Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 13 luglio 2024

Don Siro Cisilino (1903-1987) e la messa "tridentina" a Venezia



Carissimi lettori,
Mi spiace che ormai sia morto don Siro Cisilino, prete buono, pio e dotto della diocesi di Venezia, che celebrava la Santa Messa (quella vera) nella chiesa di San Simeon Piccolo.
L’allora patriarca Luciani gli intimò di abbandonare la chiesa, proibì la celebrazione della Messa in tutta la diocesi, e gli permise (bontà sua) di celebrare in casa sua (di don Siro, evidentemente).
Ecco, don Siro avrebbe potuto testimoniare delle virtù eroiche (fede, carità…) del nuovo “beato”.
Un caro saluto da chi don Siro lo conobbe di persona e lo rimpiazzò in quella chiesa quando si ammalò.

don Francesco Ricossa

In merito a ciò di cui parla don Francesco Ricossa, e in particolare alla figura di don Siro Cisilino, ecco un articolo che ripercorre l’intera vicenda.

di Paolo Zolli

Il dramma dei cattolici "tradizionalisti" è scandito da due date, il 7 marzo 1965, quando in Italia fu brutalmente imposta la celebrazione della messa in italiano, e la prima domenica d'Avvento del 1969, quando entrò in vigore il messale riformato di Paolo VI. Il secondo avvenimento fu intrinsecamente più grave, in quanto al testo perfettamente ortodosso del messale tridentino ne veniva affiancato - con un affiancamento che intendeva essere, e di fatto fu, una sostituzione - uno che rappresentava "sia nel suo insieme come nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della santa messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino" (card. A. Ottaviani e A. Bacci).

Nella realtà dei fatti la sostituzione non fu però percepita immediatamente e nella sua drammaticità dalla maggior parte dei fedeli, che da quattro anni assistevano a continui cambiamenti e stravolgimenti di un rito che doveva essere per sua natura immutabile. Il piano era stato architettato bene: il primo scossone, quello della traduzione del messale nel 1965, intrinsecamente meno grave, doveva fare in modo che i fedeli non si accorgessero del secondo, cioè della sostituzione del rito.

In quegli anni io non conoscevo se non di vista, avendolo notato alla Fondazione Cini o nelle sale riservate della Biblioteca Marciana di Venezia, don Siro Cisilino, e quindi non saprei dire in che modo egli abbia reagito ai due distinti momenti della sovversione liturgica. So solo, per averlo appreso più tardi che, con spirito che oggi si direbbe "profetico", la sovversione egli l'aveva intuita da molto tempo. La quasi totalità dei tradizionalisti ha infatti preso coscienza della crisi della liturgia quando essa è scoppiata, cioè in Italia il 7 marzo 1965 e altrove pressappoco nello stesso periodo - ed è allora che incominciano a costituirsi i primi nuclei di resistenza e i movimenti in difesa della liturgia tradizionale -, ma don Siro il vento infido lo aveva fiutato da tempo, cioè dagli anni delle riforme di Pio XII, riforme limitate a pochi aspetti e a pochi, ma significativi, momenti, quali ad esempio il rito della Settimana Santa; riforme che potevano far presagire - e don Siro lo comprese subito - che si sarebbe aperto un varco all'ondata che nel giro di una quindicina d'anni avrebbe sommerso secoli di pietà, di devozione, di fede. Recentemente tutto ciò è stato messo in rilievo dalla pubblicistica tradizionalista e la cosa può avere stupito molti, ma non avrebbe certamente stupito don Cisilino. Don Siro infatti comprese immediatamente a cosa avrebbero portato le progressive novità: dalla sostituzione dell'antichissima festività dei santi Filippo e Giacomo con la sconcertante celebrazione di san Giuseppe artigiano il 1° maggio, alla riforma della settimana santa. Queste cose vanno ricordate non a titolo di aneddoto e curiosità, ma per far comprendere quanto profonda fosse la coerenza di questa splendida figura di sacerdote cattolico, scomparso il 4 marzo 1987.

La battaglia doveva però diventare drammatica quando le disposizioni della Santa Sede e della Conferenza episcopale italiana, in violazione patente di quanto previsto dalla bolla Quo primum di san Pio V e in contrasto persino con la costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, prima imponevano la traduzione in volgare di tutta la messa (il Concilio su questo punto proponeva concessioni ben più limitate), poi tentavano di rendere obbligatoria la nuova messa. Non posso in questa sede diffondermi sull'argomento, ma credo che sia necessario iniziare sin d'ora a raccogliere i materiali per un futuro martirologio di quel clero cattolico che intendeva rimanere fedele all'antica liturgia ed è per questo divenuto oggetto di indebite pressioni e di persecuzioni che rimarranno a perpetua vergogna di chi le ha perpetrate. Don Siro resistette a ogni lusinga e a ogni minaccia. Non una sola volta, dico non una sola volta, egli celebrò la messa riformata (né prima la messa in italiano).

A partire dal 1965 la vita di don Siro non fu tranquilla: dovette lasciare la chiesa dove aveva celebrato sino allora e celebrare "fuori orario". L'"affare" Lefebvre, scoppiato nel 1976, e col quale don Siro non aveva nulla a che vedere, spinse a maggior cautela (quante cautele nei confronti dei tradizionalisti in un mondo cattolico che assiste imperturbabile a messe scismatiche, buffonesche, vergognose e ingiuriose verso Dio!) i frati che fino ad allora gli avevano dato ospitalità (ospitalità per celebrare, intendo) e don Siro trovò accoglienza presso i benedettini dell'Isola di San Giorgio, dove poteva officiare nella cappella dei Morti, un'accoglienza discreta e cortese, di cui è doveroso dare atto agli ospitanti. L'"affare" Lefebvre aveva però servito a muovere le acque, i tradizionalisti, anche quelli che intendevano mantenere la loro autonomia nei confronti del vescovo francese, incominciarono a contarsi, incominciarono a rendersi conto che non erano isolati. Amici con i quali due anni prima avevo combattuto la santa battaglia contro la legge sul divorzio mi fecero sapere che ogni domenica (e naturalmente anche gli altri giorni) a San Giorgio si celebrava una messa "buona". Il 10 ottobre 1976, io che già solevo andare ad assistere lì alla messa dei benedettini, che aveva il torto di essere celebrata col rito paolino, ma aveva almeno il pregio di essere cantata in latino e gregoriano, andai alla messa di don Siro; nel mio sempre stringatissimo "diario" a quella data trovo: "Stamani sono andato alle 9½ a S. Giorgio alla messa di don Siro Cisilino, celebrata secondo il rito di san Pio Quinto".

Si andò avanti così per circa un anno. Il 24 luglio 1977 festeggiammo il cinquantenario di sacerdozio di don Siro, festa molto modesta, da frequentatori di catacombe, ma il maestro Carlo Durighello - col quale mi aveva messo in contatto l'associazione Una Voce -, da me informato dell'avvenimento, per l'occasione volle venire a suonare l'armonium. Per una di quelle circostanze nelle quali sarebbe difficile non vedere la mano della Provvidenza, Carlo Durighello aveva avuto in concessione dalla Curia per esecuzioni musicali proprio quella chiesa di S. Simon piccolo, ormai chiusa al culto, nella quale don Siro aveva celebrato per anni, prima della riforma. Nei mesi successivi Carlo Durighello convinse don Siro a riprendere a celebrare a S. Simon piccolo. So che negli ambienti della Curia veneziana è viva la convinzione - in sé non assurda - che Durighello avesse chiesto la chiesa di S. Simon col pretesto di concerti per poi riaprirla al culto tradizionale, ma in realtà posso assicurare che ciò che avvenne in seguito fu casuale, o meglio fu provvidenziale, ma non era stato premeditato, e che tutto avvenne perché pochi giorni prima del cinquantenario di sacerdozio di don Siro io incontrai casualmente per strada il Durighello e lo informai del fatto. Poi da cosa nacque cosa: le vie della Provvidenza sono infinite. Non saprei dire se già nell'agosto del 1977 avvenne una celebrazione in S. Simon, posso dire solo che si era discusso a lungo se lasciare il nido scomodo ma sicuro di San Giorgio per la nuova e incerta sede, ma posso aggiungere che nel mio diario in data 13 novembre 1977 trovo ancora la messa a S. Giorgio, mentre in data 20 novembre trovo la messa a S. Simon, in concomitanza con la riunione annuale del Consiglio nazionale dell'associazione Una Voce (cfr. "Una Voce Notiziario" n° 40-41, 1977, pp. 22-23). Poco dopo si riprendeva l'uso dei vespri.

Qualche mese più tardi scoppiava la bufera. Una lettera del card. Albino Luciani del 20 febbraio 1978 proibiva "a qualsiasi titolo la celebrazione della messa more antiquo nella chiesa di S. Simeone Piccolo, come in tutto il territorio della diocesi" e (grande concessione!) si lasciava a don Siro "la facoltà di celebrare la santa messa more antiquo solo in casa propria". Che la celebrazione di messe in genere potesse essere esclusa a S. Simon era anche comprensibile, trattandosi di chiesa chiusa al culto e adibita ad altri scopi, assurda era la pretesa di escludere la messa more antiquo e soprattutto di escluderla "in tutto il territorio della diocesi", in quanto ciò contrastava con i diritti protetti dalla bolla Quo primum. Lo stesso card. Luciani si accorse di aver passato il segno, tant'è vero che nella "Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia", aprile-maggio 1978, p. 167, una nota della Curia, ritornando sull'argomento, ricordava: "Il Patriarca ha di recente proibito che si celebri a S. Simon piccolo - divenuta, con proteste del parroco, del vicario, di altri fedeli rendez-vous reclamizzato del Movimento Una Voce - la cosiddetta messa di san Pio X". A parte la finezza del rendez-vous, va notato che il riferimento a "tutto il territorio della diocesi" era qui caduto. Chi volesse ricostruire tutti i particolari della penosa vicenda può andare a rileggere la cronaca L'inutile persecuzione, pubblicata in "Una Voce Notiziario" n° 42-43, 1978, pp. 14-19, e ripubblicata da Carlo Belli, Altare deserto, Roma, G. Volpe, 1983, pp. 75-88). Qui basterà ricordare che don Siro, tra alterne vicende, riprese a celebrare a S. Giorgio.

La scomparsa di Paolo VI, nel luglio successivo, il breve pontificato di Albino Luciani, la sede doppiamente vacante a Roma e a Venezia, permisero di fatto che si riprendesse la celebrazione a S. Simon. Il fatto di maggior rilievo negli anni successivi fu la celebrazione in quella chiesa di mons. Lefebvre, il 7 aprile 1980, e la cronaca ne è affidata alla stampa di quei giorni.

Gli anni successivi videro la scomparsa di Carlo Durighello, con conseguenti problemi per la conservazione della chiesa, ma le celebrazioni continuarono regolarmente. Il 2 settembre 1984, al ritorno dalle vacanze, trovai don Siro rapidamente invecchiato: l'età ormai avanzante, le dure battaglie combattute per venti difficilissimi anni, avevano minato la sua forte fibra. Poco dopo egli ritornava nel suo Friuli, dove si spegneva, come abbiamo detto il 4 marzo 1987. E qui si dovette assistere all'ultimo oltraggio, all'ultima vergogna. Il vescovo di Udine, famoso per lasciar celebrare messe in friulano, che stanno a significare una precisa volontà di rottura con Roma, non volle rispettare la volontà e il desiderio del vecchio sacerdote che con la sua fede e la sua cultura aveva costituito uno dei vanti del Friuli cattolico. Avvertito da me telefonicamente e dall'amico Paolo Naccari con telegramma sulla volontà di don Siro di veder celebrati i propri funerali col rito tradizionale o altrimenti con la semplice benedizione e senza messa, mons. Alfredo Battisti non ha esitato a procedere a una celebrazione "paolina", confusa, un po' in italiano e un po' in latino, col solito altare rovesciato, in cui la concelebrazione, da don Siro detestatissima, contribuiva a creare ulteriore sconcerto.E così per ultima messa don Siro Cisilino ha avuto quella di Paolo VI, apprezzata dai fratelli ecumenici di Taizé ma a lui non gradita [1]. Ciò ha costituito una gratuita violazione delle ultime volontà di don Siro, un'umiliazione e un dolore per noi, suoi amici, suoi estimatori, suoi compagni nella santa battaglia; quanto al nostro amico, don Siro, tutto ciò non poteva più toccarlo, ormai assunto, lo confidiamo, nella gloria dei cieli, a contemplare la gloria di Dio tra le melodie degli angeli e degli arcangeli, dei cherubini e dei serafini, qui non cessant clamare quotidie una voce dicentes: Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus sabaoth. Pleni sunt caeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis.

[1] A cura delle sezioni di Una Voce di Udine e Venezia, sante messe "tridentine" sono poi state solennemente celebrate in suffragio dell'anima di don Siro Cisilino nel giorno del trigesimo, l'una a Pantianicco ove risiedeva, l'altra a Venezia in quella stessa chiesa di S. Simon nella quale per tanti anni aveva celebrato la santa messa.

da: «Una Voce Notiziario», 79-80 (1987), pp. 8-11.

La Messa Tridentina e i Papi conciliari Storia e analisi da Paolo VI a Francesco





di Don Mauro Tranquillo
Cerchiamo in queste righe di sintetizzare il rapporto dei Pontefici moderni, da Paolo VI in poi, con il rito tradizionale della Messa, a partire dal momento della promulgazione del “nuovo messale” nel 1970. Per semplificare, in molti casi parleremo “per apparenze”, pur sapendo e avendo molte volte spiegato come il messale nuovo non possa dirsi rito della Chiesa, ed essendo le sanzioni contro Mons. Lefebvre del tutto invalide. Protestiamo fin dall’inizio che non esiste altro messale lecito, legittimo e legale nella Chiesa di rito romano che il messale detto tridentino, espressione della Fede di sempre e della Tradizione. Ogni altra espressione che in questo articolo sembrasse contra- stare con questa affermazione, sarà semplicemente usata nel senso delle apparenze o del modo di vedere dei modernisti, onde narrare in modo più breve le vicende in questione.


