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La virtù di Carità un oceano infinito


"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna".

di d.Bruno O.S.B


Carissimi amici e lettori,

la carità è innanzitutto l'identità stessa di Dio. Quanto impariamo dalla prima lettera dell'apostolo Giovanni: «Dio è amore» 1 Gv 4,16, in questo passo l'Apostolo usa il termine greco agape, che significa amore gratuito di benevolenza. La carità, poi, significa l'amore con il quale Dio ama se stesso, cioè l'amore con il quale il Padre ama il Figlio, e l'amore con il quale il Padre ama il Figlio è lo stesso Spirito Santo, che è detto anche Amore personale. 

La carità significa anche l'amore con il quale Dio ama ognuno di noi: e Dio ci ama con grande amore un amore incondizionato con il quale solo Lui sa amare , cioè ci ama nello Spirito Santo. questo il senso della preghiera che Gesù rivolge al Padre prima dell'arresto (Gv 17,26): «L'amore con il quale mi hai amato [che è lo stesso Spirito Santo] sia in essi [nei discepoli] e io in loro». Infine, la carità significa l'amore con il quale noi amiamo Dio, noi stessi, e il nostro prossimo. Quest'ultimo è, quindi, un amore di risposta, un amore di risultato che dipende dal fatto che Dio è amore e che Dio ci ama. Questa è l’ultima pennellata tra quelle con cui abbiamo cercato di delineare un poco l’immagine dell’uomo nuovo in Cristo, l’immagine del vero uomo secondo la Rivelazione. Un’ultima pennellata molto importante, perché dobbiamo riflettere su quella virtù che, come scrive san Paolo, “non avrà mai fine”, che è “più grande di tutte le altre” : la carità. Non appena si menziona questa parola - carità, amore - si entra in un oceano nel quale è più facile annegare che dirne qualcosa.

Per il cristiano l’esemplare supremo della carità è Gesù sul trono della Croce redentrice. L’esempio più alto offerto nella storia di dare la propria vita per coloro che si ama, e che illumina con un fulgore inestinguibile il nostro pellegrinare umano nel chiaroscuro della fede. I martiri e i santi di ogni epoca che, a imitazione di Gesù Cristo, hanno donato la loro vita per il bene e la salvezza del prossimo, ci rivelano la bontà di cuore e generosità ossequiosa cui è capace di arrivare l’essere umano. Bontà e generosità che sono anche dei pilastri della solidarietà nel Corpo mistico, il quale è stato sempre irrigato col sangue benedetto dei martiri ed edificato con la vita esemplare dei santi.

L’imitazione di Cristo muove il cuore umano alle vette più alte dell’amore e della donazione in favore del prossimo.

Uno di questi martiri della carità cristiana è san Massimiliano Kolbe, il sacerdote francescano polacco cui gesto d’amore è conosciuto da tutti. Recluso nell’inferno di Auschwitz col nº 16 670, formava parte del “Blocco 14” quando uno dei prigionieri riuscì a fuggire. Il castigo del comandante nazista per il “Blocco 14” doveva essere esemplare: dieci prigionieri a sorte furono destinati alle “celle della fame” per ivi morire d’inanizione. Padre Kolbe non c’era tra il gruppo di quei dieci disgraziati. Ma uno di loro chiese ai compagni di dare il suo saluto ultimo alla moglie e ai figli. Il sacerdote polacco lo sentì e allora con determinazione chiese al sorpreso comandante di sostituirsi a quel condannato. Il nazista gli fece due domande: “perché?” e “chi sei tu?”. Le risposte furono brevi ma ferme: “sono vecchio e malato” e “sono un sacerdote cattolico”.

