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Cristianesimo ortodosso (“ortodossia” significa “corretta opinione”) si chiama così perché convinto di applicare la vera volontà di Gesù Cristo. Esso si esprime in comunità autocefale (cioè aventi in sé il proprio capo), che solitamente vengono erette al rango di patriarcato. Queste comunità sono in comunione fra loro, ma agiscono indipendentemente le une dalle altre. Vi sono poi alcune comunità autonome e semiautonome che hanno un notevole grado di autogoverno, ma non possono definirsi di governo proprio nel vero senso della parola, perché l’elezione del loro primate viene formalmente approvata dal sinodo della “chiesa” autocefala da cui dipendono.
Cristianesimo ortodosso (“ortodossia” significa “corretta opinione”) si chiama così perché convinto di applicare la vera volontà di Gesù Cristo. Esso si esprime in comunità autocefale (cioè aventi in sé il proprio capo), che solitamente vengono erette al rango di patriarcato. Queste comunità sono in comunione fra loro, ma agiscono indipendentemente le une dalle altre. Vi sono poi alcune comunità autonome e semiautonome che hanno un notevole grado di autogoverno, ma non possono definirsi di governo proprio nel vero senso della parola, perché l’elezione del loro primate viene formalmente approvata dal sinodo della “chiesa” autocefala da cui dipendono.
All’interno dell’Ortodossia vi sono varie controversie giurisdizionali, e ciò per diversi motivi. In alcuni casi le questioni si legano all’autodeterminazione nazionale di un popolo, come nel caso delle “chiese” ucraina, montenegrina e macedone, le quali non sono in comunione con le principali chiese ortodosse.
Le comunità ortodosse più importanti sono quelle greca, russa, serba, bulgara e rumena. Complessivamente l’Ortodossia è per dimensioni la terza maggiore confessione cristiana, contando circa 250 milioni di fedeli, sia in Oriente che in Occidente.
La storia
Diamo qualche notizia sulla storia dell’Ortodossia. Le radici dello scisma sono nella decisione dell’Imperatore Costantino di fare di Costantinopoli (nell’anno 330) la “nuova Roma” e di renderla capitale dell’Impero. Fu così che nel 381 il vescovo di quella città pretese per il suo seggio un primato d’onore immediatamente dopo quello di Roma. A questo poi si aggiunse il fatto che l’Imperatore Teodosio si stabilì a Costantinopoli e alla sua morte l’Impero si divise in Impero d’Occidente e Impero d’Oriente. Quest’ultimo divenne la residenza stabile dell’imperatore d’Oriente.
Ciò accrebbe le pretese del Vescovo di Costantinopoli, che, al Concilio di Calcedonia (451), ottenne non soltanto la conferma del suo posto d’onore, ma un’effettiva giurisdizione sulle diocesi di Tracia, d’Asia, del Ponto e su altri Paesi vicini. Questa decisione fu adottata dopo la partenza dei legati romani e non fu mai riconosciuta dal Papato. Non fu così a Costantinopoli dove, poco a poco, si sviluppò quella convinzione che in germe contiene tutto lo “scisma” bizantino: il vescovo di Costantinopoli avrebbe dovuto avere sul Patriarcato un’autorità assoluta, ma avrebbe dovuto comunque riconoscersi, a livello onorifico, inferiore al Vescovo di Roma, il quale – evidentemente – anch’egli avrebbe dovuto esercitare un’autorità assoluta sui territori dell’Occidente.
È ovvio che alla base della separazione non vi fu solo l’ambizione dei patriarchi di Costantinopoli. Giocarono anche altri fattori. Per esempio: la diversità culturale latina rispetto a quella greco-orientale, la diversa mentalità teologica, la politica degli imperatori d’Oriente, i quali, non vedendo di buon occhio che la Chiesa del loro impero dipendesse da un’autorità straniera, appoggiavano e stimolavano le pretese dei vari patriarchi.