1970-1984 Il nuovo messale della nuova chiesa

Nel 1970 entrava in vigore il messale di Paolo VI, e immediatamente ogni celebrazione con il messale tridentino sembrava assolutamente abrogata. Sebbene sottili disquisizioni canoniche abbiamo fin d’allora messo in luce le problematiche legali (oltre alle palesi deviazioni dottrinali) del messale riformato, sacerdoti e laici vissero l’arrivo del nuovo rito come l’abrogazione del vecchio, né si può dire
che Paolo VI sembrasse pensarla diversamente. Il 14 giugno 1971 la Congregazione per il Culto Divino emetteva una nota che precisava chiaramente che, una volta approvate le traduzioni del nuovo messale dalle varie conferenze episcopali, si sarebbe stabilito un giorno dal quale tutti, compresi quelli che usavano ancora la lingua latina, avrebbero dovuto utilizzare «soltanto la forma rinnovata della Messa e della Liturgia delle Ore». Non si parlava certo di una forma alternativa, o “straordinaria”. Nello stesso documento, l’uso del messale o del breviario del 1962 (con le riforme successive fino al 1967) era concesso solo ai sacerdoti avanzati di età o malati, che non potevano imparare il nuovo rito, unicamente in privato e con il permesso dell’Ordinario. Come dire che il vecchio rito era permesso solo fino ad estinzione di tali soggetti, e comunque mai in pubblico. Molti ricordano anche che un’altra eccezione fu concessa: il cosiddetto indulto “di Agatha Christie” (5 novembre 1971), per cui in seguito ad una petizione firmata anche dalla famosa giallista, Paolo VI permise, in Inghilterra ed in Galles, l’uso del Messale del 1965/67 in «speciali occasioni e per certi gruppi di fedeli», a giudizio degli Ordinari. L’applicazione di un tale indulto fu, a nostra conoscenza, estremamente limitata. Certamente ci fu chi perseverò nella fedeltà al Messale con cui era stato ordinato: non è qui il momento di fare la storia dei valorosi che resistettero al messale equivoco di Bugnini e Paolo VI, da Mons. Lefebvre ai tanti preti di ogni dove che non celebrarono mai il nuovo rito. A volte perseguitati, a volte tollerati dalle autorità per evitare disordini, a volte puniti, tutti i sacerdoti fedeli presero una posizione apparentemente “contra legem”. Nello stesso tempo, e almeno fino al 1988, gli unici sacerdoti ordinati per celebrare la Messa tradizionale erano quelli di Mons. Lefebvre. Nel resto della Chiesa, nessun vescovo ordinava preti che (a qualsiasi condizione) celebrassero o imparassero il vecchio rito, per il quale vigeva totale ostracismo. Contro Mons. Lefebvre (e- splicitamente citato) e chi agiva come lui prese posizione Paolo VI nel celebre concistoro del 24 maggio 1976: «L’adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno». Tali parole, al di là del loro effettivo valore, non lasciano spazio ad equivoci: la mens effettiva del Papa era l’estinzione del vecchio Messale e la sua sostituzione con il nuovo, stabilendo un parallelo con l’atto promulgatore di san Pio V stesso. Per Paolo VI, come per tutti allora, una cosa era chiara: rifiutare il nuovo messale era rifiutare le dottrine del Concilio, legarsi alla Messa tradizionale era negare la nuova linea ecclesiale. Nello stesso discorso, Paolo VI invita i fedeli che si sentono legati alle passate forme di culto (per un «attaccamento sentimentale») a ritrovare «il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessarie, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità». Parole e idee non dissimili, lo si riconoscerà, da quelle usate da Papa Bergoglio nel suo motu proprio Traditionis custodes e nella lettera che lo accompagna. Come in tale recente documento, anche Paolo VI non dimentica poi di condannare gli abusi liturgici “a sinistra”, ponendo il Pontefice in mezzo a due apparenti estremi.

venerdì 12 luglio 2024

Mons. Strickland: “Il Vaticano è più interessato a mettere a tacere l’arcivescovo Viganò che a rispondere alle sue accuse”


Carissimi amici e lettori,
Ecco il testo pubblicato da mons. Joseph Strickland sul suo account X/Twitter qui che dice:
"Ci troviamo in un momento strano nella storia della Chiesa, poiché l'arcivescovo Viganò viene rapidamente scomunicato mentre Theodore McCarrick rimane non scomunicato nonostante le rivelazioni dei crimini da lui commessi contro la Chiesa per anni.
Dobbiamo prestare attenzione ravvicinata ad un Vaticano che agisce in questo modo. Invece di rispondere alle serie domande e accuse sollevate dall'arcivescovo Viganò, lo si espelle sommariamente dalla Chiesa con l'apparente intenzione di metterlo a tacere. Nel frattempo, McCarrick e una lunga lista di altri hanno promosso una cultura che ignora o vuole cambiare gli insegnamenti della Chiesa e le loro voci sono autorizzate e persino sostenute apertamente.
Sembra che ci siano rimaste solo pietre per rivendicare giustizia, poiché le voci dei discepoli fedeli sono mute, ignorate, persino messe a tacere."


Concludiamo dicendovi carissimi lettori: “In questi anni di «pontificato» abbiamo visto Bergoglio fare tutto quello che non ci si saremmo  mai aspettati da un Papa, e viceversa tutto quello che farebbe un eresiarca o un apostata. Dal mio punto di vista Bergoglio è eretico e palesemente ostile alla Chiesa di Cristo.

mercoledì 10 luglio 2024

la Chiesa dovrebbe combattere l'eresie moderniste



Carissimi amici e lettori,
Il male della Chiesa oggi si chiama modernismo con l’enciclica Pascendi (anno 1907) papa San Pio X volle condannare il modernismo.

Strano a dirsi, l’eresia modernista fu decisamente condannata, ma non è affatto morta, anzi –come fiume carsico- è andata sottoterra per poi riemergere in maniera più che evidente.

E’ infatti innegabile che le tesi moderniste siano parte integrante della cosiddetta nouvelle theologie che tanto ha contribuito negli ultimi decenni alla diffusione di eterodosse posizioni teologiche.

Il cattolicesimo liberale cercò di sintetizzare la dottrina cattolica con la filosofia moderna. Papa Leone XIII ritenne pertanto opportuno pubblicare, nell’agosto del 1879, l’enciclica Aeterni Patris per ribadire l’importanza della “sacra dottrina di san Tommaso” e soprattutto il fatto che questa dottrina dovesse essere alla base di ogni insegnamento cattolico. Ciò appunto per evitare che ci si lasciasse affascinare dalla filosofia moderna.

Il documento di Leone XIII, però, non ottenne il risultato sperato. Importanti facoltà teologiche (Monaco, Tubinga, Lovanio, Parigi, Strasburgo) continuavano a teorizzare la possibile coniugazione tra dottrina cattolica e filosofia moderna. E fu proprio questa volontà di coniugare l’inconiugabile che determinò la nascita del modernismo, avente un fine ben preciso: trasformare la religione rivelata, affidata alla Gerarchia della Chiesa, in un immanentismo religioso la cui evoluzione sarebbe dovuta essere controllata da una Chiesa con struttura dichiaratamente democratica.( Oggi chiamata e conosciuta come sinodalità)

I più importanti esponenti del modernismo furono: i francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière, Sabatier, Le Roy; il tedesco Schell, l’austriaco Von Hugol e l’irlandese Tyrrel. Tra gli italiani sono da ricordare soprattutto: Enrico Buonaiuti, Romolo Murri e lo scrittore Antonio Fogazzaro.

San Pio X, grazie alla sua santità, colse immediatamente il pericolo rappresentato dal modernismo; e cercò in ogni modo di estirparlo. Decise per una duplice azione: da una parte, mettere all’Indice i libri contaminati dal modernismo; dall’altra, favorì la stampa antimodernista il cui sviluppo si dovette all’azione di monsignor Benigni.

San Pio X non si limitò ad agire sulla stampa, intervenne anche sui modernisti stessi, colpendo con sanzioni disciplinari i rappresentanti più pericolosi di questo errore. Alcuni esempi: nel 1906 ad Enrico Buonaiuti venne tolto l’insegnamento, nello stesso anno il francese Loisy fu sospeso a divinis e nel 1907 fu condannato Romolo Murri.( Tutti questi teologi oggi vengono riabilitati dalla chiesa guidata da Bergoglio).

Poi San Pio X passò agli scritti per ufficializzarne la condanna. Il 17 luglio del 1907 fece pubblicare sull’Osservatore Romano il decreto Lamentabili sane exitu, comprendente la condanna di ben 65 proposizioni modernistiche. Ma il vero capolavoro fu l’enciclica Pascendi Domini grecis, resa pubblica il 16 settembre (la data ufficiale è però l’8 settembre) del 1907.
Karl Rahner si inserisce nelle correnti più estreme della chiamata Nouvelle Théologie, più volte condannate da Pio XII, che nel 1950 pubblicò perfino un’enciclica specificamente contro di essa: Humani Generis.

La Nouvelle Théologie fu l’erede diretta del Modernismo, condannato nel 1908 da s. Pio X, che lo definì “la sintesi di tutte le eresie”. Condannati, i modernisti si nascosero in ciò che Antonio Fogazzaro, figura di spicco della corrente, chiamò una “frammassoneria cattolica”. Lungi dal velare il carattere di setta segreta, essi anzi se ne vantavano: “Non ci resta che aspettare il giorno in cui, grazie a un lavoro silenzioso e segreto, avremo guadagnato per la causa della libertà una porzione più ampia delle truppe della Chiesa”, scriveva il modernista George Tyrrell nel 1910.

Questo “lavoro silenzioso e segreto” cominciò a dare i primi frutti negli anni Trenta del secolo scorso, col cosiddetto “problema teologico”. I grandi focolai furono la facoltà domenicana Le Saulchoir e la facoltà gesuita di Lyon-Fourvière. Si parlava – già allora! – di “cambio di paradigma teologico”. “Il cambiamento di prospettiva operatosi dolorosamente e tragicamente con il modernismo fu ripreso e riproposto dalla Nouvelle Théologie”, spiega don Germano Pattaro, allora docente di teologia al Seminario Patriarcale di Venezia.

I nuovi teologi adducevano come pretesto quello stesso dei modernisti, e prima di loro dei cattolici liberali: adattare la Chiesa allo “spirito dei tempi”. A tale scopo, si adoperarono per reinterpretare tutta la dottrina cattolica, a cominciare dalla filosofia che ne era alla base, secondo i canoni dell’esistenzialismo, non si sa perché ritenuto più à la page. Secondo loro, la Rivelazione non è avvenuta nella storia, ma dalla storia. In altre parole, la stessa storia è veicolo di Rivelazione. “Dio parla per eventi — secondo Marie Dominique Chenu — l’economia della rivelazione non è una storia in cui avviene una rivelazione, ma una storia di per sé rivelatrice”.

Non era, però, qualsiasi storia che mediava la Rivelazione, bensì quella rivoluzionaria: “La progressiva socializzazione. Lo sviluppo della classe operaria, la militanza sociale della donna, l’organizzazione della coscienza internazionale, la liberazione dei popoli dal giogo coloniale, la liberazione sessuale”. I nuovi teologi introdussero così una confusione fra la storia della salvezza (soprannaturale), e la storia profana. Essendo mediatrice di Rivelazione, quest’ultima è di per sé sacra. In questo modo, sacralizzarono le rivoluzioni in corso all’epoca, specialmente quelle di segno socialista e comunista.

Pari passu, svilupparono una nuova ecclesiologia, manipolando il concetto di “popolo di Dio”. Volevano distruggere ogni gerarchia nella Chiesa, in favore di una visione ugualitaria, laica e desacralizzata. “La mia visione della Chiesa mette in discussione il sistema piramidale, gerarchico e giuridico — affermava Yves Congar — la mia ecclesiologia è quella del «popolo di Dio»”.

Pio XII condannò più volte questa corrente. Nel 1943 pubblicò l’enciclica Mystici Corporis Christi, nella quale avvertiva contro gli errori della Nouvelle Théologie in campo ecclesiologico. Poi, in due allocuzioni nel 1946 ai Padri Gesuiti e ai Padri Domenicani, il Pontefice fu molto chiaro: “Che nessuno indebolisca o sconvolga ciò che non dovrebbe mai cambiare. Molto si è detto, e in maniera assai leggera, su una «nuova teologia» secondo cui la teologia cattolica dovrebbe svilupparsi seguendo l’evoluzione generale delle cose, diventando così qualcosa in perpetuo movimento senza mai essere saldamente ancorata. Se dovessimo assumere un tale parere, cosa diventerebbe dei dogmi immutabili della Chiesa cattolica? Che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?”.

Nel 1947 il Papa promulgò l’enciclica Mediator Dei, una condanna alla Nouvelle Théologie in campo liturgico. Finalmente, il 12 agosto 1950, Pio XII pubblicò l’enciclica Humani generis, specificamente rivolta alla Nouvelle Théologie. In essa, il Papa mette in guardia contro coloro che “senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l’ipotesi monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione”.

Purtroppo, i venti della storia – anche all’interno della Chiesa – soffiavano dall’altra parte. Tutti i nuovi teologi si ritrovarono “periti” durante il Concilio Vaticano II e oggi tutta la Chiesa ne risente .

martedì 9 luglio 2024

Perché disobbedire – anche al Papa – può essere un dovere



Carissimi amici e lettori,

La vera fedeltà e obbedienza non implicano un rinnegamento della nostra personalità, del nostro pensiero e della nostra volontà!Nell' ottobre 2022 il vescovo Athanasius Schneider ha gentilmente fornito a LifeSite un'analisi (vedi testo completo sotto) in cui discute la natura e i limiti dell'obbedienza al Papa buona lettura (link originale)

“L’obbedienza”, dice, “non è cieca o incondizionata, ma ha dei limiti. Quando c’è un peccato, mortale o di altro tipo, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di disobbedire”.

