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Filippo Neri "Il Santo della Gioia"



Viene chiamato comunemente “Santo della Gioia”,ai suoi tempi anche “giullare di Dio”. Eppure san Filippo Neri e i suoi compagni dell’Oratorio accompagnavano anche i malati alla “buona morte”. È uno dei tanti contrasti del terzo apostolo di Roma, dopo Pietro e Paolo, nato a Firenze ma diventato romano non ancora ventenne, e poi per 60 anni instancabile animatore di carità ed evangelizzazione in una città corrotta e pericolosa. L’Urbe tra il 1534 e il 1595, anno della morte di san Filippo, è anch’essa piena di contrasti, tra la miseria e i fermenti spirituali degli anni della Controriforma.Di giorno è missionario di carità, con viso simpatico e cuore lieto porta a chi incontra il calore di Dio, senza essere ancora un prete, accompagnandolo con un pezzo di pane o una carezza sulla fronte a chi soffre nell’Ospedale degli Incurabili. Di notte è mistico in ricerca, anima di fuoco persa in un dialogo talmente intimo con Dio, che il suo letto può essere a volte il sagrato di una chiesa, a volte la pietra di una catacomba.Nel 1548, quando ha già 33 anni, collabora con il suo confessore, Persiano Rosa, alla fondazione della Confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini e dei convalescenti, che avrebbe assistito i poveri pellegrini dei Giubilei del 1550 e 1575. Viene ordinato sacerdote nel 1551, ma non cambia vita e stile: entra nella comunità dei preti della chiesa di San Girolamo della Carità, in pieno centro, dove inizia un servizio pastorale agli ultimi di Roma, nella direzione spirituale, nella confessione e nella spiegazione delle Sante Scritture. Accoglie un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l'Oratorio. Che si sviluppa attorno alla Chiesa di Santa Maria della Vallicella, detta Chiesa Nuova per gli importanti restauri voluti proprio dal Neri.
“Fortemente ascetico nella sua penitenza anche corporale, proponeva l’impegno della mortificazione interiore improntata alla gioia e alla serenità del gioco; appassionato annunciatore della Parola di Dio, fu predicatore tanto parco di parole da ridursi a poche frasi quando lo coglieva la commozione”.Un padre che ai suoi ragazzi di strada ripeteva: “Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi”, sottolineando che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. Aveva in sé l’anima contemplativa di Maria ai piedi di Gesù, ma anche il piglio di Marta, quando diceva: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”. E aggiungeva: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”.

PRIMI ANNI

Secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia da Mosciano, Filippo nasceva a Firenze il 21 luglio 1515.
I Neri provenivano dalla valle sopra all’Arno e grazie al loro lavoro di notai si erano acquistati una certa posizione nella Firenze del ‘400. Anche Francesco Neri esercitò la professione notarile, ma solo a partire dall’età di 48 anni, e più per forza che per amore, attratto maggiormente dall’alchimia che dalle scartoffie legali. Nel 1520 Filippo perdette la madre e suo padre sposò Alessandra di Michele Lensi, che fu tutt’altro che un’acida matrigna: amò infatti suo figlio adottivo di tenero amore.
Il piccolo Filippo si lasciava facilmente amare per il suo buon carattere, e i ricordi della sorella e degli amici ci narrano della sua passione per il ben vestire, della sua vanità, ma anche del suo carattere pacifico e allegro, che gli attirò addosso il soprannome di “Pippo Buono”.
La sua istruzione si svolse nella scuola pubblica, ma la sua vera formazione spirituale Filippo la ebbe tra le stanze e i chiostri del convento domenicano di San Marco. Firenze rimarrà sempre nel cuore del Santo, sebbene diventato romano di adozione dopo sessant’anni di vita nella “Città Eterna”. Lui stesso dirà spesso che ciò che aveva imparato di buono l’aveva appreso dai frati di San Marco. Del fiorentino rimase sempre in Filippo la natura, su cui lo Spirito di Dio poggiò le sue ali.


A MONTECASSINO


All’età di 18 anni il padre Francesco mandò il figlio da un suo fratello, Bartolomeo Romolo, nei pressi di Montecassino. Lo zio lo accolse con gioia e lo addestrò all’arte del commercio inserendolo nella sua attività. Ma non era questo il mondo che attraeva Filippo. Egli amava piuttosto ritirarsi a pregare in un monte a picco sul mare chiamato “Montagna Spaccata”, dove contemplava la bellezza del creato e l’amore del suo Creatore. Proprio qui Filippo maturò la vocazione a seguire il Signore dovunque lo chiamasse. E così, dopo due anni di permanenza a San Germano dallo zio, preferì lasciare le ricchezze per seguire liberamente Cristo.