Dopo un breve scisma (863-867), operato dal patriarca di Costantinopoli Fozio, che tra l’altro lanciò anche l’argomento del Filioque (di cui parleremo in un successivamente), lo scisma definitivo avvenne nel 1054 con il patriarca Michele Cerulario. Questi salì alla sede di Costantinopoli il 25 marzo del 1043. Le relazioni con Roma erano già sospese da tempo. Il Papato attraversava uno dei periodi più tristi. Dal 901 al 1059 si contano una quarantina di papi di fronte a soli quindici patriarchi di Costantinopoli. Michele Cerulario non ruppe le relazioni con Roma, che di fatto non esistevano più, quanto fece fallire ogni tentativo di riprenderle. Riaprì la polemica contro i riti e gli usi latini, che Fozio aveva già cominciata. Per suo ordine furono chiuse tutte le chiese latine di Costantinopoli. Fece poi lanciare da Leone di Ocrida un manifesto offensivo contro gli usi latini.
Al papa Leone IX non restò che inviare a Costantinopoli una delegazione di legati con a capo il cardinale Umberto. Il tentativo fallì. Alla fine, ai legati pontifici non restò che deporre sull’altare della celebre basilica di Santa Sofia la bolla con cui veniva scomunicato Michele Cerulario. Era il 16 luglio del 1054. Cerulario ovviamente rispose scomunicando i legati. Al ritorno a Roma, il cardinale Umberto e i legati seppero che il Papa era morto il 19 aprile e le Sede era ancora vacante. Ma la loro sentenza fu accolta da tutti. Da quel momento lo scisma era un fatto compiuto.
Non solo scisma … ma anche eresia
La versione ufficiale vuole che il Cristianesimo ortodosso sia classificato come scismatico e non eretico. Ricordiamo la differenza tra eresia e scisma.
L’eresia è un errore che si pone sul piano della dottrina, lo scisma invece è un errore che si pone sul piano della disciplina. Dal momento che il Cristianesimo ortodosso viene ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla sottomissione al Papa, in quanto Vescovo di Roma avente un potere di giurisdizione su tutti gli altri vescovi, esso viene considerato come una comunità scismatica. È un giudizio che convince poco e diciamo subito il perché.
Prima di tutto: già il rifiuto del primato petrino ha implicazioni non solo sul piano disciplinare ma anche su quello dottrinale. Secondo: è riduttivo ritenere che il Cristianesimo ortodosso si differenzi da quello cattolico solamente per la non accettazione del primato del Vescovo di Roma. Infatti, vi sono diverse differenze. Parliamone.
Chiesa e primato petrino
Gli ortodossi ritengono – a proposito della costituzione della Chiesa – che san Paolo sia stato del tutto pari a san Pietro (tesi del “duplice capo della Chiesa”, già condannata da Innocenzo X). Ovviamente questo comporta anche il rifiuto del dogma dell’infallibilità pontificia.
Gli ortodossi ritengono che nei primi secoli la Chiesa Cattolica non fosse “monarchica” e ritengono che il Primato della Chiesa Romana non poggi su validi argomenti.
Dio
Gli ortodossi, ovviamente, concepiscono Dio in maniera molto simile a come viene concepita dai cattolici, ma attenzione: non identica. Gli ortodossi credono sì in un solo Dio in tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo), ma per quanto riguarda il rapporto tra Dio e la creazione i loro teologi distinguono fra essenza eterna di Dio ed energie divine. L’essenza divina sarebbe inconoscibile, mentre possono essere conosciute le energie o atti divini. Ora, un conto è dire che il mistero di Dio non potrà mai essere completamente compreso dall’intelligenza delle creature (angelo o uomo che sia), altro è affermare una completa inconoscibilità dell’essenza divina. Ciò infatti può comportare la convinzione secondo cui Dio non sarebbe costitutivamente logos, bensì potrebbe essere concepito volontà pura indipendente da qualsiasi logica. Si tratterebbe, ovviamente, di un effetto del rifiuto del metodo analogico, cioè della possibilità di conoscere la natura di Dio anche attraverso la ragione umana.
Dunque, una tale convinzione (la completa non conoscibilità dell’essenza divina) può portare a delle conseguenze ben precise. Prima fra tutte quella di “separare” (e non solamente “distinguere”) il piano naturale da quello soprannaturale. Ovvero di ritenere il piano naturale giudicato da leggi completamente diverse rispetto all’essenza della realtà soprannaturale. Tanto è vero questo, che l’Ortodossia pone poca attenzione al rapporto tra fede e scienza, rapporto che è invece è sempre stato ed è tuttora importante per il Cattolicesimo. Altra conseguenza è il fenomeno del cesaropapismo, ovvero la sottomissione del potere religioso rispetto a quello politico. È vero che questo fenomeno è legato primariamente alla rinuncia da parte dell’Ortodossia del potere temporale, ma non ne è estranea anche la singolare concezione di Dio di cui abbiamo appena parlato.
