SUPERBIA E UMILTA'
Il vizio della superbia è davvero la più brutta bestia di questo mondo, perché il superbo ha un comportamento di ribellione a Dio e di disprezzo verso il proprio simile. Tutti infatti lo condanniamo quando lo vediamo ben scolpito negli altri, mentre non osiamo scendere nel profondo del nostro cuore, né scrutare i nostri ragionamenti e comportamenti, quando si tratta di noi.
Cosa ci dice la la Sacra Scrittura
Scelgo il Salmo 72 che, mettendo a confronto, davanti a Dio, le due categorie di persone, i superbi e gli umili, incomincia così: Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro! Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi (72,13).
Con questi accenti prega il pio israelita che confida in Dio. Anche noi, con lui, constatiamo, che non c'è sofferenza per i cattivi, almeno così appare, il loro corpo è sano e pasciuto, si vantano di se stessi e si rivestono di violenza, guardano gli altri dall'alto in basso e nutrono pensieri malvagi, scherniscono e minacciano, e osano sfidare il Signore dicendo: Dio non può conoscere ciò che pensiamo e facciamo, l'Altissimo non lo può sapere; questi sono gli empi (cf Sal 72,412).
I timorati di Dio continuano a domandarsi: Invano, Signore, ho conservato puro il mio cuore, invano mi sono pentito dei miei peccati? Sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina. I miei pensieri vagano e non comprendo questa terribile differenza, tra buoni e cattivi. Ma quando entro nel santuario di Dio che è il mio cuore, e prego con fede, allora comprendo quale sarà la fine degli empi: lo spavento e la rovina li ghermirà, saranno distrutti e svaniranno. Mi agito nel mio petto con mille pensieri ma ora ho finito di tormentarmi poiché tu, Signore, mi hai preso per la mano destra. Ecco tu mi guiderai con il tuo consiglio e mi accoglierai nella tua gloria. Fuori di te, mio Dio, non bramo nulla sulla terra, tu sei la mia sorte per sempre (cf Sal 72).
Gesù sceglie per sé l'umiltà
L'eterno Figlio di Dio che tutto ha creato e tutto può fino alla perfezione, ha voluto sconfiggere il nostro orgoglio, la nostra superbia, facendosi uomo nel grembo di una donna, la Vergine di Nazaret.
Lui, che era Dio, ha scelto liberamente di non far prevalere la sua divinità. Non ha considerato la sua uguaglianza con Dio come una preda da difendere con tutti i mezzi e a tutti i costi, ma si è spogliato di se stesso, si è svuotato della sua potenza e della sua gloria. Lui che di diritto era Signore d'ogni cosa, si è fatto servo di tutti, si è fatto uomo come tutti noi, per condividere con noi tutte le debolezze della condizione umana, eccetto il peccato, fino a una morte ingiusta e ignominiosa, fino a morire ignudo, davanti a tutto il mondo, sulla croce.
Per questa sua volontaria umiliazione, il nostro Gesù fu sopraesaltato, risorgendo il terzo giorno, salendo alla destra di Dio Padre e prendendo il possesso del Regno Universale del cielo e della terra, il potere e il giudizio su tutti gli uomini, di ogni luogo e di tutti i tempi.
Come definire la superbia
La superbia è il vizio capitale che contamina maggiormente l'uomo, nel suo sapere e volere. Il superbo pretende, infatti, e ne è convinto, di essere di più di quanto gli sia concesso di essere come creatura. è peccato, appunto, perché in qualche modo, esplicitamente o no, il superbo non si sottomette a Dio, anzi vuol mettersi al di sopra del suo creatore, proprio come l'antico Serpente propose ad Adamo ed Eva: "Non morirete affatto. Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio" (Gn 3,45).
Già allora Dio, Padre di ogni misericordia, è venuto incontro alla debolezza umana dei nostri
Progenitori, promettendo un Salvatore.
Come definire l'umiltà
Se la superbia è la considerazione esagerata, eccessiva, o comunque, inopportuna di sé, delle proprie qualità e capacità, che si manifesta in atteggiamenti di ostentata superiorità e di altezzosa sicurezza, di sprezzante sufficienza e condiscendenza verso sé, l'umiltà è tutto all'opposto.
Il modo di pensare e di comportarsi consiste nel riconoscimento dei propri limiti e nel rifiuto di ogni forma di orgoglio e di superbia, di ogni aspirazione a predominare: questa è la virtù dell'umiltà.
Sull'esempio di Gesù Cristo, che ha scelto la croce come unica soluzione al male del mondo e attuazione del progetto di salvezza del Padre, la virtù dell'umiltà, parola che deriva dal latino "humus", che vuol dire terra, si guadagna giustamente il titolo di regina di tutte le virtù morali.
Infatti, è Dio stesso che si riveste di umiltà per amarci e arricchirci di sé, e si intrattiene con i più piccoli, i poveri in spirito, per aprire a loro il suo cuore introducendoli nei più alti e meravigliosi segreti della sua sapienza e scienza infinita.
I superbi di fronte a Dio
Ti fai uguale all'Altissimo Dio? Ecco, sarai precipitato nelle profondità dell'Abisso (cf Is 14,1415). Chi è come Dio? gridò l'Arcangelo Michele. E in quel momento il grande drago, Satana, il Serpente Antico, fu sconfitto e precipitato giù dal cielo (cf Ap 12,9ss). Sempre, nella storia, Dio ha spiegato la potenza del suo braccio e ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore (Lc 1,51).
Guardiamo a Gesù
Teniamo fisso lo sguardo su Gesù e contempliamolo in quel momento nel quale il suo cuore "esultò nello Spirito Santo dicendo: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te" (Lc 10,21).
Gesù canta questa lode non solo per sé ma anche per noi e con noi, egli, infatti, ci attira al suo cuore e ci fa partecipi della sua profonda conoscenza amorosa del Padre. Perché tutto questo lo vuole Dio nostro Padre. Per partecipare ai segreti del Padre dobbiamo invocare lo Spirito d'Amore e con il suo aiuto ci potremo spogliare dell'uomo vecchio, pieno di superbia e di orgoglio, per rivestirci dell'uomo nuovo che è Cristo.
I sapienti di questo mondo
Tutti ci rendiamo conto, per esperienza personale, che il superbo, colui che manifesta un concetto troppo alto di se stesso, è sempre scostante, è uno che non dialoga mai, che non accetta nessuna osservazione, uno che non sbaglia mai, un arrogante. Mi domando come possono vivere insieme marito e moglie quando uno dei due pretende sempre di avere ragione, quando si sente infallibile, quando per una sciocchezza qualsiasi assale con parole volgari demolendo il suo partner? In questo caso mi domando ancora, come possono conoscersi nel profondo, come confidarsi e sostenersi a vicenda, come gioire delle loro intimità, come amarsi? E ancora: come educare i figli?