Il Papa, essendo il vicario di Cristo, è tenuto a servire la verità cattolica e a non alterarla. Pertanto, “si deve sicuramente obbedire al Papa, quando propone infallibilmente la verità di Cristo, [e] quando parla ex cathedra, cosa molto rara. Dobbiamo obbedire al Papa quando ci ordina di obbedire alle leggi e ai comandamenti di Dio [e] quando prende decisioni amministrative e giurisdizionali (nomine, indulgenze, ecc.)”.
Tuttavia, spiega il vescovo kazako, se “un Papa crea confusione e ambiguità riguardo all’integrità della fede cattolica e della sacra Liturgia, allora non si deve obbedire a lui, e si deve obbedire alla Chiesa di tutti i tempi e ai Papi che, durante due millenni, hanno insegnato costantemente e chiaramente tutte le verità cattoliche nello stesso senso”.


In tempi di crisi, quando i capi della Chiesa vengono meno ai loro doveri di pastori che conducono il gregge a Cristo, altri membri del Corpo mistico di Cristo sono chiamati a dare una mano e a difendere la fede.
Dichiara il vescovo:
“Quando coloro che hanno autorità nella Chiesa (Papa, Vescovi), come accade nel nostro tempo, non adempiono fedelmente al loro dovere di mantenere e difendere l’integrità e la chiarezza della fede cattolica e della liturgia, Dio chiama i subalterni, spesso i più piccoli e semplici nella Chiesa, a compensare i difetti dei superiori, per mezzo di appelli, proposte di correzione e, soprattutto, per mezzo di sacrifici e preghiere vicarie”.

Con molta chiarezza e carità, il vescovo Schneider dà quindi a tutti i cattolici le linee guida per una risposta adeguata agli insegnamenti e ai gesti sbagliati che vengono da Roma in questi giorni, come la nomina di pro-abortisti alla Pontificia Accademia per la Vita e l’aperta promozione dell’agenda LGBT da parte dei funzionari.

Anche il cardinale Gerhard Müller, ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha recentemente chiarito che i prelati che promuovono tali insegnamenti errati non dovrebbero essere obbediti.
Ha affermato che: “Non si deve obbedire a un vescovo palesemente eretico solo per ragioni di formalità, altrimenti l’obbedienza religiosa sarebbe un’obbedienza cieca che contraddice non solo la ragione ma anche la fede”.
Il diritto di resistere è, ovviamente, strettamente legato alle verità rivelate”.

Questa affermazione potrebbe naturalmente essere applicata anche al Papa, che non è al di sopra della legge di Dio e non ha un “potere illimitato”, contrariamente a quanto sembra aver suggerito uno stretto collaboratore di Papa Francesco durante la recente riunione del collegio cardinalizio a Roma.
Nel frattempo, il cardinale tedesco ha definito il Sinodo sulla sinodalità “un’acquisizione ostile della Chiesa”.

Alla luce di questa crisi della Chiesa, la disobbedienza potrebbe addirittura diventare un dovere, ricordando la regola secondo cui bisogna obbedire a Dio più che agli uomini.
Mons. Schneider scrive:
“All’autorità di un Papa o di un vescovo che supera i limiti della legge divina dell’integrità e della chiarezza della fede cattolica, bisogna opporre una ferma resistenza, che può diventare pubblica. Questo è l’eroismo del nostro tempo, la via più grave per la santità oggi. Diventare santi significa fare la volontà di Dio; fare la volontà di Dio significa obbedire alla sua legge sempre, in particolare quando questo è difficile o quando ci mette in conflitto con uomini che, pur essendo legittimi rappresentanti della sua autorità sulla terra (Papa, vescovo), purtroppo diffondono errori o indeboliscono l’integrità e la chiarezza della fede cattolica”.

Siamo profondamente grati a Sua Eccellenza per la sua chiarezza di insegnamento e per il suo incoraggiamento a quei cattolici che sono costernati per lo smantellamento della fede cattolica di tutte le epoche davanti ai nostri occhi ma ci domandiamo come mai sua eccellenza che dispensa saggi  consigli al popolo di Dio, insieme ai suoi confratelli vescovi e cardinali, non fanno pubblica opposizione a papa Bergoglio che con l'aiuto del suo fidato amico cardinale Fernandez stanno smantellando la dottrina cattolica?

lunedì 8 luglio 2024

I Papi post-concilio responsabili della crisi nella Chiesa

Nell’Antico Testamento i Profeti erano inviati da Dio per annunziare sciagure e castighi quando Israele abbandonava il monoteismo. Quindi i santi Profeti vetero-testamentari erano “profeti di sventura” per volontà e ordine di Dio.


Carissimi amici e lettori,
purtroppo,una delle caratteristiche della crisi attuale della Chiesa è che diversi papi che si sono susseguiti sul soglio di Pietro hanno contribuito alla sua diffusione, e questo specialmente sostenendo dei teologi modernisti, difendendo essi stessi delle opinioni o compiendo delle azioni inconciliabili con la dottrina cattolica tradizionale, e ponendo degli ostacoli a chi invece cercava di opporsi alla crisi.

Giovanni XXIII(1959-1963) ha dato alla crisi - che già covava da diversi anni - l'occasione di manifestarsi in modo conclamato, convocando il concilio vaticano II. "L'aggiornamento" divenne la parola d'ordine di un sovvertimento senza limiti caratterizzato dall'introduzione dello "spirito del mondo" nella Chiesa. Nel discorso di apertura del Concilio, dopo aver ricordato che la Chiesa non ha mai trascurato di condannare gli errori, disse: «Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell'onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, sopratutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi riponendo troppa fiducia nei progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita ». Papa Roncalli diceva anche di opporsi ai « profeti di sventura » e pensava che gli errori sarebbero scomparsi da sé, « come nebbia dissipata dal sole ». L'idea che l'errore possa scomparire da sé, senza che si faccia nulla per reprimerlo, contrasta con la condizione della natura umana, decaduta dopo il peccato originale, e con l'esperienza stessa, come ognuno può constatare, nella società civile come nella Chiesa. Inoltre, è scorretto contrapporre la misericordia e la condanna dell'errore, infatti, se rettamente intesa e praticata in un'ottica medicinale tesa a ricondurre gli erranti sulla retta via e perseverare gli altri dalle deviazioni, è un'opera di misericordia. I fatti stessi, infine, dimostrano che dopo il Concilio Vaticano II gli errori non solo non sono scomparsi, ma si sono moltiplicati e diffusi in modo capillare.

Paolo VI (1963-1978), continuò il Concilio, sostenne nettamente i liberali. Nominò quattro cardinali- Dopfner, Suenens, Lercaro, e Agagianian - moderatori del Concilio. I primi tre erano notoriamente liberali, il quarto più conservatore, ma era una personalità poco incisiva.

Montini ha favorito i liberali moderati e tavolta a frenato i liberali estremisti. Il 7 Dicembre del 65 riassumeva così ciò che era avvenuto al Concilio: «La religione del Dio che si è fatto Uomo s'è incontrata con la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. l'antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani ( e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l'attenzione del nostro sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell'uomo ».

Che cosa c'è di male in questa dichiarazione ? La si paragoni con ciò che San Pio X diceva nella sua prima enciclica: «Occorre che con ogni mezzo e fatica facciamo sparire radicalmente l'enorme e detestabile scelleratezza, tutta proprietà del nostro tempo, la sostituzione cioè dell'uomo a Dio ».

Da dove proviene l'idea di essere «cultori dell'uomo »? La massoneria, che ha tra i suoi scopi la distruzione della Chiesa cattolica, del papato, ha sempre preconizzato il culto dell'uomo. Le parole di Paolo VI a chiusura del Vaticano II hanno favorito l'introduzione di questa ideologia nella Chiesa.

Giovanni Paolo II (1978-2005) Provvisto di un temperamento più forte di Paolo VI, è stato più fermo su alcuni punti. Ma, sotto altri aspetti, ha perseguito in modo ancora più deciso la via delle innovazioni, dicendo e facendo delle cose che fino al Vaticano II probabilmente sarebbero state qualificate come sospette di eresia.

Per esempio: il 29 maggio 1982, ha recitato il Credo con il fasullo arcivescovo anglicano, Runcie, nella cattedrale di Canterbury; poi ha dato la benedizione con lui. Per comprendere la gravità di questo gesto, bisogna tener presente che, oltre a essere un esponente di una confessione scismatica, questo prelato anglicano rivestito di tutti i paramenti pontificali non possiede ne la successione apostolica ne la validità degli ordini sacerdotali a causa dell'invalidità delle ordinazioni anglicane.

Ci sono altri esempi ancora peggiori:la cooperazione prestata a dei riti idolatrici. Agosto 1985, Giovanni Paolo II, ha partecipato ad un rito animista in un « bosco sacro » del Togo.Il 2 febbraio 1986, a Bombay, ha ricevuto sulla fronte il Tylak, che simboleggia il terzo occhio di Shiva. Il 5 febbraio, a Madras, ha ricevuto il Vibbuti (ceneri sacre), segno degli adoratori di Shiva e di Vishnu. La cooperazione di Giovanni Paolo II a dei culti idolatri non si è limitata a questi soli casi prosegue con la celebre riunione di Assisi il 27 ottobre 1986. Tutte le religioni del mondo vengono a pregare per la pace ad Assisi , ognuno secondo il proprio rito le chiese di Assisi messe a disposizione di Pagani, eretici e scismatici, addirittura nella Chiesa di San Pietro la statua di Budda fu fatta troneggiare sopra il tabernacolo. Dopo il 1986 questo movimento ecumenico sponsorizzato dalle conferenze episcopali e incoraggiato da Giovanni Paolo II è continuato con gesti spettacolari a sostegno delle false religioni, il 14 maggio 1999, ha pubblicamente baciato il Corano.
Benedetto XVI è stato senza dubbio più favorevole alla tradizione rispetto a Giovanni Paolo II. Ha dato, ad esempio maggiore libertà alla liturgia tradizionale 
con il suo motuproprio del 7 luglio 2007, nonostante l'opposizione di molti vescovi. Ma, se ha manifestato di avere una certa sensibilità tradizionale, bisogna comunque tener presente che ha ricevuto una formazione intellettuale modernista. Nei libri di teologia che ha scritto da giovane si trovano numerosi affermazioni che lo mostrano. Nel corso dei decenni ha cambiato idea su alcuni punti, evolvendo in senso conservatore, ma l'impianto teologico di fondo è rimasto lo stesso.Inoltre, il suo pontificato è stato caratterizzato dallo sforzo di « salvare » il Concilio, collocandolo nella continuità della tradizione, rispetto alla quale non rappresenterebbe una rottura; ma questa interpretazione non regge all'analisi dei testi e dei fatti.
Benedetto XVI ha compiuto dei gesti altrettanto scandalosi simile al suo predecessore anche se si è dimostrato generalmente più serio.
Alla messa esequiale di Giovanni Paolo II, undici giorni prima della sua ascesa al Santo soglio, il cardinale Ratzinger ha dato la comunione in mano a Roger Schutz, di Taizé, che sapeva essere protestante.
Nella sua prima omelia ha promesso di continuare e di proseguire il dialogo ecumenico di cui Giovanni Paolo II si era fatto promotore.
Quattro mesi dopo l'elezione ha visitato la Sinagoga a Colonia (19 agosto 2005), lasciando intendere, attraverso il gesto stesso e le parole che lo hanno accompagnato, che il culto che vi è tributato sia gradito a Dio .
Il 30 Novembre 2006 si è tolto le scarpe per entrare nella moschea di Istanbul dove, dopo essersi orientato verso La Mecca, si è raccolto alcuni istanti, con le mani incrociati sul ventre.Il suo atteggiamento, così ha lasciato intendere che il culto reso in quella moschea fosse legittimo e gradito a Dio.
Nel 2010 il 14 marzo ha partecipato attivamente al culto luterano domenicale nella comunità evangelica di Roma.
Il 1 maggio 2011 beatificando Giovanni Paolo II, manifesta con questa suo gesto la sua approvazione nell'operato del suo predecessore e proponendolo come modello da seguire a tutta la cristianità; sempre nello stesso anno il 27 ottobre ha celebrato una riunione ecumenica ad Assisi ( in memoria e sulla scia di quella voluta da Giovanni Paolo II nel 1986, 25 anni prima) presentata come la commemorazione e la sua continuazione.


Francesco supera di gran lunga Giovanni XXIII e Paolo VI. Infatti secondo lui il Concilio Vaticano II si è fermato a mezza strada nel dialogo con la modernità e post-modernità. Quindi afferma che sarà lui ad arrivare alle conclusioni estreme. E lo si è visto! Il modernismo ha rivoluzionato la dottrina cristiana anche in campo morale: sì alla comunione ai divorziati risposati (cfr. Esortazione Amoris laetitia,19 marzo 2106), la quale, come ha detto il cardinal Müller, intacca tre sacramenti: il matrimonio, perché praticamente si accetta il divorzio, eliminando l’indissolubilità del matrimonio; la confessione, perché si dovrebbe assolvere sacramentalmente chi non è pentito e continua a vivere in stato di peccato grave; l’Eucarestia, perché si potrebbe dare la Comunione anche ai divorziati cosiddetti risposati che non sono in grazia di Dio.E poi arriva Fiducia Supplicans è l'ennesimo tentativo di riformare la dottrina “Le idee espresse nella dichiarazione ‘Fiducia supplicans’ rappresentano un allontanamento significativo dall’insegnamento morale cristiano”. “L’amore di Dio per l’uomo non può essere la base per benedire le coppie in convivenza peccaminosa. Dio ama l’uomo, ma lo chiama anche alla perfezione: ‘Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste’ (Mt 5,48). L’amore di Dio per l’uomo lo chiama ad allontanarsi dal peccato che distrugge la sua vita. Di conseguenza, la sollecitudine pastorale deve combinare armoniosamente una chiara indicazione dell’inammissibilità di uno stile di vita peccaminoso con l’amore che porta al pentimento”.

Per quanto riguarda le “diaconesse”, la proposta di Francesco lede il sacramento dell’Ordine sacro.

