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Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 13 luglio 2024

Don Siro Cisilino (1903-1987) e la messa "tridentina" a Venezia



Carissimi lettori,
Mi spiace che ormai sia morto don Siro Cisilino, prete buono, pio e dotto della diocesi di Venezia, che celebrava la Santa Messa (quella vera) nella chiesa di San Simeon Piccolo.
L’allora patriarca Luciani gli intimò di abbandonare la chiesa, proibì la celebrazione della Messa in tutta la diocesi, e gli permise (bontà sua) di celebrare in casa sua (di don Siro, evidentemente).
Ecco, don Siro avrebbe potuto testimoniare delle virtù eroiche (fede, carità…) del nuovo “beato”.
Un caro saluto da chi don Siro lo conobbe di persona e lo rimpiazzò in quella chiesa quando si ammalò.

don Francesco Ricossa

In merito a ciò di cui parla don Francesco Ricossa, e in particolare alla figura di don Siro Cisilino, ecco un articolo che ripercorre l’intera vicenda.

di Paolo Zolli

Il dramma dei cattolici "tradizionalisti" è scandito da due date, il 7 marzo 1965, quando in Italia fu brutalmente imposta la celebrazione della messa in italiano, e la prima domenica d'Avvento del 1969, quando entrò in vigore il messale riformato di Paolo VI. Il secondo avvenimento fu intrinsecamente più grave, in quanto al testo perfettamente ortodosso del messale tridentino ne veniva affiancato - con un affiancamento che intendeva essere, e di fatto fu, una sostituzione - uno che rappresentava "sia nel suo insieme come nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della santa messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino" (card. A. Ottaviani e A. Bacci).

Nella realtà dei fatti la sostituzione non fu però percepita immediatamente e nella sua drammaticità dalla maggior parte dei fedeli, che da quattro anni assistevano a continui cambiamenti e stravolgimenti di un rito che doveva essere per sua natura immutabile. Il piano era stato architettato bene: il primo scossone, quello della traduzione del messale nel 1965, intrinsecamente meno grave, doveva fare in modo che i fedeli non si accorgessero del secondo, cioè della sostituzione del rito.

In quegli anni io non conoscevo se non di vista, avendolo notato alla Fondazione Cini o nelle sale riservate della Biblioteca Marciana di Venezia, don Siro Cisilino, e quindi non saprei dire in che modo egli abbia reagito ai due distinti momenti della sovversione liturgica. So solo, per averlo appreso più tardi che, con spirito che oggi si direbbe "profetico", la sovversione egli l'aveva intuita da molto tempo. La quasi totalità dei tradizionalisti ha infatti preso coscienza della crisi della liturgia quando essa è scoppiata, cioè in Italia il 7 marzo 1965 e altrove pressappoco nello stesso periodo - ed è allora che incominciano a costituirsi i primi nuclei di resistenza e i movimenti in difesa della liturgia tradizionale -, ma don Siro il vento infido lo aveva fiutato da tempo, cioè dagli anni delle riforme di Pio XII, riforme limitate a pochi aspetti e a pochi, ma significativi, momenti, quali ad esempio il rito della Settimana Santa; riforme che potevano far presagire - e don Siro lo comprese subito - che si sarebbe aperto un varco all'ondata che nel giro di una quindicina d'anni avrebbe sommerso secoli di pietà, di devozione, di fede. Recentemente tutto ciò è stato messo in rilievo dalla pubblicistica tradizionalista e la cosa può avere stupito molti, ma non avrebbe certamente stupito don Cisilino. Don Siro infatti comprese immediatamente a cosa avrebbero portato le progressive novità: dalla sostituzione dell'antichissima festività dei santi Filippo e Giacomo con la sconcertante celebrazione di san Giuseppe artigiano il 1° maggio, alla riforma della settimana santa. Queste cose vanno ricordate non a titolo di aneddoto e curiosità, ma per far comprendere quanto profonda fosse la coerenza di questa splendida figura di sacerdote cattolico, scomparso il 4 marzo 1987.

La battaglia doveva però diventare drammatica quando le disposizioni della Santa Sede e della Conferenza episcopale italiana, in violazione patente di quanto previsto dalla bolla Quo primum di san Pio V e in contrasto persino con la costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, prima imponevano la traduzione in volgare di tutta la messa (il Concilio su questo punto proponeva concessioni ben più limitate), poi tentavano di rendere obbligatoria la nuova messa. Non posso in questa sede diffondermi sull'argomento, ma credo che sia necessario iniziare sin d'ora a raccogliere i materiali per un futuro martirologio di quel clero cattolico che intendeva rimanere fedele all'antica liturgia ed è per questo divenuto oggetto di indebite pressioni e di persecuzioni che rimarranno a perpetua vergogna di chi le ha perpetrate. Don Siro resistette a ogni lusinga e a ogni minaccia. Non una sola volta, dico non una sola volta, egli celebrò la messa riformata (né prima la messa in italiano).