La sapienza degli umili
Gesù ha voluto formare, con tutti i suoi discepoli, e quindi anche con noi oggi, una vera famiglia. Egli infatti ci ha fatto sapere; "Se uno mi apre, noi verremo a lui e ceneremo con lui" (Ap 3,20). Ci sarà dunque con Dio una bellissima intimità, ma sempre alla condizione che uno gli apra, e cioè che accetti nella sua vita la signoria del Figlio di Dio. Ma se il suo cuore è pieno di orgoglio e superbia e se vuole ergersi contro Dio, o ignorarlo o peggio combatterlo, allora come potrà sedersi a mensa con Gesù e riceverne le confidenze?
Le cose di Dio, i superbi e i sapienti di questo mondo, non le conosceranno mai, né mai le gusteranno, se non quando si umilieranno e incominceranno ad amare Dio con tutto il cuore.
AVARIZIA E GENEROSITA'
Allarga il tuo cuore verso Dio e verso coloro che ti stanno attorno e non chiuderlo nel tuo io. Non dire non ho denaro e se ne avessi tanto ne darei la metà ai poveri. Anche se possiedi poco hai sempre a tua disposizione due mani per lavorare e due piedi per camminare in favore di chi ha più bisogno.
Ai tempi dell'Apostolo Pietro, c'era in Giaffa di Palestina una donna chiamata Tabita, che significa Gazzella, la quale abbondava in opere buone. Un giorno si ammalò e morì. Allora mandarono a chiamare Pietro, al quale si fecero incontro tutte le vedove in pianto che mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava per loro. Pietro salì al piano superiore e rivolto alla salma disse: "Tabita, alzati". Essa aprì gli occhi, si mise a sedere e Pietro le diede la mano e la presentò viva ai credenti (At 9).
Come descrivere un animo generoso
Tutti siamo convinti che è generoso colui che si spende per gli altri, fosse anche solo in piccole cose e in gesti quasi insignificanti. Non dimenticare, dunque, che possiedi un volto, con occhi, gote e bocca. Se tu affermi di amare il tuo prossimo e non hai alcun mezzo per dimostrarlo, né denaro, né braccia, né salute, tu possiedi sempre gli strumenti più appropriati, i segni più visibili per testimoniare il comando del Signore Gesù: Ama Dio con tutto il cuore e il prossimo tuo come te stesso. In famiglia, prima di tutto. Non chiuderti nel tuo egoismo, un sorriso non costa nulla e, per salutare, ci vuole poco. E, soprattutto, sii veramente generoso nel perdonare con larghezza d'animo.
Basta impegnarsi a fare ciò nelle varie occasioni che capitano, e non solo fra amici e parenti.
Questa è vera generosità che rispecchia quella di Dio, il quale "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5,45). Tutti si accorgeranno dal tuo volto e dagli occhi stessi se lo fai per forza o per amore. Amare è proprio il contrario di possedere. Stai sicuro che il tuo modo di fare contagerà molti.
Generosità è dare senza misura
La misura del dare, cioè dell'essere generosi e di far felici gli altri, ci viene offerta da Gesù: "Date e vi sarà dato, una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo perché con la misura con cui misurate sarà misurato a voi in cambio" (Lc 6,38). Certamente ci vuole molta fede e tanto coraggio per intraprendere questa strada. Ma poiché è un comando di Gesù, ci sarà anche il suo aiuto.
Evidentemente non possiamo confondere la generosità con la prodigalità. Tutte e due sono il contrario dell'avarizia, ma non per questo la prodigalità si può chiamare virtù. Il prodigo eccede nello spendere fino al fallimento, come viene descritto nella famosa parabola di Gesù. E poi lo fa per sé.
Un esempio fulgido: ci viene dato da Gesù
La misura del dare, cioè dell’essere generosi e di far felici gli altri, ci viene offerta da Gesù: “Date e vi sarà dato, una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo perché con la misura con cui misurate sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,38). Certamente ci vuole molta fede e tanto coraggio per intraprendere questa strada. Ma poiché è un comando di Gesù, ci sarà anche il suo aiuto.
Evidentemente non possiamo confondere la generosità con la prodigalità. Tutte e due sono il contrario dell’avarizia, ma non per questo la prodigalità si può chiamare virtù. Il prodigo eccede nello spendere fino al fallimento, come viene descritto nella famosa parabola di Gesù. E poi lo fa per sé.
LUSSURIA E PUDORE
La volontà di Dio creatore
Dice la Bibbia: "Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn 1,2728).
E poi ancora: "L'uomo si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,24).
Infine, il Cantico dei Cantici proclama: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio... le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio" (8,67). Tanto è grande l'amore nel piano di Dio!
Il peccato di Davide
Un giorno Davide si invaghì di una donna di nome Betsabea, figlia di Eliam, moglie di Uria l'Ittita. La sua passione per averla tutta per sé arrivò fino al punto di far uccidere il marito della donna che in quel momento si trovava con le truppe del re in guerra contro gli Ammoniti.
Il profeta Natan si presentò davanti a Davide e con una parabola gli fece toccare con mano la gravità del suo peccato di sfrenata lussuria che lo ha portato all'adulterio e all'omicidio. Il perdono di Dio non mancò di essere accompagnato da un durissimo castigo: la morte del bimbo che ebbe dalla Betsabea e una terribile pestilenza che colpì il suo popolo.
In quella occasione Davide riconobbe il suo peccato e si umiliò davanti a Dio, dicendo: "Ho peccato contro il Signore" (Sam 1112). E dal suo cuore pentito sgorgò il Salmo 50, che noi cristiani recitiamo sovente con grande frutto.
Che cosa è la lussuria
Per fortuna il nostro Dio che è il Dio della Nuova Alleanza, sigillata dal sangue che Gesù Cristo ha versato sulla Croce, ci tratta con il suo infinito amore misericordioso. Egli è un Padre pronto al perdono quando ci pentiamo profondamente delle nostre colpe.
Non dimentichiamoci però che Dio ha scritto nella coscienza di ognuno di noi la legge naturale dei dieci comandamenti, e quando uno la infrange si allontana da lui, perde la sua amicizia e trova il suo castigo dentro di sé, un rimorso che non lo abbandona.
Il vizio capitale della lussuria infrange il sesto e il nono comandamento, e consiste nel disordinato appetito del piacere venereo. Si chiama capitale perché sta a capo di altri vizi, ed esplode nell'egoistico amore di se stessi fino a negare Dio e la sua legge, e nell'attaccamento esagerato alle cose erotiche di questa vita, come se tutto l'esistere consistesse nei piaceri del sesso, e che la nostra vita si concludesse in modo definitivo qui in terra. L'intelligenza e la volontà vengono svilite, ottenebrate e fortemente turbate.
La lussuria porta l'individuo in un terreno scivoloso nel quale è difficile fermarsi e dal quale è quasi impossibile tornare indietro, se non per una forte volontà e per la grazia di Dio. Giornali porno, spettacoli televisivi serali e notturni, e poi la mente e gli occhi che non sanno staccarsi da ciò che è proibito, e la masturbazione che ne segue e il desiderio forte di altre donne o uomini, e quindi i primi tradimenti e l'irresistibile trascuratezza del proprio partner.
