Cari Amici,
La solennità degli Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. La Chiesa da sempre li ha voluti ricordare assieme, quasi a voler comporre in unità la loro testimonianza.
San Pietro e san Paolo, con le loro diverse ricchezze, con il loro personale carisma, hanno edificato un’unica Chiesa.
Sono questi i santi apostoli che con il loro sangue hanno fecondato la Chiesa:hanno bevuto il calice del Signore e sono divenuti gli amici di Dio.
Questi due autentici pilastri della Chiesa e coraggiosi annunciatori del Vangelo. Attraverso il loro martirio, e la loro testimonianza essi costituiscono il fondamento della nostra fede nel Signore Gesù; insieme sono i fondatori della nuova Roma cristiana. Anche per questo la Chiesa Cattolica celebra la solennità degli Apostoli Pietro e Paolo come unica festa nello stesso giorno, il 29 giugno.
Secondo un’antica tradizione sulla via Ostiense nell’Urbe, a pochi metri della Basilica di san Paolo fuori le Mura, avvenne l’ultimo incontro tra Pietro e Paolo poi separati, per essere avviati al martirio. San Pietro venne condotto nell’antico circo neroniano, che all’epoca sorgeva dove ora è Piazza san Pietro, per essere crocifisso. San Paolo venne condotto “ad aquas salvias”, nell’attuale zona delle Tre Fontane, per essere decapitato.
Il Vangelo presenta la confessione di Pietro a Cesarea di Filippi, ove Simone figlio di Giovanni riconobbe in Gesù il Figlio di Dio e parimenti l'affidamento della Chiesa da parte di Gesù alla custodia premurosa di Pietro, su cui Gesù stesso fondò la sua Chiesa. Simone fu chiamato da Gesù mentre riassettava le reti sulle rive del mare di Galilea.
Non appena Gesù lo chiamò a diventare pescatore di uomini e non di pesci, "subito lasciate le reti, lo seguì". Fu il primo tra gli apostoli di Gesù a proclamare: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Non fu il pescatore di Galilea a proclamare di sua iniziativa questa verità, ma fu lo Spirito di Dio che, illuminandolo, gli fece pronunciare quelle parole. E Gesù lo sottolineò: «Né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».
La fede professata da Simone costituì il fondamento della Chiesa. Gesù, infatti, scelse Pietro come il punto riferimento per la fede e la vita religiosa dei suoi discepoli. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". L’icona della pietra è una immagine utilizzata sia per indicare saldezza e stabilità sia per suggerire l'idea dell'edificio.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù attribuisce a se stesso l’immagine della pietra che, scartata dai costruttori era diventata testata d'angolo (cfr. Mt 21, 42). Questa medesima icona Gesù la applica anche a Simone, figlio di Giovanni, al quale cambia il nome in "Kefa", cioè "pietra di fondazione" che assicura la solidità dell'edificio, roccia, sulla quale egli intende edificare la "sua" Chiesa: “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La Chiesa è di Cristo! Egli la custodisce con la potenza dello Spirito Santo, perché le forze del male non prevalgano.
A Pietro affida il compito di essere segno visibile di unità nella fede e nella carità e il mandato di confermare i fratelli nella fede: "Io ho pregato per te che la tua fede non venga meno. Per cui conferma i tuoi fratelli. Tra gli apostoli, testimoni oculari della vita, delle parole e delle opere di Gesù, scelti e inviati da Lui per essere suoi testimoni e maestri nel suo nome, Pietro per volontà espressa di Cristo occupa un posto e un significato specialissimo. Gli apostoli riconobbero a Pietro il ruolo di capo e di autorità su tutti loro. Dopo che Gesù ascese al cielo, Pietro guidò la vita e le attività dei Dodici.
Dopo aver annunciato il Vangelo a Gerusalemme, Pietro andò ad Antiochia e poi a Roma. Roma era il centro del mondo allora conosciuto. Situarsi a Roma fu un modo per esprimere l'universalità del vangelo di Gesù e di incoraggiare la diffusione del cristianesimo in tutto il mondo. Ci sono testimonianze assai antiche secondo le quali i Vescovi di tutto il mondo si sono sentiti legati alla tradizione romana cristiana.
L'impronta di Pietro ha dato alla Chiesa di Roma il ruolo di essere riferimento per tutte le altre Chiese, garanzia di autenticità e di unità cattolica della fede e della vita di tutti i cristiani. Pietro è testimone, fondamento e pietra ferma e forte della fede di tutti i credenti: è la roccia su cui Gesù edificò la sua Chiesa, il fondamento dell’unità nella comunità di fede dei credenti.
Accanto alla figura di Pietro si staglia quella altrettanto gigantesca di Paolo che per amore di Gesù il Signore e per la sua causa ha affrontato ogni sorta di disagio: persecuzioni, percosse, lapidazioni, naufragi, pericoli da ogni parte, digiuni, freddo e nudità (cfr. 2 Cor 11, 24-29). La Chiesa unisce oggi “in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti”. Scrisse sant’Agostino: “Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, tuttavia, erano una cosa sola in Cristo”.
giovedì 29 giugno 2023
martedì 27 giugno 2023
La Tradizione della Chiesa, non è altro che il Depositum Fidei
Carissimi amici, la Tradizione è l’anima della Chiesa, la linfa vitale e santificante, dalla quale nessun cattolico può prescindere. La Tradizione della Chiesa, orale e scritta, tutta intera, non parziale, non a frammenti, custodisce la Verità lasciata in eredità da Cristo, l’Unto di Dio, il Sacerdote salito e morto sulla Croce per la salvezza di ciascuno. A questa Tradizione hanno sempre fatto riferimento tanti Santi Vescovi, Pontefici e confessori, che riuscirono con la loro inossidabile, inscalfibile Fede e per speciale grazia divina, a diagnosticare le cause e i mali della Chiesa in ogni tempo.
LA TRADIZIONE!
Ma, in effetti, cos'è la Tradizione? Mi sembra che spesso la parola non sia esattamente compresa. la si assimila alle "tradizioni" come esistono nei mestieri, nelle famiglie, nella vita civile ecc...la Tradizione non è un insieme di usi contingenti, ma è: il deposito della fede rivelato da Dio.
La Tradizione non è il complesso delle usanze legate al passato e custodite per fedeltà a questo passato, anche in mancanza di ragioni chiare.
La Tradizione si definisce come deposito della fede trasmesso dal magistero della Chiesa di secolo in secolo. Questo deposito è quello che ci è stato dato dalla Rivelazione, ossia la Parola di Dio affidata agli apostoli, la cui trasmissione è assicurata dai loro successori (i vescovi).
Dobbiamo noi cattolici ricordarci di questo: il deposito della Rivelazione è terminato il giorno che morì l'ultimo apostolo.
La Rivelazione è irriformabile. Il Concilio Vaticano I l'ha ricordato esplicitamente: "la dottrina della fede che Dio ha rivelato non è stata proposta alle intelligenze come un'invenzione filosofica che esse avrebbero dovuto perfezionare, ma è stata affidata come un deposito divino alla sposa mistica di Gesù Cristo (la Chiesa), per essere da essa fedelmente custodita e infallibilmente interpretata".
Ma si dirà, il dogma che riconosce Maria come madre di Dio risale solamente all'anno 431, quello della transustanziazione al 1215, l'infallibilità pontificia al 1870 e così via. Non c'è stata un'evoluzione? Assolutamente no. I dogmi definiti nel corso dei secoli erano già compresi nella Rivelazione: la Chiesa li ha semplicemente esplicitati. Ad esempio, quando papa Pio XII ha definito, nel 1950, il dogma dell'assunzione, ha precisato che questa verità della traslazione al cielo della Vergine Maria con il suo corpo si trovava già nel deposito della Rivelazione, in quanto esisteva nei testi che ci sono stati rivelati prima della morte dell'ultimo apostolo. Non si può apportare nulla di nuovo in questo campo, non si può aggiungere un solo dogma, ma solo formulare in maniera sempre più esplicita, sempre più chiara e sempre più bella quelli che già esistono.
Questo fatto è talmente certo da assurgere a regola da seguire per giudicare gli errori che ci vengono proposti quotidianamente e respingerli senza alcuna concessione. L'argomento che si fa valere di fronte ai fedeli terrorizzati è questo:
Per ieri, per oggi, e per domani: la Tradizione è eterna.
Tutti i concili dogmatici ci hanno dato l'espressione della Tradizione, l'espressione esatta di ciò che gli apostoli hanno insegnato. È materia irriformabile. Non si possono cambiare, ad esempio, i decreti del Concilio di Trento, perché sono infallibili, scritti e promulgati con atto ufficiale della Chiesa, a differenza del Vaticano II, cui le proposizioni non sono infallibili, come abbiamo visto perché i papi Giovanni XXIII prima e Paolo VI dopo non hanno voluto impegnarvi la loro infallibilità.
Nessuno quindi può dirvi: " Vi arroccate nel passato, siete rimasti al Concilio di Trento". Perché, come ogni altro concilio dogmatico nella storia della Chiesa, il Concilio di Trento non è il passato. È parte della Tradizione. E la Tradizione è rivestita di un carattere atemporale, adatto a tutti i tempi e a tutti i luoghi.
LA TRADIZIONE!
Ma, in effetti, cos'è la Tradizione? Mi sembra che spesso la parola non sia esattamente compresa. la si assimila alle "tradizioni" come esistono nei mestieri, nelle famiglie, nella vita civile ecc...la Tradizione non è un insieme di usi contingenti, ma è: il deposito della fede rivelato da Dio.
La Tradizione non è il complesso delle usanze legate al passato e custodite per fedeltà a questo passato, anche in mancanza di ragioni chiare.
La Tradizione si definisce come deposito della fede trasmesso dal magistero della Chiesa di secolo in secolo. Questo deposito è quello che ci è stato dato dalla Rivelazione, ossia la Parola di Dio affidata agli apostoli, la cui trasmissione è assicurata dai loro successori (i vescovi).
Dobbiamo noi cattolici ricordarci di questo: il deposito della Rivelazione è terminato il giorno che morì l'ultimo apostolo.
La Rivelazione è irriformabile. Il Concilio Vaticano I l'ha ricordato esplicitamente: "la dottrina della fede che Dio ha rivelato non è stata proposta alle intelligenze come un'invenzione filosofica che esse avrebbero dovuto perfezionare, ma è stata affidata come un deposito divino alla sposa mistica di Gesù Cristo (la Chiesa), per essere da essa fedelmente custodita e infallibilmente interpretata".
Ma si dirà, il dogma che riconosce Maria come madre di Dio risale solamente all'anno 431, quello della transustanziazione al 1215, l'infallibilità pontificia al 1870 e così via. Non c'è stata un'evoluzione? Assolutamente no. I dogmi definiti nel corso dei secoli erano già compresi nella Rivelazione: la Chiesa li ha semplicemente esplicitati. Ad esempio, quando papa Pio XII ha definito, nel 1950, il dogma dell'assunzione, ha precisato che questa verità della traslazione al cielo della Vergine Maria con il suo corpo si trovava già nel deposito della Rivelazione, in quanto esisteva nei testi che ci sono stati rivelati prima della morte dell'ultimo apostolo. Non si può apportare nulla di nuovo in questo campo, non si può aggiungere un solo dogma, ma solo formulare in maniera sempre più esplicita, sempre più chiara e sempre più bella quelli che già esistono.
Questo fatto è talmente certo da assurgere a regola da seguire per giudicare gli errori che ci vengono proposti quotidianamente e respingerli senza alcuna concessione. L'argomento che si fa valere di fronte ai fedeli terrorizzati è questo:
" Voi vi aggrappate al passato! fate del passatismo. Invece dovreste vivere nel vostro tempo!". Alcuni, sconcertati, non sanno cosa rispondere. Eppure la replica è agevole, ed è che qui non c'è né passato, né presente, né futuro: la verità è di tutti i tempi, è eterna. Per battere in breccia la Tradizione, le si oppone la Sacra Scrittura alla maniera protestante, affermando che il Vangelo è il solo libro che conta. Sennonché, a ben vedere, la Tradizione è anteriore al Vangelo. Benché i sinottici siano stati scritti molto meno tardivamente di quanto oggi si voglia far credere, prima che i quattro evangelisti avessero terminato la loro stesura erano passati già molti anni dai fatti raccontati nel Vangelo; la Chiesa esisteva già, la Pentecoste era già avvenuta, determinando numerose conversioni, ben tremila solo nel giorno dell'uscita dal cenacolo. Cosa ha creduto la gente in quel momento? Oseremmo forse dire che la loro fede non aveva un oggetto preciso, perché non esisteva ancora il Vangelo scritto? Com'è stata fatta allora la trasmissione della Rivelazione, se non per tradizione orale? Non è quindi lecito subordinare la Tradizione alla Sacra Scrittura né, a maggior ragione, ricusarla. E non si pensi che coloro che rifiutano la Tradizione in nome delle Scritture abbiano un reale illimitato rispetto per il testo ispirato. Contestano persino che esso sia tale nella sua integrità: ritengono che nel Vangelo di ispirato ci siano solo le verità che sono necessarie alla nostra salvezza. Di conseguenza, i miracoli, il racconto dell'infanzia, i fatti e i gesti di Gesù vengono relegati nel genere biografico più o meno leggendario. Si racconta che durante il Concilio Vaticano II, c'erano dei vescovi che volevano diminuire l'autenticità storica dei Vangeli, e ciò mostra fino a qual punto il clero sia infetto di neo-modernismo.
