Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

mercoledì 31 gennaio 2024

Giovanni Bosco Padre e maestro della Gioventù



San Giovanni Bosco,fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, pochi lo conoscono nella sua ricchezza interiore. È molto più facile abbinarlo all’oratorio e finirla lì. Anzi, nemmeno all’oratorio, ma solo al gioco, al divertimento. Non è un santo facile da capire perché, 200 anni fa, ha messo insieme in modo armonico, straordinario e per molti, preti compresi, quasi impossibile, fede, preghiera, allegria, studio, lavoro ed educazione. 

Fu canonizzato alla chiusura dell’anno della Redenzione nel 1934. Fu «padre e maestro della gioventù». «Alla scuola di don Bosco, noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri», disse san Domenico Savio.
Giovanni Bosco nacque in una famiglia contadina ai Becchi, una frazione di Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) il 16 agosto 1815. Il padre, Francesco, che aveva sposato in seconde nozze Margherita Occhiena, morì quando lui aveva due anni e in casa non mancarono certo le difficoltà anche perché il fratellastro Antonio era contrario a far studiare il ragazzino che pure dimostrava una intelligenza non comune. A nove anni, Giovanni fece un sogno che gli svelò la missione a cui lo chiamava il Signore: si trovò in mezzo a dei ragazzi che bestemmiavano, urlavano e litigavano e mentre lui si avventava contro di loro con pugni e calci per farli desistere, vide davanti a sé un uomo dal volto luminosissimo che gli si presentò dicendo: «Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno» e aggiunse: «Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». Poi apparve una donna di aspetto maestoso, la Vergine Maria che, mostrandogli il campo da lavorare - «capretti, cani e parecchi altri animali» - gli disse: «Renditi umile, forte e robusto» e, posandogli la mano sul capo, concluse: «A suo tempo tutto comprenderai».

NA STORIA FAMILIARE DIFFICILE

Già allora Giovanni alla domenica, dopo i Vespri, riuniva i suoi coetanei sul prato davanti a casa intrattenendoli con giochi vari e con acrobazie che aveva imparato dai saltimbanchi delle fiere, poi ripeteva loro la predica che aveva ascoltato in chiesa e che, essendo dotato di una memoria eccezionale, ricordava perfettamente. Dopo la prima comunione (il 26 marzo 1826) per sottrarsi alle prepotenze del fratellastro, dovette andarsene da casa, lavorando come garzone alla cascina Moglia. Lì, nel novembre 1829, di ritorno da una missione predicata a Buttigliera d’Asti, si imbatté in don Giovanni Calosso, cappellano di Morialdo il quale, saputo da dove veniva, gli chiese di dire qualcosa sulla predica che aveva ascoltato e il ragazzo gliela ripeté interamente. Il sacerdote, stupito, si impegnò ad aiutarlo negli studi dandogli le prime lezioni di latino. Purtroppo il buon prete morì improvvisamente un anno dopo e Giovanni poté riprendere a studiare soltanto nel 1831, terminando a tempi di record in quattro anni le elementari e il ginnasio. Si pagava la scuola facendo ogni sorta di mestieri: sarto, barista, falegname, calzolaio, apprendista fabbro.

L'INIZIO DELL'APOSTOLATO TRA I GIOVANI

Il 25 ottobre 1835, a vent’anni entrò nel seminario di Chieri rimanendovi sei anni e il 5 giugno 1841 era ordinato sacerdote. Subito dopo, su consiglio di san Giuseppe Cafasso, passò al Convitto Ecclesiastico di Torino per perfezionarsi in teologia morale e prepararsi al ministero. E nell’attigua chiesa di san Francesco d’Assisi l’8 dicembre di quello stesso anno cominciò il suo apostolato facendo amicizia con un giovane muratore, Bartolomeo Garelli, che era stato maltrattato dal sacrista perché non sapeva servire la messa. Don Bosco gli fece recitare un’Ave Maria e lo invitò a tornare da lui con i suoi amici. Nacque così l’oratorio. Inizialmente, le riunioni avvenivano nell’Ospedaletto di santa Filomena per bambine disabili, che si stava costruendo a Valdocco per iniziativa della Serva di Dio Giulia Colbert, marchesa di Barolo, perché don Bosco era stato assunto dalla marchesa come secondo cappellano del “Rifugio”, una struttura realizzata da lei per favorire il reinserimento nella società di ex detenute e per salvare dalla strada le ragazze a rischio. Una stanza dell’Ospedaletto fu trasformata in cappella e dedicata a san Francesco di Sales, di cui la marchesa aveva fatto dipingere l’immagine su una parete. L’oratorio, superate diverse traversie, trovò poi la sua sede definitiva a poche centinaia di metri, sempre a Valdocco, nell’aprile 1846: ad esso col tempo si sarebbe aggiunto un internato per studenti e artigiani, mentre nel 1852 sarebbe stata benedetta la chiesa dedicata s san Francesco di Sales. Qualche anno dopo sarebbe nata la Congregazione Salesiana al servizio della gioventù, che avrebbe raggiunto uno sviluppo incredibile in Italia e all’estero.


Nel suo instancabile apostolato educativo, il santo trovava anche il tempo di scrivere numerosi libri per la gioventù. In quegli anni furono stampati la Storia Sacra, la Storia Ecclesiastica, la Vita di Luigi Comollo, un giovane seminarista suo compagno di studi morto in concetto di santità, la Corona dei sette dolori, il Divoto dell’Angelo Custode e Il Giovane provveduto, quest’ultimo tradotto, ancora lui vivente, in francese, spagnolo e portoghese.

Nel 1853 cominciò la pubblicazione delle Letture Cattoliche per la preservazione della fede nel popolo, che ebbero un successo immediato. Seguirono poi opere agiografiche come la Vita di S. Giuseppe e le Vite dei Papi dei primi secoli. Nel 1877 cominciò il Bollettino Salesiano, ancora oggi diffuso nel mondo in 56 edizioni e in 26 lingue raggiungendo 135 paesi. Fu ancora lui, inoltre, a realizzare la prima tipografia come scuola grafica. Ovviamente, dato il clima anticlericale di allora, l’oratorio di Valdocco fu soggetto a visite e a ispezioni da parte del governo liberale, cui era nota la fedeltà incondizionata di Don Bosco al Papa. Tuttavia, la fama che egli si era guadagnato per la sua opera educativa tra i giovani gli consentì di fare da mediatore nei contrasti tra lo Stato italiano e Santa Sede, come ad esempio nel segnalare al governo i nomi di possibili vescovi per le chiese vacanti. Per questo egli è considerato uno degli antesignani della Conciliazione fra Stato e Chiesa.

LA DEVOZIONE A MARIA AUSILIATRICE

Nel 1868 era stata consacrata a Valdocco la basilica di Maria Ausiliatrice, frutto delle grazie straordinarie della Madonna e della fede del santo il quale, quattro anni dopo, ispirato all’alto, realizzava un altro monumento alla Vergine, fondando l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile dopo aver incontrato un gruppo di giovani, in qualche modo consacrate, dirette da don Domenico Pestarino e animate da santa Maria Domenica Mazzarello. Le case dei salesiani intanto si moltiplicavano e nel 1876 Don Bosco organizzò la prima spedizione missionaria, con meta la repubblica Argentina. Da allora l’espansione procedette a ritmi sempre più intensi. Nel 1880 Leone XIII affidò al santo la costruzione del tempio del S. Cuore a Roma, e per questo Don Bosco si recò questuante a Parigi suscitando ammirazione per miracoli e grazie eccezionali da lui ottenuti; nel 1886 si recò in Spagna, accolto altrettanto trionfalmente dalla popolazione. Fece appena in tempo a recarsi a Roma per l’inaugurazione della basilica del S. Cuore, mentre si aggravavano le sue condizioni di salute. Morì il 31 gennaio 1888. Fu beatificato da Pio XI nel 1929 e da lui canonizzato il giorno di Pasqua (1° aprile) del 1934.
Giovanni Paolo II lo definì «Padre e maestro della gioventù» per la sua pedagogia, sintetizzabile nel “sistema preventivo”, che si basa su tre pilastri: religione, ragione e amorevolezza e si propone di formare buoni cristiani e onesti cittadini. Uno dei capolavori della sua pedagogia fu S. Domenico Savio. Don Bosco, uno dei santi più amati invita, è anche oggi uno dei più invocati e popolari per le grazie che si ottengono incessantemente per sua intercessione.

martedì 30 gennaio 2024

Santuario Madonna dell'Ambro




“Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà.”
[Salmo 46]

Perciò non temiamo se la terra è sconvolta,
se i monti si smuovono in mezzo al mare,
se le sue acque rumoreggiano, schiumano
e si gonfiano, facendo tremare i monti...




Il Santuario


Il Santuario Madonna dell'Ambro prende il suo nome dal vicino Torrente Ambro, è uno dei santuari delle Marche più antichi e più visitati (dopo Loreto).
Definito anche la piccola Lourdes dei Monti Sibillini, è situato a 658 m di altitudine, incastonato tra Monte Priora e Monte Castel Manardo.
Posto nel cuore del Parco dei Sibillini, in uno scenario di rara bellezza, consente allo spirito e al corpo, di trovare pace e ristoro.
Il Santuario ha avuto origine dall' apparizione della Vergine ad una bambina di nome Santina sordomuta fin dalla nascita. In cambio delle preghiere e delle offerte di fiori che la ragazza era solita portare presso un'immagine della Madonna posta nella cavità di un faggio, la Santa Vergine le dette il dono della parola.