Sappiamo che il vizio capitale della lussuria può avere delle conseguenze che investono tutta la persona, psiche e corpo, come, per esempio, l'Aids, che in questi ultimi anni sta colpendo milioni di persone. Contro questi terribili mali non sempre la medicina può offrire rimedi adeguati. Ci auguriamo che la ricerca scientifica prosegua e che arrivi a debellare queste brutte malattie, soprattutto sui figli dei colpiti, che, innocenti, ne portano le dolorose conseguenze.
Sarà necessario imparare a gestire, con intelligenza e amore, con buon senso e forte volontà, la propria sessualità, per non cadere nelle maglie della lussuria. Bisogna far valere il gran tesoro della nostra libertà, sempre sovrana in tutto, con l'ausilio della legge di Dio iscritta nel nostro cuore, e sorretti dalla grazia che Dio non mancherà mai di concedere ai suoi figli che lo invocano.
La virtù opposta alla lussuria
La virtù opposta al vizio capitale della lussuria è la castità, la quale esige un'assoluta onestà e rettitudine della persona, e cioè l'oculato dominio di se stessi e la scelta giudiziosa dei comportamenti nel dono di sé, nell'amore e nelle amicizie.
Casto sarà, dunque, colui che non ha altri rapporti sessuali se non quelli leciti sanciti nel sacramento del matrimonio. Casta è la persona libera che si astiene da rapporti sessuali.
Coloro che hanno sbagliato hanno sempre la gioiosa possibilità di convertirsi perché Dio è misericordia infinita. Leonardo Mondadori ha fatto questa bella esperienza:
"La vita per alcuni è cupa, per altri grigia. Per me è radiosa. Ci sono molti elementi che concorrono alla luminosità della mia esistenza attuale: innanzitutto, un mattino di quattro anni fa ho scoperto, in un colpo solo, di avere un tumore alla tiroide e un carcinoma al pancreas e al fegato, per cui da allora devo sottopormi ogni giorno alla terapia dell'interferone. Inoltre, svolgo il mio lavoro fra molti contrasti e anche, com'è naturale, qualche disillusione. Infine, anche per colpe mie, sono lontano da colei che, malgrado un divorzio, nella prospettiva cristiana resta mia moglie e che mi ha dato una figlia, mentre gli altri due figli sono venuti dal mio secondo matrimonio. Eppure, godo di una vita cristiana vibrante. Ed è questa visione di fede che, malgrado tutto, rende la mia esistenza radiosa."
La purezza del cuore esige il pudore
Con Il Battesimo noi siamo entrati nella sfera dell'Amore, cioè in Dio stesso, per cui il nostro impegno non può essere altro che quello di camminare secondo lo Spirito Santo che ci ha fatto il dono di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come noi stessi. Si tratta di vivere all'ombra della sesta beatitudine che recita così: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). E chi ha il cuore puro, cioè retta intenzione, può vedere nelle stesse creature umane la bellezza di Dio e accoglierle e amarle come le accoglie e le ama Dio. Essere "puri di cuore" è tutto questo.
San Paolo al suo fedele discepolo Timoteo, parlando delle donne cristiane, scrive così: "Le donne, vestite decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza, come conviene a donne che onorano Dio" (1 Tm 2,9).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che la purezza del cuore richiede il pudore, e cioè pazienza, modestia, discrezione, custodia dell'intimità della persona, per opporre, fin dalla prima giovinezza, una forte barriera contro il vizio capitale della lussuria. Il tutto corroborato dalla fede.
è stato scritto che Margherita Occhiena, la santa mamma di Don Bosco, alla base e al vertice della sua pedagogia istintiva aveva posto il senso religioso della vita. Diceva ai suoi figli: "Ricordatevi che Dio vi vede e vede anche i vostri pensieri". Nelle sere d'estate additava loro le stelle; "Dio le ha messe lassù". E ancora: "Ringraziamo il Signore che ci ha dato il pane quotidiano". Per lei e per i suoi figli, Dio era un buon padre e non un gendarme.
Come definire il pudore
Il pudore viene descritto come un forte senso di ritegno e riserbo e di autocontrollo naturale per tutto ciò che concerne il sesso e la vita, e in particolare i problemi sessuali. è un modo di sentire, di pensare e di comportarsi, caratterizzato dal rispetto e dalla difesa della riservatezza e dell'intimità della vita sessuale e delle sue azioni e manifestazioni.
è cosa bella e buona il casto amore fra coniugi, come pure la casta amicizia. Si parla dunque di vita e di amore casto, di pensieri e di affetti casti che esprimono innocenza e purezza d'animo; e così pure di occhi e di orecchie caste, non abituate a vedere cose e udire discorsi che offendono il pudore.
Questo dominio di sé è opera di lungo respiro, che si costruisce giorno dopo giorno, ma è anche dono dello Spirito Santo che aiuta il battezzato a vivere secondo la dimensione di Gesù Cristo, così come ci insegna il Vangelo.
Perché tutto questo sia luce luminosa che brilla sul volto delle creature umane, bisogna incominciare a seminare nell'ambito familiare, perché i figli crescano ben educati e difesi dalle insidie che minacciano il modo giovanile. Parolacce, volgarità, giornali porno, devono essere banditi. Le mamme si rendano conto di quello che i figli imparano a scuola, nel gioco, nelle compagnie, e si impegnino a correggerli con bontà e sapienza. Con serena delicatezza e ben lontane da un pudore esagerato, le mamme stesse sappiano istruire, a seconda dell'età, i loro figli, circa lo svolgersi della loro sessualità, affinché non succeda che essi imparino dai compagni valori così importanti per la vita, come se fossero cose brutte da tenere nel massimo segreto.
IRA E MITEZZA
Il vizio capitale dell'ira
Un impeto dell'animo che si sfoga fino alla vendetta, questa è l'ira. Uno vi cade perché vuole respingere un'ingiuria superandola di gran lunga non solo con altre ingiurie verbali ma anche con azioni concrete.
Si vuole colpire l'avversario, come sfogo dei più bassi sentimenti, mentre la mente perde lucidità e la volontà viene privata della sicura libertà di azione. In questo momento uno scoppia e l'ira si impossessa di lui. Allora non c'è ragione che tenga e neppure servono intermediari.
Si può colpire a morte, o venire duramente alle mani, non solo in un momento in cui uno perde la testa, ma anche a sangue freddo, in perfetta lucidità.
L'ira se non viene domata può sempre esplodere anche contro i nostri principi morali. Quando però nel nostro cuore si annida l'odio, che è un profondo sentimento, deliberatamente voluto, di grave avversione e ostilità verso una o più persone, sì da essere indotti a fare o anche solo a desiderare per loro del male, allora l'ira ha il suo campo aperto.
Due esempi biblici
Un giorno mentre Davide tornava dall'uccisione di Golia, uscirono le donne da tutte le città d'Israele a cantare e a danzare incontro al re Saul. Alternandosi in doppio coro intonarono: «Saul ha ucciso i suoi mille, David i suoi diecimila». Saul ne fu profondamente sconvolto fino al punto che uno spirito cattivo si impossessò di lui e si mise a delirare. E mentre Davide suonava la cetra per intrattenere il re, questi impugnò la lancia e gliela scagliò contro pensando di inchiodarlo al muro. Fortunatamente Davide gli sfuggì indenne (cf 1 Sam 18,8ss).
