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Firenze. Il Cardinale Betori, il divieto alla celebrazione in Vetus Ordo e la degiuridicizzazione della Chiesa – di Carlo Manetti


 articolo  
di Carlo Manettii su Riscossa Cristiana



Sua Eminenza Reverendissima, il Cardinale Giuseppe Betori, ha negato a Padre Serafino Lanzetta la possibilità di celebrare pubblicamente la Santa Messa di sempre in diocesi di Firenze, dove, il 25 settembre prossimo venturo, sarà presentato il suo libro «Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari» (clicca qui per il programma dell’incontro): in quella circostanza, gli organizzatori, vale a dire l’Associazione Comunione Tradizionale, avrebbero voluto far precedere l’evento da un Santo Sacrificio della Messa, celebrato dallo stesso padre Serafino.

CLICCA QUI per leggere il testo della richiesta inoltrata da Comunione Tradizionale. CLICCA QUI per leggere la risposta dell’Arcivescovo

A tale «cortese richiesta»[1] l’Arcivescovo di Firenze ha risposto che «il contesto in cui si dovrebbe svolgere la Santa Messa nella forma straordinaria del Rito Romano […] è con tutta evidenza atteso a proporre un’iniziativa, più volte ripetuta in questa città, tesa a svilire il significato della portata dottrinale del Concilio Vaticano II, come si evidenzia dal titolo del libro di p. Serafino Lanzetta che si vuole presentare. Tale iniziativa, inoltre, dovrebbe poter registrare una presenza ufficiale a Firenze di p. Serafino Lanzetta, che i suoi Superiori, legittimamente costituiti dal Sommo Pontefice, hanno ritenuto di far risiedere altrove e dai quali non mi è giunta comunicazione di aver concesso un regolare permesso.

In questo contesto, il permesso per una celebrazione liturgica pubblica ad esso collegata costituirebbe un concreto sostegno dell’autorità religiosa fiorentina a posizioni che, come Pastore cattolico, non posso assolutamente condividere.


Ovviamente, qualora il p. Lanzetta giungesse in Firenze, non ci sarebbe alcuna difficoltà da parte mia a che egli celebri nella forma liturgica che gli è concessa dal Summorum Pontificum nel luogo che sceglierà e per il quale avrà avuto il permesso da chi ne ha la responsabilità per mio mandato, purché la celebrazione avvenga in forma privata».

L’Arcivescovo di Firenze nega, quindi, ad un gruppo di fedeli cattolici il diritto di assistere al Santo Sacrificio della Messa prima della presentazione di un libro cattolico, scritto da uno stimato teologo cattolico, unicamente perché presume che tale presentazione sia «tesa a svilire il significato della portata dottrinale del Concilio Vaticano II, come si evidenzia dal titolo del libro». Sua Eminenza, in altre parole, proibisce la celebrazione pubblica del più alto atto di culto che possa mai essere compiuto su questa terra, unicamente perché presume che dopo vi verranno sostenute tesi interpretative del Concilio, che, anche se da lui non condivise, sono assolutamente lecite e conformi alla dottrina cattolica. Per un vero problema di accentuazioni dell’aspetto dottrinale rispetto a quello pastorale, accentuazioni che non rivestono il benché minimo carattere di obbligatorietà per la coscienza del cattolico, vengono sottratte a dei fedeli tutte le grazie derivanti dalla celebrazione del Santo Sacrificio della Messa.

L’eventuale presenza a Firenze di Padre Serafino contro il volere del Commissario apostolico, oggi reggente il potere all’interno dei Frati Francescani dell’Immacolata, non è assolutamente rilevante ai fini della motivazione del divieto, poiché l’avvocato Ruschi, nella sua lettera di richiesta, si era premurato di precisare che, in caso di impedimento per Padre Serafino, la Santa Messa sarebbe stata celebrata da un altro sacerdote. Possiamo, quindi, presumere che questo accenno sia stato posto nella lettera dal cardinale ad colorandum, come dicono i giuristi, vale a dire per raggiungere una pennellata di colore retorico e rafforzare la tesi esposta, senza che ciò aggiunga o tolga alcunché di essenziale a quello che si sostiene ed alle sue motivazioni e dimostrazioni.

Confesso di avere molte difficoltà a comprendere il paragrafo successivo della lettera del Cardinale Arcivescovo, dove egli afferma che il concedere il permesso o, per essere più precisi, il non impedire la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa «costituirebbe un concreto sostegno dell’autorità religiosa fiorentina a posizioni che, come Pastore cattolico, non posso assolutamente condividere». Pare (e sottolineo pare) che vi si voglia attribuire alla Santa Messa unicamente o, almeno, prevalentemente il carattere di parte integrante di manifestazioni pubbliche di idee di qualsivoglia genere. Pare, in altre parole, che il Santo Sacrificio dell’Altare venga ridotto a parte integrante della pubblica manifestazione delle tesi che saranno sostenute durante la presentazione del libro. Pare, dunque, che l’evidente gerarchia tra il più alto dei sacramenti e la presentazione di un volume, sia pure di argomento dottrinale, venga ribaltata e che tale ribaltamento venga dato per scontato tanto nella mente degli organizzatori, quanto in quella, almeno, di tutti i fedeli della diocesi fiorentina. Ecco che, secondo questa logica, il Vescovo che non impedisca tale celebrazione apparirebbe, quantomeno di fatto, consenziente alle tesi esposte nel successivo convegno.