Gli ortodossi ritengono che il dogma della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio (“Filioque”) non sia contenuto nelle parole del Vangelo o non sia stato accettato dalla fede degli antichi Padri. Al limite, dichiarano di essere disposti ad affermare l’espressione secondo cui lo Spirito Santo procederebbe dal Padre attraverso il Figlio, ma non dal Figlio. Le conseguenze di una convinzione di questo tipo sono molto importanti. Infatti, negare che lo Spirito Santo proceda logicamente dal Figlio, vuol dire negare che l’amore proceda dalla verità. È quella negazione di Dio come logos a cui abbiamo già fatto cenno.
La Vergine Maria
Per quanto riguarda la Vergine Maria, gli ortodossi negano il dogma dell’Immacolata Concezione, affermando che la Vergine sarebbe stata concepita con il peccato originale, ma che poi sarebbe stata purificata al momento del concepimento del Verbo Incarnato.
Si insiste, invece, sul fatto che Maria non commise mai peccato, che rimase sempre vergine e che, ovviamente, è vera Madre di Dio. Si afferma anche che Maria fu assunta in Cielo, ma non se ne fa una verità vincolante.
I sacramenti
Per quanto riguarda i sacramenti, il Cristianesimo ortodosso non ne ha mai definito dogmaticamente il numero. In tempi recenti ha riconosciuto di fatto i sette sacramenti della Chiesa Cattolica ai quali ha aggiunto altri come: la tonsura monastica, la benedizione delle acque, la consacrazione delle icone… Insomma, l’Ortodossia non riconosce una vera differenza tra sacramenti e sacramentali.
Per quanto riguarda il Battesimo, a differenza della Chiesa Cattolica dove questo può essere amministrato anche per infusione, nelle comunità ortodosse esso deve invece essere amministrato per immersione.
Per quanto riguarda la Cresima, il rito ortodosso è esteso a tutto il corpo con una serie di unzioni col crisma benedetto dal vescovo. A differenza del Cattolicesimo, il ministro può anche essere il sacerdote, anche se il crisma deve essere comunque consacrato da un vescovo.
Per quanto riguarda l’Eucaristia, nell’Ortodossia non si utilizza il termine transustanziazione ma trasmutazione. Teologicamente non cambia nulla. L’Eucaristia è celebrata con pane di frumento fermentato e non azimo (questa è una differenza) e vino rosso mescolato con acqua tiepida all’interno del calice. La Comunione è distribuita sempre sotto le due specie. Per riceverla non si esige la capacità di distinguere il pane comune da quello “trasmutato”, infatti la Comunione può essere amministrata anche ai bambini molto piccoli dopo il Battesimo. Altra differenza: mentre i cattolici identificano la transustanziazione con le parole di Cristo all’Ultima Cena, gli ortodossi identificano la trasmutazione con la conclusione del canone eucaristico, ovvero con l’epiclesi o invocazione allo Spirito Santo.
Per quanto riguarda il sacramento della Penitenza, esso è molto simile a quello cattolico. Però nell’Ortodossia ognuno deve confessarsi col proprio “padre spirituale” e senza il confessionale a grata. Alcuni affermano che nell’Ortodossia la Confessione verrebbe vista soprattutto come una sorta di “terapia dell’anima”. Infatti, a differenza di ciò che accade nel Cattolicesimo, il confessore non “assolve” il penitente dai peccati bensì recita una preghiera invocando il perdono divino.
Per quanto riguarda l’Unzione degli infermi, nell’Ortodossia questo sacramento può essere amministrato anche a coloro che soffrono solo spiritualmente e non è stato mai solo riservato agli ultimi momenti della vita.
Per quanto riguarda l’Ordine, anche nell’Ortodossia esso permette la creazione dei ministri della Chiesa, nei tre gradi di vescovo, presbitero e diacono. Solo il vescovo è eletto fra i celibi (specificamente fra i monaci), mentre sacerdoti e diaconi possono essere scelti tanto fra celibi quanto tra sposati, per quest’ultimi però è necessario che non siano in seconde nozze e non si sposino dopo l’ordinazione. I ministri sono eletti solo fra i maschi.