La proposta fu accolta e Padre Kolbe insieme ai nove compagni di condanna furono rinchiusi nella cella della fame. Erano nudi e senza cibo né acqua; dovevano morire di fame, di sete, di freddo. Anche in quella terribile sorte per morire, Padre Kolbe si dimostrò apostolo della carità e aiutò spiritualmente uno ad uno i compagni per disporsi a morire e presentarsi degnamente davanti al Giudice Eterno. Dalla fossa nauseabonda invece di grida e maledizioni, uscivano altri suoni molto differenti: preghiere e canti di lode. San Massimiliano e tre compagni furono gli ultimi a morire. Il suo gesto di totale solidarietà solo si spiega per l’amore più grande che nutriva il suo cuore per Dio e per il prossimo.
Solo l’annuncio dell’amore di Dio in Gesù Cristo è il fondamento di una concezione cristiana dell’amore. Quindi, il fondamento di tutto ciò che si dice sull’amore cristiano è l’annuncio dell’amore che è in Dio stesso (la Trinità) e che è in Gesù Cristo (l’Incarnazione). “Come il Padre ha amato me” (l’amore tra il Padre e il Figlio) “così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. E questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 9-12). 
In questo testo contempliamo anzitutto l’amore nella Trinità, l’amore del Padre per il Figlio, amore che è la persona dello Spirito santo. E poi l’amore del Figlio per noi, a cui risponde l’amore nostro al Figlio (“rimanete nel mio amore”); da qui l’amore con il quale ci amiamo gli uni gli altri. Tutto però parte dall’amore di Dio espresso in Gesù Cristo. È la prima affermazione fondamentale: non è possibile parlare di amore cristiano senza fare riferimento all’amore con cui Dio Padre ci ama in Gesù, nel dono dello Spirito.
Sono dunque tre le forme concrete della carità, per quanto ci riguarda, o i tre significati della parola "carità": l’amore di Dio per noi; l’amore di noi per Dio; l’amore di ciascuno di noi per il prossimo. L’amore di Dio per noi. Oltre al testo di Giovanni 15, ricordo altri due riferimenti: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16); “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi” (I Gv 4, 9). L’amore di noi per Dio. A chi gli domandava qual è il primo di tutti i comandamenti, Gesù rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc 12, 30).  L’amore di ciascuno di noi per il prossimo. Continua Gesù: “E il secondo comandamento è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12, 31). Ma, in Giovanni 15, aggiunge: “Come io vi ho amati”. E, addirittura, ci chiede di “amare i nostri nemici” (Lc 6, 27).
Queste tre forme della carità che spesso, magari per necessità di discorso, consideriamo un po’ separatamente una dall’altra, sono in realtà strettamente collegate; ed è proprio tale unità che caratterizza l’amore nel senso cristiano. Non ci può essere amore cristiano del prossimo senza l’amore preveniente di Dio, in Gesù, per noi. Se Dio ci ha amato per primo, a lui va come risposta il nostro amore. D’altra parte, non c’è amore autentico per il Signore se non c’è amore per il prossimo. Riferendoci a quanto abbiamo detto nelle due ultime conversazioni, possiamo dire: non c’è fede, non c’è speranza se non c’è carità; e tuttavia la carità non supplisce alla mancanza di fede e di speranza.

Chi si forma nella virtù della carità diventa anche generoso e aperto ai valori e necessità degli altri. È ben disposto a collaborare e partecipare al bene comune, e questo si forma rinunciando a se stesso . Il vizio contrario della generosità e della carità solidale è l’egoismo, al quale siamo tutti esposti e dovunque, perché lo portiamo sempre con noi. L’egoismo se non si combatte in maniera costante e paziente ogni giorno, può chiudere la persona nel suo piccolo mondo, dove i propri problemi e difficoltà assorbono tutte le energie e interessi. La persona egoista chiede –sapendolo o in modo inconsapevole—tutta l’attenzione degli altri. Questo vizio è stato sempre la rovina delle famiglie e delle comunità, giacché si oppone direttamente ai valori della partecipazione e del lavoro comune dove tutti sono responsabili. L’egoismo crea dissidi e discordia, ruba la pace e l’armonia; attacca direttamente la carità.
Per sbarazzarsi dalla tirannia dell’egoismo, frutto amaro del peccato nella nostra natura ferita, occorre abituarsi a uscire da sé con l’animo di collaborare nei lavori e responsabilità comuni. Non uno, ma tutti i giorni e nelle opportunità che si presentano. Nella preghiera si deve chiedere a Dio il dono di un cuore generoso e umile come quello di Gesù, perché chi ama il prossimo non è calcolatore del tempo né di “quanto” è chiamato ad offrire agli altri, che hanno bisogno del nostro aiuto. Il sacramento della Riconciliazione è un altro mezzo preziosissimo per combattere l’egoismo: lì si chiede perdono a Dio, si ottiene la Sua grazia che è indispensabile per vincere il peccato, e si fanno dei propositi per migliorare la propria condotta. Tutto ciò in base all’amore che è la forza capace di farci uscire da noi stessi per donarci senza calcoli. Una madre è capace di non dormire quando deve accudire il figlio malato, e per farlo non si sente specialmente generosa. La muove l’amore, che vince l’egoismo e la tendenza alla propria comodità.

Quindi, la carità e la generosità si oppongono direttamente all’egoismo ed essa è una virtù molto importante nella persona consacrata, chiamata a vivere e a santificarsi nella vita comunitaria. Ci insegna a maturare come persone responsabili nella acquisizione dei valori e ideali comuni che sono il tessuto del forte mantello della solidarietà umana. La disponibilità è un modo di essere e di comportarsi che agevola i cuori, e per questo la virtù della generosità aiuta veramente a configurare la nostra personalità umana e cristiana.

Chi è generoso, chi si abitua a donarsi senza calcoli e per farlo deve sottomettere l’egoismo, risulta in realtà la persona più ricca e felice: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli”. L’avarizia non inquieta il loro cuore, né si compara con gli altri, neanche ambisce situarsi al di sopra in “posti più alti”. Il suo cuore è in pace perché il suo ideale è servire ed amare a imitazione del modello supremo di Gesù, chi è venuto non a essere servito, ma a servire.

“Se avessimo novantanove ragioni per giudicare male il prossimo, e una sola per ritenerlo in buona fede, dovremmo scegliere quest’ultima per non contravvenire alla carità”. (San Francesco di Sales)

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