Sul fatto, poi, che un Pastore cattolico non possa assolutamente condividere le posizioni di chi interpreta il Concilio Vaticano II come un Concilio pastorale e non dogmatico (ammesso che questo sia ciò che i relatori intenderanno dire in sede di presentazione del suddetto volume), esso è destituito di ogni fondamento: le uniche posizioni che un Vescovo cattolico non può assolutamente condividere sono quelle che contrastano con la Fede (vale a dire con la dottrina cattolica) e con la morale; e la tesi della pastoralità del Concilio non contrasta né con la Fede né con la morale.

Sul fatto, infine, che Padre Lanzetta possa celebrare in Vetus Ordo, anche senza l’autorizzazione dell’Ordinario del luogo, concordando unicamente l’orario con chi organizza le funzioni della chiesa prescelta, non è una benigna concessione del Vescovo, ma un diritto soggettivo di ogni sacerdote cattolico in tutto l’orbe terraqueo. Si potrebbe, tutt’al più, osservare che potrebbe costituire violazione di tale diritto il pretendere di restringerlo alla «forma privata», qualora questa formula fosse interpretata come equivalente ad un «a porte chiuse», con esclusione della possibilità, per i fedeli che eventualmente lo desiderassero, di assistervi; sarebbe, invece, pienamente conforme al diritto, qualora fosse interpretata come Santa Messa non di orario.

Quanto succintamente riportato e commentato si iscrive, a nostro modesto avviso, a pieno titolo nel processo di degiuridicizzazione della Chiesa, processo del quale la vicenda dei Francescani dell’Immacolata, di cui padre Serafino Lanzetta è eminente teologo, rappresenta una delle migliori cartine di tornasole. È in corso, con un’accentuazione crescente negli ultimi due secoli, il tentativo di superamento del concetto stesso di diritto canonico, in nome del raggiungimento di una Chiesa pneumatica, all’interno della quale il soffio dello Spirito tenga il posto di ogni norma positiva. Ogni argomento giuridico viene visto come una sclerotizzazione della Chiesa apparato, contrapposta al Popolo di Dio in perenne cammino e, quindi, in perenne mutamento: il diritto in genere e ogni norma in particolare sarebbero, con la loro stabilità, ostacoli a questa continua trasformazione.

In luogo di norme certe, di una gerarchia delle fonti razionalmente comprensibile da tutti di una chiara soggezione alla giustizia divina ed umana, si pensa giunto il momento di imporre erga omnesl’universalità della misericordia, che, per definizione, si adatta sempre al caso specifico e trascende qualunque criterio preordinato.

Ecco che, per tornare alla questione fiorentina, il problema se un certo sacerdote possa o non possa celebrare una Santa Messa, secondo un rito assolutamente cattolico e conforme al diritto canonico, non lo si desume più dalle norme del diritto della Chiesa, ma dalle conseguenze pastorali (si sarebbe quasi tentati di dire politiche) che l’Autorità presume o immagina. E tali conseguenze sono valutate in un’ottica prevalentemente umana, dove la dimensione di culto e le grazie spirituali cedono, inevitabilmente, il passo all’immagine, a ciò che si potrebbe pensare, alle conclusioni umane cui gli osservatori potrebbero giungere.

Paradossalmente, ma non troppo, la tendenziale eliminazione dell’aspetto razionale giuridico dell’agire umano, in nome dell’onnipresenza della dimensione spirituale (quasi fossimo angeli) conduce ad un comportamento o, meglio, a criteri di comportamento impregnati maggiormente di terra, rispetto a quanto avrebbe fatto l’osservanza, anche rigida, del diritto canonico. E questo per un motivo logico: poiché l’osservanza del diritto della Chiesa porta, in ultima analisi, sempre a Dio, come termine ultimo di riferimento, in quanto la norma sovracostituzionale, a cui tutte le norme umane, di qualunque rango siano, debbono soggiacere è la salus animarum. Quando, invece, si eliminano o, anche solo, si superano le norme in nome dello spirito, si sostituisce ad esse una sorta di delirio di onnipotenza, che rende l’uomo (e, per uomo, chi agisce intende, ovviamente, se stesso) «misura di tutte le cose», come direbbe Protagora (486-411 a.C.).

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