A partire dalla Rivoluzione francese una buona parte dei cattolici francesi combatte contro l’errore del liberalismo. Perciò lì quanto è successo durante e dopo il Concilio è stato vissuto con molta più sensibilità e attenzione che in Germania. In quel caso non si trattava di errori conclamati, ma di tendenze, si trattava di aprire porte e finestre. Le riforme postconciliari, poi, lo hanno mostrato più chiaramente del Concilio stesso. Inoltre il problema si è cristallizzato sulla nuova Messa. A Roma si pose a mons. Lefebvre un aut aut: “Celebri almeno una volta la nuova e sarà tutto sistemato”. I nostri argomenti contro la nuova Messa non venivano presi in considerazione. Eppure il Messale di Paolo VI è stato realizzato con la collaborazione di teologi protestanti. Quando si viene costretti a celebrare questa Messa, c’è veramente un problema. E ci volevano appunto costringere.
Tagespost: Il suo rifiuto della nuova Messa ha rafforzato in lei e in mons. Lefebvre la convinzione che la separazione da Roma fosse la volontà di Dio?
Mons. Fellay: Insisto: noi non ci siamo mai separati dalla Chiesa.
Tagespost: Però il fatto della scomunica parla da sé. Perché altrimenti Benedetto XVI l’avrebbe ritirata?
Mons. Fellay: Nel Codice di diritto canonico del 1917 la consacrazione episcopale senza mandato papale non viene assimilata allo scisma, ma viene semplicemente presentata come un abuso di autorità e non viene neppure punita con la scomunica. L’intera storia della Chiesa guarda da un altro punto di vista il problema delle consacrazioni episcopali senza il mandato del Papa. Questo è molto importante.
Tagespost: Perché è così importante? Nel 1988 vigeva già il nuovo Codice di diritto canonico, e del resto anche il Codice del 1917 obbligava il Vescovo alla fedeltà alla Santa Sede.
Mons. Fellay: Eravamo in uno stato di necessità, perché Roma aveva stabilito che noi potevamo avere un Vescovo. Nella discussione tra il cardinale Ratzinger e mons. Lefebvre del 5 maggio 1988 si discusse della data delle consacrazioni. Mons. Lefebvre e il card. Ratzinger non riuscirono a mettersi d’accordo. Mons. Lefebvre aveva fatto una proposta. Io sono sicuro che se in quel momento il card. Ratzinger avesse confermato la data del 15 agosto per la consacrazione episcopale, mons. Lefebvre l’avrebbe accettata. Invece la questione della data rimase aperta. Quando mons. Lefebvre chiese al Cardinale: “Perché non farla allora alla fine dell’anno?”, ottenne come risposta: “Non lo so, non sono in grado di dirglielo”. Perciò mons. Lefebvre ebbe l’impressione che ci si prendesse gioco di lui. Questo fu senz’altro un motivo di perdita della fiducia. E perdita di fiducia è ancora oggi una parola chiave nella nostra questione. Noi lavoriamo appunto per superare tutto questo, ma ogni volta succede di nuovo qualcosa: è davvero molto faticoso.
Tagespost: Perché il card. Ratzinger, che conosceva benissimo e favoriva la Tradizione cattolica ed era un amico della Messa tradizionale, non è stato in grado di guadagnare la fiducia di mons. Lefebvre?
Mons. Fellay: Penso non abbia capito quanto profonde erano le ragioni di mons. Lefebvre e il disorientamento dei fedeli e dei sacerdoti. Molti, semplicemente, non ne potevano più degli scandali postconciliari e del modo in cui veniva celebrata la nuova Messa. Se il card. Ratzinger avesse capito questo, non avrebbe agito così. E io credo che se ne sia pentito. Per questo poi, come Papa, ha cercato di riparare il danno con il motu proprio e la revoca delle scomuniche. E noi gli siamo veramente grati per i suoi tentativi di riconciliazione.