L'Apparizione


La tradizione, indefinibile e percorsa da venature leggendarie, fa risalire le origini del Santuario addirittura al Mille e narra quanto segue:
"Nel maggio del Mille, la Vergine SS.ma, cinta di straordinario splendore, apparve in questa sacra roccia, all'umile pastorella Santina, muta fin dalla nascita. La fanciulla ottenne il dono della parola in premio delle preghiere ed offerte dì fiori silvestri che ogni giorno faceva all'immagine della Madonna, posta nella cavità di un faggio (..... probabilmente una quercia tenuto conto delle altre analoghe apparizioni della Madonna e da quanto riportato dal "Bollettino del Comitato per la costruzione della strada rotabile "

per l'Ambro - Anno 1 - N. 1 - Settembre 1998:
".....su in alto, ben disposta al tronco di una quercia, campeggiava l'immagine della Regina dell'Ambro, cui erano di padiglione quei rami annosi .... )".


La piccola Lourdes dei Sibillini



Il Santuario è chiamato anche "la piccola Lourdes dei Sibillini" perché assomiglia molto al più grande e famoso Santuario della Francia.
- Lourdes è collocata in una valle dei monti Pirenei.
- Il nostro Santuario e collocato in una vallata dei monti Sibillini.
- A Lourdes accanto alla grotta dell'Apparizione sccorre un fiume: il Gave.
- Anche accanto al nostro Santuario scorre un fiume : l'Ambro. Proprio da questo fiume prende il nome il Santuario.
- A Lourdes la Madonna è apparsa ad una bambina che si chiama Bernadette.
- Qui la bambina , a cui è apparsa la Madonna, si chiama Santina.

Inoltre, la roccia che fa da padrona in tutto l'ambiente, ricrea l'atmosfera della grotta dove Maria apparve a Bernadette Soubirou.

Il santuario, il porticato ed il campanile sono costruzioni del XX secolo ma le prime notizie del santuario risalgono al 1037 quando i feudatari del luogo, legati all'Abbazia Benedettina di S.Anastasio, la abbellirono donando ai frati alcuni beni. Nel 1602 l'edicola divenuta troppo piccola e danneggiata dall'usura del tempo, fu ricostruita più grande, ma nell'anno successivo, l'architetto Venturi di Urbino iniziò la costruzione di una nuova grande chiesa incorporandovi la precedente in modo che l'immagine della Madonna, attraverso un ampio finestrone, apparisse come pala dell'altare maggiore. A tutt'oggi è ancora così: la statua di Maria, una figura maestosa, scolpita in pietra e seduta in trono, sorride dalla grata sopra l'altare. La vecchia cappella è tappezzata da centinaia di foto di bambini, famiglie, donne, uomini, soldati in bianco e nero che ringraziano la Madonna di una grazia. All'interno della chiesa ci sono dipinti di Sibille, a testimonianza di quanto la tradizione della Sibilla sia così radicata negli abitanti di questa terra che la connotazione negativa e demoniaca è una deformazione avvenuta soltanto in epoca recente: nel passato il sacro ed il profano si intrecciavano continuamente e senza traumi.

Il paesaggio

Oltre alla spiritualità, presente in questo luogo, visitare il Santuario consente di accedere a luoghi di indiscutibile bellezza. Il Santuario è immerso in un'ampia gola, tra Monte Priora (2.333 m) e Monte Castel Manardo (1.817 m), in una verde distesa che costeggia il torrente Ambro che, con le sue acque cristalline, dona una piacevole freschezza anche nelle torride giornate d'agosto.





Il segreto meraviglioso del santo Rosario di San Luigi Maria Grignion de Monfort

Aprite dunque gli occhi, anime devote che trascurate la preghiera composta dallo stesso Figlio di Dio e che ha comandato a tutti i fedeli: voi che apprezzate solo le preghiere composte dagli uomini, come se l’uomo, anche il più illuminato sapesse meglio di Gesù Cristo come si deve pregare. Voi cercate nei libri degli uomini il modo di lodare e di pregare Dio, come se aveste vergogna di quello che il Figlio suo ci ha insegnato. Siete convinti che le preghiere trovate nei libri siano per i sapienti e per i ricchi, e che il Rosario non sia che per le donne, per i fanciulli e per la gente comune, come se le lodi e le preghiere che voi leggete fossero più belle e più gradite a Dio, di quelle contenute nell’orazione domenicale. E’ una tentazione pericolosa quella di non gustare la preghiera che Gesù Cristo ci ha raccomandato, preferendo le preghiere composte dagli uomini. Non è per disapprovare quelle che i santi hanno composto per stimolare i fedeli a lodare Dio, ma non si può accettare che queste siano preferite alla preghiera uscita dalla bocca della Sapienza incarnata, e che si abbandoni la sorgente, per correr dietro ai ruscelli; che si sdegni l’acqua pura per bere acqua torbida. Perché il Rosario, composto dal Padre nostro e dall’Ave Maria, è quest’acqua pura e perenne, che sgorga dalla sorgente della grazia, mentre le altre preghiere, cercate sui libri, non sono che i piccoli ruscelli che da essa derivano.

San Bonaventura ci assicura che chi è vero devoto di Maria sarà scritto nel libro della vita. Vi saremo scritti sicuramente se saremo veri servi di Maria, poiché, secondo san Giovanni Damasceno, Dio non concede la devozione alla sua santa Madre se non a coloro che vuole salvi.
Bella la preghiera che Guglielmo d’Alvernia mette sulle labbra del peccatore che ricorre a Maria: O Madre del mio Dio, pur nella condizione in cui sono ridotto, io ricorro a te pieno di fiducia. Se tu mi respingi, sappi che ti ricorderò che in qualche modo sei tenuta ad aiutarmi: tutta la Chiesa ti proclama Madre di misericordia. Tu sei avvocata e mediatrice di pace. Dopo il Figlio tuo, sei l’unica speranza, l’unico rifugio. Sappi che tutto ciò che hai di grazia e di gloria e la tua stessa dignità di Madre di Dio – se me lo consenti – lo devi ai peccatori: per loro il Verbo divino ti ha fatto sua Madre.
O Maria, mia liberatrice, mia speranza, regina, avvocata e madre mia, io ti amo, ti voglio bene e voglio amarti sempre. Amen. Così sia. Da Le glorie di Maria – di sant’Alfonso Maria de Liguori

lunedì 29 gennaio 2024

I sacerdoti dell'eremo di Sant'Antonio non sono colpiti da nessun provvedimento canonico




Riceviamo e pubblichiamo - In ordine alle informazioni apparse recentemente nei quotidiani nazionali e locali ed alle dichiarazioni ufficiali della Curia di Viterbo, la comunità dei sacerdoti residenti all’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana intende precisare quanto segue:

1. I sacerdoti non sono colpiti da nessun provvedimento canonico che dichiari qualsiasi loro errore od allontanamento dalla fede. Non corrispondono al vero, quindi, le circostanze riferite da alcune fonti: essi non sono né eretici, né scismatici, né tanto meno sospesi a divinis. Poiché non esiste a loro carico nessuna accusa che riguardi la fede o la morale, non è stato celebrato alcun processo canonico a loro carico che riguardi la fede e la morale, non è stata irrogata alcuna pena a loro carico che riguardi la fede e la morale. Ciò può essere facilmente confermato dalla stessa Curia di Viterbo.

2. I sacerdoti intendono ribadire ed affermare chiaramente l’integrità della loro fede e la perfetta adesione alla Dottrina Cattolica ed al perenne Magistero della Chiesa in tutti i suoi elementi e in tutti i suoi componenti, né essi si pongono in conflitto o contrasto con alcun principio o istituzione della stessa.

3. Essi non sono neppure sospesi a divinis, in quanto nessun provvedimento restrittivo, come sopra chiarito, è stato assunto nei loro confronti. Molto semplicemente i membri della soppressa Fraternità Sacerdotale della Familia Christi, che erano già un tempo incardinati nella Fraternità stessa, dalla soppressione di essa si trovano unicamente nella condizione di vacatio canonica, e perciò di mancanza di incardinazione.

4. La presenza e la permanenza di quanti abitano all’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana sono pienamente legittime, non soltanto in ordine a chi ne detiene la proprietà, ma anche in ordine all’Autorità Ecclesiastica, dal momento che essi si ritirarono presso l’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana non per loro volontà, ma in obbedienza alle disposizioni dell’allora Commissario Pontificio della Fraternità Sacerdotale della Familia Christi, ottenendo per questo anche il favore dell’Ordinario di Viterbo.

5. Da quel momento, in silenzio, i sacerdoti sono rimasti all’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana per custodire, senza clamori, la loro vita di fede e di preghiera ed in questo modo intendono continuare a vivere. Tuttavia, qualora si insistesse nel diffondere a mezzo stampa o web circostanze o informazioni destituite di ogni fondamento di verità, la comunità dei sacerdoti residenti all’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana si troverà costretta ad agire con ogni mezzo utile e nelle sedi convenienti per tutelare la propria buona fama.

Stupisce come la Curia di Viterbo possa dichiarare quanto nel suo comunicato, solo in base ad articoli di giornale, senza aver mai attualmente promosso contatti, né relazioni, né chiarimenti di posizione con i sacerdoti residenti all’Eremo.

Stupisce come i giornali nazionali e locali diano spazio ad illazioni ed insinuazioni, col solo esito di favorire la disinformazione.

