Passa ai contenuti principali

"Cari Vescovi: il Giovedì Santo state nelle Cattedrali!"

Questo articolo lo riprendiamo  da MIL
Si sta approssimando il Triduo Sacro, e un sacerdote ci scrive una lettera, che vuole essere "aperta" ai Vescovi e al Papa. Stiamo parlando dell vero significato del Giovedì Santo e del memoriale dell'Istituzione del Sacerdozio Ministeriale (strettamente ed indissolubilmente legato a quella dell'Eucarestia) e dei rischi ormai troppo diffusi, che si stanno diffondendo a seguito dello sviamento dell'attenzione dal vero fulcro teologico racchiuso nei riti santi del Giovedì Santo a quello, pur importante ma pur sempre marginale -e solo consequenziale dal primo- della lavanda dei piedi. 
Non possiamo che condividere le osservazioni che il sacerdote sintetizza magistralmente ed espone con chiarezza, e le pubblichiamo, ringrziandolo, unendoci alla sua intima speranza che i Vescovi che le leggeranno possano ricredersi, correggersi, o comunque stemperare i loro entusiasmi per il gesto della lavanda dei piedi a vantaggio del più importante mandatumdivinum "fate questo in memoria di me".
Roberto
IL CENACOLO DEL GIOVEDI’ SANTO 



Non mi sembra assolutamente condivisibile l’usanza di qualche vescovo di celebrare la Missa in Coena Domini non nella cattedrale, che è il cuore della diocesi (da qui anche la tradizione per il Papa come vescovo di Roma di celebrarla in S. Giovanni in Laterano sua cattedrale), ma in questa o quella cappella, o periferia che dir si voglia, per sottolineare la vicinanza del vescovo a particolari situazioni che richiedono solidarietà e comprensione.
Nulla da eccepire, naturalmente, sulle ottime intenzioni e finalità di tale anomala prassi. Ma di un’anomalia appunto si tratta, perché la centralità del Triduo Pasquale nell’Anno Liturgico e la sua fondamentale importanza per la vita della Chiesa, non consentono deviazioni di sorta dal suo essenziale ordinamento al Mistero Pasquale di Cristo né attenuazione di quella sua luce che indirizza il cristiano vero la Croce e la Risurrezione: «Nos autem gloriari oportet in cruce Domini nostri Jesu Christi in quo salus, vita et resurrectio nostra», si canta nell’antifona di ingresso della messa vespertina del giovedì santo.
Nulla, anche la più nobile intenzione, quale un gesto di ammirevole carità, può distrarre dal suo fine primario la celebrazione, una volta all’anno, dell’unica messa denominata in coena Domini, unica nell’Anno e unica nella sera del giorno, perché a nessun sacerdote è consentito il giovedì santo di celebrare messa senza popolo.
Il Giovedì Santo si celebra l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio,non la lavanda dei piedi, che di quel giorno è un importante e significativo corollario, ma non il punto focale; si celebra il sacramento dell’Amore, non l’attività caritativa dei cristiani. Quest’ultima è strettamente unita, come da esso derivante, al sacramento dell’Eucaristia e del Sacerdozio, perciò non la si può enfatizzare, spostando la celebrazione dalla cattedrale (che è il luogo prescritto dalle norme liturgiche) ad altri luoghi periferici come le cappelle dei carceri, degli ospedali , degli orfanatrofi, e via dicendo.
D’altra parte al n. 45 delle Norme per la celebrazione del Triduo Pasquale della Congregazione per il Culto divino emanate il 16 gennaio 1988, leggiamo: «Tutta l’attenzione dell’anima deve rivolgersi ai misteri che in questa messa [si riferisce al giovedì santo] soprattutto vengono ricordati: cioè l’istituzione eucaristica, l’istituzione dell’ordine sacerdotale e il comando del Signore sulla carità fraterna: tutto ciò venga spiegato nell’omelia».
Ora andando a celebrare la messa vespertina del giovedì santo in un carcere minorile (dove ci sono addirittura dei musulmani, cosa assolutamente in contraddizione con tutta la prassi millenaria della Chiesa) o in un orfanatrofio, c’è da chiedersi come si possa ottemperare alla suddetta norma liturgica. Né va dimenticato che al n. 41 del suddetto documento, si prescrive che la celebrazione deve essere particolarmente solenne, cosa assolutamente impossibile o che sarebbe sproporzionata in una cappella: «Per compiere convenientemente le celebrazioni del triduo pasquale, si richiede un congruo numero di ministri e di ministranti… I pastori abbiano cura di spiegare nel modo migliore ai fedeli il significato e la struttura dei riti che si celebrano e di prepararli a una partecipazione attiva e fruttuosa».
Al n. 43, circa la non convenienza di celebrare i riti del triduo pasquale in piccole comunità, gruppi o cappelle, si dice: «E’ molto conveniente che le piccole comunità religiose sia clericali sia non clericali e le altre comunità laicali prendano parte alle celebrazioni del triduo pasquale nelle chiese maggiori. Similmente, qualora in qualche luogo risulti insufficiente il numero dei partecipanti, dei ministranti e dei cantori, le celebrazioni del triduo pasquale vengano omesse e i fedeli si radunino insieme in qualche chiesa più grande» [faccio notare tra parentesi che questa norma è un riflesso molto significativo di quella sulla celebrazione dell’antica pasqua ebraica riportata sul libro dell’Esodo, il cui passo viene proposto proprio nella prima lettura della messa vespertina del giovedì santo: «Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa,secondo il numero delle persone…».
Il Giovedì Santo non si celebra, come dicevamo, la giornata della carità cristiana, ma l’istituzione dell’Eucaristia che dà senso pieno e soprannaturalità alla carità, altrimenti questa sarebbe solo filantropia. In altre parole: l’Eucaristia senza la carità si riduce a pura e vuota ritualità, e la carità senza radicamento nel dono che Cristo fa di sé nell’Eucaristia, sarebbe solo un’opera buona, che può essere compiuta ottimamente anche dai non cristiani.
Il Vescovo può e talora deve (se fosse necessario per stimolare tutti alla solidarietà con i più poveri) compiere il gesto simbolico della lavanda dei piedi a persone particolarmente bisognose, come carcerati, anziani, orfani, handicappati, ecc., ma non è necessario che lo faccia nei luoghi dove esse sono degenti, altrimenti il punto focale del rito si sposta inevitabilmente dal suo centro. E’ molto più conforme ai canoni della teologia liturgica del giorno invitare queste persone in cattedrale e indicarle a tutto il popolo, piuttosto che andare a chiudersi nella cappella di un carcere o di un ospedale, lasciando fuori clero e popolo. Semmai, dopo la celebrazione in cattedrale, il vescovo può recarsi in quei luoghi e intrattenersi con quelle persone bisognose in una bella cena pasquale da lui offerta, cosa che sarebbe senz’altro più gradita e simpatica e non avrebbe meno impatto mediatico, se è questo che si cerca.