Ma non dobbiamo lasciarci abbindolare: tutto il Vangelo è ispirato, e coloro che l'hanno scritto avevano realmente la loro intelligenza sotto l'influsso dello Spirito Santo, di modo che l'intero suo contenuto è Parola di Dio: Verbum Dei.
Non è permesso fare una scelta di tale contenuto e dire oggi: Prendiamo questa parte, ma non vogliamo quell'altra. Ne consegue, logicamente, che è la Tradizione a trasmetterci il Vangelo, e spetta alla Tradizione e al magistero spiegarci quel che c'è nel Vangelo. Senza nessuno deputato da Gesù stesso a interpretarlo, potremmo essere in molti a prendere in modi diametralmente opposti la stessa Parola di Cristo. Si sfocia allora nel libero arbitrio dei protestanti e nella libera ispirazione del fermento carismatico attuale, che ci trascina alla mera ventura.
Ma non dobbiamo lasciarci abbindolare: tutto il Vangelo è ispirato, e coloro che l'hanno scritto avevano realmente la loro intelligenza sotto l'influsso dello Spirito Santo, di modo che l'intero suo contenuto è Parola di Dio: Verbum Dei.
Non è permesso fare una scelta di tale contenuto e dire oggi: Prendiamo questa parte, ma non vogliamo quell'altra. Ne consegue, logicamente, che è la Tradizione a trasmetterci il Vangelo, e spetta alla Tradizione e al magistero spiegarci quel che c'è nel Vangelo. Senza nessuno deputato da Gesù stesso a interpretarlo, potremmo essere in molti a prendere in modi diametralmente opposti la stessa Parola di Cristo. Si sfocia allora nel libero arbitrio dei protestanti e nella libera ispirazione del fermento carismatico attuale, che ci trascina alla mera ventura.
Per ieri, per oggi, e per domani: la Tradizione è eterna.
Tutti i concili dogmatici ci hanno dato l'espressione della Tradizione, l'espressione esatta di ciò che gli apostoli hanno insegnato. È materia irriformabile. Non si possono cambiare, ad esempio, i decreti del Concilio di Trento, perché sono infallibili, scritti e promulgati con atto ufficiale della Chiesa, a differenza del Vaticano II, cui le proposizioni non sono infallibili, come abbiamo visto perché i papi Giovanni XXIII prima e Paolo VI dopo non hanno voluto impegnarvi la loro infallibilità.
Nessuno quindi può dirvi: " Vi arroccate nel passato, siete rimasti al Concilio di Trento". Perché, come ogni altro concilio dogmatico nella storia della Chiesa, il Concilio di Trento non è il passato. È parte della Tradizione. E la Tradizione è rivestita di un carattere atemporale, adatto a tutti i tempi e a tutti i luoghi.
lunedì 26 giugno 2023
La Vera Obbedienza
Carissimi amici,
C'è una fondamentale virtù cristiana su cui, specialmente nei tempi di oggi, mi sembra opportuno richiamare la vostra attenzione: è la virtù dell'obbedienza. Perché? Perché ciò che ci fa perdere la grazia santificante, l'amicizia di Dio, è appunto il peccato opposto, il peccato di Eva, la madre del genere umano, il peccato di disobbedienza. A causa del suo peccato, della sua disobbedienza, Eva ha trascinato con sé Adamo e di conseguenza tutte le anime venute dopo di loro.
Dacché questo peccato dei nostri progenitori è entrato nella storia dell'umanità, tutti coloro che nascono, nascono ormai col peccato originale. Eccetto la Santissima Vergine Maria. Così Dio ha voluto che nella storia dell'umanità, avvizzita in un certo senso dal peccato di disobbedienza da parte della madre del genere umano, quell'errore fosse riparato da una creatura simile, dalla nostra madre del cielo: la Santissima Vergine Maria.
Se, pertanto, è con una disobbedienza che il peccato è entrato nella storia dell'umanità, è con l'obbedienza della Santissima Vergine Maria che quel peccato è stato riparato. Dunque in ciò c'è un'ammirabile antitesi, voluta, o almeno permessa, dal buon Dio. Certamente Dio non ha voluto il peccato, ma in un certo modo l'ha permesso, come dice la liturgia del Sabato Santo: "felix culpa", colpa felice, che ci ha meritato tante grazie, che ci ha meritato di avere tra noi il Figlio di Dio e la Santissima Vergine Maria.
Dobbiamo dunque approfittare di questa lezione e della grazia che ci offre la Santissima Vergine Maria, lei che è detta piena di grazia perché ha obbedito, perché si è sottomessa a Dio.
Ed è proprio questo che deve essere il primo desiderio della nostra vita. la virtù dell'obbedienza è come l'anima della nostra santificazione. È al centro di tutta la nostra vita, di quella naturale come di quella soprannaturale. In effetti non può darsi vita naturale senza obbedienza come senza di essa non può darsi neppure vita soprannaturale.
Che cos'è l'obbedienza?
Ma, in definitiva, cos'è l'obbedienza? In che cosa consiste? Mi sembra che la si potrebbe definire come « la virtù di Dio ». Virtus Dei omnipotentis, la virtù di Dio onnipotente, che si infonde nelle nostre anime, nelle nostre esistenze, nella nostra volontà e nella nostra intelligenza, nel nostro corpo. Virtù che è la potenza di Dio onnipotente, che si inscrive nelle nostre vite, nella nostra quotidianità. Perché noi non siamo nulla senza questa virtù di Dio: « Senza di me, non potete fare nulla » ( Gv 15, 5 ).
Questa virtù di Dio si inscrive in noi per mezzo delle leggi, dei comandamenti, dei consigli evangelici. Ama Dio, ama il tuo prossimo: ecco quello che dobbiamo fare. È a questa condizione che vivremo, nell'ordine naturale come in quello soprannaturale. Perciò dobbiamo desiderare, prima di tutto, che questa virtù divina, naturale e soprannaturale al tempo stesso, penetri nelle nostre anime e ci conquisti interamente. Senza sottrarre nulla a questa presa di potere dell'Onnipotente in noi, sottomettendoci completamente alla Sua forza vivificante e alla Sua grazia, che ci promette la beatitudine eterna. Ecco cos'è l'obbedienza ed ecco il suo frutto. La vita naturale, e la vita soprannaturale e, per ciò stesso, la vita della visione beatifica - la vita eterna - hanno tutte la loro scaturigine nella virtù dell'obbedienza. E allora tale deve essere, cari amici, la disposizione profonda delle nostre anime, perché la fede altro non è che l'obbedienza dei nostri intelletti alla Rivelazione di Nostro Signore, che ci da la Sua verità, che c'è la trasmette, e tale verità costituisce per noi una fonte di vita e di grazie.
Sottomettiamo pienamente, dunque, la nostra intelligenza e la nostra volontà a Nostro Signore Gesù Cristo. Domandiamo questa grazia tramite l'intercessione della Santissima Vergine Maria, con umiltà di sottometterci interamente alla santa volontà di Nostro Signore.
La Madonna c'è ne ha dato l'esempio con il suo fiat, con la sua umiltà. E nel Magnificat cantiamo: Quia respexit humilitatem ancillae suae, «Perché guardò all'umiltà della sua serva». E sua cugina Elisabetta le dice: Et beata, quae credidisti ( Lc. 1, 45 ): « Beata poiché hai creduto ».
La fede! La fede non è altro che l'obbedienza, la sottomissione della nostra intelligenza alla verità rivelata dall'autorità di Dio. Ecco in cosa deve consistere la nostra obbedienza. Allora, per mezzo della grazia dell'obbedienza, trasformeremo le nostre vite, che saranno pienamente conformi alla volontà di Dio.
venerdì 23 giugno 2023
Come praticare l'obbedienza nella crisi della Chiesa
Benedetto XVI ha affermato la perpetua validità della Messa tradizionale preconciliare, insistendo sul fatto che «ciò che per le generazioni precedenti era sacro anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente e del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» (lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970).
Tuttavia, con l’uscita nel 2021 di Traditionis custodes (titolo paradossale), e ora con il recente rescritto e forse altri documenti in arrivo, il successore di Benedetto XVI, Francesco, si sta muovendo in senso contrario, limitando o addirittura impedendo di praticare la forma di culto più in linea con la Tradizione.
Dunque, come deve comportarsi un cattolico di fronte a questa inversione di tendenza? A chi obbedire? Possono esserci situazioni in cui l’obbedienza diventa un impedimento alla missione della Chiesa e al bene delle anime?
Ma, nelle circostanze in cui viviamo, nella confusione in cui si trova oggi la Chiesa, è lecito domandarsi: in che consiste oggi l'obbedienza? Come si realizza oggi l'obbedienza nella santa Chiesa? Ebbene, non dobbiamo dimenticare che la prima obbedienza, l'obbedienza fondamentale, radicale, la nostra obbedienza totale è quella a Gesù Cristo, a Dio. Perché è Lui che ci chiede l'obbedienza;
è Lui che ci chiede la sottomissione. E il buon Dio ha fatto tutto il necessario per illuminarci sull'obbedienza.
Per duemila anni di vita della Chiesa, la luce ci è stata data per mezzo della Rivelazione, degli apostoli, di Pietro e dei successori di Pietro. Quando è capitato che qualche errore si sia insinuato o che qualche verità non sia stata trasmessa esattamente, la Chiesa ha rimesso le cose a posto. La Chiesa ha avuto cura di trasmetterci la verità conformemente alla Rivelazione del Signore.
Ai nostri giorni, per un mistero insondabile della Provvidenza, è permesso che si realizzino circostanze uniche nella storia della Chiesa, che le verità non siano più trasmesse con la fedeltà con cui sono state trasmesse per duemila anni. Non cerchiamone nemmeno il motivo, non indaghiamo sulle responsabilità. Ma questi fatti sono sotto gli occhi di tutti. La verità, che è stata insegnata ai bambini, ai poveri-Pauperes evangelizantur (Mt 11,5), « Ai poveri si annuncia la buona novella », come rispondeva Nostro Signore agli inviati di Giovanni Battista - oggi non la si insegna più; non si dà loro il « pane di vita ».
Hanno trasformato i nostri sacrifici, i sacramenti, i catechismi...
Siamo stupefatti, dolorosamente sorpresi. Che fare in presenza di una realtà così profondamente angosciosa, lacerante, schiacciante?
Mantenere la fede. Obbedire a Nostro Signore Gesù Cristo e a ciò che ci ha trasmesso per duemila anni. In un momento di terrore di confusione, di disgregazione della Chiesa, che dobbiamo fare, se non attenerci a ciò che Gesù ha insegnato, a ciò che la Chiesa ci ha dato come verità per sempre, definita una volta per tutte?
Non si può cambiare ciò che è stato definito una volta per tutte dai Sommi Pontefici con la loro infallibilità. Nessuno ha il diritto di cambiare la verità che è inscritta per sempre nelle Sacre Scritture, perché l'immutabilità della verità corrisponde all'immutabilità di Dio. Mentre Dio è immotus in se permanens, rimane immoto in sé, nell'eternità, al di fuori del mutare dei tempi.
Perciò dobbiamo aderire alle verità eterne, che ci sono state insegnate in modo permanente, senza lasciarci turbare dal disordine attuale. Sapere quando è il caso di obbedire, non « obbedire per obbedire », un'obbedienza fine a se stessa. Perché in definitiva si tratta di questo.
Da una parte il buon Dio ha voluto che la Sua verità ci fosse trasmessa attraverso gli uomini che partecipano della Sua autorità. Dall'altra, nella misura in cui essi non sono fedeli alla trasmissione della verità, noi non possiamo più accettare i loro ordini e gli obblighi che vogliono imporci. Infatti, obbedire a degli uomini che trasmettono infedelmente il messaggio che è stato loro dato, significherebbe disobbedire a Dio. E non c'è dubbio che dobbiamo obbedire a Dio, piuttosto e prima che agli uomini: in tal caso essi non ottemperano alla funzione per cui hanno ricevuto l'autorità. Laddove, al contrario, il messaggio trasmesso dagli uomini corrisponde a quello di Nostro Signore, non abbiamo alcun diritto di non obbedire, fino all'ultimo iota.
Per questo lo stesso san Paolo ci ha avvertito affermando: « Se un angelo dal cielo o se io stesso vi insegnassi qualcosa di diverso da ciò che vi ho insegnato, non ascoltatelo » ( Gal 1,8 ).
