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Perché l’ecumenismo è un errore di Mons. Marcel Lefèbvre


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Nella confusione di idee delle quali attualmente certi cristiani sembrano piacevolmente compiacersi, è insita una tendenza particolarmente dannosa per la fede e tanto più pericolosa in quanto si presenta sotto le apparenze della carità: l’ecumenismo. Il termine, apparso nel 1927 all’epoca di un Congresso tenutosi a Losanna, avrebbe dovuto già di per sé stesso mettere in guardia i cattolici se avessero badato alla definizione che ne dànno tutti i dizionari: «Ecumenismo: movimento favorevole alla riunione di tutte le Chiese cristiane in una sola». Non si possono fondere princìpi contraddittori, è ovvio; non si possono riunire, in modo da farne un tutto unico, la verità e l’errore. A meno di adottare gli errori e di rigettare tutta o in parte la verità. L’ecumenismo si condanna da solo.


Il sostantivo ha conosciuto una tale voga dopo l’ultimo Concilio, da entrare anche nel linguaggio profano. Si parla di ecumenismo universitario, di ecumenismo informatico o chissà che altro, per esprimere un gusto o un partito preso di diversificazione, di eclettismo. Nel linguaggio religioso, si è ultimamente esteso perfino alle religioni non cristiane […].

Oggi tutte le religioni hanno diritto di cittadinanza nella Chiesa […]. Non finirei più di citare gli esempi di sincretismo ai quali assistiamo. Si sviluppano associazioni, nascono movimenti che trovano sempre come presidente un ecclesiastico «in ricerca», come quello che vuole arrivare «alla fusione di tutte le spiritualità nell’amore».[…] L’ecumenismo, nella sua accezione stretta e quindi riservata ai cristiani, organizza celebrazioni eucaristiche comuni con i protestanti […].

Che cosa può concludere da tutto questo il cattolico che vede le autorità ecclesiastiche dare copertura a cerimonie così scandalose?Che tutte le religioni si equivalgono, che potrebbe benissimo trovare la propria salvezza sia presso i buddisti che presso i protestanti. Corre così il rischio di perdere la fede nella Santa Chiesa. È infatti ciò che gli suggeriscono. Vogliono sottoporre la Chiesa al diritto comune, vogliono porla sullo stesso piano delle altre religioni. Ci si rifiuta di dire, anche fra i preti, i seminaristi e i professori di seminario, che la Chiesa cattolica è la sola Chiesa, che essa possiede la Verità, che è la sola capace di dare la salvezza agli uomini per mezzo di Gesù Cristo. Adesso si dice apertamente: «La Chiesa è fermento spirituale nella società, ma uguale alle altre religioni, tutt’al più forse un po’ migliore delle altre…». A rigor di termini si accetta, e neanche sempre, di accordarle una leggera superiorità. In tal caso la Chiesa sarebbe solamente utile, non più necessaria, e costituirebbe uno dei tanti mezzi di salvezza.

Occorre dirlo chiaramente: una tale concezione si oppone in modo radicale allo stesso dogma della Chiesa cattolica. La Chiesa è la sola arca di salvezza, non dobbiamo aver paura di affermarlo. Spesso avrete sentito dire: «Fuori della Chiesa non c’è salvezza», frase che urta la mentalità contemporanea. È agevole far credere che questo principio non sia più in vigore, che sia stato abbandonato, in quanto sembra di una severità eccessiva.

E invece no: niente è cambiato, niente può essere cambiato in questo campo. Nostro Signore non ha fondato più chiese, ne ha fondata solo una. C’è una sola Croce per mezzo della quale si può salvare, e questa Croce è affidata alla Chiesa cattolica: non è stata data ad altre. Alla sua Chiesa, sua mistica Sposa, il Cristo ha accordato tutte le sue grazie. Nessuna grazia al mondo, nessuna grazia nella storia del’umanità sarà elargita senza passare dalla Chiesa.

Vuol forse dire che nessun protestante, nessun mussulmano, nessun buddista, nessun animista si salverà? No, e sarebbe un altro errore pensarlo. Coloro che gridano all’intolleranza citando la formula di san Cipriano: «Fuori della Chiesa non c’è salvezza», in realtà rigettano il Credo («Credo in un solo Battesimo per la remissione dei peccati») perché non sono sufficientemente istruiti su ciò che è il Battesimo. Ci sono tre modi di riceverlo: il Battesimo di acqua, il Battesimo di sangue (è quello dei martiri che hanno confessato la fede quando erano ancora catecumeni) e il Battesimo di desiderio.