A partire dal 1965 la vita di don Siro non fu tranquilla: dovette lasciare la chiesa dove aveva celebrato sino allora e celebrare "fuori orario". L'"affare" Lefebvre, scoppiato nel 1976, e col quale don Siro non aveva nulla a che vedere, spinse a maggior cautela (quante cautele nei confronti dei tradizionalisti in un mondo cattolico che assiste imperturbabile a messe scismatiche, buffonesche, vergognose e ingiuriose verso Dio!) i frati che fino ad allora gli avevano dato ospitalità (ospitalità per celebrare, intendo) e don Siro trovò accoglienza presso i benedettini dell'Isola di San Giorgio, dove poteva officiare nella cappella dei Morti, un'accoglienza discreta e cortese, di cui è doveroso dare atto agli ospitanti. L'"affare" Lefebvre aveva però servito a muovere le acque, i tradizionalisti, anche quelli che intendevano mantenere la loro autonomia nei confronti del vescovo francese, incominciarono a contarsi, incominciarono a rendersi conto che non erano isolati. Amici con i quali due anni prima avevo combattuto la santa battaglia contro la legge sul divorzio mi fecero sapere che ogni domenica (e naturalmente anche gli altri giorni) a San Giorgio si celebrava una messa "buona". Il 10 ottobre 1976, io che già solevo andare ad assistere lì alla messa dei benedettini, che aveva il torto di essere celebrata col rito paolino, ma aveva almeno il pregio di essere cantata in latino e gregoriano, andai alla messa di don Siro; nel mio sempre stringatissimo "diario" a quella data trovo: "Stamani sono andato alle 9½ a S. Giorgio alla messa di don Siro Cisilino, celebrata secondo il rito di san Pio Quinto".

Si andò avanti così per circa un anno. Il 24 luglio 1977 festeggiammo il cinquantenario di sacerdozio di don Siro, festa molto modesta, da frequentatori di catacombe, ma il maestro Carlo Durighello - col quale mi aveva messo in contatto l'associazione Una Voce -, da me informato dell'avvenimento, per l'occasione volle venire a suonare l'armonium. Per una di quelle circostanze nelle quali sarebbe difficile non vedere la mano della Provvidenza, Carlo Durighello aveva avuto in concessione dalla Curia per esecuzioni musicali proprio quella chiesa di S. Simon piccolo, ormai chiusa al culto, nella quale don Siro aveva celebrato per anni, prima della riforma. Nei mesi successivi Carlo Durighello convinse don Siro a riprendere a celebrare a S. Simon piccolo. So che negli ambienti della Curia veneziana è viva la convinzione - in sé non assurda - che Durighello avesse chiesto la chiesa di S. Simon col pretesto di concerti per poi riaprirla al culto tradizionale, ma in realtà posso assicurare che ciò che avvenne in seguito fu casuale, o meglio fu provvidenziale, ma non era stato premeditato, e che tutto avvenne perché pochi giorni prima del cinquantenario di sacerdozio di don Siro io incontrai casualmente per strada il Durighello e lo informai del fatto. Poi da cosa nacque cosa: le vie della Provvidenza sono infinite. Non saprei dire se già nell'agosto del 1977 avvenne una celebrazione in S. Simon, posso dire solo che si era discusso a lungo se lasciare il nido scomodo ma sicuro di San Giorgio per la nuova e incerta sede, ma posso aggiungere che nel mio diario in data 13 novembre 1977 trovo ancora la messa a S. Giorgio, mentre in data 20 novembre trovo la messa a S. Simon, in concomitanza con la riunione annuale del Consiglio nazionale dell'associazione Una Voce (cfr. "Una Voce Notiziario" n° 40-41, 1977, pp. 22-23). Poco dopo si riprendeva l'uso dei vespri.

Qualche mese più tardi scoppiava la bufera. Una lettera del card. Albino Luciani del 20 febbraio 1978 proibiva "a qualsiasi titolo la celebrazione della messa more antiquo nella chiesa di S. Simeone Piccolo, come in tutto il territorio della diocesi" e (grande concessione!) si lasciava a don Siro "la facoltà di celebrare la santa messa more antiquo solo in casa propria". Che la celebrazione di messe in genere potesse essere esclusa a S. Simon era anche comprensibile, trattandosi di chiesa chiusa al culto e adibita ad altri scopi, assurda era la pretesa di escludere la messa more antiquo e soprattutto di escluderla "in tutto il territorio della diocesi", in quanto ciò contrastava con i diritti protetti dalla bolla Quo primum. Lo stesso card. Luciani si accorse di aver passato il segno, tant'è vero che nella "Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia", aprile-maggio 1978, p. 167, una nota della Curia, ritornando sull'argomento, ricordava: "Il Patriarca ha di recente proibito che si celebri a S. Simon piccolo - divenuta, con proteste del parroco, del vicario, di altri fedeli rendez-vous reclamizzato del Movimento Una Voce - la cosiddetta messa di san Pio X". A parte la finezza del rendez-vous, va notato che il riferimento a "tutto il territorio della diocesi" era qui caduto. Chi volesse ricostruire tutti i particolari della penosa vicenda può andare a rileggere la cronaca L'inutile persecuzione, pubblicata in "Una Voce Notiziario" n° 42-43, 1978, pp. 14-19, e ripubblicata da Carlo Belli, Altare deserto, Roma, G. Volpe, 1983, pp. 75-88). Qui basterà ricordare che don Siro, tra alterne vicende, riprese a celebrare a S. Giorgio.

La scomparsa di Paolo VI, nel luglio successivo, il breve pontificato di Albino Luciani, la sede doppiamente vacante a Roma e a Venezia, permisero di fatto che si riprendesse la celebrazione a S. Simon. Il fatto di maggior rilievo negli anni successivi fu la celebrazione in quella chiesa di mons. Lefebvre, il 7 aprile 1980, e la cronaca ne è affidata alla stampa di quei giorni.