E infine il Matrimonio. Per l’Ortodossia neppure la morte di uno dei due coniugi può sciogliere il vincolo. Solo il vescovo può decidere se ammettere i suoi diocesani a seconde o terze nozze. A questo però si aggiunge qualcosa che va completamente a discapito di questo sacramento: si afferma che, ove sia assolutamente venuto meno l’amore coniugale per adulterio, può ammettersi il divorzio. Si tratta di un permesso causato da una errata interpretazione di Matteo 19, 9: «Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio». In realtà, Gesù vuol dire che in caso di concubinato la propria moglie si può ripudiare perché non è davvero moglie, mentre gli ortodossi interpretano, sbagliando, concubinato come adulterio e quindi come una possibile eccezione all’indissolubilità del matrimonio.
La negazione del Purgatorio
Gli ortodossi non credono nel Purgatorio, anche se – contraddittoriamente – invitano a pregare per i defunti. In realtà, si afferma che dopo la morte nel suo avvicinamento verso Dio l’anima dovrebbe superare dei punti di blocco, definiti “stazioni di pedaggio”. In questo avvicinamento l’anima incontrerebbe i cosiddetti “demoni dell’aria” e sarebbe da loro giudicata, provata e tentata. Il giusto che ha vissuto santamente la sua vita terrena supererebbe velocemente queste prove senza timore e terrore.
Le varietà
Una differenza importante è tra chiese ortodosse calcedoniane e chiese ortodosse non calcedoniane.
Le prime costituiscono la realtà più comunemente nota con il nome di Ortodossia. Esse sono: gli antichi patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli e diverse altre chiese autocefale. Pur nel rispetto di una forte autonomia, queste “chiese” sono in una forte comunione.
Le seconde (le chiese non calcedoniane) o antico-orientali sono diffuse dall’Armenia fino all’Africa orientale e all’India del Sud. Si tratta di “chiese” che si sono poste al di fuori dell’antico Impero Romano d’Oriente, di cui hanno rifiutato le formulazioni di fede cristologica definite dal Concilio di Calcedonia del 451.
Inoltre va detto che esistono chiese che hanno riti pressoché identici all’Ortodossia, ma che riconoscono l’autorità di Roma. Queste chiese sono dette solitamente uniate, ma i loro fedeli preferiscono definirsi cattolici di rito orientale.
Bisogna convertire gli ortodossi
Purtroppo in non pochi ambienti cattolici si è diffusa la convinzione secondo cui non sarebbe necessario convertire gli ortodossi, perché Ortodossia e Cattolicesimo sarebbero due parti dell’unica Chiesa Corpo Mistico di Cristo.
Prima di vedere quanto errata sia una simile convinzione, ricordo che i santi hanno sempre preteso che gli ortodossi si convertissero al Cattolicesimo. Nestor Caterinovich apparteneva alla Ortodossia russa. Quando incontrò san Pio da Pietrelcina si convertì con tutta la sua famiglia alla fede cattolica e sottolineò sempre la felicità che ne derivò: «Padre Pio – soleva dire commosso ai suoi amici – ha trionfato sul nostro cuore, ma col suo trionfo ha procurato a noi una tale felicità, che non possiamo fare a meno di recarci il più sovente possibile al suo convento, per dimostrargli l’inalterabile riconoscenza dell’animo nostro».
Veniamo adesso a confutare la tesi secondo cui Chiesa Cattolica e Chiesa ortodossa sarebbero due parti di un’unica chiesa. Offriamo alcune citazioni importanti.
· Sant’Ambrogio (339-397) afferma chiaramente: «Ubi ergo Petrus ibi Ecclesia» ovvero: “Perciò dov’è Pietro ivi è la Chiesa.”
· La professione di fede di Michele Paleologo, accettata dagli orientali nel 1274, afferma chiaramente: «la santa Chiesa romana ha anche primato ed autorità sovrana su tutta la Chiesa cattolica (…). Ad essa sono sottomesse tutte le Chiese e i loro prelati le prestano obbedienza e riverenza».