È il nostro caso: siamo proprio davanti a questa realtà. Se anch'io vi insegnassi qualcosa di contrario all'insegnamento di Gesù Cristo, a ciò che tutta la Tradizione ci ha tramandato, non ascoltatemi. Avreste il diritto di non obbedirmi, perché non sarei rimasto fedele alla missione che Dio mi ha affidato.
mercoledì 21 giugno 2023
La sinodalità condurrà la chiesa alla protestantizzazione
Carissimi amici,
La Chiesa si trova oggi di fronte alla più profonda crisi dopo la Rivoluzione Francese, una crisi che rischia di travolgere il mondo cattolico. Una divisione interna alla Ecclesia, dal punto di vista teologico-dottrinale, non può che essere interpretata alla luce dell'opera del demonio. Solo che da qualche tempo quel termine viene ventilato dalle cronache con una certa continuità.
È stato reso noto ieri e presentato in conferenza stampa il testo dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sulla sinodalità che inizierà il prossimo 4 ottobre 2023 e durerà ben due anni. Si tratta del documento di lavoro per i sinodali, dopo l’esaurimento delle varie fasi preparatorie che, a loro volta, avevano prodotto altri documenti. Cosa possiamo capire dell’aria che tira leggendo questo documento di lavoro? L’impressione sintetica che se ne ricava è che si tratta di un testo incerto sui principi, aperto alle strumentalizzazioni, passibile dei più diversi esiti. Le indicazioni per i sinodali riguardano una serie di atteggiamenti da assumere e non delle verità da seguire, delle prassi da attuare e non delle convinzioni da difendere e proporre, delle relazioni da tenere e non delle verità da far proprie. Pertanto la Chiesa sinodale non potrà avere un futuro cattolico. ma bensì per la gioia di Lutero, di Calvino,e di certi vescovi non potrà che avere un futuro protestante.Purtroppo un
pensiero non cattolico si è fatto strada in questi ultimi decenni ed è diventato predominante in molti ambienti della Chiesa cattolica, in molte facoltà teologiche, nei seminari.
Nei mesi scorsi si sono addensati nella Chiesa cattolica romana una serie di eventi – distinti – che convergono però nel mettere in evidenza una profondissima crisi.
Il rischio di una chiesa sinodale e di andare a «sbattere» questo rischio è elevatissimo. Sia di sbattere contro una visione meramente sociologica sia di sbattere contro un’analisi puramente e astrattamente ideo-teologica.Basterà un Sinodo per questo? Oppure occorre un Concilio Vaticano III che rimetta in discussione princìpi dogmatici? Primavera intensa, nella Chiesa cattolica romana, perché se il Vaticano II fu la primavera, il terzo e tutto ciò che nasce da oggi in poi e intensa primavera. Pazzi! Siete dei pazzi irresponsabili ....La pazzia! La vera risposta. Il testo preparatorio per la prossima Assemblea sinodale «non dà risposte, ma pone solo domande», ha detto il card. Hollerich. Salvo irrigidirsi quando qualcuno le domande le fa sui contenuti: guai a ricordare l'insegnamento della Chiesa, il bene supremo è "camminare insieme".La verità non è più né vincolo né obiettivo, perché c’è un bene superiore: il «camminare insieme», espressione che è risuonata in continuazione durante la Conferenza Stampa e che si trova per 35 volte nell’IL. Altri termini gettonatissimi sono «discernimento», che compare fino alla nausea per ben 183 volte, «processo» 91 volte, «dinamismo» 17; rapida analisi lessicologica che però è assai eloquente. E molto eloquente è il paragrafo n. 6 dell’IL: «camminare insieme, cioè fare sinodo, è il modo per diventare davvero discepoli e amici di quel Maestro e Signore che di sé ha detto “Io sono la via” (Gv 14,6)». La verità e la vita gli estensori se li sono dimenticati: Cristo è semplicemente la via; perciò chi “cammina insieme” è già discepolo del Signore.Il cardinale Hollerich ha risposto che l’obiettivo del Sinodo non è parlare dell’insegnamento della Chiesa, ma essere aperti e accogliere tutti.Oggi la Chiesa si ritrova paralizzata e incastrata nel volere attuare la religione dell'uomo che si crede Dio.
Al tempo di sant’Atanasio non si può nemmeno immaginare cosa ne sarebbe stato della Chiesa e della verità cattolica senza un uomo di Dio come Atanasio, ovunque venerato come “padre dell’ortodossia”, che visse in quell’epoca di crisi efficacemente riassunta dalla famosa frase di san Girolamo: “E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano”. Il santo, perseguitato dagli eretici e da diversi imperatori, fu il più combattivo difensore della divinità di Cristo, messa in discussione dal presbitero Ario, il quale sosteneva ereticamente che il Figlio non fosse coeterno al Padre, riducendolo perciò a mera creatura, noncurante dell’insegnamento delle Sacre Scritture e della Sacra Tradizione.
Quanti Ario oggi giorno, ci sono nella Chiesa, al suo interno nello stesso episcopato e nel collegio cardinalizio. L'intera Storia della Chiesa è una storia di crisi e Gesù non ha preannunciato niente di diverso ai discepoli: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ...Sarete calunniati, perseguitati, vi cacceranno e mentendo diranno ogni sorte di male a causa mia."Rallegratevi".Carissimi la lampada è stata messa sotto il moggio e dappertutto è tenebra. E nella tenebra, confusione, disorientamento, paura. È perciò assolutamente comprensibile che in questa situazione, non appena si veda una fiammella accesa, ci si avvicini per godere un po’ di quella luce e di quel calore. La tremenda crisi della fede che stiamo vivendo è davvero una prova grande, tanto più che appare alimentata proprio da quel centro di unità, che trova la sua ragion d’essere nel confermare i fratelli (cf. Lc 22, 32) e non nel seguire ogni «vento di dottrina» (Ef 4, 14). Una crisi che sposta il fronte dei cattolici ad approvare qualsiasi atto, parola e scritto del Pontefice, in quanto proviene dal Papa, oppure a riconsiderare il ministero petrino in una modalità che cattolica non è. Il papa non è la fonte della verità, ma il primo a dover obbedire alla verità rivelata. Che il riferimento ultimo non è il suo arbitrio, ma la volontà di Dio, verso la quale papa, vescovi, sacerdoti e fedeli sono rivolti. Ed è per questo che nella tradizione teologica è previsto il caso in cui si possa e si debba resistere di fronte a ordini iniqui del papa, a suoi insegnamenti o disposizioni che risultano oggettivamente contrari al bene della Chiesa e alla verità. Siamo arrivati al punto che Instrumentum laboris: la sinodalità conta più della verità e del Vangelo stesso di nostro Signore Gesù Cristo.
martedì 20 giugno 2023
Mons. Álvarez accusato e condannato dal dittatore Ortega
Mentre Pietro stava in carcere, la chiesa pregava intensamente Dio per lui.
Carissimi amici,
Mons. Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa ed Estelí, in Nicaragua, specie ora, come dissidente, è troppo scomodo: per questo, il dittatore comunista Daniel Ortega, dopo averlo posto per 15 giorni agli arresti domiciliari, alle ore 3.40 dello scorso 2 giugno lo ha fatto incarcerare dalla Polizia, pare con l’accusa di «atti d’odio». La popolazione e le organizzazioni per i diritti umani non hanno esitato a definire l’accaduto un sequestro in piena regola. Non si sa nemmeno, al momento, se sia stato emesso un regolare mandato del tribunale. Pare che il prelato si trovi presso il carcere di sicurezza La Modelo, mentre non si sa dove siano le altre sette persone, ch’erano con lui al momento dell’arresto ovvero i sacerdoti José Luis Díaz, Sadiel Eugarrios, Ramiro Tijerino e Raúl González, i seminaristi Darvin Leyva e Melkin Sequeira ed il cameraman Sergio Cárdenas, tutti in manette. Tutta la Chiesa si riunisca a innalzare suppliche a Colei che nelle sue mani il Redentore dal trono della croce gli ha dato tutti noi come figli. Lei la Madre del Perpetuo Soccorso è uno dei titoli sotto cui viene invocata la Vergine Maria Madre di Dio. Che tutti gli uomini e le donne di buona volontà, si riuniscano in ogni luogo della terra, a invocare la Vergine del Perpetuo Soccorso, la santa Madre del Redentore, perché soccorri il popolo nicaraguense che anela. Carissimi, il regime comunista di Ortega e di sua moglie Rosario Murillo, non avendo alcuna resistenza interna, agiscono di conseguenza con la repressione del potere comunista, in modo costante e mirato contro le confessioni religiose , e in modo violento in special modo contro la Chiesa cattolica, unica a levare la sua voce in difesa dei diritti del popolo nicaraguense. Mons.Álvarez Lagos, 56 anni, è stato privato della nazionalità e i suoi diritti di cittadinanza sono stati sospesi a vita. La sentenza è stata emessa un giorno dopo il suo rifiuto di salire a bordo di un aereo che avrebbe dovuto portare lui e altri 222 prigionieri politici nicaraguensi negli Stati Uniti, suscitando l'indignazione del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega, che lo ha definito "arrogante", "squilibrato" e "pazzo". Noi rispondiamo al dittatore Ortega con questa semplice frase.di Madaleine Delbrel
Mandaci, o Dio, dei folli […] Abbiamo bisogno di folli che accettino di perdersi per servire Cristo. Amanti di una vita semplice, alieni da ogni compromesso, decisi a non tradire, pronti a una abnegazione totale, capaci di accettare qualsiasi compito, liberi e sottomessi al tempo stesso, spontanei e tenaci, dolci e forti.
SABATO 24 GIUGNO nella Basilica dei Santi Celso e Giuliano via del Banco di Santo Spirito 5,Roma alle ORE 10:00 Intorno alla sacra reliquia di san Giovanni Battista, offriremo i salmi della penitenza, le litanie dei santi, per ottenere dal Signore la liberazione di SER Mons. Rolando Alvarez, vescovo di Matagalpa in Nicaragua, incarcerato dal 9 febbraio scorso in condizioni disumani.
Ore 11:00: Santa Messa
Ore 11:00: Santa Messa
REGINA MARTIRUM, ORA PRO EO !
ECCO IL TESTO DELLA PREGHIERA:
O Madre del Perpetuo Soccorso, molti sono coloro che prostrati dinanzi alla tua santa immagine, chiedono il tuo patrocinio. Tutti ti chiamano Il Soccorso dei Miseri e provano il beneficio della tua protezione.
Perciò anch’io ricorro a Te in questa mia tribolazione. Tu vedi, o cara madre, a quanti pericoli sono esposto; Tu vedi i miei innumerevoli bisogni.
Afflizione e bisogni mi opprimono; sventura e privazioni mi portano desolazione nella mia casa; sempre e dovunque trovo una croce da portare.
O Madre, piena di misericordia, abbi pietà di me e della mia famiglia, ma in modo speciale aiutami adesso, in questa mia necessità.
Liberami da ogni male; ma se è volontà di Dio che io continui a soffrire, dammi almeno la grazia di soffrire con pazienza ed amore.
Questa grazia io ti domando con tanta fiducia e questo io spero di ottenere da Te perché sei la Madre del Perpetuo Soccorso.
Amen
lunedì 19 giugno 2023
(Nicaragua, il martirio del vescovo Álvarez nelle carceri di Ortega).
Carissimi amici,
Sabato 24 giugno ci riuniremo davanti al Santo altare per pregare per la liberazione di Mons.Alvarez vescovo della diocesi di Matagalpa, in Nicaragua, arrestato dal regime dittatoriale di Ortega.In fondo troverete il programma siete tutti invitati a partecipare.
Il martirio del vescovo Álvarez nelle carceri di Ortega in Nicaragua, continua.Il vescovo si trova in carcere dallo scorso agosto: era stato arrestato insieme ad altri quattro preti, due seminaristi e un cameraman durante una protesta organizzata nella sede della sua diocesi a Matagalpa, nel centro del paese, per opporsi alla chiusura di una serie di media cattolici. La sua storia è finora la ripercussione più grave del pessimo rapporto tra la Chiesa cattolica e il regime del dispotico dittatore Daniel Ortega nel piccolo paese centramericano. Dopo ulteriori arresti di sacerdoti e altre vessazioni volte a ostacolare la missione pastorale e sociale della Chiesa nicaraguense, il regime Ortega ha messo mano a una vera e propria decapitazione economica delle diocesi del paese. Sono stati infatti bloccati tutti i conti bancari delle Chiese locali del Nicaragua, che si trovano così impossibilitate a far fronte alle spese amministrative di quotidiana necessità – come anche il semplice pagamento delle bollette della luce, gas e acqua. Costringendo la Chiesa a una condizione di morosità, Ortega cerca di neutralizzarne l’opera e la presenza in Nicaragua. In sostanza, si tratta di una sorta di omicidio economico dell’istituzione ecclesiale – l’unica che, finora, era sopravvissuta al dispotismo totalitario del regime Ortega.