Gli anni successivi videro la scomparsa di Carlo Durighello, con conseguenti problemi per la conservazione della chiesa, ma le celebrazioni continuarono regolarmente. Il 2 settembre 1984, al ritorno dalle vacanze, trovai don Siro rapidamente invecchiato: l'età ormai avanzante, le dure battaglie combattute per venti difficilissimi anni, avevano minato la sua forte fibra. Poco dopo egli ritornava nel suo Friuli, dove si spegneva, come abbiamo detto il 4 marzo 1987. E qui si dovette assistere all'ultimo oltraggio, all'ultima vergogna. Il vescovo di Udine, famoso per lasciar celebrare messe in friulano, che stanno a significare una precisa volontà di rottura con Roma, non volle rispettare la volontà e il desiderio del vecchio sacerdote che con la sua fede e la sua cultura aveva costituito uno dei vanti del Friuli cattolico. Avvertito da me telefonicamente e dall'amico Paolo Naccari con telegramma sulla volontà di don Siro di veder celebrati i propri funerali col rito tradizionale o altrimenti con la semplice benedizione e senza messa, mons. Alfredo Battisti non ha esitato a procedere a una celebrazione "paolina", confusa, un po' in italiano e un po' in latino, col solito altare rovesciato, in cui la concelebrazione, da don Siro detestatissima, contribuiva a creare ulteriore sconcerto.E così per ultima messa don Siro Cisilino ha avuto quella di Paolo VI, apprezzata dai fratelli ecumenici di Taizé ma a lui non gradita [1]. Ciò ha costituito una gratuita violazione delle ultime volontà di don Siro, un'umiliazione e un dolore per noi, suoi amici, suoi estimatori, suoi compagni nella santa battaglia; quanto al nostro amico, don Siro, tutto ciò non poteva più toccarlo, ormai assunto, lo confidiamo, nella gloria dei cieli, a contemplare la gloria di Dio tra le melodie degli angeli e degli arcangeli, dei cherubini e dei serafini, qui non cessant clamare quotidie una voce dicentes: Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus sabaoth. Pleni sunt caeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis.

[1] A cura delle sezioni di Una Voce di Udine e Venezia, sante messe "tridentine" sono poi state solennemente celebrate in suffragio dell'anima di don Siro Cisilino nel giorno del trigesimo, l'una a Pantianicco ove risiedeva, l'altra a Venezia in quella stessa chiesa di S. Simon nella quale per tanti anni aveva celebrato la santa messa.

da: «Una Voce Notiziario», 79-80 (1987), pp. 8-11.

La Messa Tridentina e i Papi conciliari Storia e analisi da Paolo VI a Francesco





di Don Mauro Tranquillo
Cerchiamo in queste righe di sintetizzare il rapporto dei Pontefici moderni, da Paolo VI in poi, con il rito tradizionale della Messa, a partire dal momento della promulgazione del “nuovo messale” nel 1970. Per semplificare, in molti casi parleremo “per apparenze”, pur sapendo e avendo molte volte spiegato come il messale nuovo non possa dirsi rito della Chiesa, ed essendo le sanzioni contro Mons. Lefebvre del tutto invalide. Protestiamo fin dall’inizio che non esiste altro messale lecito, legittimo e legale nella Chiesa di rito romano che il messale detto tridentino, espressione della Fede di sempre e della Tradizione. Ogni altra espressione che in questo articolo sembrasse contra- stare con questa affermazione, sarà semplicemente usata nel senso delle apparenze o del modo di vedere dei modernisti, onde narrare in modo più breve le vicende in questione.


1970-1984 Il nuovo messale della nuova chiesa

Nel 1970 entrava in vigore il messale di Paolo VI, e immediatamente ogni celebrazione con il messale tridentino sembrava assolutamente abrogata. Sebbene sottili disquisizioni canoniche abbiamo fin d’allora messo in luce le problematiche legali (oltre alle palesi deviazioni dottrinali) del messale riformato, sacerdoti e laici vissero l’arrivo del nuovo rito come l’abrogazione del vecchio, né si può dire
che Paolo VI sembrasse pensarla diversamente. Il 14 giugno 1971 la Congregazione per il Culto Divino emetteva una nota che precisava chiaramente che, una volta approvate le traduzioni del nuovo messale dalle varie conferenze episcopali, si sarebbe stabilito un giorno dal quale tutti, compresi quelli che usavano ancora la lingua latina, avrebbero dovuto utilizzare «soltanto la forma rinnovata della Messa e della Liturgia delle Ore». Non si parlava certo di una forma alternativa, o “straordinaria”. Nello stesso documento, l’uso del messale o del breviario del 1962 (con le riforme successive fino al 1967) era concesso solo ai sacerdoti avanzati di età o malati, che non potevano imparare il nuovo rito, unicamente in privato e con il permesso dell’Ordinario. Come dire che il vecchio rito era permesso solo fino ad estinzione di tali soggetti, e comunque mai in pubblico. Molti ricordano anche che un’altra eccezione fu concessa: il cosiddetto indulto “di Agatha Christie” (5 novembre 1971), per cui in seguito ad una petizione firmata anche dalla famosa giallista, Paolo VI permise, in Inghilterra ed in Galles, l’uso del Messale del 1965/67 in «speciali occasioni e per certi gruppi di fedeli», a giudizio degli Ordinari. L’applicazione di un tale indulto fu, a nostra conoscenza, estremamente limitata. Certamente ci fu chi perseverò nella fedeltà al Messale con cui era stato ordinato: non è qui il momento di fare la storia dei valorosi che resistettero al messale equivoco di Bugnini e Paolo VI, da Mons. Lefebvre ai tanti preti di ogni dove che non celebrarono mai il nuovo rito. A volte perseguitati, a volte tollerati dalle autorità per evitare disordini, a volte puniti, tutti i sacerdoti fedeli presero una posizione apparentemente “contra legem”. Nello stesso tempo, e almeno fino al 1988, gli unici sacerdoti ordinati per celebrare la Messa tradizionale erano quelli di Mons. Lefebvre. Nel resto della Chiesa, nessun vescovo ordinava preti che (a qualsiasi condizione) celebrassero o imparassero il vecchio rito, per il quale vigeva totale ostracismo. Contro Mons. Lefebvre (e- splicitamente citato) e chi agiva come lui prese posizione Paolo VI nel celebre concistoro del 24 maggio 1976: «L’adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno». Tali parole, al di là del loro effettivo valore, non lasciano spazio ad equivoci: la mens effettiva del Papa era l’estinzione del vecchio Messale e la sua sostituzione con il nuovo, stabilendo un parallelo con l’atto promulgatore di san Pio V stesso. Per Paolo VI, come per tutti allora, una cosa era chiara: rifiutare il nuovo messale era rifiutare le dottrine del Concilio, legarsi alla Messa tradizionale era negare la nuova linea ecclesiale. Nello stesso discorso, Paolo VI invita i fedeli che si sentono legati alle passate forme di culto (per un «attaccamento sentimentale») a ritrovare «il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessarie, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità». Parole e idee non dissimili, lo si riconoscerà, da quelle usate da Papa Bergoglio nel suo motu proprio Traditionis custodes e nella lettera che lo accompagna. Come in tale recente documento, anche Paolo VI non dimentica poi di condannare gli abusi liturgici “a sinistra”, ponendo il Pontefice in mezzo a due apparenti estremi.