A ROMA


Si incamminò, squattrinato, verso Roma, dove trovò alloggio e lavoro presso il fiorentino Galeotto Caccia. Doveva prendersi cura dei suoi figli, Michele e Ippolito, facendo loro da precettore. Con lo stipendio che riceveva Filippo non corse di certo il rischio di arricchirsi: consisteva infatti in un semplice sacco di grano che diventava, grazie ad un accordo col fornaio, un piccolo pane quotidiano che il santo condiva con un po’ di olive e tanto digiuno. Non aveva molti beni il nostro Filippo, ma possedeva la sua amata libertà. Nel tempo a disposizione poteva infatti frequentare gli studi di filosofia nella vicina Università della Sapienza e di teologia al Sant’Agostino. Ma più che gli studi in quegli anni lo attrasse la vita solitaria e contemplativa. Si recava spesso nelle chiese poco frequentate, dove poteva in silenzio rivolgere il proprio cuore al suo Signore. La sua meta preferita erano i cunicoli di san Sebastiano. Queste catacombe erano allora poco conosciute, e qui, in una notte del 1544 avverrà un fatto che segnerà la vita del Santo. Mentre era immerso in preghiera, invocando lo Spirito Santo, un globo di fuoco penetrò nel petto di San Filippo. Il cuore si dilatò in modo tale da rompere, come constateranno i medici alla sua morte, due costole del lato sinistro, senza che egli ne sentisse mai dolore per cinquant’anni. Questo fuoco divino continuò ad infiammare ogni giorno il suo cuore, e con questo cuore ardente san Filippo scalderà, riportandole alla vita, le anime fredde e intiepidite dell’intera Roma rinascimentale.
Filippo lascerà la casa di Galeotto Caccia e inizierà una vita eremitica fra le strade di Roma: dormirà sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna, chiederà il cibo in elemosina (il solito “pane e olive”), si spingerà alla carità e all’evangelizzazione e comincerà a visitare gli ospedali assistendo gli ammalati nel corpo e nello spirito. Inizia qui una particolare devozione con visita alle Sette Chiese: il suo pellegrinaggio partiva da San Pietro, proseguiva per San Paolo fuori le Mura, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura e si concludeva a Santa Maria Maggiore. Filippo colloquiava con la gente, in dialetto romano, delle cose celesti, incontrava spesso giovani che lo deridevano e lo beffeggiavano, ma lui sapeva cogliere l’occasione per unirsi a loro e conquistarli con la sua simpatia. Iniziava con una barzelletta e con qualche gioco, per poi improvvisarsi predicatore dicendo “Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!”. Tantissimi giovani, su suo invito, abbracciarono la vita religiosa, mentre lui continuava a servire il Signore nel secolo.

L’ORATORIO
Lo Spirito di Dio preparerà un ambiente favorevole al sorgere dell’esperienza oratoriana fra le mura della Chiesa di San Girolamo dove vivevano due preti che influenzeranno notevolmente il nostro santo: Persiano Rosa, che diverrà suo confessore e grazie al quale Filippo sarà ordinato presbitero il 23 maggio 1551, e Buonsignore Cacciaguerra, che con la sua idea spiritualmente rivoluzionaria di invitare i suoi fedeli a comunicarsi quotidianamente, conquisterà in pieno lo spirito di Filippo. Ma oltre alla frequenza ai sacramenti Filippo voleva aggiungere una catechesi formativa che servisse alla crescita spirituale di ognuno. Così dopo la lettura comune della parola di Dio o di qualche libro spirituale Filippo animava la conversazione assieme a tutti coloro che si radunavano attorno a lui. Con una preghiera semplice e fervorosa Filippo trascinava tutti con il suo entusiasmo. Trasmetteva a tutti il suo essere contento di essere impazzito per il Signore. Il suo metodo di evangelizzazione era quello di favorire un incontro personale e gioioso con Gesù Cristo, unica persona che può dare senso e bellezza alla propria vita. Filippo accoglieva tutti nella sua camera, per discorrere sulle cose di Dio. Ma la sua camera non conteneva più di otto persone … ed era quindi necessario trovare un luogo più grande per potersi incontrare. Questo luogo sarà il granaio della Confraternita della Carità, nella soffitta della chiesa di San Girolamo. Ma per Filippo la catechesi, la preghiera, la confessione e l’Eucaristia devono spingere all’azione e all’amore concreto verso tutti, specialmente i più bisognosi. Diede quindi inizio alla Confraternita dei Pellegrini che, nell’anno giubilare del 1550, svolse una grande opera di accoglienza ai viandanti provenienti da tutta Europa: Filippo e i suoi accoglievano i pellegrini stanchi e spesso derubati e li aiutavano a recuperare la salute e anche qualche denaro per poter fare ritorno alla loro patria.
Questo della nascita dell’Oratorio e della Confraternita non fu un periodo facile per Filippo, egli dovette combattere contro molte avversità. Filippo scelse la via della pazienza e della fiducia … e alla fine la bontà di Filippo ebbe la meglio!
Uno dei primi discepoli del Santo fu Cesare Baronio. Giunto a Roma da Napoli per proseguire gli studi giuridici, dopo aver conosciuto san Filippo inizierà un intenso cammino di vita spirituale. Filippo lo incaricò di preparare ogni giorno per l’Oratorio una catechesi per illustrare ai suoi compagni la storia della Chiesa. Gli ordinò poi di scrivere, con un amore incondizionato alla verità, dei volumi che raccogliessero i suoi studi storici. Nasceranno così i famosi Annali, celebri per essere i primi libri di Storia della Chiesa scritti in maniera documentata e scientifica.