Tagespost: Però il card. Ratzinger, in quanto Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, doveva pensare anche alle difficoltà e alle contrarietà degli altri fedeli: molti, ad esempio, sono contrariati dal fatto che in punti essenziali come la questione della validità della Messa i membri della Fraternità San Pio X si contraddicono. Alcuni dei suoi seguaci sono del parere che andando a quella che ai loro occhi è la “eretica” nuova Messa non si possa adempiere il precetto domenicale.
Mons. Fellay: Su questo devo contraddirla. Noi parliamo senz’altro dell'invalidità di molte Messe. Ma affermare che tutte le Messe siano invalide non è affatto la linea della Fraternità San Pio X. Questo non lo abbiamo mai detto. Nelle discussioni con Roma abbiamo sempre sottolineato che noi riconosciamo la validità della nuova Messa, quando è celebrata conformemente ai libri liturgici e con l’intenzione di fare ciò vuole fare la Chiesa. In questo argomento si deve distinguere tra validità e bontà del rito.
Tagespost: Dov’è la differenza?
Mons. Fellay: La nuova Messa presenta delle mancanze e in essa si annidano dei pericoli. Ovviamente, non ogni singola Messa è direttamente uno scandalo; tuttavia la celebrazione ripetuta della nuova Messa conduce ad un indebolimento o addirittura alla perdita della fede. Si constata ogni giorno quanto sempre meno numerosi sono i sacerdoti che credono alla Presenza reale. Nella Messa antica la liturgia nutre la fede; con essa si è saldi come su una roccia, si viene rafforzati nella fede. Alcuni gesti ci fanno crescere nella fede (ad esempio nella fede nella Presenza reale e nel Sacrificio). Anche solo stando in ginocchio, per esempio, o attraverso il silenzio, o attraverso l’attitudine del sacerdote. Nella nuova Messa, invece, la fede bisogna “portarsela con sé”, direttamente dal rito si riceve ben poco. È un rito scialbo.
Tagespost: Ma anche prima della riforma liturgica c’erano sacerdoti con una fede debole, modernisti ed eretici. I Padri conciliari liberali che lei critica sono cresciuti tutti con la Messa antica e ordinati col rito antico. Lei ritiene dunque che le conversioni che, ancora oggi, sono favorite dalla nuova Messa, siano semplicemente autoillusioni?
Mons. Fellay: No, non dico questo. Io dico semplicemente: se lei riceve il Presidente di un Stato e può scegliere tra una tromba d’argento e una tromba di latta, prende forse la tromba di latta? Sarebbe un’offesa, una cosa che non si fa. Anche la nuova Messa celebrata nel modo migliore, paragonata alla liturgia antica, è come una tromba di latta. Per il Signore bisogna scegliere sempre il meglio.
Tagespost: In una predica lei ha detto: “Come hanno potuto avere l’ardire di realizzare una Messa così povera, così vuota e scialba? In questo modo non si può onorare Dio”. Eppure la nuova Messa è ancora oggi per i fedeli cattolici la cosa più preziosa nella loro vita, e anche oggi ci sono nella Chiesa martiri e santi. Perché non ha fatto questa distinzione nella predica?
Mons. Fellay: Io sono d’accordo che in discussioni teologiche si debbano fare le debite distinzioni. Ma in una predica non si può presentare tutto con rigore teologico. In una predica entra in gioco anche una certa retorica, per scuotere un po’ le anime, risvegliare le persone e aiutarle ad aprire gli occhi.
Tagespost: Papa Francesco vuole tendere una mano alla Fraternità San Pio X per una riconciliazione. Lei considera ancora possibile una riunificazione, oppure questa opportunità è andata perduta?
Mons. Fellay: Io sono ottimista. Però non posso anticipare i tempi di Dio. Se lo Spirito Santo è capace di influenzare il Papa del momento, può farlo anche col suo successore. Ed è esattamente quello che è successo, anche con papa Francesco. Quando papa Francesco è stato eletto, io ho pensato: adesso arriva la scomunica. E invece è successo il contrario: il card. Müller ha cercato di farci comminare una scomunica e papa Francesco non ha voluto. Mi ha detto personalmente: “Io non vi condannerò”. La riconciliazione arriverà. La nostra madre Chiesa è attuamente lacerata. I conservatori ci vogliono e lo hanno detto anche nella Congregazione per la Dottrina della fede. I Vescovi tedeschi non ci vogliono per niente. La Santa Sede deve tenere conto di tutti questi elementi, questo lo capiamo. Se fossimo semplicemente accettati così, ci sarebbe una guerra nella Chiesa. C’è la paura che noi potremmo trionfare. Papa Francesco ha detto ai giornalisti: “Farò in modo che non sia un trionfo per loro”.