Il re Erode ai magi che gli chiedevano: «Dov'è il re dei Giudei che è nato?». Disse: «Andate a Betlemme e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». Attese invano. Accortosi dunque che i re Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio (cf Mt 2,1ss).
La parola di Gesù
Ogni cristiano ha preso degli impegni precisi da quando è stato battezzato. L'odio e la collera sono banditi dal nostro comportamento, non perché la nostra natura sia stata cambiata, ma perché la Parola di Dio è potenza in noi. Una potenza che ci aiuta fortemente a vincere ogni passione cattiva, e quindi l'ira e ogni sorta di collera, non per una sorta di miracolo ma perché la Parola di Dio che attingiamo nella Bibbia è per noi come un balsamo che con l'esercizio ci guarisce.
"Non uccidere" ci dice Gesù, e subito dopo aggiunge: "Non andare in collera contro il tuo fratello" (Mt 5,21ss). Un buon esame di coscienza rimprovera un po' tutti, specialmente quelli che vivono nell'ambito familiare. Le parole volano per un nonnulla, per una inezia, e feriscono fortemente. Il nostro io, il nostro modo di vedere le cose, vuole avere sempre ragione. E ancora. Gesù è esplicito. Senza mezzi termini comanda: "Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano" (Mt 5,43). E poi; "Non condannate e Dio non vi condannerà" (Mt 7,1).
Purtroppo i nostri discorsi sono infarciti di giudizi, di condanne. Soltanto noi siamo i più bravi, quelli che hanno ragione, invece gli altri sbagliano sempre, sono cattivi, ingiusti. Questo comportamento indica chiaramente quanto noi siamo collerici, iracondi: il volto si altera e uno diventa verde dalla bile. Noi preferiamo guardare la pagliuzza che sta nell'occhio del fratello e la vogliamo togliere, piuttosto che vedere la trave che offusca la nostra vista. Effettivamente, ci insegna San Tommaso, l'ira è la passione che maggiormente impedisce l'uso della ragione.
Poi quando è passato il momento di crisi siamo pronti a pentirci di quanto abbiamo detto e fatto, riconoscendo il turbamento e lo sconvolgimento del cuore e della mente, rimanendone profondamente pentiti.
Ogni creatura umana possiede, nell'arco della vita, mille tesori per mantenere i quali uno è sempre pronto a lottare tenacemente: la vita, il proprio io, i genitori, i figli, gli amici, le proprie idee, quanto possiede, poco o molto che sia, il lavoro, il tempo libero, ecc. ecc. Nella vita familiare il bene più importante penso che sia il rispetto reciproco, il riconoscimento dei valori di ciascun componente e il perdono dato generosamente, in modo che vi regni la pace e l'armonia.
A questi beni tutti ci teniamo e li difendiamo con energia fino al punto di adirarci terribilmente, con conseguenze inaspettate. Gesù mette in guardia i cristiani così: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi fanno del male... e se qualcuno ti prende ciò che ti appartiene, tu lasciaglielo" (Lc 6,27.31). Dunque il cristiano deve rivestirsi di amore, di misericordia e bandire dalla sua vita ogni irascibilità e odio dalle conclusioni nefaste, sempre pronto al perdono. Tutte cose che succedono sotto i nostri occhi ogni giorno, sia a livello familiare come a quello internazionale. Purtroppo facciamo molta fatica a comprendere che praticamente soltanto la pace e l'amore liberano l'uomo e le stesse nazioni.
La "verità" è questa: Dio è amore, lo afferma a chiare lettere San Giovanni. Proprio perché è amore, Dio ha tanto amato gli uomini da dare a loro il suo Figlio perché si incarnasse. E il Figlio ha tanto amato gli uomini da offrire se stesso sulla croce come vittima di espiazione per i nostri peccati (cf 1 Gv 4,710). E ciò che è molto importante per noi cristiani è questo: non solo Gesù ci ha comandato di amare ma ci ha anche donato, per mezzo del suo Spirito, l'amore stesso, per cui anche noi possiamo liberamente amare e perdonare sempre fino alla morte come hanno fatto molti cristiani e cristiane.
Amore, dunque, e misericordia contro ogni odio e ira, stanno alla base della "mitezza" come ci viene insegnata da Gesù e praticata dallo stesso nostro Salvatore.
L'invito accorato che Gesù rivolge a tutti i suoi amici è questo: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,2830).
Egli vuole ristorarci perché conosce quali affanni riempiono il nostro spirito. Per essere consolati è necessario non solo rivolgerci a Lui, pregarlo con fede, ma di più ancora, andare a Lui, rifugiarci in Lui per poterci comportare come Lui.
Non ci sembri duro, fratelli e sorelle, prendere su di noi il suo giogo: pensiamo alla sua croce. Quando vogliamo noi portare il giogo della vita e tutto ciò che essa ci riserva, allora non ce la faremo mai. Ci conviene sempre prendere il giogo di Gesù, cioè fare la sua volontà, lui da una parte e noi dall'altra, allora ci accorgeremo che il suo giogo è dolce e il suo carico leggero. La mitezza e l'umiltà sono la chiave maestra per trovare un po' di ristoro e di gioia in questa vita.
La mitezza è la via che ci porta al Padre
Facciamo scendere nel profondo del nostro cuore questo colloquio di Gesù con il Padre: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,2527).
Quando saremo umili e miti di cuore saremo anche "i piccoli" ai quali il Padre vuole rivelare le cose più segrete e nascoste che riguardano proprio Lui e i suoi progetti d'amore. Anche se sapienti e intelligenti delle cose di questa terra, facciamoci miti, umili, piccoli quali veri figli, perché il Padre ci accolga e con il suo Santo Spirito ci riempia della sapienza divina. A te, Gesù, chiediamo di farci conoscere il Padre tuo.
La pace, un bene prezioso e assolutamente necessario, ma anche un'impresa difficile, angosciante e piena di incognite, che dura da millenni, e che tu, Gesù, e la tua Chiesa vi siete fortemente impegnati, e lo siamo tutti, a portarla, fino a non farcela quasi più, a questi uomini così cocciuti e irretiti dal proprio egoismo.
Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia: è loro il Regno dei cieli.
Come Agnello senza macchia sei stato condotto al macello, per scontare i nostri peccati, o dolcissimo Gesù. Non sarà una novità se anche noi saremo perseguitati come cristiani, o se avremo tribolazioni di vario genere lungo l'arco della vita: saranno i momenti in cui potremo dirci beati e rallegrarci con cuore semplice e puro.
GOLA E SOBRIETA'
Come si definisce il vizio capitale della gola
San Tommaso ci dà la giusta definizione del vizio capitale della gola. Si tratta, scrive questo santo, della brama abituale e disordinata di cibi e bevande raffinati e ricercati.
è disordine il desiderio intenso, e cioè la bramosia, la smania di arrivare al più presto possibile all'incontro con il cibo, e anche il mangiare con avidità, da ingordi, e ancora il mangiare più di quanto è necessario.