CONCLUSIONE

Da Giovanni XXIII sino a Francesco I ci si è aperti al mondo. Francesco non è l’unico né il primo ad averlo fatto. Le frasi citate sopra ci fanno capire che vi è un filo conduttore, il quale unisce i Papi del Concilio Vaticano II e del post-concilio. L’unica differenza tra di loro è la velocità, che in Francesco I è arrivata al culmine, ma l’apertura alla modernità è comune a tutti i Papi del Concilio e post-concilio.
Tutto ciò ci fa pensare che oramai solo un intervento speciale divino potrà rimettere le cose a posto. Infatti il morbo modernista non solo è penetrato nella Chiesa ma è giunto fino al suo vertice. Ora al di sopra del Papa c’è soltanto Dio e siccome gli artefici della teologia neo-modernista sono stati cinque Papi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II Benedetto XVI,e Francesco I, solo Dio può fermare la valanga di errori che si è abbattuta sul mondo ecclesiale a partire dal 1959.



I vostri messaggi per monsignor Viganò





Carissimi amici e lettori,
continuiamo la carrellata dei messaggi di solidarietà per Sua eccellenza mons.Carlo Maria Viganò pubblicati su Duc in altum da Aldo Maria Valli, anche noi e ci uniamo a sostegno di sua eccellenza reverendissima mons.Viganò.

A.Di J.
“Beati estis cum maledixerint vobis et persecuti vos fuerint et dixerint omne malum adversum vos mentientes propter me.

Gaudete et exultate quoniam merces vestra copiosa est in caelis sic enim persecuti sunt prophetas qui fuerunt ante vos” (Mt 5,11 – 12)

Nell’esprimere la mia solidarietà a Sua Eccellenza Monsignor Viganò non riesco a trovare parole migliori di quelle scritte profeticamente da Giovannino Guareschi in un capitolo del libro Don Camillo e Don Chichì. Frasi vecchie di sessant’anni eppure drammaticamente attuali.


Don Camillo spalancò le braccia: “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”.

“Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”

“No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore, la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all’uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l’uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni, cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.

Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla in­tatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura”.

“Signore”, domandò don Camillo, “volete forse dire che il demonio è diventato tanto astuto che riesce, talvolta, a travestirsi perfino da prete?”.

Grazie Monsignor Viganò per il suo coraggio. Esso sia sprone per tutti quelli che, umilmente, vogliono contribuire a salvare il seme.

Non è fatica sprecata. Nostro Signore ce l’ha promesso: non praevalebunt!

Giovanni

*

Eccellenza Reverendissima,

tutta la Vera Chiesa è con Lei e La sostiene con la preghiera a Dio Padre e con la supplica alla Vergine Santissima affinché Lei possa continuare a difendere i veri valori e la Vera Dottrina che Cristo ci ha rivelato. Dio, nella Sua infinita Misericordia, sempre la protegga e la benedica.

Con sincero affetto

Anna Nimis

*

Dear Aldo Maria Valli,

I am writing from the Archdiocese of Seoul, South Korea. I have heard of the Bergoglian punishment of His Excellency Archbishop Viganò. Excommunicated! What a horrible situation!

I do not always agree with His Excellency Viganò on everything, but I know that he makes many efforts to protect Catholic teachings. I deeply respect and strongly support him. He has spoken the truth about Bergoglio and the Bergoglians. They destroy the Church and punish those who defend it. Instead they support those who should be excommunicated: the LGBTQ groups, the wrong cardinals and bishops, the German Church.

Wrong ideologies spread very fast, but the Light of the Lord, with the support of Your Excellency Archbishop Viganò, will triumph.

Holy Mary, Angels of Heaven, all the saints, especially the holy Korean martyrs, pray for us!

Amen.

Jaeho Clement Chung

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Caro Aldo Maria Valli

scrivo dall’Arcidiocesi di Seoul, Corea del Sud. Ho sentito della punizione bergogliana all’Eccellenza Arcivescovo Viganò. Scomunicato! Che situazione orribile!

Non sempre sono d’accordo con l’Eccellenza Viganò su tutto, ma so che fa molti sforzi per proteggere gli insegnamenti cattolici. Lo rispetto profondamente e lo sostengo con forza. Ha detto la verità su Bergoglio e i bergogliani. Essi distruggono la Chiesa e puniscono chi la difende. Invece appoggiano chi andrebbe scomunicato: i gruppi LGBTQ, i cardinali e vescovi sbagliati, la Chiesa tedesca.

Le ideologie sbagliate si diffondono molto velocemente, ma la Luce del Signore, con il sostegno dell’Eccellenza Arcivescovo Viganò, trionferà.

Maria Santissima, Angeli del Cielo, tutti i santi, specialmente i santi martiri coreani, pregate per noi!

Amen.

Jaeho Clement Chung

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Caro Valli,

lancio la seguente sfida: tutti noi buoni credenti non possiamo sederci a piangere a causa di Bergolio e dei suoi servi ordinari. Mi rivolgo a voi, che avete un certo potere d’informazione, sia europei sia americani, e a tutti i buoni cristiani e che vedono la disgrazia che sta accadendo alla Nostra Amata Madre Santa Chiesa.

La sfida è la seguente: tutti i vescovi e i sacerdoti, gli ordini religiosi e i fedeli all’unisono lancino un duro attacco contro Bergoglio e i suoi scagnozzi, costringendoli ad andarsene e ad essere deposti con le buone o con le cattive e obbligandoli a lasciare la Santa Chiesa.

Sofia Costa Rodrigues

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Caro Aldo Maria Valli,

la informo della recentissima proibizione della celebrazione della Santa Messa secondo il rito tradizionale nel santuario mariano di Covadonga, simbolo della Reconquista spagnola e meta del pellegrinaggio “Nuestra Señora de la Cristiandad”, giunto alla quarta edizione con sempre maggior successo [qui].

È un altro grave attentato contro la liberà di culto e una violazione al motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum. Ed è certamente un sintomo allarmante della politica della “soluzione finale” di cui si sta parlando in questi giorni.

Grazie per la sua attenzione. Che il Signore la benedica.

Edi Liccioli

*

Caro Valli,

che il Signore nostro conforti e sostenga come solo Lui sa fare monsignor Viganò. Che Viganò abbia la Sua pace e lo accompagni la fortezza dello Spirito.

Marinella Giorgini

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Caro Valli,

scrivo per ringraziarla e per ribadire la vicinanza e il sostegno costante nella preghiera al nostro caro Monsignor Viganò.

Leggendo i suoi articoli, ho notato che tra gli ultimi messaggi rivolti a Monsignore ve ne sono alcuni che provengono da sacerdoti.

Mi permetto pertanto di rivolgere una supplica ai nostri cari prelati e ai nostri cari sacerdoti. Chiedo loro di non esitare nel sostenere la stessa battaglia di Monsignor Viganò, di non avere paura e di fare quello che devono fare, difendendo la Verità e combattendo l’ errore.

Abbiamo bisogno di voi! Non pensiate che solo pochi fedeli vi seguirebbero e vi loderebbero per questo. Siamo in tanti e se vi alzate, saremo ancora di più.

Non possono certo scomunicarci tutti. Se voi tacerete, le cose inevitabilmente peggioreranno.

Grazie di cuore

Liana Bacchini

*

Caro Valli,

da una semplice fedele un grazie a Monsignor Viganò. Dio La benedica e la Vergine Santa sempre La protegga, per essere un vero pastore secondo il cuore di Dio.

Grazie al caro dottor Valli, che si fa portavoce dei senza voce e senza ascolto.

Maria Cristina Ruffoli 

Veri e presunti “difensori della Tradizione”. Ora tutto è più chiaro
di Antonio de Felip

Caro Valli,

la miserabile, illegittima e illecita dichiarazione di scomunica di Monsignor Viganò ha comunque un merito: quello di fare chiarezza tra i veri e presunti “difensori della Tradizione”. In questi giorni abbiamo visto troppi tortuosi distinguo, troppi ditini levati, troppe sopracciglia alzate. Teologhesse e storici di vaglia, rispettabilissime Fraternità sacerdotali di varia “postura”, come si usa dire oggi, “battitori liberi” della Tradizione, giornalisti presunti “di destra” intenti a prendere le distanze, sottilizzare, precisare, distinguere.

Qualcuno ci ha ricordato l’ovvio: “Extra Ecclesiam nulla salus”, come se fosse Monsignor Viganò a essere fuori dalla Chiesa di sempre e non qualcun altro apparentemente ben più in alto. Abbiamo sentito lezioncine saccenti di introduzione alla teologia, elementi di diritto canonico, predicozzi sulla Chiesa reale e sulla Chiesa gerarchica. Poi anatemi contro di noi, poveri “assidui frequentatori dei blog tradizionalisti” che aderirebbero a una “chiesa virtuale” come ha scritto un noto storico “delle nostre parti”, dimentico di aver scritto una apprezzabile narrazione critica del concilio da cui si evince che la viganoviana definizione di “cancro” è più che fondata.

Bene, ora il campo è più pulito e la visuale più chiara. Sappiamo chi è di qua e chi è di là. E ce ne ricorderemo, ah se ce ne ricorderemo.

sabato 6 luglio 2024

I vostri messaggi sulla vicenda Viganò / Un distintivo d’onore essere scomunicati dalla falsa chiesa


Cari amici e lettori,
pubblichiamo oggi alcuni messaggi di solidarietà e di stima che sono arrivati al blog di Duc in altum,e per gentile concessione noi pubblichiamo  un’incredibile quantità di messaggi di solidarietà, stima, affetto e preghiera per monsignor Carlo Maria Viganò.
Carissimi amici, stringiamoci a Monsignore e facciamogli sentire che il gregge è vicino al buon pastore. (Clicca per leggere tutti i messaggi Per Viganò con Viganò i vostri messaggi senza sosta)

by Mel Gibson

Dear Archbishop,

I’m sure you expected nothing else from Jorge Bergoglio.

I know that you know he has no authority whatsoever – so I’m not sure how this will effect you going forward- I hope you will continue to say mass & receive the sacraments yourself – it really is a badge of honor to be shunned by the false, post conciliar church.

You have my sympathies that you suffer publicly this grave injustice. To me & many others you are a most courageous Hero.

As always, you have hit the nail on the head regarding the illegitimacy of Francis. You express the core problems with the institution that has eclipsed the true church & I applaud your courage in expressing that, but more than that in maintaining fidelity to the true church!

You are a modern day Athanasius! I have all respect for the way you defend Christ & his church. I agree with you 100% that the post conciliar church of Vatican II is a counterfeit church. This is why I built a Catholic Church that only worships traditionally. You are welcome to come & say mass there anytime.

Of course being called a schismatic & being excommunicated by Jorge Bergoglio is like a badge of honor when you consider he is a total apostate & expels you from a false institution.

Remember that true schism requires innovation, something you have not done but something that Bergoglio does with every breath

He, therefore, is the schismatic! However he already ipso facto excommunicated himself by his many public heresies (canon 188 in the 1917 code).

As you already know he has no power to excommunicate you because he is not even a Catholic.

So rejoice! I am with you & I hope Bergoglio excommunicates me from his false church also.

Bergoglio & his cohorts have the clothes & the buildings, but you have the faith.

God bless & keep you. If you need anything just ask I will try my best to help.

With admiration & undying respect.

_________

di Mel Gibson

Caro arcivescovo,

sono sicuro che non si aspettava altro da Jorge Bergoglio.

So che lei sa che egli non ha alcuna autorità, quindi non so che effetto avrà su di lei in futuro. Spero che continuerà a dire messa e a ricevere i sacramenti. È davvero un distintivo d’onore essere evitato dalla falsa Chiesa postconciliare.

Ha tutta la mia solidarietà per il fatto che soffre pubblicamente questa grave ingiustizia. Per me e per molti altri lei è un eroe coraggioso.

Come sempre, ha colto nel segno riguardo all’illegittimità di Francesco. Lei esprime i problemi fondamentali dell’istituzione che ha eclissato la vera Chiesa e mi congratulo per il suo coraggio, ma soprattutto per come mantiene la fedeltà alla vera Chiesa!

Lei è un Atanasio dei giorni nostri! Ho tutto il rispetto per il modo in cui difende Cristo e la sua Chiesa. Sono d’accordo con lei al 100% sul fatto che la chiesa postconciliare del Vaticano II è una chiesa contraffatta. Per questo ho costruito una chiesa cattolica in cui si pratica solo il culto tradizionale. Siete i benvenuti se volete venire a celebrare la messa in qualsiasi momento.

Naturalmente essere chiamato scismatico ed essere scomunicato da Jorge Bergoglio è come un distintivo d’onore se si considera che egli è un apostata totale e la espelle da una falsa istituzione.

Ricordo che il vero scisma richiede innovazione, cosa che lei non ha fatto, ma che Bergoglio fa ad ogni respiro.

È lui, quindi, lo scismatico! Tuttavia, egli si è già scomunicato ipso facto con le sue numerose eresie pubbliche (canone 188 nel Codice del 1917).

Come già sa, non ha il potere di scomunicarla perché non è nemmeno cattolico. Quindi gioisca! Sono con lei, e spero che Bergoglio scomunichi anche me dalla sua falsa Chiesa.

Bergoglio e le sue coorti hanno le vesti e gli edifici, ma voi avete la fede.

Dio la benedica e la protegga. Se ha bisogno di qualcosa chieda pure, farò del mio meglio per aiutarla.

Con ammirazione e imperituro rispetto
_________


di Enrico Maria Radaelli

Eccellenza Reverendissima, Monsignor Arcivescovo Carlo Maria Viganò,

ho saputo dell’inaudita sentenza tutta assolutamente contronatura e scandalosamente antievangelica che il cosiddetto, ma esso sì scismatico e auto-scomunicato, congresso del Dicastero per la dottrina della fede ha pronunciato contro di Lei.

Le confermo che sono toto corde con Lei, sia nel metodo (non presentarsi a tale Tribunale perché non sono loro ad avere autorità su di Lei, ma è Lei che ha autorità su di loro), sia nelle conclusioni: sono loro gli auto-scomunicati, sono loro gli scismatici, sono loro insomma l’anti-chiesa, suffragate essendo tutte queste asserzioni da Gal 1,8: «Se anche noi stessi o un angelo dal cielo, vi predicassimo un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!».

Aggiungo che tutta nulla e dunque tutta invalida è a mio giudizio la rinuncia di Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013, come ampiamente e incontrovertibilmente illustrato nelle pagine del mio La Chiesa si è auto-scomunicata?