venerdì 12 luglio 2024

Mons. Strickland: “Il Vaticano è più interessato a mettere a tacere l’arcivescovo Viganò che a rispondere alle sue accuse”


Carissimi amici e lettori,
Ecco il testo pubblicato da mons. Joseph Strickland sul suo account X/Twitter qui che dice:
"Ci troviamo in un momento strano nella storia della Chiesa, poiché l'arcivescovo Viganò viene rapidamente scomunicato mentre Theodore McCarrick rimane non scomunicato nonostante le rivelazioni dei crimini da lui commessi contro la Chiesa per anni.
Dobbiamo prestare attenzione ravvicinata ad un Vaticano che agisce in questo modo. Invece di rispondere alle serie domande e accuse sollevate dall'arcivescovo Viganò, lo si espelle sommariamente dalla Chiesa con l'apparente intenzione di metterlo a tacere. Nel frattempo, McCarrick e una lunga lista di altri hanno promosso una cultura che ignora o vuole cambiare gli insegnamenti della Chiesa e le loro voci sono autorizzate e persino sostenute apertamente.
Sembra che ci siano rimaste solo pietre per rivendicare giustizia, poiché le voci dei discepoli fedeli sono mute, ignorate, persino messe a tacere."


Concludiamo dicendovi carissimi lettori: “In questi anni di «pontificato» abbiamo visto Bergoglio fare tutto quello che non ci si saremmo  mai aspettati da un Papa, e viceversa tutto quello che farebbe un eresiarca o un apostata. Dal mio punto di vista Bergoglio è eretico e palesemente ostile alla Chiesa di Cristo.

mercoledì 10 luglio 2024

la Chiesa dovrebbe combattere l'eresie moderniste



Carissimi amici e lettori,
Il male della Chiesa oggi si chiama modernismo con l’enciclica Pascendi (anno 1907) papa San Pio X volle condannare il modernismo.

Strano a dirsi, l’eresia modernista fu decisamente condannata, ma non è affatto morta, anzi –come fiume carsico- è andata sottoterra per poi riemergere in maniera più che evidente.

E’ infatti innegabile che le tesi moderniste siano parte integrante della cosiddetta nouvelle theologie che tanto ha contribuito negli ultimi decenni alla diffusione di eterodosse posizioni teologiche.

Il cattolicesimo liberale cercò di sintetizzare la dottrina cattolica con la filosofia moderna. Papa Leone XIII ritenne pertanto opportuno pubblicare, nell’agosto del 1879, l’enciclica Aeterni Patris per ribadire l’importanza della “sacra dottrina di san Tommaso” e soprattutto il fatto che questa dottrina dovesse essere alla base di ogni insegnamento cattolico. Ciò appunto per evitare che ci si lasciasse affascinare dalla filosofia moderna.

Il documento di Leone XIII, però, non ottenne il risultato sperato. Importanti facoltà teologiche (Monaco, Tubinga, Lovanio, Parigi, Strasburgo) continuavano a teorizzare la possibile coniugazione tra dottrina cattolica e filosofia moderna. E fu proprio questa volontà di coniugare l’inconiugabile che determinò la nascita del modernismo, avente un fine ben preciso: trasformare la religione rivelata, affidata alla Gerarchia della Chiesa, in un immanentismo religioso la cui evoluzione sarebbe dovuta essere controllata da una Chiesa con struttura dichiaratamente democratica.( Oggi chiamata e conosciuta come sinodalità)

I più importanti esponenti del modernismo furono: i francesi Loisy, Houtin, Laberthonnière, Sabatier, Le Roy; il tedesco Schell, l’austriaco Von Hugol e l’irlandese Tyrrel. Tra gli italiani sono da ricordare soprattutto: Enrico Buonaiuti, Romolo Murri e lo scrittore Antonio Fogazzaro.