LA CONGREGAZIONE DELL’ORATORIO

I cittadini e mercanti fiorentini di Roma volevano Filippo come rettore della loro chiesa di san Giovanni in via Giulia. Non gli è stato possibile rifiutare. Filippo accettò a condizione di rimanere ad abitare a san Girolamo e mandò alcuni sui discepoli come cappellani alla chiesa dei Fiorentini. Si stesero alcune costituzioni per la vita in comune, ma si intravvedeva la mano di Filippo per lo spirito pratico che esse rivelavano. Semplici preti, senza voti, legati solo a un minimo di obblighi, come quello dell’incontro serale nella preghiera e al refettorio, ove si svolgeva la discussione di casi di morale e di altre discipline sacre, per la reciproca formazione ed emulazione. Si istituivano così i preti secolari dell’Oratorio. Lo spirito della comunità, che veramente poteva chiamarsi “famiglia”, era nella modestia e nella semplicità, nella letizia e nella fraternità, nella libera scelta dei consigli evangelici e nella carità vicendevole. Filippo si era imposto la regola spirituale di non avere regole oltre a quella di seguire lo Spirito. Anche la nuova comunità, di conseguenza, non aveva altra legge se non quella dell’obbedienza confidente al proprio Padre Spirituale, unita all’immancabile norma evangelica dell’amore fraterno, imitando il fervore e la concordia delle prime comunità cristiane.
Ma ben presto nell’animo di Filippo non tardò a radicarsi la convinzione che era necessario avere un ambiente tutto proprio, libero ed indipendente. Grazie al Papa Gregorio XIII, gli venne assegnata in perpetuo la chiesa di Santa Maria in Vallicella ed eresse in essa la nuova Congregazione dei Preti e Chierici secolari, denominata dell’Oratorio. L’entusiasmo era tale che non si aspettò nemmeno che fosse finita la chiesa per usarla; né si attese la fine dei lavori per andarvi ad abitare. Nel gennaio 1578 i filippini erano tutti alla Vallicella. Solo Padre Filippo rimase nelle stanzette di san Girolamo, ma ancora per poco. Non traslocò, infatti, perché non volle essere considerato il fondatore della nuova comunità, né assumere l’ufficio di superiore: se ne stava appartato, in silenzio. Ma nel 1583, per comando del Papa, si unì ai suoi. Anche qui scelse due camerette isolate in alto, per pregare più vicino al cielo. Anelava a un’assoluta povertà: misere erano le sue vesti e non pretendeva nessun trattamento speciale, nessun riconoscimento della dignità di superiore, nessuna distinzione né nell’abito, né nell’appartamento, né nel servizio…. Semplicemente “primo tra uguali”.

ULTIMI ANNI


Né la vecchiaia, né la stanchezza potevano fiaccare il suo cuore divorato dall’amore, mentre la sua vita interiore aveva come base l’umiltà, la carità, la mortificazione e la preghiera. La “Chiesa Nuova” divenne un faro di spiritualità che illuminava tutta la città di Roma di quel tempo: divenne punto di riferimento per Santi, Papi, nobili, devoti, poveri, musicisti, medici, popolani …
Anche Filippo, come ad altri santi, fu rivelato dal Signore quale sarebbe stato il giorno del suo transito. Il 25 maggio scese in chiesa a confessare prestissimo e celebrò la sua ultima Eucaristia. Ritornato a letto, dopo qualche ora, fissando il cielo disse: “bisogna finalmente morire”. Dopo aver benedetto i suoi discepoli, serenamente diede l’ultimo respiro. Era l’alba del 26 maggio 1595, festa del Corpus Domini.
(fonte padri filippinivicenza.it)

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