Prego vivamente, e mi unisco alle preghiere di tutti i fedeli che come me sanno bene come la realtà della nostra santa e povera Chiesa sia tutto il contrario di come viene presentata da questa tutta bugiarda sentenza, che al più presto si raduni intorno a Lei, eccellentissimo ed eroico Monsignor Arcivescovo Carlo Maria Viganò, il più largo e vivo consesso di Vescovi, di Arcivescovi e di Cardinali che riconoscano pubblicamente la vera realtà che Lei così fermamente sta denunciando da anni e oggi alza quale unico vessillo di realtà, e arrivino alle ovvie conclusioni che da anni sono pur loro dinanzi, e che ho ritenuto logico delineare nei miei libri più recenti, Ma Dio è pro o contro il Novus Ordo Missae? e, appunto, La Chiesa si è auto-scomunicata?, così essi impegnandosi a dare finalmente alla nostra sempre più santa e sempre più amata Chiesa il vero, legittimo e degno Successore di Benedetto XVI che la Sposa di Cristo sta aspettando e aspettando da ben undici anni., da vera martire qual è, pur sotto le ereticali, scandalose, sanguinanti e anticristiche fustigazioni sempre più anticristiche e furiosamente laceranti dell’antipapa Jorge Mario Bergoglio.

Prostrato, ringraziando nostro Signore per l’immensa, eccezionale e luminosissima grazia che col Suo coraggio Egli sta dispensando oggi molto misericordiosamente sulla Sua Chiesa, Le bacio filialmente l’anello.

Monsignor Viganò,un faro nella nebbia tossica della confusione e dell’eresia.




Cari amici e lettori,

riceviamo e pubblichiamo di Stilum Curiae, negli ultimi giorni il loro sito è stato censurato a più riprese da FaceBook. Non è una novità, direte, voi; e avete ragione. Perché se ne parla in un articolo che riguarda mons. Viganò? Perché la maggior parte degli articoli rimossi da Facebook avevano nel titolo proprio quel cognome: Viganò. Allora ho pensato di aggirare il blocco scrivendo così: V*i*g*a*n*ò. Ha funzionato qualche volta, e poi è scattata la rimozione…Ed è per questo che mi sono rassegnato a usare nel titolo la formula Carlo Maria V., salvo poi, dopo aver pubblicato il post su Facebook, modificare il titolo usando il cognome completo.

Trovo la cosa interessante; evidentemente gli algoritmi hanno ricevuto ordini in questo senso. Ora, una delle battaglie che il coraggioso arcivescovo, a cui va tutta la nostra solidarietà e il nostro affetto nel processo farsa organizzato dal cinghiale argentino e dai suoi compari nella Vigna del Signore, è proprio questa: contro l’asservimento di Jorge Mario Bergoglio ai poteri mondialisti e globalisti, in una maniera che lo rendono di fatto il cappellano del NWO, dei Soros, dei Rotschild. Non a caso Facebook, proprietà di un certo Mark Zuckerberg, non ama altri termini nei titoli, e di questo abbiamo fatto esperienza recentissima con articolo rimossi. In quei titoli c’erano le parole WEF World Economic Forum, Massoneria, Nuovo Ordine Mondiale. Che caso, vero?

Qui sotto trovate l’articolo che l’amico Paolo Deotto ha scritto dopo la condanna farsa firmata da Tucho Besame Mucho Fernandez e voluta dal suo principale. Come abbiamo già rilevato, i tempi della reazione vaticana suscitano interrogativi. Si può ipotizzare che le “particolarità” umorali e psichiche del pontefice, mai tenute realmente sotto controllo anche negli anni passati, stiano raggiungendo un altro livello di disequilibrio. E sembra – da quello che filtra dal bunker di Santa Marta – che gli scatti d’ira, e gli sfoghi verbali non eleganti siano aumentati negli ultimi mesi. L’ampiezza della reazione negativa, mai registrata prima a questi livelli da un documento vaticano, verso Fiducia Supplicans, l’influenza dell’arcivescovo su ampie fasce dell’episcopato specialmente negli USA, dove i grandi alleati di Bergoglio, i dem di Obama, Clinton e Biden vedono avvicinarsi la vittoria di Trump e la considerazione che Viganò ha riscosso in maniera crescente nel Popolo di Dio possono essere concause scatenanti della mossa di Bergoglio.


Buona lettura e condivisione.




E adesso vedremo quanti e quali religiosi sapranno alzare la testa e, in nome della Vera Fede, solidarizzare con Monsignore.

La decisione del Dicastero per la Dottrina della Fede, con la quale si commina la scomunica a Mons. Carlo Maria Viganò 
(vedi https://www.rainews.it/articoli/2024/07/vaticano-lex-santuffizio-scomunica-per-scisma-mons-carlo-maria-vigano-acb1c29c-67a8-4377-9d1d-54e9810c329a.html ) non era certo inattesa.

Non era inattesa, perché ormai c’è una chiarezza assoluta: per Bergoglio & c. c’è e ci sarà sempre spazio e accoglienza per preti e vescovi che difendono gli omosessuali, che sono stati implicati in squallide vicende scandalose, che hanno ridotto la liturgia a una farsa, che fanno prediche da centro sociale e non da parrocchia. C’è e ci sarà sempre posto per famiglie miste, allargate, ampliate, frullate. Non si negherà mai un’udienza a gruppi di travestiti. Si potranno sempre portare nei luoghi sacri immagini pagane o presunte “opere d’arte” scandalose e blasfeme.

Per Bergoglio & c. non esistono preclusioni. La misericordia viene distribuita. Ce n’è per todos, todos, todos.

Però, attenzione: tutto va bene per tutti, ad una condizione: non bisogna avere la pretesa di difendere la Dottrina e la Fede cattolica. Allora l’accogliente misericordia si trasforma e diventa durezza e punizione. Ma come, si dice da Santa Marta, non avete ancora capito che il nostro nemico è quel tale Gesù Cristo, che voi vi intestardite a chiamare Figlio di Dio e Redentore?

La scomunica è l’ultimo atto di una farsa tragica, in cui è in gioco la salvezza delle anime, ingannate, turlupinate, trascinate in un caos mentale e morale dove è permesso tutto e il contrario di tutto. Basta che entrambi non siano cattolici.

Noi ribadiamo tutta la nostra vicinanza e solidarietà a Mons. Viganò, tutta la nostra gratitudine per il suo coraggio e la sua chiarezza. Ribadiamo l’impegno a pregare per lui, perché il Signore gli dia sempre la forza per affrontare la malvagità dei negatori della Verità.

Restiamo in attesa di vedere quanti e quali preti e vescovi sapranno alzare la voce in difesa e solidarietà per mons. Viganò. E restiamo anche in attesa – ma ne faremmo volentieri a meno – di quanto scriveranno tanti amici, intellettuali ben più preparati di noi, per spiegarci, con approfondite analisi teologiche e giuridiche che, in fondo, a Viganò ben gli sta, perché le grane se le è cercate da solo.

E consentiteci di ribadire il parallelo con Sant’Atanasio, due volte scomunicato, perseguitato, anch’egli ai suoi tempi vittima dei “dotti”. Anch’egli un uomo che le grane “se le era cercate”, per amore della Verità.

Grazie, Monsignor Viganò, lei da anni è un faro nella nebbia tossica della confusione e dell’eresia. Preghiamo per lei, le siamo vicini, chiediamo al Signore di conservarla a lungo e le auguriamo di cuore ogni bene.

domenica 30 giugno 2024

Dal rito protestantizzato a quello globalizzato. La posta in gioco? La fine dell’Eucaristia




Carissimi amici e lettori,
riceviamo e pubblichiamo questo articolo del professore Massimo Viglione, dal titolo "Dal rito protestantizzato a quello globalizzato. La posta in gioco? La fine dell’Eucaristia".
Questo articolo dal titolo drammatico ma vero, viene pubblicato da Aldo Maria Valli da poco più di due giorni, caro lettore la situazione nella Chiesa è drammatica e questi articoli servono a informarvi e di prendere le relative misure di sicurezza in gioco c'è la salvezza delle nostre anime, buona lettura.

di Massimo Viglione


Le seguenti riflessioni sono scritte alla luce del prossimo – sembra ormai certo – documento vaticano per la probabile “liquidazione” (o qualcosa del genere) della Messa in Rito Romano antico apostolico (RRaa).

Per non ripetere cose già dette, ma al contempo essere per quanto possibile breve e chiarire il più possibile la mia visione della problematica, procederò con metodo schematico. Lo scopo vuole essere quello di fornire un aiuto alla razionalizzazione a beneficio dei tanti fedeli giustamente confusi e preoccupati.

È un dato di fatto incontrovertibile che dal motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI del 2007 la Messa in RRaa ha prodotto o ottenuto un numero incalcolabile e incontenibile di conversioni, o comunque di fedeli, in tutto il mondo, e all’estero ancor più che in Italia (la spiegazione di questo aspetto richiederebbe uno specifico approfondimento, essendo di natura politico-psicologica).

Pertanto, gerarchie fedeli a Gesù Cristo, e santamente preoccupate di eseguire il mandato divino loro affidato di “pascere agnelli e pecorelle”, dovrebbero gioirne e dovrebbero agire di conseguenza promuovendo senza più alcun limite il ritorno massivo e definitivo del RRaa in ogni parte del mondo.

Invece avviene esattamente il contrario: il RRaa è sempre più perseguitato e ora la minaccia è la sua – teologicamente illegittima e quindi impossibile – proibizione assoluta.

Non solo: in tutto il mondo (sebbene in Italia in maniera minore per le ragioni speculari di cui sopra), le Messe di Rito riformato montiniano (la cosiddetta “Messa nuova”) si svuotano sempre più, inesorabilmente. E, in ogni caso, per la infallibilità dell’assioma teologico “Lex orandi lex credendi”, producono automaticamente fedeli svuotati di fede, di senso del sacro, di volontà di essere veramente cristiani, di spinta alla trascendenza, di lucidità intellettiva e spirituale, cristiani ridotti sempre più alla mercé del mondo, anzi, proni al mondo, e a questo mondo!

Le cause della follia

Dobbiamo dunque porci una domanda ineludibile. Come mai accade ciò? Quali sono le ragioni che causano questo folle e suicida odio verso la sacralità, la Bellezza, il teocentrismo, la ricchezza incommensurabile della liturgia di sempre della Chiesa da parte degli uomini di Chiesa? Detto altrimenti: perché questo odio verso la salvezza delle anime? Come può accadere che le gerarchie cattoliche combattano spietatamente il più grande e insostituibile mezzo di salvezza eterna che il Salvatore ci ha donato? E quindi la fede stessa?

La prima causa è ovvia e scontata: il successo – evidentissimo soprattutto nelle nuove generazioni, con rinascita di famiglie numerose e seriamente cattoliche – del RRaa e il relativo insuccesso catastrofico – quantitativo e qualitativo – del Rito montiniano.

Questa sorta di “invidia” ideologica non basta però a spiegare il folle comportamento suicida. Occorre trovare altre cause cogenti.

Quali possono essere? Per comprendere quanto stiamo per dire, occorre avere chiara la situazione della Rivoluzione nella Chiesa, apertamente visibile dal Concilio Vaticano II in poi, ma segretamente attiva da molto prima, come del resto la Pascendi Dominici Gregis di san Pio X già nel 1907 ha dimostrato oltre ogni dubbio. Non possiamo fare qui una storia della Rivoluzione nella Chiesa, ma è chiaro che limitare i problemi odierni solamente agli ultimi undici anni è semplicemente una ridicola e anche umiliante (della dignità intellettiva delle persone) e patetica barzelletta. I fatti sono testardi, e i fatti ci insegnano che la Crisi della Chiesa esplode con l’ultimo Concilio, ma inizia molto prima.

Chi ha questa verità incontrovertibile chiara nella mente può capire meglio i punti che seguono.

Il Concilio Vaticano II ha introdotto – con l’affermazione del suo “spirito” (la celeberrima “nuova pentecoste”) – varie innovazioni rivoluzionarie nel Corpo Mistico di Cristo, ma la più dirompente fra tutte è lo spirito ecumenista, peraltro già magistralmente condannato da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos nel 1928; ovvero, l’equiparazione dialogica di tutte le confessioni religiose, oggi ribadita ufficialmente da Bergoglio nel discorso di Abu Dabi.

Il Rito montiniano è di fatto una protestantizzazione della Messa cattolica, fatta – con lo stesso spirito che ha guidato il Concilio Vaticano II – al fine di “aprirsi al mondo”. Tradotto, vuol dire arrendersi, anzi “sbracarsi” al mondo, a partire, come logico, dalle altre confessioni cristiane (o sedicenti tali) eretiche, per passare poi alle altre due “grandi religioni monoteiste”, quindi a tutte le “religioni” e tutti i culti possibili e immaginabili (come la vergognosa assise di Assisi del 1986 – poi ripetuta varie volte – ha dimostrato oltre ogni dubbio possibile), per finire con l’accontentamento delle pretensioni anticristiane, anti-umane (post-umanesimo) e ormai anticristiche dello stesso mondo “laico”, ovvero delle forze che oggi lo guidano verso gli esiti infernali che vediamo sempre più tragicamente in atto dinanzi ai nostri occhi.

Per questo possiamo dire che se Paolo VI ha protestantizzato la Messa per piacere al mondo religioso a-cattolico, l’esigenza del clero odierno, sessant’anni dopo, è ormai quella di globalizzare la Messa protestantizzata per piacere al mondo finanziario e politico odierno.

E che vuol dire globalizzare la Messa, in concreto? Vuol dire creare un rito che sia adatto al prossimo culto unico mondiale, nel quale devono dissolversi tutte le religioni storiche, a partire dal Cristianesimo, con il cattolicesimo in primis.

E, questo, in fondo, è sempre stato lo scopo profondo dell’ecumenismo gnostico.

Poniamoci una domanda chiave: è veramente riuscita fino in fondo la protestantizzazione della Messa in questi sessant’anni?