Stupisce come in una Chiesa della misericordia e dell’inclusività, un sacerdote della Diocesi di Viterbo si possa permettere temerariamente di rivolgere a dei suoi confratelli quanto a suo tempo urlò Giovanni Paolo II contro i mafiosi, favorendo un accostamento assolutamente offensivo e lesivo della reputazione di coloro cui si riferisce, senza sentirne in coscienza la gravità morale ed il bisogno di riparazione. Questo costituisce una prova ulteriore del pregiudizio che grava sulla

comunità dell’Eremo non per ragioni canoniche bensì ideologiche. La comunità si aspetta che l’Ordinario - in capo al quale cade la responsabilità definita dal Can. 824 co. 2 del Codice di Diritto Canonico – prenda le distanze da questa violenta aggressione da parte di un membro del suo presbiterio nei riguardi di suoi confratelli in piena comunione con la Chiesa. Le accuse infamanti formulate nei confronti dei sacerdoti dell’eremo e le espressioni arroganti verso Sua Eccellenza Mons. Carlo Maria Viganò costituiscono un motivo di scandalo e di disorientamento per molti fedeli.

Stupisce come un ex membro della Familia Christi, il dott. Mario Mancini, si possa permettere affermazioni menzognere ed offensive sui sacerdoti dell’Eremo, e continui a manifestare e divulgare falsità con un rancore accreditato da giornalisti, cui forse non viene riferito l’esito di un processo giudiziario celebrato a suo carico in tutti i gradi di giudizio e che ha visto stabilire con sentenza definitiva il suo allontanamento dall’Eremo della Palanzana, a causa di gravi inadempimenti verso quel contratto di comodato d’uso che lo legava alla proprietà.

Stupisce ancora come nella Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani, durante la quale a Viterbo sono state organizzate tante iniziative ecumeniche volte a promuovere una cultura di integrazione e vicendevole stima, si voglia colpire una realtà cattolica con la quale invece non si è mai favorito alcun dialogo e contro la quale si danno solo giudizi sommari, sollevando dubbi circa la sua rettitudine di fede e di morale.

Addolora infine, che il giorno della Festa di San Francesco di Sales, Patrono della buona stampa, si pubblichino simili falsità anche da parte di testate “cattoliche” in ispregio ai più elementari principi di verità, di carità e di giustizia.

La comunità dei Sacerdoti dell’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana in Viterbo

Mons. Carlo Maria Viganò LETTERA alla Madre Badessa del Monastero “Maria Tempio dello Spirito Santo” di Pienza



NOTA PRÆVIA

Questa lettera, inviata il 24 Novembre 2023 alla Badessa del Monastero di Pienza, era destinata a non essere pubblicata. L’inasprirsi degli attacchi e delle calunnie nei riguardi di Mons. Viganò e dell’Associazione Exsurge Domine e le notizie infondate e diffamatorie diffuse da alcuni organi di stampa rendono ora necessario portare a conoscenza del pubblico il contenuto di questa comunicazione, nella quale si ha prova che l’Arcivescovo ha fatto ricorso a tutti i mezzi umanamente possibili per evitare la rottura con la comunità benedettina di Pienza. Si rimanda in ogni caso ai comunicati dell’Associazione e al messaggio di Mons. Viganò del 28 Gennaio 2024.

comunicato-relativo-exsurge-domine– 28 Gennaio 2024
Comunicato del Presidente e del Patrono – 17 Dicembre 2023
Comunicato del Presidente e del Patrono – 22 Novembre 2023



24 Novembre 2023
San Giovanni della Croce

Reverenda Madre,

ho appreso con vivo rammarico di quanto avvenuto in occasione della restituzione dei beni che il Presidente di Exsurge Domine si era offerto di custodire in un suo deposito. Inutile che Le dica quanto ciò mi turbi e mi addolori.

Non penso occorra ricordarLe il bene che vi è stato fatto disinteressatamente, esponendomi io stesso in prima persona in un momento in cui l’Ordinario diocesano e la Santa Sede si scatenavano contro il Monastero ed esautoravano Lei come Badessa. Gli attacchi di cui sono stato fatto oggetto a causa di questa mia presa di posizione nei riguardi della Sua comunità sarebbero dovuti bastare, anche solo ad uno sguardo umano, a dimostrare la mia fiducia nella vostra buonafede. Gli ultimi eventi dimostrano ahimè il contrario, e mi pongono in una situazione incresciosa tanto nei riguardi dei miei Confratelli, del Presidente e dei membri di Exsurge Domine, quanto dinanzi all’opinione pubblica, visto che pubblica era stata la mia risposta alla vostra pressante richiesta di aiuto.

Non so dire se il Suo atteggiamento e quello delle Sue consorelle sia dettato da cattivi consiglieri o da altre ragioni: non sta a me giudicare né emettere giudizi sul foro interno, e non posso che pregare il Vostro Sposo perché vi illumini e vi mostri l’inganno in cui siete cadute. Nondimeno, per le conseguenze del vostro comportamento in foro esterno mi vedo mio malgrado costretto a chiederLe, in quanto Superiora della comunità, a considerare le gravi implicazioni spirituali e morali della vostra ribellione, delle quali siete tutte responsabili – e Vostra Reverenza in primo luogo – dinanzi a Nostro Signore, che legge nei cuori e nelle coscienze.

Se non posso condividere la vostra decisione – verso la quale il comunicato divulgato oggi da me e dal Presidente dà prova di estrema indulgenza e comprensione – posso purtuttavia prenderne atto, a patto che pari rispetto e correttezza siano garantiti da parte vostra. Ciò implica anzitutto il dovere di astenervi dal calunniare i miei Confratelli, i membri dell’Associazione e chi Le scrive, ricordandovi che il furto della buona reputazione impone, per essere assolto, la riparazione del danno causato; un danno che molto difficilmente può esser sanato, come certamente Ella e le Sue consorelle saprete per esserne state voi per prime oggetto, anche da parte del Vescovo di Pienza e del suo Successore, il Card. Arcivescovo di Siena. Sarebbe davvero un peccato – letteralmente – se l’esperienza pregressa non vi avesse fatto comprendere quanto offenda la Carità, la Verità e la Giustizia – tutti attributi di Dio – seminare una menzogna destinata ad essere smentita, se non da chi la subisce, certamente dal tempo galantuomo.

Voglio quindi augurarmi, per l’affetto spirituale che credo averLe mostrato e confermato a più riprese e per l’indulgenza con cui ho voluto affrontare la vostra decisione di ritirarvi dal progetto del Villaggio Monastico, che Ella e le Sue consorelle avrete la bontà di risparmiare a tutti noi attacchi tanto spiacevoli quanto ingiustificati, e che saprete far tesoro non solo della preziosa lezione di santità che la Provvidenza vi ha impartito facendovi attraversare la prova della vostra cacciata da Pienza, ma anche della fraterna carità di cui siete state oggetto da parte mia, dei miei Confratelli e dal Presidente di Exsurge Domine. Questo è un bivio davanti al quale la vostra anima è chiamata a compiere una scelta morale tra il bene da compiere e il male da evitare: non permettete che il Maligno, spirito di divisione, approfitti di questa occasione per allontanarvi dalla Grazia di Dio. È questo, in fondo, il principale motivo per cui Le scrivo: le questioni legali non mi interessano né tantomeno mi coinvolgono, mentre la salvezza della Sua anima e di quella delle altre Monache rimane il motivo per cui vi ho aiutato sin dall’inizio e per cui vorrei chiudere serenamente la vicenda presente.

Infine, vorrei che Ella ricordasse che la Croce pettorale consegnatale in occasione del nostro primo incontro voleva essere un gesto con il quale La riconoscevo e confermavo nella Sua dignità di Badessa. Se tenerla può costituire uno spirituale legame e la premessa di un futuro ravvedimento, sono felice di lasciargliela; se viceversa quella Croce rischia di divenire bottino di guerra, credo sia doveroso restituirla a chi con ben altre speranze gliene aveva fatto omaggio.

Sappiate di essere sempre nelle mie preghiere.

In Christo Rege,

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

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COMUNICATO relativo a Exsurge Domine e alla vicenda delle Benedettine di Pienza

 



Quando il capitano di una nave si imbatte in un gruppo di naufraghi, aggrappati a rottami di una zattera, il primo pensiero è quello di soccorrerli. Che tra quei naufraghi vi siano persone buone o cattive è impossibile a sapersi, comprensibilmente, e a quel capitano nessuno chiede che selezioni chi merita di essere tratto in salvo. Queste sono questioni che si possono affrontare solo in un secondo momento, quando i superstiti sono al sicuro.

L’Associazione Exsurge Domine è come una navicella che attraversa i mari agitati per tendere una mano a sacerdoti, religiosi, seminaristi che patiscono persecuzione dalla chiesa bergogliana e si trovano appunto come naufraghi abbandonati a se stessi. Il suo Statuto lo indica espressamente: l’Associazione si impegna a «provvedere all’assistenza, al sostegno e all’aiuto materiale di chierici, religiosi e laici consacrati che versino in condizioni di particolare difficoltà economiche e logistiche; difendere la Tradizione immutata e incorruttibile della Fede Cattolica; conservare e promuovere la Liturgia tradizionale; incentivare lo studio e l’approfondimento teologico e culturale dell’immenso patrimonio religioso, storico e artistico della Cristianità; favorire occasioni di dialogo e d’incontro tra le diverse associazioni, esperienze o gruppi operanti nell’ambito della Tradizione perenne della Chiesa Cattolica».