Il Battesimo di desiderio può essere esplicito. Molte volte, in Africa, sentivamo dire da qualcuno dei nostri catecumeni: «Padre, mi battezzi subito, perché se io morissi prima del suo prossimo ritorno andrei all’inferno». Noi gli rispondevamo: «No; se non hai peccati mortali sulla coscienza e hai il desiderio del Battesimo, hai già la grazia dentro di te».

Questa è la dottrina della Chiesa, che riconosce anche il Battesimo di desiderio implicito. Esso sta nel compiere la volontà di Dio. Dio conosce tutte le anime e sa quindi che fra i protestanti, i mussulmani, i buddisti e nell’umanità intera ci sono anime di buona volontà. Esse ricevono la grazia del Battesimo senza saperlo, ma in modo effettivo. Così anche esse entrano nella Chiesa.

L’errore però consiste nel pensare che esse si salvino per mezzo della loro religione. Si salvano nella loro religione, ma non tramite la loro religione. Non si salvano mediante l’Islam o lo scintoismo. In cielo non c’è una Chiesa buddista, né una Chiesa protestante. Sono ragionamenti che possono sembrare difficili a capirsi, ma la verità è questa. Non sono io che ho fondato la Chiesa, ma Nostro Signore Figlio di Dio. Noi siamo obbligati, sì, noi sacerdoti, a dire la verità.

Ma a prezzo di quali difficoltà gli uomini dei paesi non raggiunti dal Cristianesimo arrivano a ricevere il Battesimo di desiderio! L’errore fa da schermo allo Spirito Santo. Questo spiega perché la Chiesa abbia sempre inviato missionari in tutto il mondo e perché moltissimi di loro siano stati martirizzati. Se si può trovare la salvezza in qualsiasi religione, perché traversare i mari, andare incontro a climi insalubri, a una vita penosa, alla malattia e ad una morte precoce? Dopo il martirio di santo Stefano, il primo ad avere offerto la vita per Cristo e che si festeggia per questa ragione il giorno dopo Natale, il 26 dicembre, gli Apostoli s’imbarcarono per andare a portare la buona novella nel bacino mediterraneo. L’avrebbero fatto se ci si poteva salvare anche praticando il culto di Cibele o i misteri di Eleusi? Perché Nostro Signore avrebbe loro detto: «Andate ad evangelizzare le nazioni»?

È pazzesco che oggi alcuni pretendano di lasciare che ognuno trovi la propria strada verso Dio seguendo le credenze in uso nel suo «ambiente culturale». Ad un prete che voleva convertire dei piccoli mussulmani, il suo Vescovo ha detto: «Ma no, ne faccia dei buoni mussulmani, sarà molto meglio che farne dei cattolici!». Mi hanno assicurato, ed io posso dirlo con certezza, che i padri di Taizé* avevano chiesto, prima del Concilio, di abiurare i loro errori e divenire cattolici. Allora le autorità hanno loro detto: «No, aspettate! Dopo il Concilio farete da ponte fra i cattolici e i protestanti». Coloro che hanno dato questa risposta si sono assunti una pesante responsabilità davanti a Dio, perché la grazia viene ad un dato momento e poi forse non viene mai più. Attualmente i padri di Taizé, che hanno senza dubbio buone intenzioni, sono ancora sempre fuori dalla Chiesa e seminano la confusione nelle coscienze dei giovani che vanno da loro.

Le conversioni si sono brutalmente inaridite in paesi come gli Stati Uniti, dove se ne contavano circa 170mila all’anno, la Gran Bretagna e l’Olanda… Lo spirito missionario si è spento, perché stata data una cattiva definizione della Chiesa e anche perché è intervenuta la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, di cui adesso dovrò parlare.

(fonte: Mons. Marcel Lefèbvre, Lettera aperta ai cattolici perplessi, Albin Michel, Parigi 1985, trad. italiana Spadarolo-Rimini 1986, pp. 77-81).

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