In realtà, no. Il Rito montiniano, quando celebrato seriamente e secondo tutte le necessarie condizioni, pur nella sua essenza intrinsecamente rivoluzionaria ed ecumenista, antropocentrica e relativista, mantiene la Transustanziazione, ovvero il Sacrificio incruento della Croce, fonte di salvezza eterna delle anime e cuore portante assoluto della Chiesa stessa. Il che, sia detto per inciso, non giustifica affatto però la persistenza alla frequentazione di un rito relativista e protestantizzato, antropocentrizzato e intrinsecamente rivoluzionario. Infetto da gnosi.

E questo è proprio il problema chiave dell’intera questione.

Infatti, se l’ecumenismo è finora, dopo sessant’anni, completamente fallito fino a divenire una tristissima macchietta dialogica pateticamente ripetuta, è proprio perché, al dunque, il clero cattolico post-conciliare, sbracatosi fino all’inverosimile, anzi fino al tradimento pieno del mandato ricevuto dal Salvatore (Mc 16,15-16), non ha però avuto la forza di rendere nullo – quindi di “uccidere” – il Santo Sacrificio della Messa, se non in maniera indiretta, ovvero con le innovazioni posteriori “a capoccia” (come si dice a Roma) che ogni sacerdote (o presunto tale) immette nella sua personale liturgia, facendo scempio ignobile di ogni sacralità e serietà.

Ma l’Eucarestia è il secondo (perché il primo è il dogma della Santissima Trinità stessa) degli ostacoli insormontabili dell’ecumenismo, specie per i protestanti e tutte le altre religioni. Occorre, insomma, ai fini della realizzazione ultima dei piani rivoluzionari, giungere alla definitiva abolizione dell’Eucarestia. Quindi, della Messa cattolica.

Mentre ci si era incamminati su questa strada, con l’avallo della prassi ecumenista di Giovanni Paolo II (al di là delle sue personali intenzioni ultime che solo Dio conosce), Benedetto XVI ha “liberalizzato” il RRaa. Il termine tra virgolette è orribile e senza senso alcuno, ma delinea chiaramente un fatto certo sul quale pochi vogliono riflettere onestamente: ovvero, che prima di Ratzinger la Messa in RRaa era di fatto “agli arresti”, celebrata da pochissimi al mondo solo perché avevano ricevuto un “indulto”, come operato di prassi da Paolo VI e poi formalizzato ufficialmente da Giovanni Paolo II.

Perché Ratzinger lo ha fatto? Forse per dare un suo specifico spazio al mondo della Tradizione, ma soprattutto per frenare la deriva irrefrenabile del rito montiniano, nella speranza dialettica (“ermeneutica della continuità”) che la tesi del Rito antico e l’antitesi di quello montianiano avrebbero alla lunga prodotto la sintesi di un nuovo rito – migliore della “Messa nuova” ma peggiore del RRaa – adatto ai tempi odierni. Ma, al di là delle sue intenzioni, ciò che conta è che la “liberalizzazione” ha infranto i sogni di tutto il clero modernista, che era convinto che nessuno – eccetto pochi vecchietti nostalgici – avrebbe seguito la Messa di sempre, la quale sarebbe scomparsa per morte naturale in pochi anni. Invece è avvenuto esattamente il contrario, con il successo incontenibile anzitutto fra le nuove generazioni, più libere spiritualmente e mentalmente degli “anziani”, troppo infetti di modernismo conciliare e di papolatria sentimentalistica.

Così Bergoglio – il quale in questi anni, con tutto quello che di rivoluzionario, sovversivo e anticattolico ha fatto e detto finora, ha enormemente aiutato, per logica reazione e suo malgrado, la diffusione mondiale della Messa in RRaa – si è ritrovata una “bella gatta da pelare”, ed è sotto la pressione di forze ipermoderniste, perfino peggiori di lui, che lo spingono continuamente verso la “soluzione finale”.

Il fine della follia

Eccoci quindi al cuore della questione.

Benedetto XVI l’ha fatto grossa nel 2007! Anziché facilitare la scomparsa del santo Sacrificio della Messa, dell’Eucarestia, ai fini ecumenisti e oggi anche globalisti, ha provocato, consapevole o meno che fosse, l’effetto contrario. E ciò spiega anche l’odio da cui era sempre più circondato, fino all’atto della Rinuncia.

A questo punto, si rendono necessarie due esigenze per i distruttori – interni ed esterni – della Fede e della Chiesa cattolica:

l’abolizione, prima possibile, della Messa di sempre in RRaa, la quale, per la sua fedeltà assoluta alla Verità, per la sua oggettiva immutabilità sostanziale, deve per forza essere il primo passo verso l’eliminazione definitiva dell’Eucarestia dal mondo;

fatto questo, cambiare definitivamente il canone della Messa montiniana (sempre mutabile per il suo intrinseco relativismo antropocentrico), in modo, appunto, da eliminare anche in questo rito la Transustanziazione.

Ottenuti, nel più breve tempo possibile, questi due scopi, il “Cristianesimo” sarà pronto a essere prono e adattabile ai due grandi fini della Rivoluzione:

l’unione di tutte le confessioni cristiane in un “supercristianesimo” con un’idea astratta e gnostica di Dio, senza sacramenti e quindi senza Eucarestia: l’Ente Supremo di massonica e illuministica memoria, che di per sé richiede la scomparsa anche dell’Entità trinitaria, mentre la Madre di Dio sarà trasformata nella dea Gaia, come Bergoglio ci ha già fatto capire con il culto idolatrico della pachamama;

lo “scioglimento” (se così si può dire), o la “conversione” di questo “supercristianesimo” nella costituenda e ventura religione mondiale globalista. Una religione pagana, anti-umana, perché trans-ecologista, post e trans-umana, a sua volta preparatrice all’avvento dell’Anticristo nel mondo.

Ed ecco esplicato, per chi vuol capire con onestà mentale e morale, l’odio, altrimenti inspiegabile, verso il RRaa e la relativa guerra condotta non da Nerone, Elisabetta I d’Inghilterra o da Robespierre o Stalin, e nemmeno dai maomettani, bensì dalle gerarchie dell’attuale chiesa vaticansecondista, chiesa che, in consistentissima parte, cattolica non è più, ma è certamente prona al globalismo imperante della Rivoluzione nuovomondialista in atto.

Che fare?

Cosa si può fare a questo punto?

Come Aldo Maria Valli ha detto nel suo articolo del 24 giugno [qui] , divenire “ricusanti”. In concreto:


continuare a frequentare solamente e sempre la Messa in RRaa, ovvero la Messa cattolica;

organizzare sul territorio comunità tradizionali e trovare luoghi dove celebrare la Messa di sempre;

aprire le proprie case ai sacerdoti perseguitati che la celebreranno in futuro, mantenendoli nelle loro esigenze materiali; sulla scia dei cattolici inglesi sotto la tirannia infernale di Elisabetta I.


Infatti, se dovesse veramente arrivare questo documento che proibisce definitivamente (o quasi definitivamente, come io tendo a ritenere) la Messa in RRaa, questo evento sarà lo spartiacque per il clero cattolico odierno aperto alla Tradizione liturgica di sempre: ogni sacerdote che non appartiene alla Fraternità Sacerdotale San Pio X o a ordini religiosi di tendenza sedevacantista, dovrà necessariamente prendere la decisione più importante della propria vita: obbedire alla Rivoluzione nella Chiesa, oppure resistere alla Rivoluzione nella Chiesa, divenendo un sacerdote contro-rivoluzionario. Che, tradotto, vuol dire fedele a Gesù Cristo, alla Chiesa di sempre, alla liturgia di sempre, alla dottrina di sempre.

Ma una cosa deve essere chiara: quei sacerdoti che riterranno essere giusto rinunciare a celebrare la Santa Messa in RRaa per obbedienza alle attuali gerarchie, per paura di una sospensione a divinis o di scomunica, inevitabilmente, fra non molto, dovranno accettare la riforma della riforma del Messa montiniana, che li obbligherà a celebrare un rito completamente non cattolico, nel quale non avviene più alcun Sacrificio della Croce, alcuna Transustanziazione. Perché questo, e solo questo, è il vero scopo ultimo di quanto sta accadendo oggi. Anzi, da decenni, ormai. E, per alcuni casi, dal 1969.

Ecco una prova concreta della necessità di avere una formazione controrivoluzionaria per la comprensione piena e corretta della Rivoluzione. Solo chi la possiede capisce veramente quanto stiamo affermando.

I sacerdoti che, insomma, obbediranno alle attuali gerarchie e smetteranno di celebrare il RRaa (o lo celebreranno saltuariamente di nascosto), devono essere consapevoli che di qui a breve si troveranno, volenti o nolenti, nel vicolo cieco di un rito a-cattolico.

Certo, ci potrà essere anche una terza via, quella di coloro che rimarranno fedeli alle gerarchie vaticansecondiste ma in segreto, a proprio rischio e pericolo, continueranno, con l’aiuto dei fedeli tradizionali, a celebrare anche la Messa in RRaa. Ma il problema è che, come appena detto, anche per costoro, alla lunga, se Dio non interviene prima altrimenti, si porrà il problema suddetto della distruzione del Sacrificio nel rito conciliare. Perché la meta è inesorabilmente la sparizione dell’Eucarestia dal mondo. Come, peraltro, predetto dalla Bibbia stessa.

Stiamo quindi andando a vivere, nella Chiesa come nella società, i giorni più decisivi e fatali della storia, almeno dal Diluvio in poi. E ogni cattolico dovrà inevitabilmente prendere la propria posizione e scegliere il suo campo definitivo, da chierico o laico che sia. Chi prima, chi poi, ma così avverrà.

Non dimenticando mai che «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).

Noi laici della Tradizione cattolica abbiamo due doveri imprescindibili:


rimanere fedeli alla Chiesa e alla liturgia di sempre;

fare tutto quanto a noi possibile per sostenere il clero che rimarrà fedele.

Esattamente come avvenne durante la tirannia elisabettiana in Inghilterra o durante la Rivoluzione Francese con il clero refrattario. Solo che stavolta il persecutore siede in Vaticano e nelle curie.

Perché combattere la Rivoluzione nella Chiesa significa combattere la Rivoluzione nella società. E viceversa. Ovvero, il globalismo del Nuovo Ordine Mondiale, con la sua futura religione unica idolatrica, trans-ecologica, post-umana, anticristica.

Dio è uno, e pure il demonio è sempre uno. A noi la scelta di campo definitiva.

Tenendo presente che tutto concorre alla gloria di Dio, unico vero padrone assoluto della storia e della Chiesa; e che la Rivoluzione stessa avanza sempre e solo fino a dove Dio lo permette. E, in qualsiasi momento, Dio può mutare le cose, come, del resto, anticipatoci più volte nelle apparizioni (approvate ufficialmente) della Madre di Dio in terra.

Ciò che Dio lascia invece intatta è la nostra personale libertà di scelta di campo fra il Bene e il male, la menzogna e la Verità.

sabato 29 giugno 2024

J’ACCUSE Dichiarazione di S.E. Mons. Carlo Maria Viganò




Carissimi amici e lettori,
riceviamo e volentieri pubblichiamo questa vera coraggiosa professio fidei dell'Arcivescovo Carlo Maria Viganò, non ci sono più i dubbi né i distinguo
In questo J'accuse,va letto e ascoltato con molta attenzione .
Qui il video.







“Anche se noi o un angelo dal cielo

vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato,

sia anatema.

Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso:

se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto,

sia anatema.”

Gal 1, 8-9




“Quando penso che ci troviamo nel palazzo del Sant’Uffizio, che è il testimone eccezionale della Tradizione e della difesa della Fede cattolica, non posso impedirmi di pensare che sono a casa mia, e che sono io, che voi chiamate “il tradizionalista”, che dovrei giudicarvi.” Così l’Arcivescovo Marcel Lefebvre nel 1979, convocato all’ex Sant’Uffizio, in presenza del Prefetto Cardinal Šeper e di due altri Prelati.



Come ho dichiarato nel Comunicato del 20 Giugno scorso, non riconosco l’autorità né del tribunale che pretende di giudicarmi, né del suo Prefetto, né di chi lo ha nominato. Questa mia decisione, certamente sofferta, non è frutto di precipitazione o di spirito di ribellione; bensì dettata dalla necessità morale che come Vescovo e Successore degli Apostoli mi obbliga in coscienza a rendere testimonianza alla Verità, ossia a Dio stesso, a Nostro Signore Gesù Cristo.

Affronto questa prova con la determinazione che mi viene dal sapere di non avere alcun motivo per considerarmi separato dalla comunione con la Santa Chiesa e con il Papato, che ho sempre servito con filiale devozione e fedeltà. Non potrei concepire un solo istante della mia vita al di fuori di quest’unica Arca di salvezza, che la Provvidenza ha costituito come Corpo Mistico di Cristo, nella sottomissione al suo Capo divino e al Suo Vicario in terra.

I nemici della Chiesa Cattolica temono il potere della Grazia che opera per mezzo dei Sacramenti e massimamente il potere della Santa Messa, terribile katèkon che vanifica molti dei loro sforzi e conquista a Dio tante anime che altrimenti si dannerebbero. Ed è proprio questa consapevolezza della potenza dell’azione soprannaturale del Sacerdozio Cattolico nella società che sta all’origine della loro feroce ostilità alla Tradizione. Satana e i suoi servi sanno benissimo quale minaccia costituisca l’unica vera Chiesa al loro piano anticristico. Questi eversori – che i Romani Pontefici hanno coraggiosamente denunciato come nemici di Dio, della Chiesa e dell’umanità – sono identificabili nella inimica vis, la Massoneria. Essa si è infiltrata nella Gerarchia ed è riuscita a farle deporre le armi spirituali di cui disponeva, aprendo le porte della Cittadella al nemico in nome del dialogo e della fratellanza universale, concetti appunto intrinsecamente massonici. Ma la Chiesa, sull’esempio del suo divino Fondatore, non dialoga con Satana: lo combatte.