Provare soddisfazione nei cibi, anzi ricercarne il piacevole diletto, fa parte dell'uso del senso del gusto, che ci invita a nutrirci, come è giusto fare, e suscita gioia e allegria soprattutto in famiglia e nelle feste. Ciò è cosa buona. Gesù stesso, parlando del suo Regno, ce lo presenta come un gran banchetto, pieno di ogni bene, nel quale lui stesso passerà a servirci.
Il disordine si ha quando si cerca il piacere per il piacere. Per il cristiano è sempre un errore mettere Dio al secondo posto, o addirittura scartarlo, come avvenne ai giorni di Noè. Allora la gente pensava solo a mangiare e a bere, a prendere moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorse di nulla finché venne il diluvio e li inghiottì tutti (Mt 24,3739).
Dio vuole salvarci e pertanto vuole che viviamo santamente, seguendo la legge dell'amore, non gli piacciono le opere del mondo. Fra queste, scrive San Paolo, ci sono quelle che riguardano la gola e cioè l'ubriachezza, le orge e cose del genere (Gal 5). Dice un proverbio: ne uccide più la gola che la spada. Il vizio del bere manda in malora molte famiglie. Anche il fumo è una brutta bestia per la salute dell'uomo, come pure la droga che distrugge il cervello di molti giovani riducendoli a larve di se stessi. E il pianto delle madri non finisce mai.
La parabola del ricco insaziabile
Quelli che fanno del proprio ventre il centro dei loro desideri, non si danno mai pace: vanno in cerca di amici con i quali poter gozzovigliare, sono a caccia dei ristoranti più rinomati, esaltano i cuochi che offrono ricette le più stravaganti, le loro discussioni su cibi e bevande non hanno mai fine. L'ingordigia è la loro pelle, l'avidità il loro respiro.
Scrittori classici romani narrano di una grande invenzione per i cosiddetti buon gustai di allora: per darsi a banchettare senza sosta, unico scopo della loro vita, hanno appunto inventato il "vomitorium", cioè un locale apposito, annesso al ristorante, dove poter vomitare quanto avevano ingerito per incominciare da capo a gustare i cibi più prelibati.
Sembra quasi di sentire dalla bocca di Gesù la famosa parabola del ricco epulone: C'era una volta un uomo molto ricco, vestito sempre di gran lusso, il quale si dava ogni giorno a lauti banchetti, con parenti e amici. Il mangiare lautamente era diventato lo scopo della sua vita. Ci si domanda come abbia fatto a non accorgersi che al limitare della sua porta un certo Lazzaro, coperto di piaghe, stava lì in attesa di qualche boccone che cadeva dalla tavola imbandita. Nessuno lo raccattava per lui. Soltanto i cagnolini erano diventati suoi amici, gli leccavano le piaghe, gli spartivano i loro bocconcini e si lasciavano accarezzare da lui. Conosciamo l'orribile sorte riservata al ricco senza cuore e quella bellissima toccata a Lazzaro (cf Lc 16,1931).
In due cose sbagliatissime si tuffò questo ricco intento solo a godersi la vita: soddisfare la gola quale unico scopo della vita, e considerare i poveri affamati e piagati come persone da disprezzare.
Consideriamo bene il rimprovero di San Paolo
Molti cristiani si comportano da nemici della croce di Cristo. Non sanno o non vogliono sapere che il nostro creatore fa belle e buone tutte le cose, il suo sole splende sui buoni e sui cattivi, e la pioggia irriga i campi dei giusti e degli ingiusti. Provvede ai prati e agli alberi, agli animali che vivono nei mari, nei fiumi, sulla terra e che volano nei cieli. Dio stesso ha creato l'uomo perché governi tutto il creato e ricavi da esso cibo e bevanda e quant'altro è necessario per la vita.
L'uomo sbaglia quando vuole escludere Dio dalla sua vita, e pensa che la sua felicità assoluta consista nel soddisfare in modo esclusivo ed egoistico tutti i suoi sensi.
Mangerai il pane con il sudore della fronte
Colui che segue Gesù Cristo è capace di vivere sobriamente perché la sua casa è costruita sulla roccia: egli fa conto sul frutto del suo lavoro, ringrazia sempre la Provvidenza divina e sa pensare anche ai più bisognosi.
Il mangiare e il bere sono due momenti assolutamente necessari per la vita dell'uomo in questa terra. E la terra, per la volontà di Dio e per il lavoro dell'uomo, è pronta a dare il nutrimento ad ogni creatura vivente: agli uomini, ai pesci dei mari e dei fiumi, agli uccelli dell'aria, al bestiame dei monti e delle praterie, agli alberi dei boschi e dei frutteti e a tutte le verdure degli orti e dei campi.
L'ordine che Dio ha dato all'uomo è questo: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,19). E a commento di quest'ordine, San Paolo, per quelli che non hanno voglia di lavorare, scrive: "Chi non vuol lavorare neppure mangi" (2 Ts 3,10).
Purtroppo non sempre tutti hanno un lavoro tale da mantenere se stessi e la loro famiglia. Questo è un grave problema che i governanti delle nazioni devono affrontare e risolvere nell'ambito della propria nazione. E le nazioni ricche devono prendersi carico di quelle povere, dove tanti bambini e donne muoiono di fame.
Come Gesù risolve il problema
Beato chi confida nel Signore.
Beati quelli che custodiscono la parola di Dio in cuore buono e sincero.
Un giorno, il Signore Gesù si trovava a predicare in aperta campagna, lontano da città e villaggi, attorniato da migliaia di persone affamate della sua parola e con le scorte di cibo già tutte esaurite. Allora il Maestro disse ai suoi discepoli: "Provvedete voi a sfamare tutta questa gente", ma poi ci pensò lui stesso e moltiplicò pane e companatico per cinquemila uomini (Lc 9,10.17).
Il Signore vuole che l'uomo non pensi solo a se stesso ma anche al suo prossimo che si trova nel bisogno.
Nel "Padre nostro", Gesù ci insegna a pregare così: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" (Mt 6,11). Ci rivolgiamo ad un Padre che non è mio ma nostro, di tutti, e gli chiediamo non un pane mio, ma nostro, perché il cibo appartiene a tutte le creature. La terra dà il suo frutto abbondante per sostentare tutte le creature. Non solo. Chiedendo il nostro pane quotidiano, il Padre ci impegna a preoccuparci del prossimo bisognoso, vicino o lontano, secondo le nostre proprie possibilità.
Gli insegnamenti del Vangelo
Il Vangelo è ricco di ammaestramenti che riguardano il tema del nutrimento. "Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete: la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt 6,25ss).
"Non state con l'animo in ansia per quello che mangerete e berrete. Di queste cose si preoccupa la gente del mondo. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta" (cf Lc 12,39ss).
Lavorare per il Regno di Dio (venga il tuo Regno, recitiamo nel Padre nostro), vuol dire testimoniare l'amore di Dio a coloro che lo cercano. Vuol dire ascoltare la voce di chi grida: dateci pane, dateci acqua. Ascoltiamo Gesù che ci dirà: Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi fin dalle origini del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete, e mi avete dato da bere (Mt 25,35).
Che significa, dunque, vivere sobriamente?