La decisione di aiutare le Benedettine di Pienza è stata dettata dalla loro pressante richiesta di trovare aiuto e protezione, così da essere sottratte alla decisione assunta dall’Ordinario e dal Dicastero per i Religiosi di deporre la badessa e costringere la Comunità ad omologarsi alle disposizioni deleterie di Cor Orans. Questo era quantomeno ciò che veniva addotto a motivazione della persecuzione di cui le Benedettine erano fatte oggetto, e non vi era motivo di supporre che la badessa non fosse sincera. Sotto la pressione delle irruzioni dei messi vaticani, le religiose si sono sentite assediate e mi hanno supplicato di prendermi a cuore la loro situazione. Ho immediatamente reso noto a livello internazionale quanto accadeva a Pienza con tre dichiarazioni pubbliche (qui, qui e qui). Fu in quella circostanza che la costituenda associazione Exsurge Domine ebbe una ragione in più per completare l’iter burocratico di costituzione e prestare aiuto nel modo più efficace alle Benedettine perseguitate.

Visto che pendeva la minaccia dello sfratto immediato, ci siamo subito attivati, da un lato per trovare una struttura idonea ad accogliere le monache; dall’altro per aiutarle a presentare ricorso contro i Decreti vaticani sospendendone gli effetti. Dopo assidue e accurate ricerche, non avendo trovato alcuna struttura che rispondesse alle esigenze delle Benedettine, l’Associazione Vittorio e Tommasina Alfieri a cui appartiene l’Eremo Sant’Antonio alla Palanzana, decise con il mio favore di mettere a disposizione una parte della proprietà per consentire la costruzione di quello che abbiamo chiamato “Villaggio Monastico” – ben delimitato dalla clausura – dove accogliere le monache, sfrattate dal Vescovo di Pienza e terrorizzate dai Superiori del Dicastero Vaticano.

I numerosi contatti e incontri avvenuti con la badessa e le consorelle parvero confermare la fiducia riposta in loro; una fiducia ricambiata dalle suore, che nel timore che i loro effetti personali potessero essere loro sottratti dall’Autorità ecclesiastica (già intervenuta bloccando il loro conto corrente) ci chiesero di tenere in custodia le loro masserizie, poste gratuitamente in due depositi di proprietà del Presidente di Exsurge Domine (solo di recente le suore hanno ritirato dai depositi le loro mercanzie).

Venne dunque dato pubblico annuncio del progetto del “Villaggio Monastico” da parte di Exsurge Domine, e io stesso non ho risparmiato interventi ed anzi mi sono esposto in prima persona in molteplici modi, sostenendole nella loro azione di resistenza. Se l’iter canonico di allontanamento delle Monache dall’ex-Seminario estivo di Pienza è stato fermato; se sono stati sospesi i provvedimenti del Dicastero per i Religiosi che prevedevano la deposizione della badessa, la sua dimissione dallo stato religioso, l’invio della Priora al “monastero” di Bose e lo smembramento della Comunità, ciò lo si deve all’impugnazione del Decreto da parte di un canonista da noi indicato.

All’inizio del mese di Giugno le suore pubblicavano una lettera aperta (qui) in cui esprimevano la loro gratitudine nei miei confronti e per l’aiuto dei sacerdoti che avevo inviato al Monastero per assisterle. Cosi scrivevano le monache: «Permetteteci di esprimere pubblicamente i nostri ringraziamenti, anzitutto a Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Carlo Maria Viganò, nel quale abbiamo trovato un padre e un pastore della Chiesa di Cristo cha ha grande cura di noi e che ci ha difeso e sostenuto in questa battaglia per la Verità e la Giustizia. Grazie pure a quei Sacerdoti che non hanno avuto paura delle ripercussioni e ci hanno assistito da veri pastori: un giorno la Chiesa onorerà questi silenziosi eroi del nostro tempo».

Abbiamo fatto predisporre un progetto tecnico per il “Villaggio Monastico” con un preventivo di spesa di un milione e mezzo di euro e organizzato una raccolta fondi. Le somme raccolte per l’allestimento della struttura – peraltro sinora molto al di sotto del budget necessario – sono state meticolosamente contabilizzate come previsto dalla Legge vigente per le associazioni senza fine di lucro e dallo stesso Statuto di Exsurge Domine. Un utilizzo dei fondi per scopi estranei ai fini dell’Associazione, come da più parti insinuato, è impossibile e del tutto falso.

Una volta lanciato il progetto del “Villaggio Monastico”, l’atteggiamento della badessa e delle consorelle si è progressivamente deteriorato. La frequentazione delle monache ha via via reso evidente l’impronta neocatecumenale della loro formazione, che pretende che i Pastori assecondino ogni loro estro senza esercitare la propria apostolica Autorità. Questo atteggiamento conduce inevitabilmente ad uno spirito di anarchia, di autoreferenzialità e di indipendenza senza limiti. Alla legittima resistenza agli ordini ingiusti e agli abusi da parte della Santa Sede e dell’Ordinario non ha corrisposto da parte della badessa un atteggiamento rispettoso nei modi e di soprannaturale obbedienza verso chi ha cercato di esercitare l’autorità nella Carità in nome di Cristo.

Dopo aver deciso di destinare il “Villaggio Monastico” all’accoglienza delle Benedettine di Pienza, abbiamo coinvolto le monache nel progetto, invitandole a visitare i lavori, chiedendo loro suggerimenti e raccogliendo le loro richieste. A tale scopo abbiamo sottoposto alla loro valutazione i progetti tecnici, i rendering, la strutturazione e l’organizzazione degli spazi, la tipologia di materiali da usare: tutto fino ai minimi dettagli, adattati di volta in volta alle esigenze espresse dalle monache. Questa disponibilità da parte di Exsurge Domine non è però stata considerata sufficiente. Di ritorno dal loro periodo di vacanze in montagna lo scorso mese d’Ottobre, la badessa iniziò ad insinuare ossessivamente il sospetto di interessi illeciti, accusando Exsurge Domine di voler speculare sul progetto del “Villaggio Monastico” strumentalizzando le monache per altri fini, e accusando i Padri della Palanzana di approfittare delle donazioni per «rifarsi l’Eremo». La badessa ha preteso di essere coinvolta nei lavori e di poter sindacare sulla destinazione dei fondi, di avere l’elenco dei donatori di Exsurge Domine, di accedere alle mail, giungendo perfino ad asserire che l’Associazione era stata fondata per le monache di Pienza.

Con il passare del tempo è andato componendosi un quadro assai problematico sulla Comunità pientina. Le monache provengono da una travagliata situazione pregressa. All’iniziale impostazione di marchio neocatecumentale si è sovrapposta una totale mancanza di formazione monastica. Queste problematicità hanno indotto le religiose a forgiarsi un proprio stile di vita del tutto autonomo e discrezionale, nel quale erano completamente assenti il raccoglimento interiore e il silenzio, la discrezione, il rispetto della clausura e tutto ciò che costituisce la premessa esteriore di uno spirito autenticamente claustrale.

A ciò si aggiunga la scarsa disponibilità ad intraprendere un percorso di correzione e rifondazione in chiave tradizionale dell’intera Comunità, rinunciando a comportamenti ed abitudini bizzarri ormai acquisiti; la riluttanza ad accogliere verità di Fede misconosciute o adulterate dal Cammino Neocatecumenale, fino alla incapacità di mantenere relazioni umane stabili e rispettose.

A ciò si aggiunga la situazione di grande imbarazzo e disagio per la presenza della madre della badessa, che non solo vive stabilmente nella comunità ma è considerata membro della stessa – tanto da trovare posto in coro alla destra della badessa – ingerendosi nelle questioni di governo strettamente attinenti alle deliberazioni del Consiglio della badessa.

Le pretese da parte della badessa (e delle consorelle) di controllare e interferire con prepotenza nell’attività dell’Associazione e nelle decisioni del suo Consiglio Direttivo si sono spinte fino al rifiuto della proposta di un comodato d’uso perpetuo e a rivendicare per esse la proprietà del “Villaggio Monastico”, come se dovesse essere loro garantito per diritto. Non corrisponde dunque a verità ciò che scrive La Nuova Bussola Quotidiana (qui), quando il Direttore Cascioli afferma che le suore «non riescono ad ottenere nessuna garanzia sul loro futuro e sulla loro sistemazione. Viene rifiutata loro qualsiasi forma contrattualmente garantita o un comodato d’uso, e inoltre le monache lamentano la mancanza di trasparenza nella raccolta dei fondi e anche l’ordine dei lavori».

Dinanzi a queste reazioni incontrollate e intromissioni indebite della badessa, abbiamo cercato in tutti i modi di evitare una rottura, invitando le monache a un dialogo chiarificatore, invitandole all’Eremo per la verifica dello stato dei lavori in diverse occasioni, l’ultima della quale in ricorrenza del Pontificale di Ognissanti, e poi nuovamente per la festa di San Carlo Borromeo. Il loro ostinato rifiuto ai reiterati inviti tradiva un’ostilità sempre più aggressiva. Alla fine, con una decisione unilaterale, le religiose hanno rotto ogni rapporto, adducendo a propria giustificazione il venir meno della fiducia nei nostri confronti, quando invece sono state le monache ad alimentare il sospetto con una congerie di accuse false e offensive. Il Consiglio Direttivo non ha potuto se non prendere atto della decisione delle monache, che è stata vissuta da tutti i membri di Exsurge Domine con grande costernazione. Per questo motivo, dinanzi a invettive, insulti, parole scomposte e addirittura menzogne della badessa nei riguardi miei e dei sacerdoti dell’Eremo, abbiamo deciso di diramare due Comunicati ufficiali, il 22 Novembre 2023 (qui) e il 17 Dicembre 2023 (qui).