Davanti a questo atto, si è alzata la voce dei credenti e dei difensori dei diritti umani in Nicaragua. L’avvocatessa Martha Patricia Molina, esponente cattolica in esilio, ha affermato che, con questa misura, Ortega mira a soffocare “la Chiesa dal punto di vista finanziario”, mediante scelte che sono “arbitrarie, illegali e sconsiderate. Questo è il momento in cui noi laici cattolici dobbiamo intensificare le nostre preghiere e cooperare economicamente con la nostra Santa Chiesa cattolica, affinché possano far fronte ai loro obblighi finanziari e amministrativi”.
«È tempo che gli Stati le Nazioni unite e la Chiesa in ogni parte del mondo alzi la voce. Non si può più nascondere la realtà»Stiamo assistendo all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, anche peggiore delle guerre disseminate nel Globo. LA VIOLENZA DELLE PERSECUZIONI RELIGIOSE – Del XX/XXI secolo in Russia, Cina e Messico Nicaragua mostrano la natura violenta del comunismo e minacciano l’esistenza della religione cristiana. Il comunismo è «sistema pieno di errori e sofismi, contrastante sia con la ragione sia con la rivelazione divina; sovvertitore dell’ordine sociale perché equivale alla distruzione delle sue basi fondamentali; misconoscitore della vera origine della natura e del fine dello Stato; negatore dei diritti della persona umana, della sua dignità e libertà». Rosario Murillo moglie del dittatore dice:oggi in Nicaragua «non c’è spazio per praticare la religione in pace, c’è solo la possibilità di una Chiesa di stato controllata da Ortega».
PREGHIERE PER SER MONS. ALVAREZ
SABATO 24 GIUGNO nella Basilica dei Santi Celso e Giuliano via del Banco di Santo Spirito 5,Roma alle ORE 10:00 Intorno alla sacra reliquia di san Giovanni Battista, offriremo i salmi della penitenza, le litanie dei santi, per ottenere dal Signore la liberazione di SER Mons. Rolando Alvarez, vescovo di Matagalpa in Nicaragua, incarcerato dal 9 febbraio scorso in condizioni disumani.
Ore 11:00: Santa Messa
REGINA MARTIRUM, ORA PRO EO !
venerdì 16 giugno 2023
Il Sacro Cuore di Gesù , esaltato sulla croce, è divenuto fonte di vita e di amore, a cui tutti i popoli attingeranno.
La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù – Giornata per la Santificazione dei sacerdoti - viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini. Quasi a suggerirci che l’Eucaristia/Corpus Domini, non è altro che il Cuore stesso Gesù, di Colui che, con “cuore” si prende “cura” di noi.
Il 20 ottobre 1672 il sacerdote normanno Giovanni Eudes celebra per la prima volta la festa. Ma già in alcune mistiche tedesche del Medioevo - Matilde di Magdeburgo (1212-1283), Matilde di Hackeborn (1241-1298) e Gertrude di Helfta (1256-1302) - e del Beato domenicano Enrico Suso (1295 – 1366), si era coltivata la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Ma a diffonderne il culto, contribuiranno le rivelazioni ricevute dal Signore tramite la religiosa visitandina di Paray-le-Monial, Margherita Maria Alacoque (1647-1690). Margherita Alacoque vive nel convento francese di Paray-le-Monial sulla Loira, dal 1671. Ha già fama di grande mistica quando, il 27 dicembre 1673, riceve la prima visita di Gesù che la invita a prendere all’interno del consesso dell’Ultima Cena il posto che fu di Giovanni, l’unico apostolo che fisicamente riposò il suo capo sul petto di Gesù. “Il mio cuore divino è così appassionato d’amore per gli uomini che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per questo grande disegno”, le dice. L’anno successivo Margherita ha altre due visioni: nella prima c’è il cuore di Gesù su un trono di fiamme, più lucente del sole e più trasparente del cristallo, circondato da una corona di spine; nell’altra vede Cristo sfolgorante di gloria, con il petto da cui escono fiamme da ogni parte, tanto da sembrare una fornace. Gesù le parla ancora e le chiede di fare la Comunione ogni primo venerdì per nove mesi consecutivi e di prostrarsi a terra per un’ora nella notte tra il giovedì e il venerdì. Nascono così le pratiche dei nove venerdì e dell’ora Santa di Adorazione. In una quarta visione poi, Cristo chiede l’istituzione di una festa per onorare il Suo Cuore e per riparare, attraverso la preghiera, le offese da Lui ricevute. La festa è resa obbligatoria per tutta la Chiesa universale a partire dal 1856 con il Beato papa Pio IX.Sull’onda della devozione che ormai coinvolgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù; ricordiamo uno fra tutti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi, iniziato nel 1876 e terminato di costruire dopo 40 anni; tutte le categorie sociali e militari della Francia, contribuirono all’imponente spesa. Affinché il culto del Cuore di Gesù esca e penetri nella vita sociale dei popoli, iniziò, su esortazione di papa Pio IX del 1876, tutto un movimento di “Atti di consacrazione al Cuore di Gesù”, a partire dalla famiglia a quella di intere Nazioni ad opera dell'Episcopato, ma anche di illuminati e devoti governanti; tra i quali il presidente dell’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno (1821-1875). Che consacrò l’Ecuador al Sacro Cuore di Gesù.
Fu assassinato il 6 agosto 1875, durante il suo secondo mandato, per mano dei sicari della Massoneria.
giovedì 15 giugno 2023
Testimonianza di fede ci viene dalla Roma cattolica
Una bella testimonianza di fede ci viene dalla Roma devota dell’età moderna e riguarda la festa del Corpus Domini, una delle ricorrenze più sentite a livello popolare per il suo profondo significato spirituale. Le origini della festa riconducono alle rivelazioni avute da santa Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana vissuta tra il XII e il XIII secolo, che vide nelle sembianze di una luna piena attraversata da una striscia scura la Chiesa mancante della festività del Santissimo Sacramento, solennità per la quale Gesù stesso, in un’altra visione, le chiese di adoperarsi.
Seguì il miracolo di Bolsena, risalente al 1263, quando nella chiesa di Santa Cristina, durante la Messa, dall’Ostia consacrata uscirono gocce di sangue che macchiarono il corporale di lino e la pietra dell’altare. Dopo questi eventi, l’11 agosto 1264, Papa Urbano IV, con la bolla Transiturus de hoc mundo, dispose che tutta la Chiesa celebrasse la festa del Corpus Domini il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste. La processione del Corpus Domini al tempo di Innocenzo X (1644-1655), antica cerimonia che si teneva, fin dal secolo XIII, la domenica successiva alla festa della Santissima Trinità. Dopo la celebrazione della messa nella cappella Sistina, il papa dava l’avvio alla solenne processione che percorreva piazza San Pietro, raggiungendo Porta Castello dove veniva esposto alla pubblica adorazione il Santissimo Sacramento, un’ostia racchiusa in un ostensorio sottostante un baldacchino. Il corteo veniva aperto dagli orfanelli di Santa Maria in Aquiro, seguiti dai vari ordini ecclesiastici. In età moderna, alla festività del Corpus Domini si legò la grande tradizione romana di una pietà impostata sull’adorazione eucaristica, sull’orazione continua, sugli esercizi spirituali e sulle pratiche di pietà. I Papi vollero che la processione del Corpus Domini si svolgesse in un’area intorno alla basilica di San Pietro in Vaticano, tra magnifici addobbi e apparati e alla presenza di tutta la città: cardinali e vescovi, ambasciatori e nobili, canonici e beneficiati, parroci e rettori, religiosi, seminaristi e collegiali, dirigenti e funzionari delle istituzioni curiali, fratelli e sorelle delle confraternite, membri dei conservatori, degli istituti educativi e dei centri assistenziali e tantissimi fedeli. Oltre alla solenne processione papale, per tutta l’ottava del Corpus Domini ebbero luogo processioni nelle basiliche e nelle chiese, alle quali parteciparono autorità e devoti. Stretti al Santissimo Sacramento, i fedeli sentirono il richiamo a vivere la presenza di Dio nella loro vita quotidiana: un’esperienza di profonda interiorità che si tradusse in un impegno costante di crescita nella fede e di operosa disponibilità ad aiutare i poveri, i malati e gli emarginati.
Grazie alla devozione per il Santissimo Sacramento, che ebbe un deciso sviluppo non solo sul piano della riflessione teologica, ma su quella della sensibilità popolare, nella Roma religiosa crebbe il desiderio di vivere in modo autentico i valori della fede e della carità.
mercoledì 14 giugno 2023
PERDONA,O SIGNORE QUESTE POVERE ANIME!
Carissimi amici,
In questi ultimi tempi e in particolare nel mese di Giugno, mese dedicato al Sacro Cuore, è diventato il mese del Pride ed è tristemente noto, purtroppo, di quale pride si tratti. Intanto, mentre a Roma sfila il gay-pride sbeffeggiando in modo volgare Gesù,la Madonna e il Papa, in molte parti del mondo vengono ammazzati i cristiani . Gli empi di tutti i paesi si stringono insieme per commettere un grande sacrilegio, e scagliare le più orribili bestemmie contro il nostro divin Salvatore Gesù. Costoro celebrano in Italia e in tante altre parti del mondo i loro vizi, considerandoli diritti, le loro distorte inclinazioni chiamandolo amore. Combattono il Figliuolo di Dio, tentando di fare scomparire dalla faccia della terra la Religione sua Santissima. Essi sono nemici di Gesù Cristo ; le bestemmie più esecrande, ne formarono un libercolo da spandersi dappertutto,sperando che le Chiese si vuotino di fedeli. E questo lo scopo del demonio medesimo.
venerdì 9 giugno 2023
Notizie dalla Diocesi di Brescia
Carissimi amici e lettori,
mi scrive un’amica che è stata alla processione del Corpus Domini a Brescia, presieduta dal vescovo Tremolada ,e non vi nascondiamo tutta la sua delusione per l'omelia che il vescovo a tenuto per la circostanza. Si considera normalmente che un'Omelia non deve durare più di 8/ 10 minuti, deve essere una spiegazione biblica dei testi sacri, o del mistero che si sta celebrando. Non deve essere solo teologica, potrebbe risultare pesante, neppure può essere soltanto un'esortazione morale, una buona Omelia parte dal dato biblico, ne approfondisce il significato teologico, e giunge alle implicazioni riguardanti la vita cristiana. In fondo potrete leggervi l'omelia tenuta dal vescovo di Brescia nella solennità del Corpus Domini.
Lettera dall' amica di Brescia
"Arrivo adesso dalla processione del Corpus Domini con il vescovo con omelia annessa ....una delusione ! Non ha detto una parola sul Corpo di Cristo...non ha mai nominato l’Eucarestia. Il Vescovo ha pregato affinché il cammino della città sia "un cammino di verità e la nostra città sia un buon esempio di intensa umanità".A...la Sacra Ostia...niente niente niente. Un discorso bellissimo sulla Costituzione da far invidia a qualsiasi politico....credo che se l'avesse fatto questo discorso il sindaco o qualcuno della giunta forse avrebbe sfruttato la presenza del Santissimo almeno per convenienza ....
Tanta gente delusa....nessuna festa per Gesù Eucaristico ma un bel discorso sulla comunità Bresciana....povero Gesù poveri noi come siamo messi male !
La Signora che chiameremo (M)scriverà una lettera al vescovo....credo che sarebbe buona cosa che la scrivessero più persone che erano presenti la sera del Giovedì 8/ Giugno del 2023 almeno per una giustizia verso Gesù ....credo di scriverla anch'io ..."!