La sobrietà nel mangiare e nel bere aiuta assai lo sviluppo armonico del corpo e dello spirito e fa pensare seriamente che non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Così ha risposto Gesù al diavolo che lo tentava: "Di' che queste pietre diventino pane" (Mt 4,14). Quanta gente fa sacrifici enormi per mantenere la linea, per fare sport, per obbedire ai medici. Per la salute fisica si fa questo e altro ancora. Don Bosco consigliava ai suoi salesiani di alzarsi da tavola con ancora un po' di appetito, per essere pronti al proprio lavoro e per avere la mente serena e libera.
L'aggettivo "sobrio" significa propriamente "non ebbro". Affermiamo che una persona è sobria quando è moderata nel mangiare e nel bere, quando sa limitarsi al necessario e a quanto è sufficiente per vivere e per far fronte ai propri doveri di lavoro e di famiglia, senza indulgere a ogni eccesso di qualità e di quantità.
INVIDIA E CONCORDIA
La storia di Giuseppe l'Ebreo
Il Patriarca Giacobbe amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché lo aveva avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. Per questo i suoi fratelli, lo odiavano e il loro odio si accese ancor più quando Giuseppe raccontò loro e ai suoi genitori i suoi sogni. "Noi stavamo legando i covoni in mezzo alla campagna, quand'ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio". E ancora: "Ho fatto un sogno: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me".
Un giorno Giacobbe disse a Giuseppe: "Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Va' a vedere come stanno". Il ragazzo andò. Ma quando essi lo videro complottarono di farlo morire: "Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: Una bestia feroce l'ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!". Quando Giuseppe fu arrivato, i suoi fratelli lo spogliarono e lo gettarono in una cisterna vuota, senz'acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Passavano in quel momento alcuni mercanti ed essi tirarono su Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d'argento lo vendettero agli Ismaeliti.
Così Giuseppe fu condotto in Egitto. Poi presero la tunica del fratello, scannarono un capro e l'intinsero nel sangue. Quindi la fecero pervenire al padre con queste parole: "L'abbiamo trovata; riscontra se è o no la tunica di tuo figlio". E il padre suo lo pianse (cf Genesi 37).
In che consiste il vizio capitale dell'invidia
L'invidia consiste in un sentimento di profondo rammarico che investe una persona nel vedere, o anche solo nel sapere, che un altro è più fortunato, più bravo e più capace di lui: perché il suo successo negli affari è grande, perché è felice, perché la sua carriera è brillante, perché ogni cosa gli va a gonfie vele, anche la salute e la famiglia.
Ciò può investire il mio cuore e la mia mente per qualche momento e questo non ci deve impressionare, ma quando il rammarico si impadronisce di tutto me stesso, tanto da diventare un disappunto astioso e pieno di bile che può sfociare in qualche azione o comportamento non corretto, allora diventa vizio capitale, con strascico di gelosie, rivalità, dispetti e livori. Tutta la persona viene contaminata e uno rischia anche di rovinarsi la salute.
Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro fortuna, è disdicevole soltanto quando il successo altrui lo consideriamo un male per noi, quando appunto consideriamo il bene degli altri quale diminuzione della nostra gloria e della nostra superiorità. Allora il cuore si rattrista, sente che ci viene rubata la stima che ci è dovuta, le nostre parole e i gesti diventano vivaci, senza ritegno, e tutto ci crea una malinconia infinita.
Il nostro io, il nostro orgoglio, sono feriti mortalmente. Il mio cuore diventa una fontana che butta in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e perversi.
Che cosa ci dice la Bibbia
"Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo, l'invidia è la carie delle ossa" (Pr 14,30).
"Dio ha creato l'uomo per l'immortalità, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo" (Sap 2,2324).
"Pilato sapeva che i sommi sacerdoti gli avevano consegnato Gesù per invidia" (Mc 15,10).
è chiaro che i mali dello spirito vengono perché non ascoltiamo il nostro Gesù. Dice infatti la Bibbia: "che se uno non segue la sana parola, costui è accecato dall'orgoglio, è preso dalla febbre di cavilli, e da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi" (1 Tm 6,4).
Come si camuffa l'invidia
Non è cosa rara che l'invidia si presenti come zelo per le cose di Dio. Si tratta di un falso zelo e ciò ci deve far riflettere. Infatti quelli stessi che ardono d'invidia per il bene che altri compiono, pensano e si convincono di agire soltanto loro per la gloria di Dio. Questo succedeva anche nei primi anni della Chiesa e non solo allora. Sappiamo che non sono esenti le comunità religiose e i movimenti. Ecco alcuni esempi.
Molti miracoli e prodigi avvenivano tra il popolo per opera degli apostoli, e andava crescendo il numero di coloro che credevano nel Signore, fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze quando passava Pietro, perché anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro e venisse guarito. Allora il sommo sacerdote e i suoi aderenti, pieni di gelosia e di invidia misero le mani sugli apostoli e li gettarono in prigione (cf At 5,12ss).
Un giorno ad Antiochia di Pisidia, dopo il grande discorso che Paolo tenne nella Sinagoga, molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la Parola di Dio. Quando i Giudei videro quella moltitudine furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo. Ma l'apostolo vista la loro ostinazione disse: "A questo punto ci rivolgiamo ai pagani. Fu allora che i Giudei sobillarono le donne pie e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba" (cf At 13,12ss).
Può, dunque, succedere che l'ardore di zelo per il Signore diventi, in pratica, vera gelosia, una sporca invidia che sfocia in contese che minacciano la vita di una comunità ecclesiale.
Dice San Giacomo: "Dove c'è invidia e ambizione egoistica, là c'è disordine e ogni azione cattiva" (Gc 3,16). E San Paolo scrivendo ai Corinti afferma: "Quando c'è tra voi invidia e discordia, non appartenete forse al mondo? Quando uno dice: Io sono di Paolo, e l'altro: Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini?" (1 Cor 3,3ss). Si devono fuggire come la peste: contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, litigi, gelosie, insubordinazioni, al contrario dobbiamo rivestirci del Signore nostro Gesù Cristo.
In cosa consiste la virtù della concordia
L'invidia divide, la concordia unisce. Infatti, la concordia non è altro che la conformità e l'identità assoluta nel pensare e nel sentire, nel giudicare e nell'agire.
Unità, dunque, d'animo e di cuore nell'affrontare in piena libertà una missione che ci è stata affidata, o che ci siamo presi noi stessi, con l'aiuto di Dio, in compagnia con altri, e che richiede lealtà, forza e coraggio. L'importanza dello stare insieme, l'uno con l'altro, e non solo fisicamente, ma con chiari intenti per portare avanti una missione, nell'aiuto reciproco, nella stima vicendevole, nell'amore cuore a cuore, nel curare anche le piccole cose. Qui sta la concordia, nemica assoluta dell'invidia e di tutte le sue figlie.
San Paolo arriva a dire: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo" (Fil 2,511). In tutto ciò c'è un "perché?" al quale ogni cristiano deve rispondere non con le parole ma con la vita.
Il Padre ha dato al mondo il suo Figlio unigenito, "perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna".