don Francesco Cupello

Commenti

Post popolari in questo blog

Fiducia Supplicans: Colpo di Mano di una Setta di Eretici Corrotti.Mons. Carlo Maria Viganò.

Mons. Carlo Maria Viganò Sul Comunicato stampa circa la ricezione di Fiducia Supplicans https://www.lifesitenews.com/news/archbishop-vigano-cdl-fernandezs-defense-of-fiducia-supplicans-shows-his-manifest-heresy/ Il Cardinal Fernández scrive che “non c’è spazio per prendere le distanze dottrinali da questa Dichiarazione o per considerarla eretica, contraria alla Tradizione della Chiesa o blasfema”. Come risponderebbe a una simile osservazione? Non stupisce che l’autore di un documento in sé eretico cerchi di difenderlo contro ogni evidenza. Stupisce invece l’impudenza nel contraddire quella sinodalità che, a sentir loro, dovrebbe lasciare autonomia alle “chiese particolari”. Ma questo è ciò che avviene quando una lobby che pretende di avere una legittimazione “democratica” scopre che il popolo – sovrano solo a parole – non asseconda i suoi piani eversivi. Il consenso popolare diventa allora “deriva populista” (come quando non sono i Democratici a vincere onestamente un’elezione) e la st

Francesco decapita la diocesi di Roma, promuovendo per rimuovere. Via il suo vicario De Donatis e il suo “nemico”, l’ausilario Libanori

I due vescovi litigarono sul destino del gesuita Rupnik, accusato di violenza sessuale da 5 suore Papa Francesco ha deciso a modo suo di risolvere la lunga disputa fra il suo vicario a Roma, cardinale Angelo De Donatis e il gesuita Daniele Libanori, vescovo ausiliare della capitale: li ha sollevati entrambi dall’incarico ricoperto promuovendoli ad altro incarico. Come spiegato dal bollettino della sala stampa vaticana di sabato 6 aprile, il cardinale De Donatis è stato nominato nuovo penitenziere maggiore del Vaticano in sostituzione del cardinale Mauro Piacenza dimissionato qualche mese in anticipo (compirà 80 anni a fine estate). Libanori è stato invece nominato assessore personale del Papa per la vita consacrata, incarico creato ad hoc perché non è mai esistito: dovrà occuparsi di tutti gli istituti di vita consacrata. Con il suo vicario le incomprensioni iniziarono con la pandemia Era da tempo che il Papa aveva fatto trapelare l’intenzione di sostituire De Donatis, che lui stesso a

LA PREGHIERA CONSEGNATA DALLA MADONNA STESSA (REGINA DEGLI ANGELI) PER INVIARE GLI ANGELI A SCONFIGGERE I DEMONI

Nel 1864, in Francia, la Madonna apparve a un prete e gli insegnò una potente preghiera per combattere e sconfiggere i poteri dell’inferno. Il 13 gennaio 1864, il beato padre Luis-Eduardo Cestac fu improvvisamente colpito da un raggio di luce divina. Vide dei demoni sparsi per tutta la terra, causando un’immensa confusione. Allo stesso tempo, ha avuto una visione della Vergine Maria. La Madonna le ha rivelato che in effetti il ​​potere dei demoni era stato scatenato in tutto il mondo e che più che mai era necessario pregare la Regina degli Angeli e chiederle di inviare le legioni dei santi angeli per combattere e sconfiggere poteri dell’inferno. “Madre mia”, disse il prete, “sei così gentile, perché non mandi questi angeli per te senza che nessuno te lo chieda?” “No”, rispose la Beata Vergine, “la preghiera è una condizione stabilita da Dio stesso per ottenere questa grazia”. “Allora, santissima Madre”, disse il prete, “insegnami come vuoi che ti venga chiesto!” Fu allora che il Beato