"Un sacerdote mi dice questo in merito alla lettera scritta da (M): Ho sentito molti commenti simili effettivamente al di là della bella dizione e dell'ineccepibilità dei concetti non era né il luogo né la celebrazione opportuna".
lettera firmata e inviata al Vescovo Tremolada
Eccellenza Reverendissima Monsignor Tremolada, ho partecipato alla solennità del Corpus Domini fin dalla messa celebrata da monsignor Fontana; mentre seguivo i vari momenti liturgici ero davvero felice nell’osservare che c'erano molti i fedeli e tanta la devozione, a tratti ero commossa dalla solennità, dall’essere alla Presenza di Nostro Signore, dalla bellezza del rito, dalla partecipazione, dal vedere tanti amici e conoscenti, sapendo che non ci si salva da soli e condividere la fede in Dio è una gioia. Per il tempo che ho trascorso al cospetto del Corpus Domini ho continuato a pensare a quante persone attira a Sé, non vorrei essere irrispettosa, ma ho pensato ad una calamita che attira a sé uomini e donne, che si lasciano trascinare in quel cammino di cui ci ha parlato nella sua omelia, è un cammino spirituale, è una tensione al trascendente che chiede di essere illuminata sulle e dalle cose di Dio, che vuole conoscere Dio, vuole essere elevata nello spirito dalle cose di Dio. Certamente sarà importante e interessante conoscere la costituzione, il senso civico non è certo da trascurare, ma si può raggiungere anche per vie indirette, come insegna san Giovanni Bosco che si dedicava a formare buoni cristiani nella certezza che sarebbero diventati onesti cittadini. In molti eravamo presenti alla solennità del Corpus Domini con l’anelito a progredire nella dimensione del buon cristiano e nella consapevolezza che tale dimensione è di fondamentale importanza per affrontare con rettitudine ogni aspetto del vivere umano, diversamente, chi avesse voluto soddisfare il proprio senso civico ha già partecipato alle celebrazioni del 2 giugno ultimo scorso con profitto di riti, eventi, trasmissioni, documentari, interviste, ecc.. Non le nascondo il disorientamento di molti fedeli, me compresa, nell’ascolto dei temi laici da Lei affrontati nell’omelia, argomenti che quotidianamente irrompono nelle nostre vite in modo invasivo e pervasivo. Eccellenza, siamo stanchi, abbiamo bisogno di pace, noi fedeli siamo stanchi ed oppressi e cerchiamo rifugio nella Chiesa pieni di fiducia che la Chiesa mantenga la promessa del Vangelo: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.”. RicordandoLa nella preghiera, porgo cordiali saluti M Brescia 8 giugno 2023
Leggi l'omelia del Vescovo
Mentre prendo la parola in questa Festa del Corpus Domini, non posso non ricordare che circa un anno fa, in questa medesima circostanza e in questo medesimo luogo, confermavo l’annuncio della mia malattia e del mio imminente intervento chirurgico. A distanza di un anno sono qui con voi a ringraziare la Provvidenza di Dio per l’esito positivo dell’intervento stesso e del decorso successivo. Vorrei anche esprimere nuovamente a voi la mia gratitudine, per la vicinanza e l’affetto con il quale mi avete accompagnato. Vi assicuro che è stato per me motivo di profonda consolazione.
Come è tradizione vorrei offrire anche quest’anno un breve pensiero alla città, con semplicità, traendolo dal significato del momento che stiamo condividendo. Abbiamo portato l’Eucaristia per le strade della nostra città. La solennità del Corpus Domini ha infatti questa specifica caratteristica, quella della processione: si forma un corteo e ci si mette in cammino, accompagnando per le strade il Corpo santo del Signore.
Il cammino è da sempre una bella metafora della vita, non soltanto a livello personale ma anche sociale. Vorrei fermare la mia attenzione proprio su questo punto e condividere con voi questa sera qualche breve riflessione sul camminare insieme come città. Provo a forzare un po’ la metafora e mi chiedo cosa significa per una città, per la nostra città di Brescia, che nel nostro imaginario è una realtà stabile nel suo spazio, essere una città in cammino. Credo possano emergere alcune considerazioni in grado di arricchire la nostra esperienza della città.
Una città in cammino è anzitutto una città che non è ferma, che metaforicamente si muove e che lo fa al passo con i tempi. È una comunità che si mantiene aggiornata, all’altezza del momento, che ama la cultura e la ricerca L’articolo 9 della nostra Costituzione recita così: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. È un invito a vivere con consapevolezza e soddisfazione l’esperienza del progresso scientifico e tecnologico, senza assolutizzarlo ma anche senza sminuirne il valore. I passi che la ricerca sta compiendo a tutti i livelli del vivere umano sono impressionanti. Essi hanno sollevato l’uomo da tante fatiche, hanno offerto nuove possibilità di lotta alle malattie, hanno aperto nuove frontiere sul versante della comunicazione e della produzione. Occorrerà interrogarsi con onestà sui principi che stanno ispirando una simile ricerca e sui gruppi di potere che spesso la condizionano, ma certo essa rappresenta di per sé un valore: è un segno eloquente dell’intelligenza umana e della sua creatività.
Una città che cammina è, in secondo luogo, una città che procede idealmente nella stessa direzione. Essere in cammino non coincide esattamente con l’essere in movimento. Chi cammina insieme ad altri sa dove va e la meta condivisa è una delle ragioni del mantenersi in comunione. Vi è poi il pensiero del passato. Una città in cammino sa che altri hanno camminato prima della generazione attuale, sa cioè di avere una storia, e quindi delle tradizioni e dei valori condivisi. La memoria di tutto ciò impedisce di fermarsi. L’eredità spirituale dei padri sospinge la generazione di ogni tempo a compiere con impegno il proprio tratto di strada. La cultura di una città è il suo patrimonio spirituale, che plasma – potremmo dire – la sua identità, crea lo stile del suo vivere comune e si esprime in particolare nelle diverse forme dell’arte e della cultura.
Una città in cammino è, in terzo luogo, una città in cui ci si ascolta e ci si parla. Lungo la strada, mentre si cammina insieme, non si sta in silenzio e se lo si fa è per approfondire il rapporto reciproco. Nel cammino ci si conosce, ci si presenta, ci si racconta. Fuor di metafora, quella che cammina è una città che impara a riconoscere e a valorizzare le diversità, in particolare le diverse culture: è una città interculturale. Accogliere ciò che gli altri ci offrono e che noi sentiamo come nuovo è un compito che ci accompagnerà nei prossimi anni. Bisognerà superare la paura e il sospetto. Le giovani generazioni ci aiuteranno, perché le loro energie e prima ancora i loro sentimenti muovono istintivamente in questa direzione.
Una città in cammino, è poi una città solidale e fraterna. Nel cammino ci si aiuta. C’è infatti chi è forte e chi è debole, chi è giovane e chi non lo è più, chi corre e chi è lento. Sarà molto importante anzitutto riconoscersi nella pari dignità nonostante le differenze. L’uguaglianza è un diritto fondamentale che a tutti va riconosciuto. Lo dice la stessa Costituzione all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Quanto alla solidarietà, essa è la risposta della città in cammino alle necessità dei più deboli. “Solidarietà – scrive papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti – è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, che non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ».
La solidarietà combatte con tutte le forze l’individualismo, contesta l’idea diffusa che ognuno deve pensare a se stesso, senza poter far conto sull’aiuto degli altri, un’idea del tutto errata, come di mostra l’esperienza della vita. In realtà abbiamo infatti bisogno gli uni degli altri. Che ognuno pensi solo a se stesso è il male peggiore che possa capitare ad una società; che ciascuno ricerchi semplicemente il proprio tornaconto e la propria personale soddisfazione è una triste deriva che spegne la bellezza della vita. “Esiste infatti – scrive sempre papa Francesco – la gratuità. Essa è la capacità di fare alcune cose per il solo fatto che sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato, senza aspettarsi immediatamente qualcosa in cambio (139)”. La gratuità è l’anima della solidarietà.
Una città in cammino è una città che sa rispettare e ammirare la bellezza che vede, che sa guardarsi intorno e riconoscersi circondata da una realtà piena di armonia. Da qui il rispetto e l’impegno a preservarne il valore. All’articolo 9, la nostra Costituzione pone in evidenza questo aspetto e si esprime così: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. L’ambiente che ci circonda è un dono e una responsabilità. Oggi, in tempi di grandi cambiamenti climatici, è ancora più evidente l’importanza che ha la cura dell’ambiente per la vita di una città.
Infine, una città in cammino è una città che ama la pace. Camminare insieme è rimanere accostati, uno a fianco all’altro, senza dividersi, senza contrapporsi, senza cedere mai a sentimenti di gelosia, di odio e di rancore. Significa soprattutto respingere la violenza in tutte le sue forme, a partire dalla guerra. All’articolo 11 la nostra Costituzione è perentoria: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Come non pensare qui al discorso di san Paolo VI al palazzo delle Nazioni Unite e al suo grido accorato: “Mai più la guerra, mai più la guerra, ma la pace!”. Questa speranza è ancora disattesa. La brutalità e la follia della guerra sono ancora una tremenda realtà, anche vicino a noi. Noi, però, vogliamo essere una città di pace, ma anche una città solidale, una città delle diverse culture, una città consapevole della sua storia e costantemente protesa verso il futuro, una città rispettosa del suo ambiente.
La benedizione di Dio ci accompagni, il mistero dell’Eucaristia ci stringa nell’abbraccio misericordioso del Cristo redentore, affinchè il nostro sia un cammino di verità e la nostra città sia un buon esempio di intensa umanità.
mi scrive un’amica che è stata alla processione del Corpus Domini a Brescia, presieduta dal vescovo Tremolada ,e non vi nascondiamo tutta la sua delusione per l'omelia che il vescovo a tenuto per la circostanza. Si considera normalmente che un'Omelia non deve durare più di 8/ 10 minuti, deve essere una spiegazione biblica dei testi sacri, o del mistero che si sta celebrando. Non deve essere solo teologica, potrebbe risultare pesante, neppure può essere soltanto un'esortazione morale, una buona Omelia parte dal dato biblico, ne approfondisce il significato teologico, e giunge alle implicazioni riguardanti la vita cristiana. In fondo potrete leggervi l'omelia tenuta dal vescovo di Brescia nella solennità del Corpus Domini.
Lettera dall' amica di Brescia
"Arrivo adesso dalla processione del Corpus Domini con il vescovo con omelia annessa ....una delusione ! Non ha detto una parola sul Corpo di Cristo...non ha mai nominato l’Eucarestia. Il Vescovo ha pregato affinché il cammino della città sia "un cammino di verità e la nostra città sia un buon esempio di intensa umanità".A...la Sacra Ostia...niente niente niente. Un discorso bellissimo sulla Costituzione da far invidia a qualsiasi politico....credo che se l'avesse fatto questo discorso il sindaco o qualcuno della giunta forse avrebbe sfruttato la presenza del Santissimo almeno per convenienza ....
Tanta gente delusa....nessuna festa per Gesù Eucaristico ma un bel discorso sulla comunità Bresciana....povero Gesù poveri noi come siamo messi male !
La Signora che chiameremo (M)scriverà una lettera al vescovo....credo che sarebbe buona cosa che la scrivessero più persone che erano presenti la sera del Giovedì 8/ Giugno del 2023 almeno per una giustizia verso Gesù ....credo di scriverla anch'io ..."!
"Un sacerdote mi dice questo in merito alla lettera scritta da (M): Ho sentito molti commenti simili effettivamente al di là della bella dizione e dell'ineccepibilità dei concetti non era né il luogo né la celebrazione opportuna".
lettera firmata e inviata al Vescovo Tremolada
Eccellenza Reverendissima Monsignor Tremolada, ho partecipato alla solennità del Corpus Domini fin dalla messa celebrata da monsignor Fontana; mentre seguivo i vari momenti liturgici ero davvero felice nell’osservare che c'erano molti i fedeli e tanta la devozione, a tratti ero commossa dalla solennità, dall’essere alla Presenza di Nostro Signore, dalla bellezza del rito, dalla partecipazione, dal vedere tanti amici e conoscenti, sapendo che non ci si salva da soli e condividere la fede in Dio è una gioia. Per il tempo che ho trascorso al cospetto del Corpus Domini ho continuato a pensare a quante persone attira a Sé, non vorrei essere irrispettosa, ma ho pensato ad una calamita che attira a sé uomini e donne, che si lasciano trascinare in quel cammino di cui ci ha parlato nella sua omelia, è un cammino spirituale, è una tensione al trascendente che chiede di essere illuminata sulle e dalle cose di Dio, che vuole conoscere Dio, vuole essere elevata nello spirito dalle cose di Dio. Certamente sarà importante e interessante conoscere la costituzione, il senso civico non è certo da trascurare, ma si può raggiungere anche per vie indirette, come insegna san Giovanni Bosco che si dedicava a formare buoni cristiani nella certezza che sarebbero diventati onesti cittadini. In molti eravamo presenti alla solennità del Corpus Domini con l’anelito a progredire nella dimensione del buon cristiano e nella consapevolezza che tale dimensione è di fondamentale importanza per affrontare con rettitudine ogni aspetto del vivere umano, diversamente, chi avesse voluto soddisfare il proprio senso civico ha già partecipato alle celebrazioni del 2 giugno ultimo scorso con profitto di riti, eventi, trasmissioni, documentari, interviste, ecc.. Non le nascondo il disorientamento di molti fedeli, me compresa, nell’ascolto dei temi laici da Lei affrontati nell’omelia, argomenti che quotidianamente irrompono nelle nostre vite in modo invasivo e pervasivo. Eccellenza, siamo stanchi, abbiamo bisogno di pace, noi fedeli siamo stanchi ed oppressi e cerchiamo rifugio nella Chiesa pieni di fiducia che la Chiesa mantenga la promessa del Vangelo: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.”. RicordandoLa nella preghiera, porgo cordiali saluti M Brescia 8 giugno 2023
Leggi l'omelia del Vescovo
Mentre prendo la parola in questa Festa del Corpus Domini, non posso non ricordare che circa un anno fa, in questa medesima circostanza e in questo medesimo luogo, confermavo l’annuncio della mia malattia e del mio imminente intervento chirurgico. A distanza di un anno sono qui con voi a ringraziare la Provvidenza di Dio per l’esito positivo dell’intervento stesso e del decorso successivo. Vorrei anche esprimere nuovamente a voi la mia gratitudine, per la vicinanza e l’affetto con il quale mi avete accompagnato. Vi assicuro che è stato per me motivo di profonda consolazione.