Gesù, il Figlio di Dio, ha voluto essere innalzato sulla croce, "perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Gv 3,1516). Gesù non solo sapeva che bisognava seguire quella strada, ma liberamente l'affrontò con coraggio.
Questi sono i sentimenti, gli intenti, che ogni cristiano deve avere, fino alla croce, per superare tutte le avversità, i contrasti, le gelosie, le superbie, che inevitabilmente, a motivo dell'orgoglio umano, sorgono in ogni comunità e gruppo al servizio di Dio e del prossimo.
L'impegno di proclamare Gesù Cristo, la voglia di conoscerlo profondamente, sperimentando la sua amorosa presenza, la certezza d'essere suoi testimoni, in mezzo ad un mondo che gli è nemico, la volontà sincera di rinnegare noi stessi e d'amare senza riserve, tutto ciò esige categoricamente un cuore solo e un'anima sola: "Erano assidui e concordi nella preghiera" (At 1,14).
Erano fedeli e assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Una vera, grande ed esaltante unanimità nel lodare ad una sola voce (cf At 2,42ss).
è lo stesso San Paolo che chiede ai primi cristiani di Roma di pensare e agire con un cuore solo e una sola voce per annunciare il Vangelo, concordi nel servizio fraterno in seno alla Chiesa, rivestiti del coraggio e dei sentimenti che furono in Gesù Cristo (Fil 2,6).
L'unità e la concordia e l'amore sono la terra santa e fertile nella quale il Padre comune ha piantato la Chiesa, corpo del suo Figlio, sono la pietra angolare che è il Cristo stesso, sulla quale la Chiesa vive e dona vita, si muove e si riposa.
Alla concordia si deve affiancare la stima reciproca
La concordia, come virtù contraria all'invidia, acquista un grande pregio e si fa imbattibile quando le persone che compongono la comunità si rivestono, vicendevolmente, di stima. Per stima s'intende il giudizio favorevole, l'opinione lodevole, la considerazione positiva che uno ha di una persona, sia delle qualità morali che delle capacità per assolvere un impegno di una certa importanza.
Praticamente stimare vuol dire dar valore, onorare, amare, nel modo che dice San Paolo quando scrive ai Romani: "La carità non abbia finzioni, fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene, amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,910).
è la vetta dell'amore questo gareggiare nello stimarci a vicenda, poiché uno entra davvero nella stessa sfera dell'amore di Dio.
San Paolo insiste su questo comando scrivendo ai Filippesi: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria. Ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso" (Fil 2,3).
Il cristiano deve ricordarsi che la stima è dovuta ad ogni uomo in quanto tale, e molto di più se consideriamo che è stato creato ad immagine di Dio e redento dallo stesso Figlio di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo, che è morto e risorto per farci creature nuove. In ogni assemblea ecclesiale, in ogni gruppo e aggregazione di credenti, deve spiccare questa realtà: ognuno è immagine di Dio. Ogni creatura umana è un soggetto d'apprezzamento, stima, considerazione, fama. Tutti valgono, tutti sono creature pregiate davanti a Dio, perché Egli tutti vuole salvare.
Con tutto questo sappiamo che non tutti sono fatti per un dato incarico di una certa responsabilità nelle varie comunità. In questi casi ci vuole preghiera, buon senso, discernimento, umiltà, e chi presiede non si consideri di essere sempre lui l'unico capace.
La concordia ci aiuta a vivere
Due pensieri devono dominare la nostra vita di comunità. Primo: combattere con tutte le forze le invidie, le gelosie, le maldicenze, i sotterfugi. Secondo: incidere a fuoco nel nostro cuore le parole di San Paolo scritte a Timoteo: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4). Noi siamo Chiesa, Corpo di Cristo. Non siamo isole, viviamo in comunità, noi chiamati da Dio e da Dio inviati a testimoniare Gesù Cristo, quale unico Salvatore del mondo, come singoli e come comunità. San Paolo loda espressamente lo zelo missionario che cerca di attirare gli altri con il proprio comportamento: "è bello avere un interesse vivo per il bene, sempre, figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi" (Gal 4,18).
ACCIDIA E FEDELTA'
Il vizio capitale dell'accidia
L'accidia è il vizio capitale che attacca in modo subdolo la vita del cristiano. Il credente, infatti, poco alla volta, incomincia ad infastidirsi della sua fede, lascia la preghiera, va raramente a Messa, non legge mai la Bibbia, non s'interessa del suo prossimo, pensa solo a se stesso e così Dio rischia di essere messo da parte.
La pigrizia spirituale, l'indolenza, la svogliatezza si sono alleate insieme sì da impadronirsi sia dell'intelligenza che della volontà.
Costoro si comportano come quelle persone che per mantenere la linea e apparire quali manichini perfetti, alla moda, non vogliono più mangiare. Il cibo dà loro fastidio. E così, come esiste l'inappetenza fisica esiste anche quella spirituale che è appunto l'accidia.
Purtroppo ci sono tanti cristiani all'acqua di rosae. Non sono né carne né pesce, eppure si proclamano cristiani. Per costoro la Bibbia riserva una frase che ci deve far riflettere: "Conosco le tue opere, tu non sei né freddo né caldo. Ma poiché tu sei tiepido sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,1516). è proprio il mitissimo nostro Salvatore Gesù che ci apostrofa con queste parole. Tutti, purtroppo, chi più chi meno, veniamo attirati dalla pigrizia, ci adagiamo comodamente, con mille scuse, sull'inerzia spirituale e così trascuriamo gli insegnamenti di Gesù, accontentandoci del dolce far niente spirituale.
L'accidia è una parola che viene dal greco e vuol dire negligenza, indifferenza. Nella Chiesa cattolica il vizio capitale dell'accidia consiste nella negligenza dell'esercizio delle virtù cristiane e in generale, nelle attività dello spirito che dovrebbero tendere alla santificazione dell'anima. Altre sfaccettature dell'accidia sono: indolenza, pigrizia, svogliatezza, inerzia, ignavia. San Tommaso ci dice che si tratta di tedio e persino di tristezza di un bene spirituale. Purtroppo a motivo di tristezza, tedio, avvilimento, alcuni fanno tante cose sbagliate, che poi ci fanno piangere per tutta la vita, come capitò all'apostolo Pietro quando, in quella notte, tutto scoraggiato, vide il suo Maestro catturato, condannato, sconfitto, si comportò da vigliacco e lo rinnegò.
Davvero l'accidia è capace di addormentarci, di spingerci a non renderci conto di ciò che sta succedendo nella nostra vita spirituale. Non si tratta di una semplice trascuratezza di qualche cosa di veniale, ma può portare, se uno non è vigilante, a diventare incapaci di volere e di operare per la deplorevole mancanza di forza morale. Quando uno si getta in balia di dubbi, di esempi per nulla cristiani, di discorsi che distruggono ogni valore, diventa un pusillanime privo di forza d'animo, un vile incapace di testimoniare la sua fede, un vigliacco senza coraggio pronto a rinnegare la sua fede e cambiare anche religione.
