(di Roberto de Mattei) «Io non dirò una parola su questo». Con questa frase, pronunciata il 26 agosto 2018 nel volo di ritorno Dublino-Roma, papa Francesco ha reagito alle impressionanti rivelazioni dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che lo chiamavano direttamente in causa.
Alla giornalista Anna Matranga (NBC), che gli aveva chiesto se fosse vero quanto scritto dall’ex-nunzio negli Stati Uniti, il Papa ha infatti risposto: «Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo, a Lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così».
Un vescovo abbatte il clima di omertà e di connivenza e denuncia, con nomi e circostanze precise, l’esistenza di una «corrente filo omossessuale favorevole a sovvertire la dottrina cattolica a riguardo dell’omosessualità» e la presenza di «reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc.», che «agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa».
Di fronte a questa voce coraggiosa che rompe il silenzio, papa Francesco tace e affida ai mass media il compito di giudicare, secondo i loro criteri, politici e mondani, ben diversi da quelli religiosi e morali della Chiesa. Un silenzio che appare ancora più grave degli scandali messi in luce dall’arcivescovo Viganò.
Questa lebbra si è sviluppata dopo il Concilio Vaticano II, come conseguenza di una nuova teologia morale che negava gli assoluti morali e rivendicava il ruolo della sessualità, etero e omosessuale, considerata come un fattore di crescita e realizzazione della persona umana.
L’omosessualizzazione della Chiesa si è diffusa negli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, come testimonia il libro, meticolosamente documentato, del sacerdote Enrique Rueda, Thehomosexual network: private lives and public policy, pubblicato nel 1982. Per capire quanto da allora la situazione si è aggravata, è indispensabile leggere lo studio dedicato a Omosessualità e sacerdozio. Il nodo gordiano – dei cattolici? (Poznań Theologica lStudies, 31 (2017), pp. 117-143), del prof. Andrzej Kobyliński dell’Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia (https://journals.indexcopernicus.com/api/file/viewByFileId/261531.pdf).
Kobyliński cita un libro intitolato The Changing Face of the Priesthood: A Refection on the Priest’s Crisis of Soul, di Donald Cozzens, Rettore del Seminario di Cleveland, Ohio, in cui l’autore afferma che all’inizio del XXI secolo il sacerdozio è diventata una “professione”, esercitata eminentemente dai gay e si può parlare di «un esodo eterosessuale dal sacerdozio» (a heterosexualexodus from the priesthood).
C’è un caso emblematico che Kobyliński ricorda: quello dell’arcivescovo di Milwaukee (Wisconsin), Rembert Weakland, acclamato esponente della corrente progressista e “liberal” americana. «Weakland ha, per decenni, insabbiato i casi degli abusi sessuali dei preti, sostenendo una visione dell’omosessualità contraria a quella del Magistero della Chiesa cattolica. Alla fine del suo esercizio, egli ha anche attuato una malversazione gigantesca, sottraendo circa mezzo milione di dollari dalle casse della sua arcidiocesi, per pagare il suo ex-partner che lo accusava di molestie sessuali. Nel 2009, Weakland ha fatto il suo «coming out», pubblicando una autobiografa intitolata: A Pilgrim in a Pilgrim Church (Un Pellegrino in una Chiesa pellegrina), in cui lui stesso ha ammesso di essere gay e di aver avuto, per decenni, rapporti sessuali continuativi con molti partner. Nel 2011, l’arcidiocesi di Milwaukee è stata costretta a dichiarare bancarotta, per l’alto caso dei risarcimenti dovuti alle vittime dei preti pedofili».
Nel 2004 apparve il John Jay Report, un documento preparato su richiesta della Conferenza episcopale americana, in cui sono stati analizzati tutti i casi di abusi sessuali su minori da parte di preti e diaconi cattolici in USA, negli anni 1950-2002.
«Questo documento di quasi 300 pagine ha un straordinario valore informativo – scrive Kobyliński –. Il John Jay Report ha dimostrato il legame tra l’omosessualità e gli abusi sessuali sui minori da parte del clero cattolico. Secondo il rapporto del 2004, nella stragrande maggioranza dei casi di abusi sessuali non si tratta di pedofilia, ma di efebofilia, cioè una degenerazione che non consiste soltanto nella attrazione sessuale per i bambini, ma per ragazzi adolescenti, in età puberale. Il John Jay Report ha dimostrato che circa il 90% dei preti condannati per abusi sessuali sui minori sono preti omosessuali».