San Pio X, grazie alla sua santità, colse immediatamente il pericolo rappresentato dal modernismo; e cercò in ogni modo di estirparlo. Decise per una duplice azione: da una parte, mettere all’Indice i libri contaminati dal modernismo; dall’altra, favorì la stampa antimodernista il cui sviluppo si dovette all’azione di monsignor Benigni.

San Pio X non si limitò ad agire sulla stampa, intervenne anche sui modernisti stessi, colpendo con sanzioni disciplinari i rappresentanti più pericolosi di questo errore. Alcuni esempi: nel 1906 ad Enrico Buonaiuti venne tolto l’insegnamento, nello stesso anno il francese Loisy fu sospeso a divinis e nel 1907 fu condannato Romolo Murri.( Tutti questi teologi oggi vengono riabilitati dalla chiesa guidata da Bergoglio).

Poi San Pio X passò agli scritti per ufficializzarne la condanna. Il 17 luglio del 1907 fece pubblicare sull’Osservatore Romano il decreto Lamentabili sane exitu, comprendente la condanna di ben 65 proposizioni modernistiche. Ma il vero capolavoro fu l’enciclica Pascendi Domini grecis, resa pubblica il 16 settembre (la data ufficiale è però l’8 settembre) del 1907.
Karl Rahner si inserisce nelle correnti più estreme della chiamata Nouvelle Théologie, più volte condannate da Pio XII, che nel 1950 pubblicò perfino un’enciclica specificamente contro di essa: Humani Generis.

La Nouvelle Théologie fu l’erede diretta del Modernismo, condannato nel 1908 da s. Pio X, che lo definì “la sintesi di tutte le eresie”. Condannati, i modernisti si nascosero in ciò che Antonio Fogazzaro, figura di spicco della corrente, chiamò una “frammassoneria cattolica”. Lungi dal velare il carattere di setta segreta, essi anzi se ne vantavano: “Non ci resta che aspettare il giorno in cui, grazie a un lavoro silenzioso e segreto, avremo guadagnato per la causa della libertà una porzione più ampia delle truppe della Chiesa”, scriveva il modernista George Tyrrell nel 1910.

Questo “lavoro silenzioso e segreto” cominciò a dare i primi frutti negli anni Trenta del secolo scorso, col cosiddetto “problema teologico”. I grandi focolai furono la facoltà domenicana Le Saulchoir e la facoltà gesuita di Lyon-Fourvière. Si parlava – già allora! – di “cambio di paradigma teologico”. “Il cambiamento di prospettiva operatosi dolorosamente e tragicamente con il modernismo fu ripreso e riproposto dalla Nouvelle Théologie”, spiega don Germano Pattaro, allora docente di teologia al Seminario Patriarcale di Venezia.

I nuovi teologi adducevano come pretesto quello stesso dei modernisti, e prima di loro dei cattolici liberali: adattare la Chiesa allo “spirito dei tempi”. A tale scopo, si adoperarono per reinterpretare tutta la dottrina cattolica, a cominciare dalla filosofia che ne era alla base, secondo i canoni dell’esistenzialismo, non si sa perché ritenuto più à la page. Secondo loro, la Rivelazione non è avvenuta nella storia, ma dalla storia. In altre parole, la stessa storia è veicolo di Rivelazione. “Dio parla per eventi — secondo Marie Dominique Chenu — l’economia della rivelazione non è una storia in cui avviene una rivelazione, ma una storia di per sé rivelatrice”.

Non era, però, qualsiasi storia che mediava la Rivelazione, bensì quella rivoluzionaria: “La progressiva socializzazione. Lo sviluppo della classe operaria, la militanza sociale della donna, l’organizzazione della coscienza internazionale, la liberazione dei popoli dal giogo coloniale, la liberazione sessuale”. I nuovi teologi introdussero così una confusione fra la storia della salvezza (soprannaturale), e la storia profana. Essendo mediatrice di Rivelazione, quest’ultima è di per sé sacra. In questo modo, sacralizzarono le rivoluzioni in corso all’epoca, specialmente quelle di segno socialista e comunista.

Pari passu, svilupparono una nuova ecclesiologia, manipolando il concetto di “popolo di Dio”. Volevano distruggere ogni gerarchia nella Chiesa, in favore di una visione ugualitaria, laica e desacralizzata. “La mia visione della Chiesa mette in discussione il sistema piramidale, gerarchico e giuridico — affermava Yves Congar — la mia ecclesiologia è quella del «popolo di Dio»”.

Pio XII condannò più volte questa corrente. Nel 1943 pubblicò l’enciclica Mystici Corporis Christi, nella quale avvertiva contro gli errori della Nouvelle Théologie in campo ecclesiologico. Poi, in due allocuzioni nel 1946 ai Padri Gesuiti e ai Padri Domenicani, il Pontefice fu molto chiaro: “Che nessuno indebolisca o sconvolga ciò che non dovrebbe mai cambiare. Molto si è detto, e in maniera assai leggera, su una «nuova teologia» secondo cui la teologia cattolica dovrebbe svilupparsi seguendo l’evoluzione generale delle cose, diventando così qualcosa in perpetuo movimento senza mai essere saldamente ancorata. Se dovessimo assumere un tale parere, cosa diventerebbe dei dogmi immutabili della Chiesa cattolica? Che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?”.