· Nei decreti del Concilio di Firenze (secolo XV), firmati dagli orientali, è scritto: «Definiamo anche che la Santa Sede apostolica e il Pontefice romano posseggono il primato su tutta la terra; che questo pontefice romano è il successore del beato Pietro, il capo degli Apostoli e il vero vicario di Cristo, la testa di tutta la Chiesa, il padre e il dottore di tutti i cristiani; che a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato da Nostro Signore Gesù Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare tuta la Chiesa, come dicono gli atti dei concili ecumenici e i sacri canoni».
· Il Concilio Vaticano I (1870), nella costituzione Pastor aeternus, afferma: «Affinché l’episcopato fosse uno ed indiviso, affinché, grazie all’unione stretta e reciproca dei Pastori, l’intera moltitudine dei credenti fosse custodita nell’unità della fede e della comunione, Cristo, collocando il beato Pietro a capo degli altri Apostoli, stabilì nella sua persona il principio duraturo e il fondamento visibile di questa duplice unità».
· Leone XIII scrive nella Satis cognitum: «Gesù Cristo non ha affatto concepito ed istituito una Chiesa formata da più comunità, simili per alcuni caratteri generali, ma distinte le une dalle altre e non unite da quei legami che soli possono dare alla Chiesa l’individualità e l’unità che professiamo nel simbolo della fede: “Credo la Chiesa…una”». E ancora: «E dunque proprio di Pietro sorreggere e conservare unita e ferma con indissolubile compagine la Chiesa. Ma come potrebbe egli adempiere questo compito, se non avesse il potere di comandare, vietare, giudicare; in una parola, senza un vero e proprio potere di giurisdizione? Infatti solo in virtù di questo potere si conservano gli Stati e le società. Un primato d’onore o anche quel modesto potere di consigliare ed ammonire, detto potere di direzione, non possono conferire a nessuna società umana un elemento efficace d’unità e di solidità».
· Pio XI è di una chiarezza inequivocabile. Scrive nella Mortalium animos: «Il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa, è omogeneo e perfettamente articolato, come un corpo fisico; è perciò illogico e ridicolo pretendere che il Corpo Mistico possa essere formato da membra sparse, isolate le une dalle altre; perciò chi non gli è unito non può essere suo membro, né saldato al capo che è Cristo. Nessuno si trova e permane in quest’unica Chiesa di Cristo, se non riconosce ed accetta con ubbidienza l’autorità e il potere di Pietro e de suoi legittimi successori».
Per concludere, pensiamo piuttosto ai tanti martiri della Chiesa uniate, che, pur di rimanere fedeli a Roma, hanno offerto la loro vita. A che pro se essere ortodossi equivale ad essere cattolici? Il grande cardinale Joseph Slipyi, prigioniero per diciotto anni in un gulag, lo ricordò: «I nostri predecessori si sono sforzati per mille anni di conservare il legame con la Sede apostolica romana, e negli anni 1595 e 1596 hanno consolidato l’unione con la Chiesa cattolica romana a certe condizioni che i Papi hanno solennemente promesso di rispettare. Durante quattro secoli, questa unione è stata autenticata da un gran numero di martiri ucraini e ancora oggi questa difesa della santa unione da parte dei nostri fratelli è gloriosamente iscritta negli annali della Chiesa».
Nell’Ortodossia c’è solo una successione apostolica materiale, ma non formale ed essenziale
Certamente non si può negare che nella Chiesa ortodossa vi sia una reale successione apostolica. Ma tale constatazione merita però un approfondimento per evitare delle pericolose semplificazioni.
Cristo ha istituito una Chiesa gerarchica e monarchica fondando un collegio apostolico sotto l’autorità di Pietro. A loro volta gli Apostoli hanno fondato chiese locali. Con il passare dei secoli i successori degli Apostoli hanno ricevuto i poteri per governare quelle chiese.
Questo aspetto materiale della successione dei vescovi non deve però far passare in secondo piano un altro aspetto, ovvero quello formale ed essenziale. Infatti, l’episcopato può essere ricevuto materialmente ma non formalmente se si è separati dalla Chiesa e dal suo capo in Terra, che è il Vescovo di Roma.
Certamente, la sola successione materiale comporta la validità dei sacramenti, ma non esprime la purezza di tale successione.
Corrado Gnerre
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