LA GRANDE TENTAZIONE DELL'ARIANESIMO NELL'IMPERO DIVENUTO CRISTIANO
1. Il cosiddetto editto di Milano del 313
Costantino, padrone dell'Occidente (dal 312), incontrando a Milano Licinio nel febbraio 313, stabilì una lettera da inviare ai governatori, nella quale riconosceva ai cristiani libertà di culto:
Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, giungemmo sotto felice auspicio a Milano [nel febbraio 313] e vagliammo quel che fosse di utilità e vantaggio pubblico, abbiamo stabilito tra le altre cose che sembravano per molti aspetti essere di vantaggio per tutti, prima di tutto e specialmente di emanare editti, con i quali fosse assicurato il rispetto e la venerazione della Divinità; cioè di dare ai cristiani e a tutti libera facoltà di seguire il culto che volessero, in modo che ogni potenza divina e celeste, qualunque fosse, potesse essere benevola verso di noi e verso quanti vivono sotto la nostra autorità. [...] A nessuno è negata la facoltà di seguire e scegliere l'osservanza o il culto dei cristiani; e a ciascuno è data facoltà di applicarsi a quel culto, che egli ritenga adatto per se stesso, in modo che la divinità possa concederci in tutto la sua consueta sollecitudine e la sua benevolenza... (Eusebio, Storia della Chiesa, X, 5,4-6: Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 2, Roma, Città Nuova 2001 [Collana di Testi Patristici, 159], pp.242-243).
Dalla libertà di culto si sarebbe presto passati, con lo stesso Costantino e con i suoi successori, a fare del Cristianesimo la religione dell'Impero, in sostituzione dell'antica religione pagana.
2. La questione donatista (e il vescovo milanese Mirocle)
Costantino si sentì autorizzato a intervenire, come protettore della comunità cristiana e per mantenere in armonia il Cristianesimo su cui cercava appoggio. Un primo intervento Costantino compì per risolvere la questione donatista in Africa: uno scisma a causa della spaccatura, dopo la persecuzione di Diocleziano, di un gruppo che non accettò il vescovo Ceciliano di Cartagine (che dicevano essersi compromesso con i traditores). Ne accenno per ricordare che il vescovo milanese Mirocle, sesto della serie, partecipò a due concili, a Roma nel 313 e ad Arles nel 314, convocati da Costantino a questo proposito. È la prima attestazione di un vescovo di Milano con indicazione cronologica documentata, e in qualche modo inizia così per Milano una posizione di predominio: in quanto residenza imperiale, infatti spesso vi si riversavano le maggiori questioni religiose e il vescovo della città diventava interlocutore privilegiato e imprescindibile per l'autorità imperiale nei rapporti con l'organismo ecclesiastico e per i vescovi nelle relazioni con il vertice istituzionale dell'impero.
3. L'Arianesimo
La grande questione che esplode in quei decenni è l'Arianesimo, ad Alessandria d'Egitto. Vescovo della città è Alessandro, al quale si contrappone il prete (pure alessandrino) Ario. Ario radicalizzò il "subordinazionismo", che gli alessandrini esprimevano riguardo al Figlio (non per dichiararlo inferiore al Padre ma semplicemente per meglio distinguerlo da lui ed evitare il rischio opposto del modalismo o sabellianesimo o monarchianesimo, che vanificavano la Trinità riducendo a puri nomi le distinzioni personali di Padre Figlio Spirito, e anche per evitare il rischio di due divinità effettive parallele). Ario affermò invece che il Figlio è nettamente inferiore al Padre, e che è solo una creatura divina seppur perfetta, o comunque un "dio" minore, rifiutando esplicitamente la increaturalità del Verbo e la sua coeternità col Padre. Il dibattito si allargò, e intervenne Costantino, che indisse un concilio a Nicea, nel 325, invitandovi i vescovi dell'intera ecumene cristiana, circa duecentocinquanta/trecento vescovi (vennero anche i rappresentanti di Roma e alcuni vescovi occidentali). Si trattò di una novità grandiosa e impensata a pochi anni dall'ultima persecuzione. Così ce ne parla Eusebio di Cesarea, sostenitore convinto della svolta costantiniana: (ma il brano serve anche a mettere in guardia dall'abbraccio troppo stretto, e interessato, dell'autorità imperiale verso il cristianesimo, ora e nei decenni successivi, come vedremo):