Nel 1947 il Papa promulgò l’enciclica Mediator Dei, una condanna alla Nouvelle Théologie in campo liturgico. Finalmente, il 12 agosto 1950, Pio XII pubblicò l’enciclica Humani generis, specificamente rivolta alla Nouvelle Théologie. In essa, il Papa mette in guardia contro coloro che “senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l’ipotesi monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione”.

Purtroppo, i venti della storia – anche all’interno della Chiesa – soffiavano dall’altra parte. Tutti i nuovi teologi si ritrovarono “periti” durante il Concilio Vaticano II e oggi tutta la Chiesa ne risente .

martedì 9 luglio 2024

Perché disobbedire – anche al Papa – può essere un dovere



Carissimi amici e lettori,

La vera fedeltà e obbedienza non implicano un rinnegamento della nostra personalità, del nostro pensiero e della nostra volontà!Nell' ottobre 2022 il vescovo Athanasius Schneider ha gentilmente fornito a LifeSite un'analisi (vedi testo completo sotto) in cui discute la natura e i limiti dell'obbedienza al Papa buona lettura (link originale)

“L’obbedienza”, dice, “non è cieca o incondizionata, ma ha dei limiti. Quando c’è un peccato, mortale o di altro tipo, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di disobbedire”.

Il Papa, essendo il vicario di Cristo, è tenuto a servire la verità cattolica e a non alterarla. Pertanto, “si deve sicuramente obbedire al Papa, quando propone infallibilmente la verità di Cristo, [e] quando parla ex cathedra, cosa molto rara. Dobbiamo obbedire al Papa quando ci ordina di obbedire alle leggi e ai comandamenti di Dio [e] quando prende decisioni amministrative e giurisdizionali (nomine, indulgenze, ecc.)”.
Tuttavia, spiega il vescovo kazako, se “un Papa crea confusione e ambiguità riguardo all’integrità della fede cattolica e della sacra Liturgia, allora non si deve obbedire a lui, e si deve obbedire alla Chiesa di tutti i tempi e ai Papi che, durante due millenni, hanno insegnato costantemente e chiaramente tutte le verità cattoliche nello stesso senso”.


In tempi di crisi, quando i capi della Chiesa vengono meno ai loro doveri di pastori che conducono il gregge a Cristo, altri membri del Corpo mistico di Cristo sono chiamati a dare una mano e a difendere la fede.
Dichiara il vescovo:
“Quando coloro che hanno autorità nella Chiesa (Papa, Vescovi), come accade nel nostro tempo, non adempiono fedelmente al loro dovere di mantenere e difendere l’integrità e la chiarezza della fede cattolica e della liturgia, Dio chiama i subalterni, spesso i più piccoli e semplici nella Chiesa, a compensare i difetti dei superiori, per mezzo di appelli, proposte di correzione e, soprattutto, per mezzo di sacrifici e preghiere vicarie”.

Con molta chiarezza e carità, il vescovo Schneider dà quindi a tutti i cattolici le linee guida per una risposta adeguata agli insegnamenti e ai gesti sbagliati che vengono da Roma in questi giorni, come la nomina di pro-abortisti alla Pontificia Accademia per la Vita e l’aperta promozione dell’agenda LGBT da parte dei funzionari.

Anche il cardinale Gerhard Müller, ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha recentemente chiarito che i prelati che promuovono tali insegnamenti errati non dovrebbero essere obbediti.
Ha affermato che: “Non si deve obbedire a un vescovo palesemente eretico solo per ragioni di formalità, altrimenti l’obbedienza religiosa sarebbe un’obbedienza cieca che contraddice non solo la ragione ma anche la fede”.
Il diritto di resistere è, ovviamente, strettamente legato alle verità rivelate”.

Questa affermazione potrebbe naturalmente essere applicata anche al Papa, che non è al di sopra della legge di Dio e non ha un “potere illimitato”, contrariamente a quanto sembra aver suggerito uno stretto collaboratore di Papa Francesco durante la recente riunione del collegio cardinalizio a Roma.
Nel frattempo, il cardinale tedesco ha definito il Sinodo sulla sinodalità “un’acquisizione ostile della Chiesa”.

Alla luce di questa crisi della Chiesa, la disobbedienza potrebbe addirittura diventare un dovere, ricordando la regola secondo cui bisogna obbedire a Dio più che agli uomini.
Mons. Schneider scrive:
“All’autorità di un Papa o di un vescovo che supera i limiti della legge divina dell’integrità e della chiarezza della fede cattolica, bisogna opporre una ferma resistenza, che può diventare pubblica. Questo è l’eroismo del nostro tempo, la via più grave per la santità oggi. Diventare santi significa fare la volontà di Dio; fare la volontà di Dio significa obbedire alla sua legge sempre, in particolare quando questo è difficile o quando ci mette in conflitto con uomini che, pur essendo legittimi rappresentanti della sua autorità sulla terra (Papa, vescovo), purtroppo diffondono errori o indeboliscono l’integrità e la chiarezza della fede cattolica”.

Siamo profondamente grati a Sua Eccellenza per la sua chiarezza di insegnamento e per il suo incoraggiamento a quei cattolici che sono costernati per lo smantellamento della fede cattolica di tutte le epoche davanti ai nostri occhi ma ci domandiamo come mai sua eccellenza che dispensa saggi  consigli al popolo di Dio, insieme ai suoi confratelli vescovi e cardinali, non fanno pubblica opposizione a papa Bergoglio che con l'aiuto del suo fidato amico cardinale Fernandez stanno smantellando la dottrina cattolica?

lunedì 8 luglio 2024

I Papi post-concilio responsabili della crisi nella Chiesa

Nell’Antico Testamento i Profeti erano inviati da Dio per annunziare sciagure e castighi quando Israele abbandonava il monoteismo. Quindi i santi Profeti vetero-testamentari erano “profeti di sventura” per volontà e ordine di Dio.