Come è tradizione vorrei offrire anche quest’anno un breve pensiero alla città, con semplicità, traendolo dal significato del momento che stiamo condividendo. Abbiamo portato l’Eucaristia per le strade della nostra città. La solennità del Corpus Domini ha infatti questa specifica caratteristica, quella della processione: si forma un corteo e ci si mette in cammino, accompagnando per le strade il Corpo santo del Signore.
Il cammino è da sempre una bella metafora della vita, non soltanto a livello personale ma anche sociale. Vorrei fermare la mia attenzione proprio su questo punto e condividere con voi questa sera qualche breve riflessione sul camminare insieme come città. Provo a forzare un po’ la metafora e mi chiedo cosa significa per una città, per la nostra città di Brescia, che nel nostro imaginario è una realtà stabile nel suo spazio, essere una città in cammino. Credo possano emergere alcune considerazioni in grado di arricchire la nostra esperienza della città.
Una città in cammino è anzitutto una città che non è ferma, che metaforicamente si muove e che lo fa al passo con i tempi. È una comunità che si mantiene aggiornata, all’altezza del momento, che ama la cultura e la ricerca L’articolo 9 della nostra Costituzione recita così: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. È un invito a vivere con consapevolezza e soddisfazione l’esperienza del progresso scientifico e tecnologico, senza assolutizzarlo ma anche senza sminuirne il valore. I passi che la ricerca sta compiendo a tutti i livelli del vivere umano sono impressionanti. Essi hanno sollevato l’uomo da tante fatiche, hanno offerto nuove possibilità di lotta alle malattie, hanno aperto nuove frontiere sul versante della comunicazione e della produzione. Occorrerà interrogarsi con onestà sui principi che stanno ispirando una simile ricerca e sui gruppi di potere che spesso la condizionano, ma certo essa rappresenta di per sé un valore: è un segno eloquente dell’intelligenza umana e della sua creatività.
Una città che cammina è, in secondo luogo, una città che procede idealmente nella stessa direzione. Essere in cammino non coincide esattamente con l’essere in movimento. Chi cammina insieme ad altri sa dove va e la meta condivisa è una delle ragioni del mantenersi in comunione. Vi è poi il pensiero del passato. Una città in cammino sa che altri hanno camminato prima della generazione attuale, sa cioè di avere una storia, e quindi delle tradizioni e dei valori condivisi. La memoria di tutto ciò impedisce di fermarsi. L’eredità spirituale dei padri sospinge la generazione di ogni tempo a compiere con impegno il proprio tratto di strada. La cultura di una città è il suo patrimonio spirituale, che plasma – potremmo dire – la sua identità, crea lo stile del suo vivere comune e si esprime in particolare nelle diverse forme dell’arte e della cultura.
Una città in cammino è, in terzo luogo, una città in cui ci si ascolta e ci si parla. Lungo la strada, mentre si cammina insieme, non si sta in silenzio e se lo si fa è per approfondire il rapporto reciproco. Nel cammino ci si conosce, ci si presenta, ci si racconta. Fuor di metafora, quella che cammina è una città che impara a riconoscere e a valorizzare le diversità, in particolare le diverse culture: è una città interculturale. Accogliere ciò che gli altri ci offrono e che noi sentiamo come nuovo è un compito che ci accompagnerà nei prossimi anni. Bisognerà superare la paura e il sospetto. Le giovani generazioni ci aiuteranno, perché le loro energie e prima ancora i loro sentimenti muovono istintivamente in questa direzione.
Una città in cammino, è poi una città solidale e fraterna. Nel cammino ci si aiuta. C’è infatti chi è forte e chi è debole, chi è giovane e chi non lo è più, chi corre e chi è lento. Sarà molto importante anzitutto riconoscersi nella pari dignità nonostante le differenze. L’uguaglianza è un diritto fondamentale che a tutti va riconosciuto. Lo dice la stessa Costituzione all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Quanto alla solidarietà, essa è la risposta della città in cammino alle necessità dei più deboli. “Solidarietà – scrive papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti – è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, che non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ».
La solidarietà combatte con tutte le forze l’individualismo, contesta l’idea diffusa che ognuno deve pensare a se stesso, senza poter far conto sull’aiuto degli altri, un’idea del tutto errata, come di mostra l’esperienza della vita. In realtà abbiamo infatti bisogno gli uni degli altri. Che ognuno pensi solo a se stesso è il male peggiore che possa capitare ad una società; che ciascuno ricerchi semplicemente il proprio tornaconto e la propria personale soddisfazione è una triste deriva che spegne la bellezza della vita. “Esiste infatti – scrive sempre papa Francesco – la gratuità. Essa è la capacità di fare alcune cose per il solo fatto che sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato, senza aspettarsi immediatamente qualcosa in cambio (139)”. La gratuità è l’anima della solidarietà.
Una città in cammino è una città che sa rispettare e ammirare la bellezza che vede, che sa guardarsi intorno e riconoscersi circondata da una realtà piena di armonia. Da qui il rispetto e l’impegno a preservarne il valore. All’articolo 9, la nostra Costituzione pone in evidenza questo aspetto e si esprime così: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. L’ambiente che ci circonda è un dono e una responsabilità. Oggi, in tempi di grandi cambiamenti climatici, è ancora più evidente l’importanza che ha la cura dell’ambiente per la vita di una città.
Infine, una città in cammino è una città che ama la pace. Camminare insieme è rimanere accostati, uno a fianco all’altro, senza dividersi, senza contrapporsi, senza cedere mai a sentimenti di gelosia, di odio e di rancore. Significa soprattutto respingere la violenza in tutte le sue forme, a partire dalla guerra. All’articolo 11 la nostra Costituzione è perentoria: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Come non pensare qui al discorso di san Paolo VI al palazzo delle Nazioni Unite e al suo grido accorato: “Mai più la guerra, mai più la guerra, ma la pace!”. Questa speranza è ancora disattesa. La brutalità e la follia della guerra sono ancora una tremenda realtà, anche vicino a noi. Noi, però, vogliamo essere una città di pace, ma anche una città solidale, una città delle diverse culture, una città consapevole della sua storia e costantemente protesa verso il futuro, una città rispettosa del suo ambiente.
La benedizione di Dio ci accompagni, il mistero dell’Eucaristia ci stringa nell’abbraccio misericordioso del Cristo redentore, affinchè il nostro sia un cammino di verità e la nostra città sia un buon esempio di intensa umanità.
giovedì 8 giugno 2023
Solennità del Corpus Domini «Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine»
Carissimi amici,
Celebriamo la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, giorno in cui adoriamo in maniera speciale la presenza reale del Signore nell'eucaristia. È giorno di ringraziamento per il dono del Corpo e del Sangue di Gesù messo a nostra disposizione ogni qualvolta celebriamo la Santa Messa.
E siamo invitati a riflettere sul mistero eucaristico fonte e culmine dell'esperienza della Chiesa.
Fu così che Papa Urbano IV nel 1264 istituì ufficialmente la festa che in realtà è riproposta del giovedì santo.
Nell'intenzione del Papa vi era lo scopo di rinnovare la fede del popolo cristiano nell'Eucaristia, arricchendone la comprensione teologica.
L'Eucaristia è il memoriale del dono che Gesù Cristo fa della sua vita per il mondo. È il prolungamento sacramentale della incarnazione e della presenza viva e reale del Risorto. Nel dono dell'Eucaristia Cristo si fa pane per alimentare tutta la nostra vita e offre il suo sangue versato per la redenzione di tutti e di ognuno in particolare.
Nel momento in cui rendiamo omaggio al Santissimo Sacramento è doveroso restituire alla memoria la pienezza dei sentimenti e dei significati che riguardano il mistero eucaristico. Nella sua celebrazione noi annunciamo la morte di Cristo, proclamiamo la sua risurrezione ed esprimiamo la nostra volontà di vivere in attesa della sua venuta nella gloria. La festa del Corpus Domini invita, altresì, a comprendere la relazione tra l'Eucaristia e la Chiesa: la Chiesa nasce dall'Eucaristia e nell'Eucaristia.
Stiamo adorando e contemplando il mistero del Corpo e del Sangue di Gesù Signore; stiamo ammirando il suo amore nel volere rimanere in mezzo a noi per dilatare continuamente a tutti i popoli, in tutti i luoghi e in tutti i tempi la grazia e la forza della sua Passione, Morte e Risurrezione e donarci la vita. Lui stesso ce lo ha detto nell’Acclamazione al Vangelo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). Ha scelto il pane e il vino, che sono gli alimenti comuni a tutti i popoli, perché noi tutti lo mangiamo e perché, mangiandolo abbiamo la vita e godiamo la sua presenza. L’Eucaristia è il più grande miracolo che si realizza in ogni istante del giorno e della notte: E’ il mistero della Fede! E’ lo Spirito Santo che, attraverso l’opera di ogni sacerdote, trasforma il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù e trasforma tutti noi in famiglia di Dio, forma la Chiesa che è corpo del Signore come ha formato Cristo nel grembo di Maria. Afferma il Papa san Leone Magno: “Ciò che fu visibile nel nostro Redentore, passò nei Sacramenti. Ogni sacramento è un incontro con l’umanità di Cristo. Nella comunione, noi diventiamo ciò che riceviamo, diventiamo Cristo” (Secondo Sermone dell’Ascensione).
Sant’Agostino nel suo libro Le Confessioni narra il suo incontro con il Signore come la visione di una luce molto intensa, la luce della verità. Questa era accompagnata da una voce che diceva: “Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me”. “l’Eucaristia è il cuore della Chiesa": “Ad ogni eucaristia, il sangue guasto di tutto il mondo affluisce al cuore della chiesa che è Cristo. In esso io getto il mio peccato e ogni mia impurità perché sia distrutta, ed esso mi dona un sangue puro, il suo sangue, che è il sangue dell’agnello immacolato pieno di vita e di santità” (cfr L’Eucaristia nostra santificazione, Ancora 2012, pp 43-44). Quante volte può accadere che, per diversi motivi, un sacerdote debba celebrare l’Eucaristia da solo. Alcuni si domandano se si può e se va bene. La risposta l’ha data San Pier Damiani, che interpellato da un sacerdote che era costretto a celebrare da solo ed era nel dubbio per l’assenza di fedeli, gli rispose: “Non è vero che non c’è nessuno intorno al tuo altare perché, quando celebri la messa, intorno c’è tutta la chiesa del cielo e della terra!”. Il Santo Curato d’Ars,che fu innamorato della Eucaristia, egli diceva che : “Nei confronti di questo sacramento spesso i fedeli si comportano come uno che muore di sete sulla riva di un fiume: non avrebbe che da chinare la testa. Noi siamo come uno che resta povero vicino a un tesoro e non avrebbe che da allungare la mano. Chi si comunica, si perde in Dio come una goccia d’acqua nell’oceano. Non si può più separarli. Niente è così grande come l’eucaristia. Avete un bel confrontare tutte le buone azioni del mondo con una comunione ben fatta, e avrete sempre come un granello di polvere al cospetto di una montagna!”. E ancora: “La comunione è per l’anima come una soffiata su un fuoco che comincia a spegnersi. Se si custodisce bene nostro Signore dopo la comunione, per molto tempo si continua a sentire quel fuoco divorante”. Il S.Curato d’Ars ha dato l’esempio, trascorrendo molte ore davanti al SS.mo Sacramento e, da lì, passando poi al confessionale. Anche le sue iniziative pastorali e la sua predicazione sono nate ai piedi del Tabernacolo: per questo avevano un’efficacia straordinaria! Davanti a Gesù presente nell’Ostia Santa che contempliamo e adoriamo, chiediamo a lui la grazia di avere sempre più un cuore innamorato del SS.mo Sacramento, di trovare sempre il tempo necessario e adeguato ogni giorno per una attenta celebrazione e adorazione dell’Eucaristia, annunciando a quanti avviciniamo la gioia e la grazia dell’incontro con il Signore Gesù.
Celebriamo la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, giorno in cui adoriamo in maniera speciale la presenza reale del Signore nell'eucaristia. È giorno di ringraziamento per il dono del Corpo e del Sangue di Gesù messo a nostra disposizione ogni qualvolta celebriamo la Santa Messa.
E siamo invitati a riflettere sul mistero eucaristico fonte e culmine dell'esperienza della Chiesa.
Fu così che Papa Urbano IV nel 1264 istituì ufficialmente la festa che in realtà è riproposta del giovedì santo.
