NEL QUARANTASEIESIMO ANNIVERSARIO DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL “NOVUS ORDO MISSAE”
Ci eravamo lasciati nel nostro studio sulle differenze tra la Messa cattolica di sempre ed il “novus ordo missae” alla fine dei Ritus initiales, i riti che accompagnano il sacerdote e il fedele all’inizio della celebrazione. Abbiamo visto che, nella Messa di sempre, questi riti preparano spiritualmente il sacerdote, e con lui il fedele, a salire sul sacro monte dell’Altare, tutto in prospettiva del Sacrifico Divino che andrà ad essere officiato durante il Canone. Umiltà, venerazione, pentimento e proposito di espiazione accompagnano questa prima parte. Nel novus ordo, è del tutto assente la prospettiva del Sacrificio, l’ambiguità regna sovrana. “Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”, si recita subito prima del Confiteor e/o del Kyriale. Non c’è alcun riferimento alla necessità dell’assoluzione e dell’espiazione (e quindi al Sacramento della Confessione che deve sempre precedere quello della Comunione).
Il novus ordo ha dato anche la libertà di usare diverse formule, a discrezione del celebrante. La formula iniziale, che recita: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”, formula che sostituisce tutta la parte dell’antica Messa includente l’Introibo e il salmo Iudica me, può essere sostituita da altre quattro formule, tutte prese dai saluti che gli apostoli Pietro e Paolo rivolgono ai destinatari di alcune epistole (Rm 15,13; Ef 6,23; 1Pt 1,1-2). Ancora una volta, compare il vago archeologismo conciliare che, dal sapore scritturistico assai caro al protestantesimo, pretende di portare la Messa allo spirito dei “primi tempi” (non riuscendoci!). Anche la formula che precede il Confiteor e/o il Kyriale può essere sostituita da una di altre due formule. In nessuna delle altre due, tuttavia, c’è riferimento al Sacrificio o alla Confessione. In una addirittura si dice, con un sapore fortemente luterano: “Il Signore Gesù, che ci invita alla mensa della Parola e dell’Eucarestia, ci chiama alla conversione. Riconosciamo di essere peccatori e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio”. L’ambiguità peggiora ulteriormente, si arriva quasi a negare la necessità dell’assoluzione sacramentale. Basterebbe, per partecipare ai santi misteri, riconoscere di essere peccatori ed invocare tutti insieme il perdono divino! Un sacerdote luterano potrebbe benissimo celebrare con il nuovo Messale senza rendersi minimamente conto di presiedere ad una Messa (si presume) cattolica, ma, a dire il vero, è perfettamente questo ciò a cui ambivano molti padri conciliari. La Parola che sarà annunciata diviene una mensa, così come l’Eucarestia: anche i luterani e altre sette protestanti credono all’Eucarestia, inteso nel senso greco di “ringraziamento”, senza per questo credere al dogma della Transustanzazione! Per quanto riguarda l’equiparazione della Liturgia della Parola (Pars didactica) a quella Eucaristica (Pars sacrificalis), scrive De Lauriers nel Breve esame critico: “Assimilazione paritetica del tutto illegittima delle due parti della liturgia, quasi tra due segni di eguale valore simbolico” [1].
A quanti guai il falso ecumenismo! La liturgia cattolica SIGNIFICA i dogmi della Fede: “Se vogliamo distinguere e determinare in modo generale ed assoluto le relazioni che intercorrono tra fede e liturgia, si può affermare con ragione che la legge della fede deve stabilire la legge della preghiera” (Pio XII,Mediator Dei). Con l’ambiguità del nuovo rito, i dogmi cattolici non sono più significati dalla liturgia, per non scandalizzare coloro che perniciosamente sono stati definiti “fratelli separati” – ossia gli eretici protestanti.
Pars didactica
Dopo il Gloria, il sacerdote bacia l’altare e si rivolge al popolo per salutarlo, con una frase che ricorda il saluto dell’Angelo Gabriele rivolto a Maria nel giorno dell’Annunciazione: Dominus vobiscum, “Il Signore sia con voi”. La risposta del ministro (e del popolo) è un ricambio di saluto e augurio: Et cum spiritu tuo, “E con il tuo spirito”. I Vescovi, in quanto successori degli Apostoli e immagine di Cristo, adoperano la stessa formula usata da Gesù dopo la sua resurrezione: Pax vobis, “Pace a voi”. In questo punto della Messa, il saluto del sacerdote è un richiamo ai fedeli affinché prestino attenzione alla prima Orazione della Messa, detta Colletta (tratta dal Proprio), perché in essa si raccolgono e si presentano a Dio le preghiere dei presenti. Nel novus ordo, il bacio e il saluto sono scomparsi. In generale, il saluto del vescovo è stato assimilato a quello del sacerdote (perché?). La colletta è letta immediatamente dopo il Gloria.