Le cause della crisi presente

Come ha evidenziato Romano Amerio nel suo fondamentale saggio Iota unum, questa resa vile e colpevole inizia con la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II e con l’azione sotterranea e organizzatissima di ecclesiastici e laici legati alle sette massoniche, volta a sovvertire lentamente ma inesorabilmente la struttura di governo e di magistero della Chiesa per demolirla dall’interno. Inutile cercare altre ragioni: i documenti delle sette segrete dimostrano l’esistenza di un piano di infiltrazione concepito nell’Ottocento e portato a compimento un secolo dopo, esattamente nei termini in cui esso era stato pensato. Analoghi processi dissolutori si erano realizzati in precedenza nella sfera civile, e non è un caso se i Papi seppero cogliere nei moti e nelle guerre che hanno insanguinato le Nazioni europee l’opera disgregatrice della Massoneria internazionale.

A partire dal Concilio la Chiesa si è dunque fatta portatrice dei principi rivoluzionari del 1789, come hanno ammesso alcuni tra i fautori del Vaticano II e come è confermato dall’apprezzamento da parte delle Logge nei confronti di tutti i Papi del Concilio e del post-concilio proprio per i cambiamenti che i Massoni da tempo invocavano.

Il cambiamento, anzi: l’aggiornamento è stato talmente al centro della narrativa conciliare da costituire il marchio distintivo del Vaticano II e porre questa assise come il terminus post quem che sancisce la fine dell’ancien régime – quello della “vecchia religione”, della “vecchia Messa”, del “preconcilio” – e l’inizio della “chiesa conciliare”, con la sua “nuova messa” e la sostanziale relativizzazione di ogni Dogma. Tra i fautori di questa rivoluzione compaiono i nomi di coloro che sino al Pontificato di Giovanni XXIII erano stati condannati e allontanati dall’insegnamento in ragione della loro eterodossia. La lista è lunga e comprende anche quell’Ernesto Buonaiuti, scomunicato vitandus, amico di Roncalli, morto impenitente nell’eresia e che proprio pochi giorni fa il Presidente della CEI Card. Matteo Zuppi ha commemorato con una Messa nella cattedrale di Bologna, come riporta con malcelata enfasi Il Faro di Roma (qui): “Quasi ottant’anni dopo un cardinale del tutto in linea col Papa riparte proprio da un gesto liturgico che ha in tutto e per tutto il sapore della riabilitazione. O almeno di un primo passo in questa direzione.”

La Chiesa e l’Antichiesa

Vengo dunque chiamato dinanzi al tribunale che ha preso il posto del Sant’Uffizio per esser processato per scisma, mentre il capo dei Vescovi italiani – indicato tra i papabili e del tutto in linea col Papa – celebra illecitamente una Messa di suffragio per uno dei peggiori e più ostinati esponenti del Modernismo, contro cui la Chiesa – quella da cui secondo costoro io sarei separato – aveva pronunciato la più severa sentenza di condanna. Nel 2022, sul quotidiano della CEI Avvenire, il prof. Luigino Bruni tesseva in questi termini l’elogio del Modernismo:
[…] “un processo di necessario rinnovamento per la Chiesa cattolica del suo tempo, ancora impermeabile agli studi critici sulla Bibbia che si stavano da molti decenni affermando nel mondo protestante. Accogliere gli studi scientifici e storici sulla Bibbia era per Buonaiuti la via maestra per l’incontro della Chiesa con la modernità. Un incontro che invece non ci fu, perché la Chiesa cattolica era ancora dominata dai teoremi della teologia neo-scolastica e bloccata dalla paura controriformista che i venti protestanti potessero finalmente invadere il corpo cattolico.”
Basterebbero queste parole a far comprendere l’abisso che separa la Chiesa Cattolica da quella che le si è sostituita con il Concilio Vaticano II, quando i venti protestanti invasero finalmente il corpo cattolico. Questo episodio recentissimo è solo l’ultimo di un’infinita serie di piccoli passi, di silenziose acquiescenze, di complici ammiccamenti con cui gli stessi vertici della Gerarchia conciliare hanno reso possibile la transizione “dai teoremi della teologia neo-scolastica” – ossia dalla formulazione chiara e inequivocabile dei Dogmi – all’apostasia presente. Ci troviamo nella surreale situazione in cui una Gerarchia si definisce cattolica e per questo pretende obbedienza dal corpo ecclesiale, mentre allo stesso tempo professa dottrine che prima del Concilio la Chiesa aveva condannato; e che condanna come eretiche, dottrine che sino ad allora erano state insegnate da tutti i Papi.
Questo accade quando si toglie l’assoluto al Vero e lo si relativizza adattandolo allo spirito del mondo. Come avrebbero agito, oggi, i Pontefici degli ultimi secoli? Mi giudicherebbero colpevole di scisma, o piuttosto condannerebbero colui che si spaccia per loro Successore? Assieme a me il sinedrio modernista giudica e condanna tutti i Papi cattolici, perché la Fede che essi difesero è la mia; e gli errori che difende Bergoglio sono quelli che essi, nessuno escluso, condannarono.

Ermeneutica della rottura

Mi chiedo allora: quale continuità si può dare tra due realtà che si contrappongono e contraddicono reciprocamente? tra la chiesa conciliare e sinodale di Bergoglio e quella “bloccata dalla paura controriformista” dalla quale costui ostentatamente prende le distanze? E da quale “chiesa” sarei in stato di scisma, se quella che pretende di essere cattolica si distingue dalla vera Chiesa proprio nella sua predicazione di ciò che quella condannava e nella condanna di ciò che essa predicava?
Gli adepti della “chiesa conciliare” risponderanno che ciò è dovuto all’evoluzione del corpo ecclesiale in un “necessario rinnovamento”; mentre il Magistero Cattolico ci insegna che la Verità è immutabile e che la dottrina dell’evoluzione dei dogmi è eretica. Due chiese, certamente: ciascuna con le sue dottrine e le sue liturgie e i suoi santi; ma per il Cattolico la Chiesa è Una, Santa, Cattolica e Apostolica, per Bergoglio la chiesa è conciliare, ecumenica, sinodale, inclusiva, immigrazionista, ecosostenibile, gay-friendly.

L’autodestituzione della Gerarchia conciliare

La Chiesa avrebbe dunque iniziato ad insegnare l’errore? Possiamo credere che l’unica Arca di salvezza sia allo stesso tempo strumento di perdizione per le anime? che il Corpo Mistico si separi dal Suo Capo divino, Gesù Cristo, facendo venir meno la promessa del Salvatore? Questo non può ovviamente essere ammissibile e chi lo sostiene cade nell’eresia e nello scisma. La Chiesa non può insegnare l’errore, né il suo Capo, il Romano Pontefice, può essere allo stesso tempo eretico e ortodosso, Pietro e Giuda, in comunione con tutti i suoi Predecessori e allo stesso tempo in scisma con loro. L’unica risposta teologicamente possibile è che la Gerarchia conciliare, che si proclama cattolica ma abbraccia una fede diversa da quella insegnata costantemente per duemila anni dalla Chiesa Cattolica, appartiene ad un’altra entità e per questo non rappresenta la vera Chiesa di Cristo.
A chi mi ricorda che l’Arcivescovo Marcel Lefebvre mai giunse a mettere in discussione la legittimità del Romano Pontefice, pur riconoscendo l’eresia e addirittura l’apostasia dei Papi conciliari – come quando esclamò: “Roma ha perso a Fede! Roma è nell’apostasia!” – a costoro ricordo che in questi ultimi cinquant’anni la situazione è drammaticamente peggiorata e che con ogni probabilità questo grande Pastore oggi agirebbe con pari fermezza, ripetendo pubblicamente ciò che allora diceva solo ai suoi chierici: “In questo concilio pastorale, lo spirito di errore e di menzogna ha potuto lavorare a proprio agio, piazzando ovunque bombe a scoppio ritardato che faranno esplodere le istituzioni a tempo debito” (Principes et directives, 1977). E ancora: “Colui che è assiso sul Soglio di Pietro partecipa a culti di falsi dèi. Quale conclusione dovremmo trarre, forse in capo a qualche mese, dinanzi a questi atti reiterati di comunicazione con i falsi culti? Non lo so. Me lo chiedo. Ma è possibile che ci troveremo obbligati a credere che il Papa non è Papa. Perché a prima vista mi sembra – non voglio ancora dirlo in un modo solenne e pubblico – che è impossibile che uno che è eretico pubblicamente e formalmente sia Papa” (30 Marzo 1986).

Da cosa comprendiamo che la “chiesa sinodale” e il suo capo Bergoglio non professano la Fede Cattolica? Dall’adesione totale e incondizionata di tutti i suoi membri ad una molteplicità di errori ed eresie già condannati dal Magistero infallibile della Chiesa Cattolica e dall’ostentato rifiuto di qualsiasi dottrina, precetto morale, atto di culto e pratica religiosa che non sia sancita dal “loro” concilio. Nessuno di essi può in coscienza sottoscrivere la Professione di Fede tridentina e il Giuramento Antimodernista, perché quanto entrambi esprimono è l’esatto contrario di ciò che insinua e insegna il Vaticano II e il cosiddetto “magistero conciliare”.
Dato che non è teologicamente sostenibile che la Chiesa e il Papato siano strumenti di perdizione anziché di salvezza, dobbiamo necessariamente concludere che gli insegnamenti eterodossi veicolati dalla cosiddetta “chiesa conciliare” e dai “papi del Concilio” da Paolo VI in poi costituiscono un’anomalia che mette in seria discussione la legittimità della loro autorità magisteriale e di governo.

L’uso eversivo dell’autorità


Dobbiamo comprendere che l’uso eversivo dell’autorità nella Chiesa finalizzato alla sua distruzione (o trasformazione in una chiesa altra rispetto a quella voluta e fondata da Cristo) costituisce di per sé un elemento sufficiente per rendere nulla l’autorità di questo nuovo soggetto che si è dolosamente sovrapposto alla Chiesa di Cristo usurpandone il potere. Ecco perché non riconosco la legittimità del Dicastero che mi processa.

Le modalità con cui è stata condotta l’azione ostile contro la Chiesa Cattolica confermano che essa era pianificata e voluta, perché altrimenti coloro che la denunciavano sarebbero stati ascoltati e quanti vi cooperarono si sarebbero immediatamente fermati. Certo, con gli occhi di allora e la formazione tradizionale di gran parte dei Cardinali, dei Vescovi e del Clero lo “scandalo” di una Gerarchia che contraddiceva sé stessa apparve come una tale enormità da indurre molti Prelati e chierici a non voler credere possibile che i principi rivoluzionari e massonici potessero trovare accoglienza e promozione nella Chiesa. Ma fu proprio questo il colpo da maestro di Satana – come lo definì l’Arcivescovo Lefebvre – che seppe avvalersi del connaturale rispetto e amore filiale dei Cattolici verso l’Autorità sacra dei Pastori per indurli ad anteporre l’obbedienza alla Verità, forse sperando che un futuro Papa potesse in qualche modo sanare il disastro compiuto e del quale si potevano intuire già gli esiti dirompenti. Ciò non avvenne, nonostante alcuni avessero coraggiosamente lanciato l’allarme. Ed io stesso mi annovero tra coloro che in quella fase travagliata non osarono opporsi ad errori e deviazioni che ancora non si erano mostrati del tutto nella loro valenza distruttrice. Non voglio con questo dire di non aver intravisto quanto avveniva, ma di non aver trovato – a causa dell’intenso lavoro e delle incombenze totalizzanti di natura burocratica ed amministrativa al servizio della Santa Sede – le condizioni per cogliere la gravità inaudita di quanto stava compiendosi sotto i nostri occhi.

Lo scontro


L’occasione che mi ha condotto allo scontro con i miei Superiori ecclesiastici iniziò quand’ero Delegato per le Rappresentanze Pontificie, poi come Segretario Generale del Governatorato e infine come Nunzio Apostolico negli Stati Uniti. La mia guerra alla corruzione morale e finanziaria scatenò la furia dell’allora Segretario di Sato Card. Tarcisio Bertone, quando – conformemente alle mie competenze di Delegato per le Rappresentanze Pontificie – denunciai la corruzione del Card. McCarrick, e mi opposi alla promozione all’Episcopato dei candidati corrotti e indegni presentati dal Segretario di Stato, il quale mi fece trasferire al Governatorato, perché “gli impedivo di fare i vescovi che lui voleva”. Fu sempre Bertone, con la complicità del Card. Lajolo, ad ostacolare la mia opera volta a contrastare la diffusa corruzione al Governatorato, dove avevo già ottenuto importanti risultati aldilà di ogni aspettativa. Furono ancora Bertone e Lajolo a convincere Papa Benedetto a cacciarmi dal Vaticano e inviarmi negli Stati Uniti. Qui mi ritrovai a dover fronteggiare le turpi vicende del Cardinal McCarrick, compresi i suoi pericolosi rapporti con esponenti politici dell’Amministrazione Obama-Biden e a livello internazionale, che non esitai a denunciare al Segretario di Stato Parolin che non ne tenne in alcun conto.

Ciò mi portò a considerare molti eventi a cui avevo assistito durante la mia carriera diplomatica e di Pastore in una luce diversa, a coglierne la coerenza con un unico progetto che per sua natura non poteva essere né esclusivamente politico né esclusivamente religioso, dal momento che includeva un attacco globale alla società tradizionale basata sull’insegnamento dottrinale, morale e liturgico della Chiesa.

La corruzione come strumento di ricatto

Ecco allora che da stimato Nunzio Apostolico – per il quale l’altro giorno lo stesso Cardinale Parolin mi ha riconosciuto lealtà, onestà, correttezza ed efficienza esemplari – sono diventato un Arcivescovo scomodo, non solo per aver chiesto giustizia nei processi contro Prelati corrotti, ma anche e soprattutto per aver dato una chiave di lettura che mostra come la corruzione nella Gerarchia fosse necessaria premessa per controllarla, manovrarla e costringerla col ricatto ad agire contro Dio, contro la Chiesa e contro le anime. E questo modus operandi – che la Massoneria aveva descritto minuziosamente prima di infiltrarsi nel corpo ecclesiale – è speculare a quello adottato nelle istituzioni civili, dove i rappresentanti del popolo specialmente ai più alti livelli sono in gran parte ricattabili perché corrotti e pervertiti. La loro obbedienza ai deliri dell’élite globalista conduce i popoli alla rovina, alla distruzione, alla malattia, alla morte: e alla morte non solo del corpo, ma anche a quella dell’anima. Perché il vero progetto del Nuovo Ordine Mondiale – al quale Bergoglio è asservito e dal quale trae la propria legittimazione dai potenti del mondo – è un progetto essenzialmente satanico, in cui l’opera della Creazione del Padre, della Redenzione del Figlio e della Santificazione dello Spirito Santo è odiata, cancellata e contraffatta dalla simia Dei e dai suoi servi.