C’è forse da pensare che quando le suore hanno compreso che la prospettiva di un Monastero messo a disposizione da Exsurge Domine avrebbe posto fine al loro stile di vita autonomo e indipendente – al quale non erano disposte a rinunciare – e al loro pretendersi affrancate da qualsiasi autorità ecclesiastica, si è intensificata l’opera di denigrazione nei confronti di chi le aveva generosamente aiutate, assistite, difese e protette, tanto verso di me quanto verso i sacerdoti della Palanzana che si erano avvicendati con spirito di sacrificio per garantire loro la necessaria assistenza spirituale. Alla prova dei fatti, l’averle poste dinanzi alla concreta realizzazione di una struttura tradizionale ha fatto emergere la loro riluttanza a compiere questo passo. Exsurge Domine ha dimostrato ampiamente di essere stata disposta ad accompagnarle con pazienza, consapevole delle difficoltà date dai tempi attuali. Ma le suore volevano comunque un “Villaggio” senza regole e senza condizioni, e così se ne sono andate ancor prima che fosse realizzato.

Nonostante i molteplici e documentati inviti alla moderazione e ad una composizione evangelica della crisi – ad iniziare dal conciliante Comunicato emesso a Novembre e da una mia lettera, accorata e paterna, indirizzata alla badessa e rimasta senza risposta (qui) – le religiose si sono ritenute autorizzate a spargere calunnie e voci diffamatorie.

Sorprende e dispiace che dinanzi a tanti richiami, tante offerte di aiuto e tante opportunità per ricomporre una crisi tanto insensata quanto dannosa per tutti, nessuna monaca abbia manifestato un qualche dissenso o qualche imbarazzo per gli atteggiamenti scomposti della badessa, o abbia – per quanto ci è dato sapere – esortato a maggior riflessione ciò che sembrava avventato e sproporzionato.

Scopriranno troppo tardi quanto insensata sia stata la loro ribellione e l’aver offerto in questa circostanza un’immagine di sé vergognosa di cui sono le prime vittime. Noi ringraziamo il Cielo di aver scoperto per tempo quanto tendere una mano al naufrago possa comportare dei rischi. L’ingratitudine e l’indocilità di questa prima esperienza ci serviranno per il futuro, sapendo temperare l’entusiasmo e la generosità con maggior prudenza.

Il rifiuto del “Villaggio Monastico” da parte delle Benedettine ci ha permesso di mettere a fuoco e di finalizzare la missione della comunità dei “sacerdoti cancellati” presso l’Eremo della Palanzana, che si erano rivolti a me negli ultimi tre anni chiedendo di essere aiutati. Ad essi si sono aggiunti alcuni giovani che hanno chiesto di intraprendere il percorso formativo. Atteso che le monache hanno rifiutato il progetto loro offerto da Exsurge Domine, il Consiglio Direttivo ha deciso di destinare il progetto originario – ancora in fase di costruzione – adattandolo alle esigenze di una casa di formazione clericale, peraltro non molto diverse da quelle di un Monastero.

Nulla dunque, nemmeno un centesimo, è andato perduto di quanto i donatori di Exsurge Domine hanno offerto – generosità benedetta e per la quale ringraziamo il Signore, ma che ad oggi è ancora ben lungi dall’aver raggiunto l’obbiettivo finale del progetto – perché lo stato di avanzamento dei lavori sinora compiuto consente il proseguimento dei lavori senza variazioni, anche se con nuova finalità perfettamente rispondente agli scopi dell’Associazione. Quello che rimane da compiere sarà reso possibile dalla munificenza di chi la Provvidenza ci pone sul cammino, come avvenuto sinora.

Alla luce della disponibilità dimostrata da me, da Exsurge Domine e dalla comunità della Palanzana verso la comunità di Pienza, e dell’ingratitudine avutane in cambio dalle suore, ci era parso opportuno emettere un breve comunicato che non enfatizzasse il loro comportamento ed evitasse di alimentare polemiche. Questa indulgenza da parte dell’Associazione e da parte mia ci è stata ritorta contro, per accusarci e screditare la nostra opera. È per questo che abbiamo deciso di fornire sull’intero caso la nostra versione dei fatti, rivendicando di aver agito con onestà, trasparenza e carità.

La reazione delle monache animate da uno spirito di ribellione basta a dar prova della loro indisponibilità a vivere la loro Vocazione monastica, e pare giustificare – per una volta – i provvedimenti disciplinari adottati dal Dicastero per i Religiosi contro di loro. Rimane la constatazione del desolante stato di anarchia che sessant’anni di Vaticano II hanno instillato nelle anime dei Cattolici, massimamente nei sacerdoti e nei religiosi. L’opera di ricostruzione e di restaurazione della Fede deve confrontarsi con questa realtà e moltiplicare ogni sforzo per correggere con Carità abitudini e stili di vita incompatibili con la spiritualità e la disciplina richieste ai Consacrati.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

28 Gennaio 2024
Dominica in Septuagesima



San Francesco di Sales




Francesco di Sales è stato un vescovo cattolico francese. Francesco fu il figlio primogenito del signore di Boisy, nobile di antica famiglia savoiarda, e ricevette una raffinata educazione.Il padre, che voleva per lui una carriera giuridica, lo mandò all'Università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove decise di divenire sacerdote. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chiablese, dominata dal Calvinismo e si dedicò soprattutto alla predicazione, prediligendo il metodo del dialogo: inventò i cosiddetti «manifesti», che permettevano di raggiungere anche i fedeli più lontani.Spinto da un intenso desiderio di salvaguardare l'ortodossia cattolica, mentre imperversava la riforma calvinista Francesco chiese udienza al vescovo di Ginevra per essere destinato in quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico.

Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quanti più fedeli alla Chiesa cattolica. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nelle difficoltà della vita quotidiana.
Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi è sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e nobile elevazione spirituale.

I suoi grandi sforzi ed i copiosi successi pastorali ottenuti gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra (cioè ausiliario e assistente del vescovo titolare, Claudio di Granier) già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio, e la sua carriera era solo in ascesa: tre anni dopo sarebbe divenuto vescovo titolare di Nicopoli all'Jantra e, dopo appena due mesi, vescovo effettivo di Ginevra, coi pieni poteri.Il 15 luglio 1602, dopo tre anni come coadiutore a Ginevra, Francesco fu eletto vescovo titolare di Nicopoli, ma dopo soli due mesi, il 17 settembre, morì il vescovo di Ginevra che egli aveva assistito, Claudio di Granier, ancor prima di aver ricevuto l'ordinazione episcopale. Così fu subito chiamato a succedere a Granier come vescovo di Ginevra e fu ordinato tre mesi dopo, a dicembre.

Nel suo ministero episcopale, Francesco si spese per l'introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento.
Ginevra rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati, e il nuovo vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, sulle rive del lago omonimo.


Fu direttore spirituale di san Vincent de Paul. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604, conobbe a Digione la nobildonna Jeanne-Françoise Frémyot, vedova del barone de Chantal, con la quale iniziò una corrispondenza epistolare e una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell'Ordine della Visitazione

Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore.

In questa affermazione di Francesco di Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.

Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l'opera dell'inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l'intolleranza al temperamento del santo, quest'ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l'ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque Introduzione alla vita devota (Filotea) e Trattato dell'amore di Dio, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi.

Quello dell'amore di Dio fu l'argomento con il quale convinse molti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica

L'11 dicembre 1622 a Lione ebbe l'ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dicembre dello stesso anno, nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 la salma fu trasportata ad Annecy e posta alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città; in seguito venne sepolto nella chiesa a lui dedicata nel centro della città.
Il suo cuore incorrotto si trova nel Monastero della Visitazione a Treviso.

Fu beatificato il 18 dicembre 1661 a soli 39 anni dalla morte, e iscritto ufficialmente nel registro dei beati l'8 gennaio 1662 da papa Alessandro VII; appena tre anni dopo, fu canonizzato sempre da papa Alessandro VII il 19 aprile 1665, e poi papa Pio IX, il 19 luglio 1877, lo proclamò 18° Dottore della Chiesa.

Il 26 gennaio 1923, in occasione del III centenario della morte nel 1922, papa Pio XI lo commemorò con l'enciclica Rerum Omnium Perturbationem, con cui lo proclamò "Patrono dei giornalisti" e di "tutti quei cattolici che, con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina". Si ricorda, infatti, che il santo, non soddisfatto della risposta che avevano le sue prediche dal pulpito, si ingegnò a pubblicare fogli volanti, che poi affiggeva ai muri o faceva scivolare sotto le porte delle case. È patrono degli scrittori assieme ai santi Giovanni Evangelista, Teresa d'Avila e Cassiano

I Sommi pontefici nel calendario liturgico della Chiesa universale hanno fissato la sua memoria al 29 gennaio,nel calendario riformato lo celebrano il 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.

domenica 28 gennaio 2024

Per non dimenticare il Genocidio messo in atto dalla Turchia contro il popolo Armeno



La Turchia, erede dell’impero ottomano, si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni, e reagisce in maniera piuttosto aggressiva contro i paesi che lo fanno.
Con il termine genocidio armeno, talvolta olocausto degli armeni o massacro degli armeni, si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1919,che causarono circa 1,5 milioni di morti.Tale genocidio viene commemorato dagli armeni il 24 aprile.Nel periodo antecedente alla prima guerra mondiale, nell'Impero ottomano si era affermato il governo dei «Giovani Turchi». Essi temevano che gli armeni potessero allearsi con i russi, di cui erano nemici. Nell'anno 1909 si registrò uno sterminio di almeno 
30.000 mila persone nella regione della Cilicia.

