Oltre che per i divorziati risposati, anche per i seguaci di Lutero c'è chi dà il via libera all'eucaristia. Ecco come "La Civiltà Cattolica" interpreta le enigmatiche parole del papa in materia di intercomunione
di Sandro Magister
A modo suo, dopo aver incoraggiato per i divorziati risposati la comunione, in quanto "non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli", papa Francesco incoraggia ora anche i protestanti e i cattolici a fare la comunione insieme nelle rispettive messe.
Lo fa, come sempre, in modo discorsivo, allusivo, non definitorio, rimettendo la decisione ultima alla coscienza dei singoli.
Resta emblematica la risposta che diede il 15 novembre 2015, in visita nella Christuskirche, la chiesa dei luterani di Roma (vedi foto), a una protestante che gli chiedeva se poteva fare la comunione assieme al marito cattolico.
La risposta di Francesco fu una stupefacente girandola di sì, no, non so, fate voi. Che è indispensabile rileggere per intero, nella trascrizione ufficiale:
"Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: 'Fate questo in memoria di me'. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia - io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. 'Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore, 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: 'Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?' – 'Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…'. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: 'Una fede, un battesimo, un Signore', così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più".
Impossibile ricavare da queste parole un'indicazione chiara. Di certo, però, parlando in forma così "liquida", papa Francesco ha rimesso tutto in discussione, riguardo all'intercomunione tra cattolici e protestanti. Ha reso qualsiasi posizione opinabile e quindi praticabile.
Infatti, in campo luterano le parole del papa furono subito prese come un via libera all'intercomunione.
Ma ora anche in campo cattolico è arrivata una presa di posizione analoga, che soprattutto si presenta come interpretazione autentica delle parole dette da Francesco nella chiesa luterana di Roma.
A far da interprete autorizzato del papa è il gesuita Giancarlo Pani, sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica", la rivista diretta da padre Antonio Spadaro che è ormai diventata la voce ufficiale di Casa Santa Marta, cioè di Jorge Mario Bergoglio in persona, che rivede e concorda gli articoli che più gli interessano, prima della loro pubblicazione.
Prendendo spunto da una recente dichiarazione congiunta della conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e della Chiesa evangelica luterana d'America, padre Pani dedica l'intera seconda parte del suo articolo all'esegesi delle parole di Francesco nella Christuskirche di Roma, accortamente selezionate tra le più funzionali allo scopo.
E ne trae la conclusione che esse hanno segnato "un cambiamento" e "un progresso nella prassi pastorale", analogo a quello prodotto da "Amoris laetitia" per i divorziati risposati.
Sono solo "piccoli passi avanti", scrive Pani nel paragrafo finale. Ma la direzione è segnata.
Ed è la stessa che Francesco percorre quando dichiara – come ha fatto durante il volo di ritorno dall'Armenia – che Lutero "era un riformatore" benintenzionato e la sua riforma fu "una medicina per la Chiesa", sorvolando sulle divergenze dogmatiche essenziali tra protestanti e cattolici riguardo al sacramento dell'eucaristia, perché – parola di Francesco nella Christuskirche di Roma – "la vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni".
Ecco dunque qui di seguito i passaggi principali dell'articolo di padre Pani su "La Civiltà Cattolica".
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Sull'intercomunione tra cattolici e protestanti
di Giancarlo Pani S.I.
Il 31 ottobre 2015, festa della Riforma, la Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e la Chiesa evangelica luterana in America hanno pubblicato una dichiarazione congiunta che fa il punto sulla storia dell’ecumenismo nell’ultimo mezzo secolo. […] Il testo è stato reso noto dopo la chiusura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia e in vista della commemorazione comune dei 500 anni della Riforma nel 2017. […]
Il documento si conclude con una rilevante proposta positiva: "La possibilità di un’ammissione, sia pure sporadica, dei membri delle nostre Chiese alla comunione eucaristica con l’altra parte (cioè la 'communicatio in sacris') potrebbe essere offerta più chiaramente e regolata in modo più misericordioso (compassionately)". […]
La visita di papa Francesco alla Christuskirche di Roma
Due settimane dopo la promulgazione della dichiarazione, il 15 novembre scorso, papa Francesco ha visitato la Christuskirche, la Chiesa evangelica luterana di Roma. […]
Durante l’incontro, c’è stata anche una conversazione fra il papa e i fedeli. Tra i vari interventi, quello di una signora luterana, sposata con un cattolico, la quale ha chiesto che cosa possa fare perché lei partecipi insieme con il marito alla comunione eucaristica. E ha specificato: "Viviamo felicemente insieme da molti anni condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore".
Rispondendo, papa Francesco ha posto una domanda: "Condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme?".
La risposta a questa domanda l’ha data il Vaticano II, nel decreto "Unitatis redintegratio": "Non è lecito considerare la 'communicatio in sacris' come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per ristabilire l’unità dei cristiani. Tale 'communicatio in sacris' è regolata soprattutto da due princìpi: dalla manifestazione dell’unità della Chiesa, e dalla partecipazione ai mezzi della grazia. Essa è per lo più impedita dal punto di vista dell’espressione dell’unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogo".