Tagespost: Tensioni e paura ce ne sono anche tra i membri della Fraternità San Pio X. In Francia diversi sacerdoti e laici si sono separati dalla Fraternità, perché già solo le discussioni con il Vaticano hanno provocato sfiducia. Come prenderebbero i membri della Fraternità una riconciliazione con Roma?
Mons. Fellay: Questo dipenderà da ciò che ci verrà richiesto. Se ci si lascia continuare così come siamo e ci si danno sufficienti garanzie, allora non se ne andrà nessuno. La sfiducia deriva dalla paura di aver accettare delle novità. Se si pretenderà che intraprendiamo un nuovo corso, allora nessuno sarà della partita.
Tagespost: Che cosa la rende così sicuro che tutti accetteranno? Già solo l’annuncio delle discussioni ha scatenato molte tensioni e fuoriuscite. Quale esito sarebbe in grado di tranquillizzare i suoi seguaci? La sfiducia non potrebbe sparire da un momento all’altro dopo una riunificazione.
Mons. Fellay: Questo è vero. Però la bontà e la buona volontà ci sono. Da anni stiamo lavorando con Roma per ricostruire la fiducia. E abbiamo fatto grandi progressi, nonostante tutte le reazioni. Se riusciamo ad arrivare ad una riunificazione ragionevole, con condizioni normali, solo pochi se ne andranno. Io non ho nessuna particolare paura di una nuova separazione nella Tradizione, se si trova la soluzione giusta con Roma. Ci è consentito mettere in discussione certi punti del Concilio. I nostri interlocutori a Roma ce lo hanno detto: le grandi questioni (libertà religiosa, ecumenismo, nuova Messa) sono questioni aperte. Questo è un progresso straordinario. Finora ci veniva detto: dovete obbedire. Invece ormai alcuni collaboratori della Curia romana ci dicono: dovreste aprire un seminario a Roma, un’Università per la difesa della Tradizione. Le cose non sono più o tutto nero o tutto bianco.
Tagespost: Quale sarebbe una soluzione ragionevole?
Mons. Fellay: Una Prelatura personale.
Tagespost: Se la forma canonica è già stata trovata e le discussioni a Roma vanno bene, perché finora il passo definitivo è sempre fallito?
Mons. Fellay: L’anno scorso mons. Pozzo ci disse che la Congregazione per la dottrina della fede aveva accettato il testo che noi avremmo dovuto firmare. A quel punto dovevamo accettare una Prelatura personale. Un mese e mezzo dopo il card. Müller decise di rivedere il testo e di richiedere una più chiara accettazione del Concilio e della legittimità della nuova Messa. Prima ci sono state aperte delle vie per discutere, poi sono state chiuse. Che cosa si vuole veramente da noi? Qui dietro c’è lo zampino del demonio. È una battaglia soprannaturale.
Tagespost: Lei, personalmente, ha fiducia nel Santo Padre Francesco?
Mons. Fellay: Abbiamo un ottimo rapporto. Appena viene a sapere che siamo a Roma, ci fa aprire tutte le porte. Ci offre spesso il suo aiuto anche in questioni più piccole. Una volta ci ha detto: “Io ho problemi quando faccio qualcosa di buono per voi. Aiuto protestanti e anglicani... perché non dovrei aiutare anche i cattolici?”. Alcuni vogliono impedire la riconciliazione. Noi siamo un fattore di disturbo nella Chiesa. E in mezzo a tutto questo c’è il Papa.
(A questo punto sorride e mostra una lettera scritta a mano, in francese, del Santo Padre in persona indirizzata a lui, che comincia con l’appellativo: Cher frère, cher fils, “caro fratello, caro figlio”).
Fonte: Die Tagespost
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