Per comprendere cosa fu il genocidio armeno bisogna anzitutto considerare che, se oggi la stragrande maggioranza degli armeni non emigrati vive nell’area ristretta e senza sbocchi sul mare dell’attuale Armenia, per millenni la popolazione armena aveva abitato un’area molto più grande, nota come Anatolia orientale, che comprende in pratica la metà orientale della Turchia, sfocia nel mar Caspio e lambisce le regioni settentrionali degli attuali Siria e Iraq.

Per tutto il medioevo nella regione si susseguirono vari regni e dinastie armeni, affiancati da altri regni, fino alla conquista da parte dell’impero ottomano, tra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo. Sotto l’impero ottomano gli armeni, che sono di religione cristiana, alternarono periodi di stenti e persecuzioni a periodi di maggiore tranquillità, ma mantennero piuttosto forti la loro identità e la loro religione.
All’inizio del Ventesimo secolo, circa due milioni e mezzo di armeni vivevano nell’impero ottomano, stanziati nell’ampia zona dell’Anatolia orientale, e c’erano grosse comunità di armeni anche nella regione confinante appartenente all’impero russo.Il primo evento epocale all’interno del quale si inquadra il genocidio armeno fu la lunghissima crisi e poi il crollo dell’impero ottomano: durante la prolungata fase di instabilità politica, cominciata nel Diciannovesimo secolo, le tensioni nella società dell’impero ottomano spesso sfociarono nella violenza, e gli armeni, considerati un corpo estraneo dalla popolazione a maggioranza musulmana, furono vittime di violenze e stermini di massa. I primi massacri sistematici degli armeni, in alcuni casi incoraggiati dalle autorità ottomane e in altri compiuti spontaneamente dalla popolazione, cominciarono negli anni Novanta dell’Ottocento e proseguirono con l’inizio del nuovo secolo.

Nel 1908 un gruppo rivoluzionario chiamato Comitato dell’unione del progresso (GUP), ma più noto con il nome di Giovani turchi, organizzò un colpo di stato contro il governo assoluto del sultano ottomano, prese il potere nell’impero e instaurò un governo costituzionale. Inizialmente il cambio di potere fu apprezzato dai leader della comunità armena: i Giovani turchi erano laici e promettevano di dare vita a un sistema di governo più liberale. Con il passare degli anni, tuttavia, il gruppo divenne sempre più autoritario e nazionalista, e cominciò a guardare agli armeni come a una possibile minaccia interna.

Il secondo evento epocale che spiega il genocidio degli armeni fu la Prima guerra mondiale, assieme ai conflitti che la precedettero. Tra il 1912 e il 1913, nella Prima guerra balcanica, l’impero ottomano perse praticamente tutti i territori che deteneva nei Balcani, e i nuovi dominatori cristiani sottoposero le popolazioni musulmane a violenze e soprusi, e costrinsero moltissime persone a emigrare. La notizia delle violenze fu accolta all’interno dell’impero con grande costernazione e provocò un forte sentimento di rabbia e rivalsa nei confronti delle popolazioni cristiane, compresi gli armeni, che pure non avevano avuto ruoli nella guerra.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i Giovani turchi si schierarono al fianco di Germania e Impero austroungarico contro Regno Unito, Francia e Russia. Il primo obiettivo degli ottomani era la Russia, e questo generò un grande interesse nei confronti degli armeni, che abitavano un po’ al di qua del confine, nell’impero ottomano, e un po’ al di là, nell’impero russo.Sia gli ottomani sia i russi cercarono di convincere gli armeni a passare dalla loro parte, ma i leader armeni decisero che ciascuna comunità sarebbe rimasta fedele all’impero di appartenenza. Le cose sul campo furono più complicate, perché vari gruppi armeni si schierarono con entrambe le potenze, mentre molti altri furono sottoposti alla coscrizione forzata, e tantissimi disertarono. Anche gli armeni avevano i propri gruppi nazionalisti, e molti ne approfittarono per cercare di ottenere autonomia e indipendenza.

In ogni caso, l’impero ottomano perse piuttosto miseramente quasi tutte la battaglie contro i russi che si svolsero nelle aree abitate dagli armeni. Tra i ranghi ottomani cominciò a diffondersi l’idea che gli armeni fossero una quinta colonna che aiutava segretamente i russi, e soprattutto dopo la terribile sconfitta di Sarıkamış, nel gennaio del 1915, i Giovani turchi decisero che la colpa della disfatta era degli armeni.

A quel punto le false accuse sulla complicità con il nemico (è vero che alcuni gruppi nazionalisti armeni aiutarono i russi, ma la stragrande maggioranza della popolazione rimase indifferente) si coagularono con secoli di diffidenza e con il nazionalismo etnico che da tempo pervadeva i Giovani turchi. Gli armeni divennero agli occhi degli ottomani una minaccia esistenziale, e tra il marzo e l’aprile del 1915 si delineò l’intenzione sistematica di eliminarli dal territorio dell’impero.

Gli intellettuali e i mercanti armeni nelle grandi città dell’impero, come Istanbul e Smirne, furono arrestati e in gran parte uccisi, ma il vero genocidio si compì nell’Anatolia orientale. Gli attacchi dell’esercito ottomano contro la popolazione armena e le persecuzioni sistematiche furono atroci. Alcune comunità armene cercarono di opporre resistenza, come quella della provincia di Van, sul lago omonimo, ma fu in gran parte inutile: quando le forze russe conquistarono Van, trovarono 55 mila cadaveri di armeni.

L’impero ottomano cominciò inoltre un vasto programma di deportazioni di massa: anziani, donne e bambini furono costretti a lasciare le loro case e a percorrere centinaia di chilometri a piedi per poi essere rinchiusi in decine di campi di concentramento nel deserto della Siria: la maggior parte dei prigionieri fu giustiziata o morì di stenti, di fame e di malattie.La gran parte del genocidio degli armeni si compì nel giro di un anno, tra il 1915 e il 1916, ma i massacri continuarono anche per gran parte degli anni Venti.

Dei 2,5 milioni di armeni che si trovavano nell’impero ottomano all’inizio del secolo il 90 per cento fu ucciso o deportato fuori dall’impero. Si stima che alla fine del genocidio circa un milione di armeni morì per mano degli ottomani. Alcune centinaia di migliaia di donne e bambini furono costretti a convertirsi all’Islam e furono adottati da famiglie turche, mentre moltissimi altri armeni fuggirono, creando una diaspora che ancora oggi è forte in molti paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti.

L’attuale Armenia è erede di uno stato che fu creato dalla comunità armena che viveva nel decadente impero russo, e che nel 1921 fu inglobato dall’Unione Sovietica. Anche lì si rifugiarono centinaia di migliaia di vittime del genocidio.

Quella che in seguito sarebbe diventata la Repubblica turca divenne molto più omogenea dal punto di vista etnico e religioso, e una nuova borghesia musulmana si impadronì delle proprietà degli armeni: ancora oggi, il risarcimento delle vittime del genocidio e dei loro discendenti è una delle questioni più difficili da sciogliere e uno dei principali ostacoli a una rappacificazione tra Turchia e Armenia.

Il simbolo più noto di questo processo di de-armenizzazione è probabilmente il monte Ararat: emblema per secoli della nazione armena, considerato sacro dalla tradizione popolare e oggetto di tantissimi poemi e dipinti di artisti armeni, è oggi il monte più alto della Turchia.

Il genocidio armeno avvenne sotto gli occhi di giornalisti e diplomatici occidentali, in gran parte impotenti o non interessati a intervenire: soltanto nel 1915, il New York Times pubblicò 145 articoli sui massacri degli armeni, definendoli come «sistematici» e «autorizzati dal governo». Dopo la fine della Prima guerra mondiale ci furono alcuni tentativi di processare i principali responsabili del genocidio, ma furono in gran parte futili.

La Repubblica di Turchia appena nata adottò fin da subito una politica strettamente negazionista, alla quale non ha più rinunciato: ancora oggi la Turchia non riconosce l’Armenia e non intrattiene rapporti con lo stato armeno. Il leader dei Giovani turchi Talat Paşa, uno degli architetti del genocidio, è seppellito a Istanbul come un eroe nazionale.

Tempo di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima



Nella Chiesa cattolica la Domenica di Settuagesima è celebrata nella Messa tridentina e nel rito ambrosiano tradizionale circa settanta giorni prima di Pasqua e segna l'inizio del Tempo di settuagesima, un tempo di preparazione alla Quaresima, in cui si iniziava l'astinenza dalle carni nei giorni feriali
Secondo il Calendario Liturgico tradizionale, questa è la Domenica di Settuagesima

(dal latino Septuagesima dies, il settantesimo giorno dalla S. Pasqua), che apre il tempo omonimo, caratterizzata, dal punto di vista puramente rituale, dal colore viola dei paramenti, dall’omissione dell’Inno Angelico – il Gloria – prima della Colletta e dalla sostituzione dell’Alleluia con il Tratto.