Questa posizione è ribadita e ampliata dal direttorio per l’applicazione dei princìpi e delle norme sull’ecumenismo del 1993, approvato da papa Giovanni Paolo II, là dove si dice: "La condivisione delle attività e delle risorse spirituali deve riflettere questa duplice realtà: 1) la reale comunione nella vita dello Spirito che già esiste tra i cristiani e che si esprime nella loro preghiera e nel culto liturgico; 2) il carattere incompleto di tale comunione a motivo di differenze di fede e a causa di modi di pensare che sono inconciliabili con una condivisione piena dei doni spirituali".
Il direttorio pone dunque l’accento sul "carattere incompleto della comunione" delle Chiese, da cui segue la limitazione dell’accesso al sacramento eucaristico. Ma se le Chiese si riconoscono nella successione apostolica e ammettono i reciproci ministeri e sacramenti, godono di un maggior accesso ai sacramenti stessi, che, in ogni caso, secondo il documento, non deve essere massivo e indiscriminato. La condivisione sacramentale rimane invece limitata per le Chiese che non hanno una comunione e unità di fede sulla Chiesa, l’apostolicità, i ministeri e i sacramenti.
Tuttavia la teologia cattolica mantiene con sapienza direttive di ampio respiro, in modo da considerare caso per caso – come ricorda il decreto "Unitatis redintegratio" – con un discernimento che compete all’ordinario del luogo. In tal senso, almeno dopo la promulgazione del direttorio, non si può più dire che "i non cattolici non possono mai ricevere la comunione in una celebrazione eucaristica cattolica". È interessante notare come la stessa logica di "discernimento pastorale" sia stata applicata da papa Francesco nella sua esortazione apostolica "Amoris laetitia" (nn. 304-306).
Si può partecipare insieme alla Cena del Signore?
A questo punto si ricollega papa Francesco, il quale prosegue: "Ma non abbiamo lo stesso battesimo? E se abbiamo lo stesso battesimo, dobbiamo camminare insieme. Lei [il papa si riferisce alla signora che aveva posto la domanda] è una testimonianza di un cammino anche profondo, perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. [...] Quando lei si sente peccatrice – anch’io mi sento tanto peccatore –, quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il battesimo. Quando voi pregate insieme, quel battesimo cresce, diventa forte. [...] La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali, soltanto se uno è sincero con se stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso [...]. 'Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore; 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare".
Ma allora si può partecipare insieme alla Cena del Signore? A questo proposito il papa ha fatto una distinzione: "Io non oserò mai dare il permesso di fare questo, perché non è mia competenza". Poi ha aggiunto, ricordando le parole dell’apostolo Paolo: "Un battesimo, un Signore, una fede" (Ef 4, 5), e ha esortato, continuando: "È un problema a cui ognuno deve rispondere. [...] Parlate col Signore e andate avanti".
Qui entra in gioco la missione principale della Chiesa, formulata anche nel Codice di diritto canonico come "salus animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet" (cfr. 1752). La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la "salus animarum". In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale.
La pastorale di papa Francesco
La presa di posizione del papa sembra una riaffermazione delle direttive del Vaticano II. Ma non sfugge che un cambiamento c’è, e anzi può essere inteso come un progresso nella prassi pastorale. Di fatto Francesco, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, ribadendo quanto affermato dal Concilio inserisce quella prassi nel cammino storico che il dialogo luterano-cattolico ha compiuto nei confronti del sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia. Il direttorio del 1993 già notava che "in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali".
Del resto, dieci anni prima, il Codice di diritto canonico dettava le condizioni in cui i fedeli delle Chiese nate dalla Riforma (luterani, anglicani ecc.) possono ricevere i sacramenti in particolari circostanze: per esempio, "se non possono accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti" (can. 844 § 4).
Papa Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica "Ecclesia de eucharistia", del 2003, ha precisato alcuni punti al riguardo, asserendo che "occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati", come quella del "pericolo di morte o altra grave necessità". L’intento di queste precisazioni è sempre la cura pastorale delle persone, con una specifica attenzione a che questo non porti all’indifferentismo.
Qui occorre mettere in chiaro che, se da un lato le misure prudenziali e restrittive che la Chiesa ha posto in passato si basavano sulla teologia sacramentale, dall’altro la sua missione pastorale e la salvezza delle anime che essa ha a cuore rivelano il valore della grazia del Signore e la condivisione dei beni spirituali. Papa Francesco ha espresso particolare attenzione ai problemi della persona nella "communicatio in sacris", alla luce degli sviluppi dell’insegnamento della Chiesa dal Concilio al direttorio del 1993 sui princìpi e norme dell’ecumenismo, dalla dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 1999 al testo "Dal conflitto alla comunione" del 2013, fino all’ultima dichiarazione del 2015.
Si tratta di piccoli passi avanti nella prassi pastorale. La norma e la dottrina devono essere sempre più guidate dalla logica evangelica e dalla misericordia, dalla cura pastorale dei fedeli, dall’attenzione ai problemi della persona e dalla valorizzazione della coscienza illuminata dal Vangelo e dallo Spirito di Dio.
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