Carissimi amici e lettori,
purtroppo,una delle caratteristiche della crisi attuale della Chiesa è che diversi papi che si sono susseguiti sul soglio di Pietro hanno contribuito alla sua diffusione, e questo specialmente sostenendo dei teologi modernisti, difendendo essi stessi delle opinioni o compiendo delle azioni inconciliabili con la dottrina cattolica tradizionale, e ponendo degli ostacoli a chi invece cercava di opporsi alla crisi.

Giovanni XXIII(1959-1963) ha dato alla crisi - che già covava da diversi anni - l'occasione di manifestarsi in modo conclamato, convocando il concilio vaticano II. "L'aggiornamento" divenne la parola d'ordine di un sovvertimento senza limiti caratterizzato dall'introduzione dello "spirito del mondo" nella Chiesa. Nel discorso di apertura del Concilio, dopo aver ricordato che la Chiesa non ha mai trascurato di condannare gli errori, disse: «Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell'onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, sopratutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi riponendo troppa fiducia nei progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita ». Papa Roncalli diceva anche di opporsi ai « profeti di sventura » e pensava che gli errori sarebbero scomparsi da sé, « come nebbia dissipata dal sole ». L'idea che l'errore possa scomparire da sé, senza che si faccia nulla per reprimerlo, contrasta con la condizione della natura umana, decaduta dopo il peccato originale, e con l'esperienza stessa, come ognuno può constatare, nella società civile come nella Chiesa. Inoltre, è scorretto contrapporre la misericordia e la condanna dell'errore, infatti, se rettamente intesa e praticata in un'ottica medicinale tesa a ricondurre gli erranti sulla retta via e perseverare gli altri dalle deviazioni, è un'opera di misericordia. I fatti stessi, infine, dimostrano che dopo il Concilio Vaticano II gli errori non solo non sono scomparsi, ma si sono moltiplicati e diffusi in modo capillare.

Paolo VI (1963-1978), continuò il Concilio, sostenne nettamente i liberali. Nominò quattro cardinali- Dopfner, Suenens, Lercaro, e Agagianian - moderatori del Concilio. I primi tre erano notoriamente liberali, il quarto più conservatore, ma era una personalità poco incisiva.

Montini ha favorito i liberali moderati e tavolta a frenato i liberali estremisti. Il 7 Dicembre del 65 riassumeva così ciò che era avvenuto al Concilio: «La religione del Dio che si è fatto Uomo s'è incontrata con la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. l'antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani ( e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l'attenzione del nostro sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell'uomo ».

Che cosa c'è di male in questa dichiarazione ? La si paragoni con ciò che San Pio X diceva nella sua prima enciclica: «Occorre che con ogni mezzo e fatica facciamo sparire radicalmente l'enorme e detestabile scelleratezza, tutta proprietà del nostro tempo, la sostituzione cioè dell'uomo a Dio ».

Da dove proviene l'idea di essere «cultori dell'uomo »? La massoneria, che ha tra i suoi scopi la distruzione della Chiesa cattolica, del papato, ha sempre preconizzato il culto dell'uomo. Le parole di Paolo VI a chiusura del Vaticano II hanno favorito l'introduzione di questa ideologia nella Chiesa.

Giovanni Paolo II (1978-2005) Provvisto di un temperamento più forte di Paolo VI, è stato più fermo su alcuni punti. Ma, sotto altri aspetti, ha perseguito in modo ancora più deciso la via delle innovazioni, dicendo e facendo delle cose che fino al Vaticano II probabilmente sarebbero state qualificate come sospette di eresia.

Per esempio: il 29 maggio 1982, ha recitato il Credo con il fasullo arcivescovo anglicano, Runcie, nella cattedrale di Canterbury; poi ha dato la benedizione con lui. Per comprendere la gravità di questo gesto, bisogna tener presente che, oltre a essere un esponente di una confessione scismatica, questo prelato anglicano rivestito di tutti i paramenti pontificali non possiede ne la successione apostolica ne la validità degli ordini sacerdotali a causa dell'invalidità delle ordinazioni anglicane.