Subito dopo la colletta, nella Messa promulgata da san Pio V è il sacerdote a leggere l’Epistola, seguita dal Graduale (in alcune messe solenni vi è anche la Sequenza), dal Tratto e dall’Alleluia. Il Graduale è detto anche psalmus responsorius, essendo un salmo che viene diviso in antifona e versetto, dove i cantori o il sacerdote recitano il salmo e il popolo, a guisa di risposta, ripete un versetto o un mezzo versetto come ritornello. Nel novus ordo, non è più il sacerdote a leggere sull’altare l’Epistola, il Graduale, il Tratto e l’Alleluia, ma esclusivamente uno o più laici. È stata introdotta la figura della mulier idonea, ora anche la donna può salire sulla sacra zona del presbiterio (che accede al Sancta Sanctorum e quindi riservato al sacerdote e ai ministri) e proclamare dall’ambone, coram populo, la Parola di Dio. Con queste due scelte, i padri riformatori fecero tabula rasa sia del ruolo di proclamatore della Parola che spetta solo al sacerdote e, quindi, della Scrittura rettamente interpretata solo dalla voce della Chiesa che nel sacerdote si concretizza, sia della differenza tra uomo e donna nel culto, dove solo l’uomo – per diritto divino – e precisamente l’uomo consacrato, può avere accesso al Sancta Sanctorum. Inutile ribadire, anche in questo caso, l’inquietante somiglianza con il rito della cena luterana. Nel novus ordo, vengono lette due letture nelle solennità e nelle domeniche (generalmente una tratta dall’Antico ed una dal Nuovo Testamento), il Graduale è chiamato salmo responsoriale (anch’esso letto da un laico, uomo o donna che sia), il Tratto, che consiste in una salmodia cantata, può essere usato in pochissime circostanze. Le sequenze valgono ancora per alcune solennità, come nel rito antico. Generalmente si tende a dividere la liturgia della Parola dalla liturgia dell’Eucarestia, pur equiparandole come “due mense”, ma in realtà la sapienza della Chiesa aveva finalizzato anche la Pars didactica al Divino Sacrificio, pur consapevole che si tratta di due parti differenti di una stessa liturgia, ma l’una è finalizzata all’altra e, lo ribadiamo, trattasi di due parti liturgiche che non hanno il medesimo valore. La Parola è un nutrimento per la dottrina ed una presenza spirituale, l’Eucarestia è un nutrimento di grazia ed una presenza sostanziale: quanto è dunque grande il tesoro dell’Eucarestia! Superiore a tutti i tesori mondani messi insieme! Tutto procede con ordine: dapprima il sacerdote espone le preghiere , le domande, i desideri del popolo nella Colletta, poi viene acclamata la voce dell’apostolo (Epistola), la voce del profeta (Graduale e Tratto), infine la voce del Maestro (Evangelo). L’Alleluia, rimasto anche nel novus ordo, ma anch’esso letto da laici anziché dal sacerdote, è il canto di lode a Dio per eccellenza. La Chiesa non lo fa risentire nel periodo di penitenza. Fuori dal Tempo che intercorre dalla Domenica di Settuagesima alla Domenica della Trinità, si dicono il Graduale e l’Alleluia con il suo verso salmodico. Da Settuagesima fino a Pasqua si dice il Graduale e il Tratto. Durante tutto il tempo pasquale si dicono due versetti alleluiatici. Nella Messa dei morti si dicono Graduale e Tratto. Segue, in entrambi i riti, lettura da parte del sacerdote dell’Evangelo, eventualmente seguita dall’Omelia.
Nelle Domeniche e nelle solennità, dopo l’Omelia (o direttamente dopo la lettura dell’Evangelo) segue la recitazione del Credo, in entrambi i riti. Nel novus ordo, sono stati rimossi la genuflessione al momento in cui si dice nel Credo “e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”, sostituendola con un semplice inchino di capo, e il segno di croce alla fine del Credo, che era finalizzato a riassumere il Credo del cattolico nei due principali misteri della Trinità e della Passione di Nostro Signore, è anch’esso scomparso.
(di Gaetano Masciullo)
(di Gaetano Masciullo)
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