Nell'intenzione del Papa vi era lo scopo di rinnovare la fede del popolo cristiano nell'Eucaristia, arricchendone la comprensione teologica.
L'Eucaristia è il memoriale del dono che Gesù Cristo fa della sua vita per il mondo. È il prolungamento sacramentale della incarnazione e della presenza viva e reale del Risorto. Nel dono dell'Eucaristia Cristo si fa pane per alimentare tutta la nostra vita e offre il suo sangue versato per la redenzione di tutti e di ognuno in particolare.
Nel momento in cui rendiamo omaggio al Santissimo Sacramento è doveroso restituire alla memoria la pienezza dei sentimenti e dei significati che riguardano il mistero eucaristico. Nella sua celebrazione noi annunciamo la morte di Cristo, proclamiamo la sua risurrezione ed esprimiamo la nostra volontà di vivere in attesa della sua venuta nella gloria. La festa del Corpus Domini invita, altresì, a comprendere la relazione tra l'Eucaristia e la Chiesa: la Chiesa nasce dall'Eucaristia e nell'Eucaristia.
Stiamo adorando e contemplando il mistero del Corpo e del Sangue di Gesù Signore; stiamo ammirando il suo amore nel volere rimanere in mezzo a noi per dilatare continuamente a tutti i popoli, in tutti i luoghi e in tutti i tempi la grazia e la forza della sua Passione, Morte e Risurrezione e donarci la vita. Lui stesso ce lo ha detto nell’Acclamazione al Vangelo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). Ha scelto il pane e il vino, che sono gli alimenti comuni a tutti i popoli, perché noi tutti lo mangiamo e perché, mangiandolo abbiamo la vita e godiamo la sua presenza. L’Eucaristia è il più grande miracolo che si realizza in ogni istante del giorno e della notte: E’ il mistero della Fede! E’ lo Spirito Santo che, attraverso l’opera di ogni sacerdote, trasforma il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù e trasforma tutti noi in famiglia di Dio, forma la Chiesa che è corpo del Signore come ha formato Cristo nel grembo di Maria. Afferma il Papa san Leone Magno: “Ciò che fu visibile nel nostro Redentore, passò nei Sacramenti. Ogni sacramento è un incontro con l’umanità di Cristo. Nella comunione, noi diventiamo ciò che riceviamo, diventiamo Cristo” (Secondo Sermone dell’Ascensione).
Sant’Agostino nel suo libro Le Confessioni narra il suo incontro con il Signore come la visione di una luce molto intensa, la luce della verità. Questa era accompagnata da una voce che diceva: “Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me”. “l’Eucaristia è il cuore della Chiesa": “Ad ogni eucaristia, il sangue guasto di tutto il mondo affluisce al cuore della chiesa che è Cristo. In esso io getto il mio peccato e ogni mia impurità perché sia distrutta, ed esso mi dona un sangue puro, il suo sangue, che è il sangue dell’agnello immacolato pieno di vita e di santità” (cfr L’Eucaristia nostra santificazione, Ancora 2012, pp 43-44). Quante volte può accadere che, per diversi motivi, un sacerdote debba celebrare l’Eucaristia da solo. Alcuni si domandano se si può e se va bene. La risposta l’ha data San Pier Damiani, che interpellato da un sacerdote che era costretto a celebrare da solo ed era nel dubbio per l’assenza di fedeli, gli rispose: “Non è vero che non c’è nessuno intorno al tuo altare perché, quando celebri la messa, intorno c’è tutta la chiesa del cielo e della terra!”. Il Santo Curato d’Ars,che fu innamorato della Eucaristia, egli diceva che : “Nei confronti di questo sacramento spesso i fedeli si comportano come uno che muore di sete sulla riva di un fiume: non avrebbe che da chinare la testa. Noi siamo come uno che resta povero vicino a un tesoro e non avrebbe che da allungare la mano. Chi si comunica, si perde in Dio come una goccia d’acqua nell’oceano. Non si può più separarli. Niente è così grande come l’eucaristia. Avete un bel confrontare tutte le buone azioni del mondo con una comunione ben fatta, e avrete sempre come un granello di polvere al cospetto di una montagna!”. E ancora: “La comunione è per l’anima come una soffiata su un fuoco che comincia a spegnersi. Se si custodisce bene nostro Signore dopo la comunione, per molto tempo si continua a sentire quel fuoco divorante”. Il S.Curato d’Ars ha dato l’esempio, trascorrendo molte ore davanti al SS.mo Sacramento e, da lì, passando poi al confessionale. Anche le sue iniziative pastorali e la sua predicazione sono nate ai piedi del Tabernacolo: per questo avevano un’efficacia straordinaria! Davanti a Gesù presente nell’Ostia Santa che contempliamo e adoriamo, chiediamo a lui la grazia di avere sempre più un cuore innamorato del SS.mo Sacramento, di trovare sempre il tempo necessario e adeguato ogni giorno per una attenta celebrazione e adorazione dell’Eucaristia, annunciando a quanti avviciniamo la gioia e la grazia dell’incontro con il Signore Gesù.
martedì 6 giugno 2023
San Norberto, vescovo di Magdeburgo
San Norberto, vescovo, che, uomo di austeri costumi e tutto dedito all’unione con Dio e alla predicazione del Vangelo, vicino a Laon in Francia istituì l’Ordine dei Canonici regolari Premostratensi; divenuto poi vescovo di Magdeburgo in Sassonia, in Germania, rinnovò la vita cristiana e si adoperò per diffondere la fede tra le popolazioni vicine.(Dal Martirologio)
Breve Biografia
San Norberto (c. 1080-1134), fondatore dei Canonici Regolari Premostratensi, era nato da una famiglia appartenente all’alta nobiltà e vicina alla corte del Sacro Romano Impero. Suo padre era conte di Gennep, nell’attuale Olanda, ma Norberto era stato educato nella vicina Xanten, in terra germanica. Era il periodo in cui la Chiesa si trovava ad attuare la Riforma gregoriana, così chiamata in ragione del suo più illustre esponente, san Gregorio VII (c. 1015-1085).
Norberto, forse senza avere una reale vocazione, si avviò alla carriera ecclesiastica, facendosi ordinare suddiacono e divenendo cappellano di Enrico V. Per una trentina d’anni fu perlopiù attratto dalla vita di mondo, fino a un fatto avvenuto nel 1115. Mentre cavalcava verso la città di Vreden un fulmine ne causò la violenta caduta da cavallo e per circa un’ora rimase incosciente a terra.
Dopo lo scampato pericolo, la sua fede si accrebbe. Rinunciò alla sua carica a corte e iniziò una vita di penitenza. Fondò una prima abbazia e si fece ordinare sacerdote, mentre intanto andava aumentando il suo amore per l’Eucaristia e la sua devozione per la Madonna. Tentò di riformare il capitolo dei canonici di Xanten, ma i suoi tentativi non andarono a buon fine, forse anche a causa dell’ascetismo eccessivamente duro che aveva cercato di stabilire. Dopo aver donato tutti i suoi beni ai poveri, andò da san Gelasio II, che gli diede il permesso di operare come predicatore itinerante. Svolse tale missione tra il Belgio, la Francia, la Germania e l’Olanda, esortando alla conversione e ammonendo lo stesso clero, specie riguardo al non rispetto del celibato.
Il vescovo di Laon gli chiese poi di fondare un monastero nella sua diocesi, donandogli una terra nella foresta di Voas. Norberto scelse di adottare la Regola di sant’Agostino e il 25 dicembre 1120, insieme a tredici discepoli, pronunciò i voti solenni a Prémontré: nacque così l’Ordine Premostratense, i cui membri sono detti anche Norbertini. Nell’atto di donazione il luogo era chiamato con il latino Praemonstratus, nel possibile senso di “(Luogo) Indicato (da Dio)”, come emerge da una Vita scritta da san Goffredo di Cappenberg (Venit ad locum vere juxta nomen suum, a Domino premonstratum, electum e prædestinatum). Quest’ultimo era un conte che era rimasto impressionato dalla predicazione di Norberto e aveva lasciato tutto per entrare tra i premostratensi.
Nel 1126 Norberto venne nominato vescovo di Magdeburgo da Onorio II, il papa che diede l’approvazione all’ordine con la bolla Apostolicae disciplinae. Il santo continuò la sua opera anche nell’esercizio del ministero episcopale. Subì degli attentati per aver cercato di restaurare la disciplina ecclesiastica, che si era fin troppo rilassata. Nello scisma che si produsse nel 1130, sostenne Innocenzo II contro l’antipapa Anacleto II. Negli ultimi anni della sua vita fu cancelliere e consigliere dell’imperatore Lotario di Supplimburgo. Morì in fama di santità il 6 giugno 1134. Il suo corpo, dal 1627, riposa nel Monastero di Strahov, a Praga.
Dopo la sua morte il vescovo di Münster, suo caro amico, in sua memoria fondò il monastero doppio di Asbeck. Venne canonizzato da papa Gregorio XIII nel 1582. La Chiesa cattolica lo celebra il 6 giugno.Norberto, forse senza avere una reale vocazione, si avviò alla carriera ecclesiastica, facendosi ordinare suddiacono e divenendo cappellano di Enrico V. Per una trentina d’anni fu perlopiù attratto dalla vita di mondo, fino a un fatto avvenuto nel 1115. Mentre cavalcava verso la città di Vreden un fulmine ne causò la violenta caduta da cavallo e per circa un’ora rimase incosciente a terra.
Dopo lo scampato pericolo, la sua fede si accrebbe. Rinunciò alla sua carica a corte e iniziò una vita di penitenza. Fondò una prima abbazia e si fece ordinare sacerdote, mentre intanto andava aumentando il suo amore per l’Eucaristia e la sua devozione per la Madonna. Tentò di riformare il capitolo dei canonici di Xanten, ma i suoi tentativi non andarono a buon fine, forse anche a causa dell’ascetismo eccessivamente duro che aveva cercato di stabilire. Dopo aver donato tutti i suoi beni ai poveri, andò da san Gelasio II, che gli diede il permesso di operare come predicatore itinerante. Svolse tale missione tra il Belgio, la Francia, la Germania e l’Olanda, esortando alla conversione e ammonendo lo stesso clero, specie riguardo al non rispetto del celibato.
Il vescovo di Laon gli chiese poi di fondare un monastero nella sua diocesi, donandogli una terra nella foresta di Voas. Norberto scelse di adottare la Regola di sant’Agostino e il 25 dicembre 1120, insieme a tredici discepoli, pronunciò i voti solenni a Prémontré: nacque così l’Ordine Premostratense, i cui membri sono detti anche Norbertini. Nell’atto di donazione il luogo era chiamato con il latino Praemonstratus, nel possibile senso di “(Luogo) Indicato (da Dio)”, come emerge da una Vita scritta da san Goffredo di Cappenberg (Venit ad locum vere juxta nomen suum, a Domino premonstratum, electum e prædestinatum). Quest’ultimo era un conte che era rimasto impressionato dalla predicazione di Norberto e aveva lasciato tutto per entrare tra i premostratensi.
Nel 1126 Norberto venne nominato vescovo di Magdeburgo da Onorio II, il papa che diede l’approvazione all’ordine con la bolla Apostolicae disciplinae. Il santo continuò la sua opera anche nell’esercizio del ministero episcopale. Subì degli attentati per aver cercato di restaurare la disciplina ecclesiastica, che si era fin troppo rilassata. Nello scisma che si produsse nel 1130, sostenne Innocenzo II contro l’antipapa Anacleto II. Negli ultimi anni della sua vita fu cancelliere e consigliere dell’imperatore Lotario di Supplimburgo. Morì in fama di santità il 6 giugno 1134. Il suo corpo, dal 1627, riposa nel Monastero di Strahov, a Praga.
Una leggenda narra che durante la celebrazione della Messa in una cripta, avrebbe ingoiato un ragno velenoso caduto dentro il calice, senza accusare alcun malessere.
lunedì 5 giugno 2023
Cuore di Cristo!
Giugno è il mese del Sacro Cuore di Gesù. Moltissimi santi fra cui san Claudio de La Colombiere, San Pio da Pietrelcina, il servo di Dio Felice Cappello hanno onorato il cuore di Gesù e lo hanno amato e tradotto in viva devozione per le anime.
Devozione antica che affonda le sue radici nella spiritualità di Santa Margherita Maria Alacoque. La santa, nata in Francia nella zona delle Borgogna il 22 luglio 1647, è figlia della buona borghesia francese. Il padre è un notaio e fin da piccola in casa apprese la fede come risposta di amore alla passione del Redentore per l’umanità.
Le fonti narrano che non ancora religiosa emette il voto segreto di castità, donandosi a Dio in segno di speciale consacrazione.
La famiglia avrebbe voluto che si sposasse, ma Margherita Maria sceglie la vita religiosa affrontando l’opposizione paterna ed entrando nel monastero della Visitazione.