Lo scandalo McCarrick non è dunque che l’ultimo atto di una crisi che viene da lontano. Eppure, nella Lettera del Papa al Popolo di Dio, e in tutto il suo viaggio in Irlanda, papa Francesco non ha mai denunciato questo disordine morale.
Il Papa ritiene che negli abusi sessuali da parte del clero il problema principale non sia l’omosessualità, ma il clericalismo. Riferendosi a questi abusi, lo storico progressista Alberto Melloni scrive che «Francesco affronta finalmente il delitto sul piano ecclesiologico: e lo affida a quel soggetto teologico che è il popolo di Dio. Al popolo Francesco dice senza giri di parole che è il “clericalismo” che ha incubato queste atrocità non un eccesso o una carenza di morale» (La Repubblica, 21 agosto 2018).
«Le cléricalisme, voilà l’ennemi!». «Il clericalismo, ecco il nemico». La celebre frase pronunciata il 4 maggio 1876 alla Camera dei deputati francese da Léon Gambetta (1838-1882), esponente di spicco del Grande Oriente di Francia, potrebbe essere fatta propria da papa Francesco.
Questa frase però è considerata la parola d’ordine del laicismo massonico dell’Ottocento e, applicandola, i governi della Terza Repubblica francese, realizzarono negli anni successivi un programma politico “anticlericale” che ebbe come sue tappe la laicizzazione integrale della scuola, l’espulsione dei religiosi dal territorio nazionale, il divorzio, l’abolizione del concordato tra la Francia e la Santa Sede.
Il clericalismo di cui parla papa Francesco è apparentemente diverso, ma nel fondo egli lo identifica con quella concezione tradizionale della Chiesa che nel corso dei secoli fu combattuta dai gallicani, dai liberali, dai massoni e dai modernisti.
Per riformare la Chiesa purificandola dal clericalismo, il sociologo italiano Marco Marzano suggerisce a papa Francesco questa strada: «Si potrebbe, ad esempio, iniziare a sottrarre del tutto ai parroci il governo delle parrocchie, privandoli di quelle funzioni di governo (finanziario e pastorale) assoluto e monocratico di cui beneficiano oggi. Si potrebbero, introducendo un importante elemento di democrazia, rendere eleggibili i vescovi. Si potrebbero, sostituendoli con strutture formative aperte e trasparenti, chiudere i seminari, istituzioni della controriforma nel quale il clericalismo come spirito di casta viene ancor oggi esaltato e coltivato. Si potrebbe soprattutto cancellare la norma sulla quale il clericalismo viene oggi maggiormente fondato (e che è anche alla base della stragrande maggioranza dei crimini sessuali del clero) e cioè il celibato obbligatorio. È proprio la castità presunta del clero, con tutto il corollario di purezza, sacralità, sovrumanità che ad essa si accompagna, a stabilire la principale premessa del clericalismo» (Il Fatto quotidiano, 25 agosto 2018).
Chi vuole abbattere il clericalismo, vuole distruggere in realtà la Chiesa. E se invece il clericalismo va inteso come l’abuso di potere che il clero esercita quando abbandona lo spirito del Vangelo, non c’è clericalismo peggiore di quello di chi rinuncia a stigmatizzare peccati gravissimi come la sodomia e cessa di ricordare che la vita cristiana deve necessariamente approdare o al Cielo o all’inferno.
Negli anni successivi al Vaticano II una larga parte del clero ha abbandonato l’ideale della Regalità sociale di Cristo e ha accettato il postulato della secolarizzazione come un fenomeno irreversibile. Ma quando il Cristianesimo si subordina al secolarismo, il Regno di Cristo viene trasformato in regno mondano e ridotto a struttura di potere. Allo spirito militante si sostituisce lo spirito del mondo. E lo spirito del mondo impone il silenzio sul dramma che oggi sta vivendo la Chiesa. (Roberto de Mattei corrispondenza romana)
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