Se non parlerete voi, grideranno le pietre


Assistere al sovvertimento totale dell’ordine divino e alla propagazione del caos infernale con la zelante collaborazione dei vertici del Vaticano e dell’Episcopato, ci fa comprendere quanto terribili siano le parole della Vergine Maria a La Salette – Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo – e quale odioso tradimento sia costituito dall’apostasia dei Pastori, e da quello ancor più inaudito di colui che siede sul Soglio del Beatissimo Pietro.

Se restassi in silenzio dinanzi a questo tradimento – che si consuma con la pavida complicità di molti, troppi Prelati riluttanti nel riconoscere nel Concilio Vaticano II la causa principale della rivoluzione presente e nell’adulterazione della Messa Cattolica l’origine della dissoluzione spirituale e morale dei fedeli – verrei meno al giuramento prestato il giorno della mia Ordinazione e rinnovato in occasione della mia Consacrazione Episcopale. Come Successore degli Apostoli non posso e non voglio accettare di assistere alla sistematica demolizione della Santa Chiesa e alla dannazione di tante anime senza cercare con ogni mezzo di oppormi a tutto questo. Né posso considerare preferibile un vile silenzio per quieto vivere alla testimonianza del Vangelo e alla difesa della Verità cattolica.

Una setta scismatica mi accusa di scisma: dovrebbe essere sufficiente per dar prova del sovvertimento in atto. Immaginate quale imparzialità di giudizio potrà esercitare un giudice che dipende da colui che io accuso di essere un usurpatore. Ma proprio perché questa vicenda è emblematica, desidero che i fedeli – che non sono tenuti a conoscere il funzionamento dei tribunali ecclesiastici – comprendano che il delitto di scisma non si consuma quando vi sono fondate ragioni di considerare dubbia l’elezione del Papa, in ragione del vitium consensus e delle irregolarità o delle violazioni delle norme che regolano il Conclave. (cfr. Wernz – Vidal, Ius Canonicum, Roma, Pont. Univ. Greg., 1937, vol. VII, p. 439).

La Bolla Cum ex apostolatus officio di Paolo IV stabilisce in perpetuo la nullità della nomina o dell’elezione di qualsiasi Prelato – ivi compreso il Papa – che fosse caduto in eresia prima della sua promozione a Cardinale o elevazione a Romano Pontefice. Essa definisce la promozione o l’elevazione nulla, irrita et inanis, ossia nulla, non valida e senza alcun valore, “anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i Cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso […], ovvero per l’intronizzazione […] dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica. Paolo IV aggiunge che tutti gli atti compiuti da questa persona sono da considerarsi parimenti nulli e che i suoi sudditi, tanto chierici quanto laici, sono liberati dall’obbedienza nei suoi confronti, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi, Primati, Cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti. Paolo IV conclude: Ed a maggior confusione di quelli in tal modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare; né per questo coloro che si sottraggono alla fedeltà e all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.”

Per questo motivo, con serenità di coscienza, ritengo che gli errori e le eresie a cui Bergoglio aderiva prima, durante e dopo la sua elezione e l’intenzione posta nella presunta accettazione del Papato rendono nulla la sua elevazione al Soglio.

Se tutti gli atti di governo e di magistero di Jorge Mario Bergoglio, nei contenuti e nelle forme, si dimostrano estranei e addirittura in conflitto con ciò che costituisce l’azione di qualsiasi Papa; se anche un semplice fedele e addirittura un non Cattolico capiscono l’anomalia del ruolo che Bergoglio sta svolgendo nel progetto globalista e anticristiano portato avanti dal World Economic Forum, delle Agenzie dell’ONU, dalla Commissione Trilaterale, dal Gruppo Bilderberg, dalla Banca Mondiale e da tutte le altre tentacolari ramificazioni dell’élite mondialista, ciò non dimostra minimamente la mia volontà di scisma nell’evidenziare e denunciare questa anomalia. Eppure mi si attacca e mi si processa perché vi è chi si illude che condannandomi e scomunicandomi la mia denuncia del colpo di stato perda consistenza. Questo tentativo di mettere tutti a tacere non risolve nulla, ed anzi rende più colpevole e complice chi cerca di dissimulare o minimizzare la metastasi che sta distruggendo il corpo ecclesiale.

La “deminutio” del papato sinodale

A questo si aggiunge il Documento di Studio Il Vescovo di Roma che il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha recentemente pubblicato (qui) e il declassamento del Papato che in esso è teorizzato in applicazione all’Enciclica di Giovanni Paolo II Ut uum sint, che a sua volta si rifà alla Costituzione Lumen Gentium del Vaticano II. Appare del tutto legittimo – e doveroso, in nome del primato della Verità Cattolica sancita nei documenti infallibili del Magistero papale – chiedersi se la scelta deliberata di Bergoglio di abolire il titolo apostolico di Vicario di Cristo e scegliere di definirsi simpliciter Vescovo di Roma non costituisca in qualche modo una deminutio del Papato stesso, un attentato alla divina costituzione della Chiesa e un tradimento del Munus petrinum. E a ben vedere, il passo precedente è stato compiuto da Benedetto XVI, che si è inventato – assieme alla “ermeneutica” di una impossibile “continuità” tra due entità totalmente estranee – il monstrum di un “Papato collegiale” esercitato dal Gesuita e dall’Emerito.

Il Documento di Studio cita non a caso una frase di Paolo VI: Il Papa […] è senza dubbio il più grave ostacolo sulla via dell’ecumenismo (Discorso al Segretario per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, 28 Aprile 1967). Montini aveva iniziato a preparare il terreno quattro anni prima, deponendo enfaticamente il triregno. Se questa è la premessa di un testo che deve servire per rendere il Papato Romano “compatibile” con la negazione del Primato di Pietro che gli eretici e gli scismatici rifiutano; e se lo stesso Bergoglio si presenta come primus inter pares nel consesso delle sette e denominazioni cristiane non in comunione con la Sede Apostolica, venendo meno alla proclamazione della dottrina cattolica sul Papato definita solennemente e infallibilmente dal Concilio Vaticano I, come si può pensare che l’esercizio del Papato e la stessa volontà di accettarlo non siano inficiati da un vizio di consenso (qui e qui), tale da rendere nulla o quantomeno fortemente dubbia la legittimità di “Papa Francesco”? Da quale “chiesa” mi potrei separare, quale “papa” rifiuterei di riconoscere, se la prima si definisce “chiesa conciliare e sinodale” in antitesi alla “chiesa preconciliare” – ossia la Chiesa di Cristo – e il secondo dimostra di ritenere il Papato proprio appannaggio personale di cui disporre modificandolo e alterandolo a piacimento, e sempre in coerenza con gli errori dottrinali implicati dal Vaticano II e dal “magistero” postconciliare?

Se il Papato Romano – il Papato, per intenderci, di Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI, Pio XII – è considerato un ostacolo al dialogo ecumenico e il dialogo ecumenico viene perseguito come priorità assoluta della “chiesa sinodale” rappresentata da Bergoglio, in quale altro modo potrebbe concretizzarsi questo dialogo, se non nella rimozione di quegli elementi che rendono il Papato incompatibile con esso, e quindi manomettendolo in modo del tutto illegittimo e invalido?

Il conflitto di tanti confratelli e fedeli


Sono convinto che tra i Vescovi e i sacerdoti vi siano molti che hanno vissuto e vivono ancor oggi lo straziante conflitto interiore di trovarsi divisi tra ciò che Cristo Pontefice chiede loro (e lo sanno) e ciò che colui che si presenta come Vescovo di Roma impone con la forza, con il ricatto, con le minacce.

È oggi quantomai necessario che noi Pastori ci svegliamo dal nostro torpore: Hora est jam nos de somno surgere (Rom 13, 11). La nostra responsabilità dinanzi a Dio, alla Chiesa e alle anime ci impone di denunciare senza equivoci tutti gli errori e le deviazioni che troppo a lungo abbiamo tollerato, perché non saremo giudicati né da Bergoglio né dal mondo, ma da Nostro Signore Gesù Cristo. A Lui renderemo conto di ogni anima perduta per nostra negligenza, di ogni peccato da essa commesso per causa nostra, di ogni scandalo dinanzi al quale abbiamo taciuto per falsa prudenza, per quieto vivere, per complicità.

Nel giorno in cui dovrei presentarmi a difendermi dinanzi al Dicastero per la Dottrina della Fede, ho deciso di rendere pubblica questa mia dichiarazione, alla quale unisco una denuncia dei miei accusatori, del loro “concilio” e del loro “papa”. Prego i Santi Apostoli Pietro e Paolo, che hanno consacrato la terra dell’Alma Urbe con il proprio sangue, di intercedere presso il trono della Maestà divina, affinché ottengano alla Santa Chiesa di essere finalmente liberata dall’assedio che la eclissa e dagli usurpatori che la umiliano, facendo della Domina gentium la serva del piano anticristico del Nuovo Ordine Mondiale.

In difesa della Chiesa


La mia non è dunque una difesa personale, ma della Santa Chiesa di Cristo, nella quale sono stato costituito Vescovo e Successore degli Apostoli, con il preciso mandato di custodire il Deposito della Fede e di predicare la Parola, insistere opportune importune, riprendere, rimproverare, esortare con ogni pazienza e dottrina (2 Tim 4, 2).

Respingo con forza l’accusa di aver lacerato la veste inconsutile del Salvatore e di essermi sottratto alla suprema Autorità del Vicario di Cristo: per separarmi dalla comunione ecclesiale con Jorge Mario Bergoglio, dovrei essere stato prima in comunione con lui, cosa che non è possibile dal momento che lo stesso Bergoglio non può esser considerato membro della Chiesa, a causa delle sue molteplici eresie e della sua manifesta alienità ed incompatibilità con il ruolo che invalidamente ed illecitamente ricopre.

Le mie accuse a Jorge Mario Bergoglio

Dinanzi ai miei Confratelli nell’Episcopato e all’intero corpo ecclesiale, io accuso Jorge Mario Bergoglio di eresia e di scisma, e come eretico e scismatico chiedo che venga giudicato e rimosso dal Soglio che indegnamente occupa da oltre undici anni. Ciò non contraddice in alcun modo l’adagio Prima Sedes a nemine judicatur, perché è evidente che un eretico, in quanto impossibilitato ad assumere il Papato, non è al di sopra dei Prelati che lo giudicano.

Accuso parimenti Jorge Mario Bergoglio per aver provocato – a causa del prestigio e dell’autorevolezza della Sede Apostolica che usurpa – gravi effetti avversi, sterilità e morte nei milioni di fedeli che hanno seguito il suo martellante appello a sottoporsi all’inoculazione di un siero genico sperimentale prodotto con feti abortivi, giungendo a far pubblicare una Nota che indicava il suo uso come moralmente lecito (qui e qui). Egli dovrà rispondere dinanzi al Tribunale di Dio di questo crimine contro l’umanità.
Denuncio infine l’Accordo segreto tra la Santa Sede e la dittatura comunista cinese, con il quale la Chiesa è umiliata e costretta ad accettare la nomina governativa dei Vescovi, il controllo delle celebrazioni e le limitazioni alla sua libertà di predicazione, mentre i Cattolici fedeli alla Sede Apostolica sono perseguitati impunemente dal governo di Pechino nel silenzio complice del sinedrio romano.



Il rifiuto degli errori del Vaticano II

Mi faccio un motivo di onore l’esser “accusato” di rifiutare gli errori e le deviazioni implicati dal cosiddetto Concilio Ecumenico Vaticano II, che considero del tutto privo di autorità magisteriale a causa della sua eterogeneità rispetto a tutti i veri Concili della Chiesa, che integralmente riconosco e accolgo, così come tutti gli atti magisteriali dei Romani Pontefici.

Respingo convintamente le dottrine eterodosse contenute nei documenti del Vaticano II e che sono state condannate dai Papi sino a Pio XII, o che contraddicono in qualsivoglia modo il Magistero Cattolico (cfr. Allegato I). Trovo a dir poco sconcertante che a processarmi per scisma siano coloro che fanno propria la dottrina eterodossa secondo la quale sussiste un vincolo di unione “con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il successore di Pietro” (LG:15). Mi chiedo con quale improntitudine si possa contestare ad un Vescovo il venir meno di una comunione che si afferma altresì esistere con gli eretici e gli scismatici.

Condanno, respingo e rifiuto parimenti le dottrine eterodosse espresse nel cosiddetto “magistero postconciliare” originate dal Vaticano II, così come le recenti eresie relative alla “chiesa sinodale”, alla riformulazione del Papato in chiave ecumenica, all’ammissione dei concubinari ai Sacramenti e alla promozione della sodomia e dell’ideologia “gender”. Condanno parimenti l’adesione di Bergoglio alla frode climatica, folle superstizione neomalthusiana partorita da chi, odiando il Creatore, non può che detestarne anche la Creazione, e l’uomo con essa, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Conclusione


Ai fedeli Cattolici, oggi scandalizzati e disorientati dai venti di novità e dalle false dottrine che vengono promosse e imposte da una Gerarchia ribelle al divino Maestro, io chiedo di pregare e di offrire i loro sacrifici e digiuni pro libertate et exaltatione Sanctæ Matris Ecclesiæ, perché la Santa Madre Chiesa ritrovi la sua libertà e possa trionfare con Cristo, dopo questo tempo di passione. Che quanti hanno avuto la Grazia di essere incorporati ad essa nel Battesimo non abbandonino la loro Madre, oggi sofferente e prostrata: tempora bona veniant, pax Christi veniat, regnum Christi veniat.

Data a Viterbo, il giorno 28 del mese di Giugno, Anno del Signore 2024, Vigilia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.


+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
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