Si riunirono nello stesso luogo i vertici della gerarchia ecclesiastica di tutte le Chiese, che avevano sede nell'intiera Europa, in Libia e Asia; un unico sacro edificio, come ampliatosi per opera divina, accoglieva tra le sue mura e nel medesimo spazio Siri e Cilici, Fenici Arabi e Palestinesi; e poi ancora Egiziani Tebani Libici e quanti erano partiti dalla Mesopotamia. Era presente al concilio anche il vescovo persiano, né venne meno al consesso il presule della Scizia; nel contempo, il Ponto e la Galazia, la Cappadocia e l'Asia, la Frigia e la Panfilia inviarono le loro personalità più illustri. Giunsero anche Traci e Macedoni, Greci ed Epiroti e, tra costoro, anche i più distanti accorsero; tra gli Spagnoli partecipava al concilio insieme con tutti gli altri quel famoso personaggio [Osio] che era da tutti tenuto nella più alta stima e considerazione. A causa dell'età avanzata mancava il vescovo della città regina [Roma], ma erano presenti suoi presbiteri che ne facevano le veci. [...] Nel giorno stabilito per l'inaugurazione del concilio [...] i convocati [...] fecero il loro ingresso nella sala centrale del palazzo imperiale [...] e tutti andarono a sedere ai posti loro assegnati. [...] Al segnale che indicava l'ingresso dell'imperatore, tutti si levarono in piedi, e finalmente Costantino in persona passò attraverso il corridoio centrale, simile a un celeste angelo dei Signore: la sua veste splendente lanciava bagliori pari a quelli della luce, ed egli appariva tutto rilucente dei raggi fiammeggianti della porpora, adorno del fulgido scintillio emanato dall'oro e dalle pietre preziose. [...] In quello stesso periodo cadeva l'anniversario del suo ventesimo anno di Impero. Per questa ragione in tutte le altre nazioni erano in corso pubblici festeggiamenti e l'imperatore in persona, dal canto suo, volle offrire un banchetto ai ministri di Dio. [...] Al banchetto imperiale presero parte tutti i vescovi. L'avvenimento fu tale che qualsiasi parola risulterebbe inadatta a descriverlo: dorifori [portatori di lancia] e opliti [soldati di fanteria pesante], disposti in cerchio, presidiavano con le spade sguainate l'ingresso del palazzo imperiale; in mezzo a essi passavano senza alcun timore gli uomini di Dio, spingendosi fin negli ambienti più interni della reggia. Poi, mentre alcuni sedevano alla stessa mensa dell'imperatore, gli altri si adagiavano su divani che erano stati sistemati su entrambi i lati della sala. Sembrava quasi di vedere un'immagine del regno di Cristo, ed era come se quell'avvenimento si svolgesse in un sogno, non già nella realtà. Dopo che il banchetto si fu sontuosamente concluso, l'imperatore salutò tutti i presenti e con grande liberalità si degnò di onorare i convitati distribuendo anche dei doni personali, commisurati al prestigio e alla dignità di ciascuno (Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, 7,1,-2; 10,1-2; 15,1-2; 16: Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, Napoli, D'Auria, 1984, pp. 125-128-131).
Dal punto di vista terminologico la questione fu risolta adottando contro Ario un termine non biblico per indicare l'uguale divinità del Figlio e del Padre: si definì infatti il Figlio homoousios, "della stessa sostanza del Padre". La posta in gioco era ovviamente fondamentale: ammettere una qualche inferiorità del Figlio rispetto al Padre significava togliere la specifica novità del Cristianesimo, quella di un Dio che si fa uomo. Perché qualsiasi subordinazionismo, una volta tematizzato, comportava come conseguenza che Dio non si era fatto veramente uomo: era stata mandata una creatura, o comunque un "dio" inferiore, ma il Dio vivo e vero, l'eterno e l'infinito, stava lontano, non si era coinvolto con questo mondo. Ecco precisamente il testo del Credo di Nicea:
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose, visibili ed invisibili. E [crediamo] in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di lui tutte le cose sono state create, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si è incarnato e si è fatto uomo, ha patito, il terzo giorno è risuscitato, è salito al cielo. E verrà per giudicare i vivi e i morti. E [crediamo] nello Spirito Santo.
Con homoousios si indicava che la sostanza divina era uguale nel Padre e nel Figlio; anzi, si indicò che quella sostanza era la stessa, l'unica, del Padre e del Figlio: c'è infatti una sola sostanza divina del Padre e del Figlio. In questo senso Gesù aveva detto: "Io e il Padre siamo una cosa sola, (Gv 10,30, ego et Pater unum sumus). Non dice: "noi siamo uno (una sola persona)", al maschile. Purtroppo, in oriente, si sospettò che il termine "consostanziale" potesse avere questo significato, e facesse così perdere la distinzione fra le persone divine (come nel modalismo). Così vari concili e riunioni proposero in oriente professioni di fede alternative, tutte in qualche modo subordinazioniste: si disse il Figlio solo "simile" al Padre, oppure "simile in tutto" o "di sostanza simile" (con un iota in più: homoiousios). Lo stesso Costantino passò poi a riabilitare Ario, e suo figlio Costanzo in oriente prese le parti degli Ariani (omei, homoios, simile).