O Roma felix, quæ duórum Príncipum
Es consecráta glorióso sánguine!
Horum cruóre purpuráta céteras
Excéllis orbis una pulchritúdines.
Da qui la chiamata a una particolarissima missione, quella di guida e sostegno della comunità. «E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». È questo stesso primato che la Chiesa cattolica riconosce nel Papa, i cui simboli, le chiavi e l'anello del pescatore, immediatamente rimandano alla figura dell'apostolo.La loro missione evangelizzatrice e il sangue versato per la fede a Roma, caput mundi, testimoniano che la Provvidenza volle stabilire il primato della Chiesa Romana, a salvaguardia dell’unità nella fede di tutte le Chiese sparse per il mondo.
Umanissimo nella sua fragilità, Pietro è, come gli altri discepoli, smarrito nel momento terribile della condanna e dell'agonia di Gesù. Ma più degli altri porta addosso un peso. «Non conosco quell'uomo»: con queste parole per tre volte rinnega pubblicamente Cristo, abbandonandolo di fatto al suo destino.
Eppure, paradossalmente, proprio questo episodio gli consente di sperimentare, forse più di chiunque altro, l'abbraccio della misericordia. «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?», gli domanda per tre volte il Risorto, rinnovando poi subito la chiamata a guidare il gregge dei fedeli «Pasci le mie pecorelle». Una chiamata cui, dopo la Pentecoste, l'apostolo consacra la vita, diventando un riferimento per i Cristiani a Gerusalemme, in Palestina, ad Antiochia, e operando miracoli nel nome di Gesù.
Paolo, da persecutore dei cristiani ad apostolo
Molto diversa è la vicenda umana e spirituale di Paolo di Tarso, che, a differenza di Pietro, non ha modo di incontrare Gesù lungo le strade della Palestina. Lo incontra invece in modo misterioso, dopo anni di feroci persecuzioni contro la Chiesa. Sulla via di Damasco. E' quell'”incidente di percorso” che lo costringe a un cambio di prospettiva. E ad incamminarsi verso una vita nuova: inizia così il suo apostolato. Paolo comprende che il messaggio evangelico non si può limitare alle comunità giudaiche, ma ha una dimensione universale. Con lui la Chiesa si scopre a tutti gli effetti missionaria, aperta ai “gentili”, i pagani, i lontani. Per una parte della sua vita Saulo (questo il suo nome prima della conversione) è un uomo inflessibile, spietato, e colpisce i Cristiani con una determinazione che sembra sconfinare nel fanatismo. PAOLO. Il fariseo originario di Tarso, nell’Asia Minore, apparteneva alla tribù di Beniamino e si era formato a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele, il dottore della legge che all’inizio delle persecuzioni giudaiche contro la Chiesa primitiva farà un saggio intervento nel sinedrio, rivelatosi profetico e tramandato nei secoli grazie al resoconto di san Luca (At 5, 34-42).
La conversione di san Paolo è un evento talmente grande nella storia della Chiesa da essere celebrato con una specifica festa, il 25 gennaio. Fu grazie a san Barnaba che l’antico persecutore, dopo aver annunciato Gesù risorto a Damasco, venne presentato ai Dodici. Da loro, e specialmente da Pietro (che ebbe poi l’umiltà di accettare la correzione di Paolo ad Antiochia), si fece confermare nel Vangelo da lui predicato, di cui diceva: «Io non l’ho ricevuto né imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 12). Il suo accoglimento della grazia di Dio l’ha trasformato nel più grande missionario di tutti i tempi, capace di annunciare e convertire a Cristo una quantità innumerevole di persone, passando da una città all’altra dell’Impero Romano, tra mille pericoli e patimenti, prigionie, percosse, naufragi, frequenti veglie e digiuni. Ben lieto di farlo perché, come scrisse ai Galati, «sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».
Uomo caparbio, infaticabile, di grande cultura, eccellente oratore, Paolo abbandona le sue sicurezze per mettersi costantemente in gioco, spinto da un'unica certezza: «per me vivere è Cristo», come scrive lui stesso nella Lettera ai Filippesi. I suoi viaggi lo portano dall'Arabia alla Grecia, dalla Turchia all'Italia. A Roma viene arrestato, ma per un certo tempo riesce, pur tra mille difficoltà, a predicare. A Roma Pietro ritroverà Paolo dove i due apostoli moriranno martiri intorno al 67 d.C.

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