Schuster [1] rileva come, prima di S. Gregorio Magno, presso gli orientali fosse in uso di prepararsi alla Quaresima alcune settimane prima del suo inizio, con l’astinenza dalle carni e successivamente dai latticini.
Presso i Latini, invece, il digiuno aveva inizio la prima Domenica di Quaresima. In questo modo, tuttavia, i giorni di penitenza si riducevano a 36 – senza contare cioè i tre giorni del Triduo Pasquale – e, pertanto, alcuni ecclesiastici di grande pietà anticiparono l’astinenza dalle carni al lunedì di Quinquagesima, finché, col Pontificato di S. Gregorio Magno, non si ebbe «la consacrazione del caput ieiunii il mercoledì di quinquagesima»[2].

Il medesimo Pontefice, inoltre, venendo incontro alle esigenze di quanti, laici e chierici, per santa emulazione dei Greci della comunità bizantina di Roma, desideravano anticipare la penitenza quaresimale, anche per placare l’ira divina e stornarne i flagelli (devastazioni longobarde, pestilenze, etc.), istituì – sancendo probabilmente una pratica già affermatasi – le tre settimane preparatorie alla Quaresima, cioè Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima, aventi come basiliche stazionali rispettivamente quelle di S. Lorenzo, S. Paolo e S. Pietro, «quasi a porre il digiuno pasquale sotto gli auspici dei tre grandi patroni della Città Eterna»[3].

[1] Cfr. Beato Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum III, Torino-Roma 1933, p. 29
[2] Ibid.
[3] Ibid.

"Importanza di questo tempo.
Il Tempo di Settuagesima abbraccia la durata delle tre settimane che precedono immediatamente la Quaresima e costituisce una delle parti principali dell'Anno Liturgico. È suddiviso in tre sezioni ebdomadarie, di cui solamente la prima porta il nome di Settuagesima; la seconda si chiama Sessagesima; la terza Quinquagesima. È chiaro che questi nomi esprimono una relazione numerica come la parola Quadragesima, donde deriva la parola Quaresima. La parola Quadragesima sta ad indicare la serie dei quaranta giorni che dobbiamo attraversare per arrivare alla festa di Pasqua.
Le parole Quinquagesima, Sessagesima e Settuagesima ci fanno quasi vedere tale solennità in un lontano ancora più prolungato; però non è meno importante il grande oggetto che comincia ad assillare la santa Chiesa, la quale lo propone ai suoi figli quale mèta verso cui devono ormai tendere tutti i loro desideri e tutti i loro sforzi." (dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 415-417)
" Dunque, con la Domenica di Adamo (Circumdederunt, o di Settuagesima) la Chiesa inizia a far meditare ai fedeli i temi penitenziali: al Mattutino si legge la pericope della Genesi che narra della caduta dei progenitori e del loro giusto castigo, e si racconta, attraverso la storia di Abele, il dominio del male sul mondo dopo il peccato originale. L’epistola della Messa ci ricorda che, per conseguenza del peccato originale ereditato, viviamo nella condizione di non poter fare a meno di commettere peccato attuale; il Vangelo, invece, attraverso la parabola degli operai nella vigna, racconta la vocazione delle nazioni a Dio, volgendosi al quale anche gli ultimi a farlo troveranno misericordia. A partire da questa domenica non si canta il Gloria alla Messa né il Te Deum al Mattutino, l’Alleluja è sostituito da un salmo detto Tractus, e si usano paramenti violacei."
Ringraziamo i redattori di Scuola Ecclesia Mater

Il tempo pre-quaresimale nella tradizione cristiana

Tra le argomentazioni indarno usate dai modernisti per giustificare uno dei maggiori scempi del calendario riformato del 1969, ovverosia l’abolizione del tempo di Settuagesima, una colpisce particolarmente per la sua erroneità storica: che tale tempo fosse stato un’invenzione medievale della Chiesa Cattolica volta a sedare gli eccessi del carnevale profano.
Ci occuperemo qui anzitutto di dimostrare come le origini di questo tempo siano molto più antiche e comuni a diverse tradizioni; poi, analizzeremo il tempo di Settuagesima confrontando la tradizione romana e bizantina.


Origini storiche del tempo di Settuagesima
Il tempo di Settuagesima non è in realtà un vero e proprio “tempo”, ma piuttosto la collazione di tre domeniche (Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima), caratterizzate da una moderata penitenza in preparazione al grande rigore del digiuno quaresimale, venutesi a formare in modo indipendente in età patristica o poco più tardi. San Massimo di Torino ci informa in un sermone del 465 dell’approvazione dell’anticipazione della Quaresima di una settimana, in modo da portare il numero di giorni di digiuno quanto più vicino possibile a 40, considerando che il sabato e la domenica ne erano esenti: nasce così la cosiddetta Quinquagesima.
Ancora nel VI secolo troviamo pareri discordanti sull’opportunità della cosa: i concili lionesi rigettano la pratica, mentre San Cesario, nella sua Regola per le Vergini, la raccomanda, e anzi consiglia ai monaci di aggiungere un’ulteriore settimana di digiuno: si tratta della Sessagesima.
Bisogna dire che questa introduzione era modellata su di un uso che aveva preso piede in Oriente da almeno un paio di secoli, quello di “graduare” l’inizio digiuno, iniziando prima a eliminare la carne, poi le uova e i latticini, venendosi così a creare un periodo prequaresimale di preparazione del corpo all’astinenza, durante il quale non tutti i cibi sono leciti, ma è lungi l’asprezza del digiuno quaresimale.
San Gregorio Magno attesta l’esistenza di due settimane di digiuno prequaresimale a Roma, che diventano tre nel giro di un secolo; allo stesso periodo risale più o meno l’introduzione di elementi penitenziali nella liturgia romana di queste tre settimane, con la soppressione del Gloria e dell’Alleluja e l’uso dei paramenti violacei.
Sta di fatto che un tempo prequaresimale è ben presto attestato in tutte le tradizioni: la Settuagesima latina, di cui abbiamo riassunto l’origine, ricalca il Triodion bizantino, così come troviamo due “domeniche prima della Quaresima” nel rito armeno, e periodi simili in altri riti orientali.
Persino il calendario luterano e quello anglicano, pur essendo creati in spirito distruttore, non ebbero cancellata quest’antica prassi ascetica: ma ciò che nemmeno Lutero fece, lo fecero i modernisti del secolo scorso...


Confronto puntuale tra prassi romana e bizantina


La Settuagesima latina, come ricorda il Catechismo di San Pio X, ha lo scopo primario di "allontanare con segni di tristezza i fedeli dalle vane allegrezze del mondo ed insinuare ad essi lo spirito di penitenza": gli uffici di questo periodo raccontano le vicende dei patriarchi d'Israele, portandoci a considerare il castigo divino per il peccato e la giusta ricompensa per l'obbedienza.
La tradizione latina perse abbastanza presto (già nel Medioevo appare scomparso) l'uso del digiuno di Settuagesima, e questo permise che nell'Occidente profano, nei secoli del degrado morale, i divertimenti del Carnevale (che più anticamente avevano la loro collocazione subito dopo l'Epifania) venissero ritardati sino a ridosso dell'inizio della Quaresima.
Cionondimeno, la Chiesa si adoperò sempre per combattere queste usanze demoniache, mantenendo comunque una rigida prassi per questo periodo: "Per conformarci ai disegni della Chiesa in questo tempo - scrive S. Pio X nel suo Catechismo - bisogna star lontani dagli spettacoli e dai divertimenti pericolosi, e attendere con maggior diligenza all'orazione e alla mortificazione, facendo qualche visita straordinaria al Santissimo Sacramento, massime quando sta esposto alla pubblica adorazione; e ciò per riparare a tanti disordini, coi quali Iddio in questo tempo viene offeso".
Più lungo e decisamente più ricco, sia dal punto di vista dei testi liturgici che della pratica cristiana, avendo conservato l'arcaica graduazione del digiuno, è il tempo prequaresimale del rito bizantino, che viene definito Τριῴδιον, semplicemente per il fatto che il Canone del Mattutino è in queste settimane particolarmente breve, constando di sole tre odi anziché le nove consuete.
In queste settimane, la Chiesa fa meditare ai suoi fedeli il tema del perdono e del giudizio, e li sottopone a un moderato digiuno per abituarli ai rigori futuri, costituendo - secondo i commentatori antichi - un'esercitazione soprattutto della mente (mentre il digiuno quaresimale sarebbe un'esercitazione del corpo, e le liturgie della Settimana Santa un'esercitazione dello spirito).
Di seguito propongo un confronto puntuale e sinottico del calendario romano con quello bizantino.
Si tenga presente che la data dipende da quella della Pasqua, che è diversa tra i due calendari.
Fonte: Traditio Marciana QUI

sabato 27 gennaio 2024

Palermo, Annullata la Mostra di Cristo in Gonnella. Alleati dell’Eucarestia.




Cari amici e lettori ,

ringraziamo Stilum Curiae, per questo post-lampo per darci a tutti questa notizia, di cui anche noi ci uniamo a ringraziare Veronica Cireneo.

Come potete ricordare, Stilum Curiae si era occupato della vicenda a questo collegamento. Buona lettura e diffusione.

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                      Annullata la mostra blasfema e bugiarda




Con queste poche righe diamo Gloria a Dio, e nota che, la mostra bugiarda e blasfema del “Cristo in gonnella” di Palermo è stata annullata.

A seguito della pubblicazione di Stilum Curiae, una pioggia di contestazioni sono giunte alla destinazione degli infelici ideatori per il tramite della lettera redatta dall’avvocato Roberto De Petro al quale si sono dapprima associati gli “Alleati dell’Eucarestia e del Vangelo”, poi il team di “Cronache di Cielo e Terra” di Ciro Mauriello, il tutto supportato dalla Brigata per la Difesa dell’ovvio della dottoressa Silvana De Mari.