Ci sono altri esempi ancora peggiori:la cooperazione prestata a dei riti idolatrici. Agosto 1985, Giovanni Paolo II, ha partecipato ad un rito animista in un « bosco sacro » del Togo.Il 2 febbraio 1986, a Bombay, ha ricevuto sulla fronte il Tylak, che simboleggia il terzo occhio di Shiva. Il 5 febbraio, a Madras, ha ricevuto il Vibbuti (ceneri sacre), segno degli adoratori di Shiva e di Vishnu. La cooperazione di Giovanni Paolo II a dei culti idolatri non si è limitata a questi soli casi prosegue con la celebre riunione di Assisi il 27 ottobre 1986. Tutte le religioni del mondo vengono a pregare per la pace ad Assisi , ognuno secondo il proprio rito le chiese di Assisi messe a disposizione di Pagani, eretici e scismatici, addirittura nella Chiesa di San Pietro la statua di Budda fu fatta troneggiare sopra il tabernacolo. Dopo il 1986 questo movimento ecumenico sponsorizzato dalle conferenze episcopali e incoraggiato da Giovanni Paolo II è continuato con gesti spettacolari a sostegno delle false religioni, il 14 maggio 1999, ha pubblicamente baciato il Corano.
Benedetto XVI è stato senza dubbio più favorevole alla tradizione rispetto a Giovanni Paolo II. Ha dato, ad esempio maggiore libertà alla liturgia tradizionale 
con il suo motuproprio del 7 luglio 2007, nonostante l'opposizione di molti vescovi. Ma, se ha manifestato di avere una certa sensibilità tradizionale, bisogna comunque tener presente che ha ricevuto una formazione intellettuale modernista. Nei libri di teologia che ha scritto da giovane si trovano numerosi affermazioni che lo mostrano. Nel corso dei decenni ha cambiato idea su alcuni punti, evolvendo in senso conservatore, ma l'impianto teologico di fondo è rimasto lo stesso.Inoltre, il suo pontificato è stato caratterizzato dallo sforzo di « salvare » il Concilio, collocandolo nella continuità della tradizione, rispetto alla quale non rappresenterebbe una rottura; ma questa interpretazione non regge all'analisi dei testi e dei fatti.
Benedetto XVI ha compiuto dei gesti altrettanto scandalosi simile al suo predecessore anche se si è dimostrato generalmente più serio.
Alla messa esequiale di Giovanni Paolo II, undici giorni prima della sua ascesa al Santo soglio, il cardinale Ratzinger ha dato la comunione in mano a Roger Schutz, di Taizé, che sapeva essere protestante.
Nella sua prima omelia ha promesso di continuare e di proseguire il dialogo ecumenico di cui Giovanni Paolo II si era fatto promotore.
Quattro mesi dopo l'elezione ha visitato la Sinagoga a Colonia (19 agosto 2005), lasciando intendere, attraverso il gesto stesso e le parole che lo hanno accompagnato, che il culto che vi è tributato sia gradito a Dio .
Il 30 Novembre 2006 si è tolto le scarpe per entrare nella moschea di Istanbul dove, dopo essersi orientato verso La Mecca, si è raccolto alcuni istanti, con le mani incrociati sul ventre.Il suo atteggiamento, così ha lasciato intendere che il culto reso in quella moschea fosse legittimo e gradito a Dio.
Nel 2010 il 14 marzo ha partecipato attivamente al culto luterano domenicale nella comunità evangelica di Roma.
Il 1 maggio 2011 beatificando Giovanni Paolo II, manifesta con questa suo gesto la sua approvazione nell'operato del suo predecessore e proponendolo come modello da seguire a tutta la cristianità; sempre nello stesso anno il 27 ottobre ha celebrato una riunione ecumenica ad Assisi ( in memoria e sulla scia di quella voluta da Giovanni Paolo II nel 1986, 25 anni prima) presentata come la commemorazione e la sua continuazione.


Francesco supera di gran lunga Giovanni XXIII e Paolo VI. Infatti secondo lui il Concilio Vaticano II si è fermato a mezza strada nel dialogo con la modernità e post-modernità. Quindi afferma che sarà lui ad arrivare alle conclusioni estreme. E lo si è visto! Il modernismo ha rivoluzionato la dottrina cristiana anche in campo morale: sì alla comunione ai divorziati risposati (cfr. Esortazione Amoris laetitia,19 marzo 2106), la quale, come ha detto il cardinal Müller, intacca tre sacramenti: il matrimonio, perché praticamente si accetta il divorzio, eliminando l’indissolubilità del matrimonio; la confessione, perché si dovrebbe assolvere sacramentalmente chi non è pentito e continua a vivere in stato di peccato grave; l’Eucarestia, perché si potrebbe dare la Comunione anche ai divorziati cosiddetti risposati che non sono in grazia di Dio.E poi arriva Fiducia Supplicans è l'ennesimo tentativo di riformare la dottrina “Le idee espresse nella dichiarazione ‘Fiducia supplicans’ rappresentano un allontanamento significativo dall’insegnamento morale cristiano”. “L’amore di Dio per l’uomo non può essere la base per benedire le coppie in convivenza peccaminosa. Dio ama l’uomo, ma lo chiama anche alla perfezione: ‘Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste’ (Mt 5,48). L’amore di Dio per l’uomo lo chiama ad allontanarsi dal peccato che distrugge la sua vita. Di conseguenza, la sollecitudine pastorale deve combinare armoniosamente una chiara indicazione dell’inammissibilità di uno stile di vita peccaminoso con l’amore che porta al pentimento”.

Per quanto riguarda le “diaconesse”, la proposta di Francesco lede il sacramento dell’Ordine sacro.

CONCLUSIONE

Da Giovanni XXIII sino a Francesco I ci si è aperti al mondo. Francesco non è l’unico né il primo ad averlo fatto. Le frasi citate sopra ci fanno capire che vi è un filo conduttore, il quale unisce i Papi del Concilio Vaticano II e del post-concilio. L’unica differenza tra di loro è la velocità, che in Francesco I è arrivata al culmine, ma l’apertura alla modernità è comune a tutti i Papi del Concilio e post-concilio.
Tutto ciò ci fa pensare che oramai solo un intervento speciale divino potrà rimettere le cose a posto. Infatti il morbo modernista non solo è penetrato nella Chiesa ma è giunto fino al suo vertice. Ora al di sopra del Papa c’è soltanto Dio e siccome gli artefici della teologia neo-modernista sono stati cinque Papi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II Benedetto XVI,e Francesco I, solo Dio può fermare la valanga di errori che si è abbattuta sul mondo ecclesiale a partire dal 1959.



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