L’ordine fu fondato nel 1610 da San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, e da santa Francesca Fremiot di Chantal per una vita di preghiera, contemplazione e visite ai poveri ed ai malati.
Giovanissima, in convento approfondisce la spiritualità oblativa dell’ordine, professandone la regola. Fu una religiosa molto devota. Visse un’esistenza casta, povera ed obbediente. Compì una vita religiosa con molte mortificazioni, come l’ascetica del tempo richiedeva, ma fu sempre una donna serena e con un grande senso dell’equilibrio.
Diversi furono i doni mistici e le apparizioni della Vergine e del Risorto che le permisero di realizzare il proprio disegno: instaurare nel mondo la devozione al Cuore di Gesù.
La spiritualità del Cuore di Cristo a cui si ispirarono moltissimi testimoni della fede è fondata sull’offerta e sulla donazione dell’anima nelle mani del Cristo. Una devozione sentita che si spiega in alcune pratiche come quella dei Primi Venerdì o della coroncina al Sacro di Gesù. Ma il contenuto di questa forma di pietà è appartenere al Signore seguendone il suo Vangelo, e adorando il Padre in spirito e verità.
Una spiritualità sentita e coerente ai richiami del proprio battesimo è parte integrante del seguire il messaggio proposto nelle Beatitudini. Santa Margherita Maria ebbe diverse tribolazioni e prove, ma su tutte rispose con il silenzio e quella preghiera che si fa abbandono nelle braccia del Padre.
Fu una religiosa animata da un forte spirito di servizio e di oblatività che manifestava nell’accoglienza e nella disponibilità alle necessità del quotidiano.
Conosciuto il padre de La Colombiere lo scelse come padre spirituale per una specialissima mozione interiore che lo indicava come amico del Sacro Cuore e testimone di quell’amore.
“Gli elementi essenziali della devozione al Cuore di Cristo appartengono in modo permanente alla spiritualità della Chiesa, lungo tutta la sua storia. Perché fin dall’inizio, la Chiesa alzò il suo sguardo al Cuore di Cristo trafitto sulla croce… Sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderata,il Regno del Cuore di Cristo!”.
Sul cuore misericordioso di Dio vi sono molti accenni nell’Antico Testamento. Di Gesù “mite e umile di cuore” e della sua misericordia si parla molto nel Nuovo Testamento. I Padri della Chiesa e i mistici medievali si soffermano sull’importanza dell’amore divino, di cui il cuore è la maggiore espressione.
I primi impulsi alla devozione del Sacro Cuore di Gesù provengono dalla mistica tedesca del tardo Medio Evo, rappresentata in modo particolare da Matilde di Magdeburgo e S. Gertrude di Hefta (seconda metà del XIII secolo).
La devozione al Sacro Cuore in senso moderno ha però inizio con San Francesco di Sales (1567-1622). Il capolavoro del Santo della Savoia è
“Il trattato dell’amor di Dio – Teotimo”, nel quale la storia del mondo appare come “storia d’amore” da scoprire nel cuore di Gesù:
“Stabilirò la mia dimora nella fornace di amore,nel cuore trafitto per me. Presso questo focolare ardente sentirò rianimarsi nelle mie viscere la fiamma d’amore finora così languente. Ah! Signore,il vostro cuore è la vera Gerusalemme; permettetemi di sceglierlo per sempre come luogo del mio riposo…”.
Coroncina al Sacro Cuore di Gesù
1. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto!”, ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.
2. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, Egli ve la concederà!”, ecco che al Padre tuo, nel tuo nome, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.
3. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole mai!”, ecco che, appoggiato all’infallibilità delle tue sante parole, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.
O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non avere compassione degli infelici, abbi pietà di noi miseri peccatori, ed accordaci le grazie che ti domandiamo per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria, tua e nostra tenera Madre.
· S. Giuseppe, padre putativo del S. Cuore di Gesù, prega per noi.
Recitare Salve o Regina
domenica 4 giugno 2023
Gli scritti dello stesso don Mortara smentiscono le falsità della pellicola di Bellocchio
Edgardo Mortara (a destra) insieme alla madre |
di Ermes Dovico
Edgardo Mortara era un bambino ebreo, nato a Bologna il 27 agosto 1851
Nel film di Bellocchio (Rapito) sul caso Mortara, il bambino ebreo battezzato in articulo mortis e poi separato dai genitori. Già nel trailer è chiara la mistificazione dei fatti. Fatti che lo stesso Edgardo Mortara, morto in odore di santità, ricostruì efficacemente in un memoriale indigesto ai nemici della verità.Il caso Mortara, Mondadori, 1996), che ha contribuito a rilanciare la leggenda nera contro la Chiesa cattolica. Al di là del titolo del film, già dal trailer si capisce il genere di mistificazioni che saranno proiettate sugli schermi.
Nel trailer si vede un messo ecclesiastico che si reca in piena notte, accompagnato da alcune guardie, in casa dei Mortara per comunicare loro per la prima volta che il loro piccolo Edgardo è stato battezzato e che c’è l’ordine di «portarlo via». Si vede quindi il padre prendere di scatto il bambino tra le braccia e dirigersi verso la finestra, urlando: «Vogliono portarcelo via!». Si dirà che è una versione romanzata, ma la distorsione clamorosa dei fatti – per un film che comunque dice di fare riferimento a una storia vera – rimane. Così come rimarrà il condizionamento nelle menti di quanti vedranno scene simili, ignorando appunto le tante verità taciute, a danno della Chiesa.
Eppure, basterebbe leggere l’esaustivo memoriale che il protagonista della vicenda, Edgardo Mortara, scrisse nella sua piena maturità, nel 1888, quando aveva 37 anni. Un memoriale scritto in castigliano durante il suo apostolato in Spagna e poi custodito negli archivi romani dei Canonici Regolari del Santissimo Salvatore Lateranense, l’ordine in cui don Pio Maria Mortara, il suo nome in religione, volle liberamente e fortemente entrare non appena l’età glielo consentì. Tradotto in italiano, il memoriale è stato pubblicato integralmente nel 2005 in un libro introdotto da Vittorio Messori
«Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX». Il memoriale inedito del protagonista del «caso Mortara»che smonta pezzo per pezzo la leggenda nera e dà conto, in modo esemplare, delle ragioni della fede. È quindi curioso che certe élite culturali continuino a preferire ricostruzioni parziali, pur di propagare la propria ideologia. Guardiamo dunque i fatti.
Siamo a Bologna, allora nello Stato Pontificio. Edgardo, nono dei 12 figli di Marianna e Salomone Mortara, ha poco più di un anno quando viene colpito da una terribile malattia con violente febbri. Il male progredisce con sintomi tali che nel giro di alcuni giorni i medici lo danno per spacciato. La morte appare imminente. È in queste circostanze che la giovane Anna Morisi, la domestica cattolica dei Mortara, si ricorda quanto insegna la Chiesa a proposito del battesimo di necessità, cioè in articulo mortis. Di nascosto, con in mano un bicchiere d’acqua, battezza il bambino per aspersione, pensando che quel gesto avrebbe donato – di lì a breve – il Paradiso al piccolo Edgardo. Solo che l’attesa morte non sopraggiunge. A poco a poco, infatti, il bambino si ristabilisce completamente. Anna entra nel panico, comprendendo le possibili conseguenze di una sua rivelazione. E decide di tacere.
Passano circa cinque anni. Stavolta, ad ammalarsi è un fratellino di Edgardo, Aristide. Anche lui è in pericolo di morte. Le amiche di Anna la supplicano di battezzarlo, ma lei rifiuta, e confida infine quanto avvenuto cinque anni prima con Edgardo. Intanto, il piccolo Aristide muore, non battezzato. Su consiglio delle amiche, Anna rivela la vicenda di Edgardo al proprio confessore e da lì a breve la catena di comunicazioni, con il consenso della giovane, arriva fino al papa. Il beato Pio IX non perde tempo. Dà ordine che si mettano in atto tutti i tentativi possibili di conciliazione, per far capire ai genitori che la Chiesa ha il dovere – in quanto Edgardo è stato eccezionalmente ma validamente battezzato – di dare al bambino un’educazione cristiana. Lo stesso papa assicurava che avrebbe mantenuto a sue spese il bambino in un collegio cattolico di Bologna, dove sarebbe rimasto fino alla maggiore età e dove i genitori avrebbero potuto visitarlo a loro piacimento.
C’è da aggiungere che nei territori pontifici c’erano allora delle leggi che proibivano agli ebrei di avere al loro servizio domestiche cristiane: leggi che erano intese a tutelare la stessa comunità ebraica, evitando all’origine situazioni complicate, come già era avvenuto sotto altri papi. I genitori di Edgardo sapevano insomma a quale “rischio”, nella loro prospettiva, andavano incontro prendendo in casa una cattolica.
Ma nonostante tutto i Mortara, presi da un dolore misto a rabbia, respinsero i vari tentativi di conciliazione susseguitisi nel tempo e ciò anche quando furono informati dal buon padre Pier Gaetano Feletti (incaricato di gestire il caso) che la Chiesa, seppur con dispiacere, sarebbe stata costretta – in caso di nuovo rifiuto – a procedere al sequestro forzato del bambino. Cosa che avvenne, dopo un’ulteriore preparazione, il 24 giugno 1858. Il “rapimento” quasi improvviso suggerito dal trailer di Bellocchio [e che appare poi consumarsi in un paio di giorni, nei tempi comunque distorti del film: vedi qui] è dunque un falso storico.
Il sequestro si rendeva peraltro necessario per il pericolo che Edgardo fosse spinto a una forzata apostasia e per il clima rovente che l’ampia fazione avversa alla Chiesa aveva creato, fino alla minaccia di scontri a sangue. Sul caso, con il pretesto di voler difendere la comunità ebraica ma in realtà di umiliare la Chiesa, si fiondarono i governi, la stampa, le logge massoniche e i politici di mezzo mondo. In testa all’opposizione, come spiega lo stesso don Pio Mortara, c’era Napoleone III, manovrato dalle suddette logge e infastidito da un atteggiamento ecclesiale che giudicava anacronistico. Seguivano a ruota Cavour e altri, che vedevano nella vicenda di quel bambino – come emerge dalle lettere di quegli stessi personaggi – un’occasione unica per porre fine al potere temporale della Chiesa. Difatti, il caso Mortara contribuì ad accelerare la «questione romana» che culminò nella breccia di Porta Pia. Ma soprattutto quell’attacco era diretto alla missione spirituale della Chiesa.
Quello che i laicisti e anche i cattolici liberali dell’epoca rifiutavano di accettare era il significato del sacramento del Battesimo, che era invece ben noto a Pio IX e sarebbe stato poi spiegato con straordinaria efficacia dal nostro Edgardo. Nonostante per i suoi primi sette anni di vita fosse stato educato nella più stretta osservanza dell’ebraismo e non avesse mai sentito parlare di Gesù, don Pio Mortara testimonia, con diversi esempi, come l’azione invisibile della Grazia operasse in lui fin da prima del sequestro, suscitando in lui, bambino, un’attrazione soprannaturale verso chiese e funzioni cristiane.
Anche la docilità che manifestò fin dalle prime ore dopo il sequestro, seppur in mezzo a qualche comprensibile moto di ribellione per la separazione dai genitori, risulta inspiegabile a una logica meramente umana. Nel viaggio verso Roma gli erano stati insegnati il Padre Nostro e l’Ave Maria, con i primi rudimenti di fede cristiana. L’operare della Grazia nell’animo del piccolo Mortara fu tale che quando i genitori, poco tempo dopo, giunsero a Roma – andandolo a visitare per almeno un mese di seguito, nella speranza di riportarlo a casa – fu lo stesso bambino a guardare con orrore a quella prospettiva. E ciò nonostante provasse e avrebbe continuato a provare per tutta la vita un grande amore per i suoi genitori. Ma già da allora, bambino di sette anni, pregava perché accogliessero Gesù. Edgardo era e si sentiva già in tutto e per tutto cristiano e, da lì in poi, fino alla fine della sua vita terrena, a 88 anni e mezzo, avrebbe cercato di conquistare anime a Cristo, morendo in odore di santità.
Il tutto dopo una vita vissuta in una profonda gratitudine verso gli uomini e le donne che lo avevano reso un figlio della Chiesa, da Anna Morisi a Pio IX. Un papa che – per citare uno dei tanti elogi contenuti nel memoriale di Mortara - «rimanda tutto, dimentica tutto, per occuparsi del futuro di un povero bambino che una giovane domestica ha reso figlio di Dio, fratello di Cristo, erede della gloria eterna in seno a una famiglia israelita. Per salvare l’anima di questo bambino, il grande pontefice sopporta tutto, si espone a tutto, sacrifica tutto, mette a rischio persino i suoi Stati, davanti al furore, all’infernale accanimento dei nemici di Dio». Un papa, dunque, che era mosso da un’unica consapevolezza: nemmeno il mondo intero vale una sola anima.
fonte la Bussola
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