Si ringraziano le centinaia di mittenti che hanno probabilmente toccato le corde dell’anima dei promotori, risvegliandola attraverso la vergogna. Ben venga!

Restiamo uniti ai desideri di Dio.

Squadra che vince, non si cambia.



Pax et bonum

Veronica Cireneo

Sabato 27 gennaio 2024

Per seguire gli Alleati dell’Eucarestia https://t.me/alleanza3

Disciplina del digiuno e dell’astinenza

Carissimi amici e lettori, 
domenica 28 Gennaio incomincia per la Santa Chiesa cattolica il tempo di settuagesima,è un tempo liturgico a carattere penitenziale presente nel rito romano fino alla riforma liturgica voluta da Paolo VI.
Questo tempo liturgico,costituisce una preparazione alla Quaresima; in questo tempo, si inizia l'astinenza dalle carni nei giorni feriali.

Ha una durata di due settimane e mezzo e termina con il martedì grasso, cioè il giorno prima del Mercoledì delle ceneri. 
Le domeniche di questo tempo sono anche note con la prima parola dell'introito:Domenica di settuagesima "Circumdederunt" (Circumdederunt me gemitus mortis);
sessagesima "Exsurge" (Exsurge, quare obdormis, Domine);
quinquagesima "Estomihi" (Esto mihi in Deum protectorem, et in locum refugii, ut salvum me facias).

La domenica di settuagesima, che apre il tempo proprio, può cadere tra il 18 gennaio e il 22 febbraio. Proprio questi due giorni prendono il nome di Chiavi della settuagesima, poiché il tempo non può mai iniziare prima, nel caso del 18 gennaio, o dopo, per il 22 febbraio, di queste due date.

Il colore liturgico di questo tempo liturgico è il violaceo. L'altare è spogliato dai fiori e non si canta la dossologia maggiore domenicale (Gloria), né l'Alleluia come acclamazione al Vangelo, che è sostituito dal tratto, tipico dei tempi penitenziali.

Poichè la Costituzione “Poenitemini” del 1966 di Paolo VI e il “Nuovo Diritto Canonico” del 1983 di Giovanni Paolo II hanno modificato la legge del digiuno e dell'astinenza "annacquandola", con solo due giornate il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì Santo, per i fedeli di rito latino che desiderosi di osservare la vecchia norma non più in vigore osservata sotto il pontificato di Pio XII (secondo i Canoni 1250-1254 del Diritto Canonico piano-benedettino del 1917, modificati dal Decreto dalla S. Congregazione dei Riti del 16 settembre 1955 e dalla S. Congregazione Concilio del 25 luglio 1957).
La disciplina del digiuno e dell'astinenza è la seguente.

– LA LEGGE DEL DIGIUNO obbliga tutti i fedeli che hanno compiuto i 21 anni e non hanno ancora iniziato il 60° anno.

– LA LEGGE DELL’ASTINENZA dalla carne obbliga tutti i fedeli a partire dai 7 anni compiuti.

IL DIGIUNO consiste nel fare un solo pasto al giorno e due piccole refezioni nel corso della giornata (i moralisti quantificano in 60 grammi al mattino e 250 grammi alla sera; la refezione serale è sempre di magro).

L’ASTINENZA vieta l’uso della carne, di estratto o brodo di carne, ma non quello delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento di grasso animale.

GIORNI DI ASTINENZA DALLE CARNI:

– tutti i Venerdì dell’anno (tranne se vi cade una festa di precetto, ma questo vale solo al di fuori della quaresima).

GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO:

– Mercoledì delle Ceneri;

– ogni Venerdì e Sabato di Quaresima;

– il Mercoledì, il Venerdì e il Sabato delle Quattro Tempora;

– le Vigilie di Natale (24 Dicembre), di Pentecoste, dell’Immacolata (7 dicembre),

d’Ognissanti (31 Ottobre).

GIORNI DI SOLO DIGIUNO SENZA ASTINENZA:

– tutti gli altri giorni feriali di Quaresima (le Domeniche non c’è digiuno).

POSSONO NON PRATICARE L’ASTINENZA:

– i poveri che ricevono carne in elemosina e non hanno altro da mangiare;

– gli infermi, i convalescenti, i deboli di stomaco, le donne che allattano, le donne incinte se deboli;

– gli operai che fanno lavori più pesanti quotidianamente;

– mogli, figli, servi, tutti coloro che esercitano in servizio essendovi costretti, e che non possono avere altro cibo sufficientemente nutriente.

POSSONO NON PRATICARE IL DIGIUNO:

– coloro che digiunerebbero con grave incomodo: ammalati, convalescenti, deboli di nervi, donne che allattano o incinte;

– poveri che hanno già poco cibo a disposizione;

– coloro che esercitano un lavoro che è moralmente e ordinariamente incompatibile con il digiuno (es: lavori pesanti);

– coloro che fanno un lavoro intellettuale molto faticoso (es. studenti sotto esami);

– chi deve fare un lungo e faticoso viaggio; per un maggiore bene o per un’opera di pietà più grande, se questa è moralmente incompatibile con il digiuno (es.: assistenza ai malati).


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venerdì 26 gennaio 2024

Santa Maria del Fonte a Caravaggio




Veduta del Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio


Carissimi amici e lettori,
vogliamo offrirvi di scoprire alcuni santuari dedicati alla Vergine Maria, che si trovano in Italia,essi mostrano l’onore reso dai popoli alla Madonna. Questi santuari sono molto spesso associati a una storia di grazie e di conversioni che è istruttivo scoprire, per sviluppare e infervorare l’amore per la nostra Madre Celeste.

Questo primo passo ci porterà al Santuario di Santa Maria del Fonte, situato a Caravaggio, in provincia di Bergamo, in Lombardia.



Situazione storica

Dall'anno 1431 si era riaccesa la guerra tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, che si battevano per ottenere i territori della Gera d’Adda - regione della pianura lombarda situata tra il fiume Adda a ovest, il fiume Serio a est e il fosso bergamasco a nord. Il paese di Caravaggio sarebbe stato un nodo cruciale per alcuni anni per tutto il XV secolo.

Tra il 1432 e il 1441, poi tra il 1448 e il 1453, Caravaggio passò alternativamente sotto il dominio di Milano e di Venezia, e fu teatro di battaglie, tregue, negoziazioni da ambo le parti che permisero la sopravvivenza dei suoi abitanti. La pace era precaria.
L’apparizione

Il 26 maggio 1432, alle cinque di sera, una donna di nome Gianetta, caravaggina di 32 anni, sposata con Francesco Varoli – uomo collerico e violento – «nota a tutti per il suo comportamento virtuoso, la sua pietà cristiana, la sua vita sinceramente onesta», era fuori dal villaggio, per riportare dell’erba alle sue cavalle. Aveva il cuore pesante, essendo stata picchiata dal marito.

Fu allora che una grande luce l’abbagliò e vide venire dall’alto e tenersi in piedi accanto a lei una bella e mirabile Signora, maestosa, con un viso aggraziato, un aspetto venerabile e una bellezza inimmaginabile, vestita di un abito azzurro e il capo coperto da un velo bianco.

Impressionata, Giannetta esclamò: «Vergine Maria!» Fu allora che la Vergine le disse che suo marito avrebbe cambiato il suo comportamento e le chiese tre cose.

Dire a tutti gli uomini di digiunare a pane e acqua il venerdì. Inoltre, di dedicare il sabato pomeriggio alla preghiera, in segno di gratitudine per i tanti grandi favori ottenuti per intercessione della Vergine presso il suo divin Figlio.

In più, Giannetta ebbe il compito di convincere veneziani e milanesi a fare la pace. Infine, doveva chiedere la fine delle divisioni nella Chiesa, in particolare per chiedere agli orientali il ritorno all’unità. Come conferma, la Vergine fece sgorgare una fonte miracolosa nel luogo in cui si trovava.
La conferma

I malati andarono alla fonte e furono liberati dai loro mali. Si diffuse rapidamente la notizia del potere esercitato da Dio in quel luogo per intercessione della Vergine Maria.

Il Vescovo di Cremona, Mons. Cesare Speciano, avrebbe confermato in seguito l’autenticità dell’apparizione, invitato i fedeli a conformarsi alle richieste di preghiera e di penitenza formulate dalla Vergine, e chiesto la costruzione di un santuario.

Il veggente incontrò Marco Secco, signore di Caravaggio, Filippo Marie Visconti, duca di Milano e poi il doge Francesco Foscari. Nel 1433 firmarono la pace, pace che fu solo relativa.

La tradizione narra che una brocca d’acqua della sorgente miracolosa fu portata all’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo e compiva guarigioni. In ogni caso, l’imperatore – certamente per ragioni più politiche che religiose – si recò al Concilio di Firenze e firmò l’unione dei Greci scismatici con il papato nel 1439.

L’attuale santuario fu fatto costruire da San Carlo Borromeo nel XVI secolo e succedette a un primo edificio religioso eretto nel XV secolo. L’immigrazione italiana ha fatto del culto di Santa Maria del Fonte oggetto di devozione in molti altri luoghi, in particolare a Farroupilha, nello stato brasiliano del Rio Grande do Sul, dove si trova il più grande tempio mariano a lei dedicato. Un altro santuario esiste anche a Tisno, in Croazia.







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