Adamo ed Eva si lasciano tentare dal serpente
Quando uno rifiuta di stare con Dio, di obbedirlo e amarlo, è chiaro che va incontro a qualche cosa di brutto. Un dramma che hanno vissuto i nostri progenitori e che vivono coloro che hanno deciso di rompere i ponti con l'Altissimo. Il serpente antico, geloso, li spinse a dubitare della Parola di Dio, come narra il racconto della Genesi.
Il serpente disse alla donna:
"è vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare il frutto di nessun albero del giardino?".
"Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete".
"Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male".
Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei (cf Genesi 3).
Come possiamo definire l'accidia
La definizione del vizio capitale dell'accidia è: la negligenza nell'esercizio delle virtù cristiane e nell'attività spirituale tendente alla santificazione dell'anima. Si tratta quindi di pigrizia, di inerzia circa le cose che riguardano Dio e precisamente i suoi comandamenti, la sua volontà santissima per la salvezza degli uomini. Se non stiamo attenti, se non ci sforziamo di camminare per il retto sentiero tracciato dalla Parola di Dio, se non seguiamo con coraggio il nostro unico salvatore Gesù Cristo, rischiamo tutti di cadere nell'indifferenza, nella pigrizia spirituale, fino al punto di negare Dio e di far prevalere nella nostra vita il nostro "io".
Anche i cedri del Libano, così maestosi e forti, possono cadere al suolo, come avvenne al re Salomone.
L'esempio del Re Salomone
Dio diede a Salomone "sapienza e intelligenza come nessuno ha mai avuto e mai potrà avere" (1 Re 3,12).
Ebbene, mentre il Signore aveva proibito agli Israeliti matrimoni con gente pagana perché li avrebbero spinti ad adorare altri dèi. Il re Salomone trasgredì questo comando unendosi a donne pagane e accettò di prostrarsi davanti alle molte divinità che ogni donna adorava (1 Re 11,113). Egli stesso fece costruire santuari in onore di dèi abominevoli. Salomone si era stancato del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, forse era arrivato al punto di credersi veramente sapiente, il più sapiente di tutti, tanto da stabilire per se stesso ciò che era bene o male.
Come combattere l'accidia
Don Bosco a quelli che gli chiedevano un programma di vita per farsi santi, rispondeva «uno: stai molto allegro, sempre; due: fa' bene il tuo dovere in casa, a scuola, al lavoro, e con Dio; tre: comportati da buon cristiano, dovunque ti trovi».
Se uno affronta la vita con questa ricetta è sicuro di vincere l'accidia che lo distrugge.
Ogni cristiano deve impegnarsi a combattere con energia l'indifferenza religiosa che è appunto il vizio capitale dell'accidia, e, invece, intraprendere il buon cammino della fedeltà a nostro Signore Gesù Cristo e al suo Vangelo. Leali con lui, rispettando gli impegni presi, onorando la parola data, con impegno assiduo e tenace.
Ci possiamo salvare dal vizio dell'accidia solo se ci impegniamo ad essere fedeli a Dio e ai nostri doveri, riprendendo la pratica quotidiana della preghiera, la Santa Messa domenicale, la lettura del Vangelo, così da incontrare Gesù, lui in persona, che ci ama d'amore vero, che ci perdona, che vuole stabilire con noi una profonda e sincera amicizia. Una preghiera di forte implorazione, di lode, di ringraziamento, proprio come dice il salmo di Davide.
Insomma dobbiamo cercare Dio, perché egli si lascia trovare, o meglio è lui stesso che viene in cerca di noi. Spalanchiamogli dunque la porta perché vi entri liberamente. Se ci lasciamo trovare di giorno o di notte, quando siamo tranquilli o quando c'è tempesta nel nostro cuore, oppure quando pigramente vaghiamo con i nostri pensieri. Egli vuol far festa con noi, vuole darci una nuova carica di vita.
Quando ci troviamo in uno stato di prostrazione spirituale e rischiamo di abbandonare tutto perché ghermiti da una terribile accidia, dobbiamo scuoterci a tutti i costi, lodare il Signore e implorarlo perché ci liberi da questi nemici spirituali: l'apatia, la pigrizia, la svogliatezza, l'indifferenza.
Gesù va in cerca della pecora perduta
C'era una volta un pastore che aveva cento pecore. Un giorno mentre pascolava il gregge una pecorella se ne andò via in cerca di altri pascoli. Alla sera, facendo la conta, il pastore se ne accorse e subito, lasciate le novantanove al sicuro nell'ovile, si mise alla ricerca della smarrita. Egli era molto ricco, e di una pecora in più o una in meno, non gliene importava nulla, ma conoscendole una per una, e avendo portato quella in braccio quand'era piccina, ne ebbe compassione, girò finché ebbe la gioia di trovarla. Se la prese di nuovo in braccio, accarezzando quel bel musetto, e la riportò all'ovile facendo una bella festa (cf Lc 15,17).
I discepoli di Emmaus
Coloro che si sentono freddi spiritualmente e pigri e negligenti, ma nel loro cuore hanno ancora un po' di nostalgia di Dio, che cosa dovrebbero fare? Ecco un buon suggerimento: percorrere la strada dei discepoli di Emmaus in compagnia di Gesù.
Il giorno dopo il sabato, mentre gli Apostoli erano pieni di stupore per il sepolcro trovato vuoto e per quello che le donne asserivano, due discepoli lasciarono tutto e tutti e se ne tornarono al loro villaggio.
Lungo il cammino Gesù si accostò a loro dicendo:
Di che cosa discutete?
Del caso di Gesù Nazareno, risposero. I capi dei sacerdoti lo hanno condannato a morte. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele.
Come siete lenti a credere, rispose loro Gesù, a quello che i profeti hanno scritto!
Quindi spiegò loro i passi della Bibbia che lo riguardavano.
Arrivati al villaggio i due discepoli gli dissero: "Resta con noi perché il sole ormai tramonta". Entrò, si mise a tavola con loro, prese il pane, pronunciò la preghiera di benedizione, lo spezzò e cominciò a distribuirlo.
In quel momento si aprirono i loro occhi e credettero, e senza attendere, fecero ritorno a Gerusalemme per raccontare a tutti quel meraviglioso incontro (cf Lc 24,1345).
Se pertanto vogliamo liberarci dal nostro triste stato di negligenza spirituale dobbiamo supplicare Dio con forti grida e lacrime perché risvegli in noi la fede che lo Spirito Santo ci ha donato nel Battesimo, e riaccenda il desiderio della Parola, della frequenza ai sacramenti della confessione e della partecipazione all'Eucaristia, per un incontro vivo e personale con Gesù.
La fede è la porta che si apre sulla conoscenza della Parola di Dio, la Sacra Scrittura, ed è anche la luce che rischiara il testo sacro, non solo, ma la fede è pure il fondamento solido, come una roccia, che ci rende sicuri e stabili. La fede, dono dello Spirito Santo, vince ogni dubbio, allontana ogni tentennamento.
La Sacra Scrittura contiene la parole che ci conducono alla vita eterna e poiché è opera dello Spirito Santo, ci dà anche la forza per rinnovare la nostra vita, per darle un significato che ci può soddisfare in pieno e ci dice che già ora possediamo la vita eterna anche se non ancora a occhi aperti e a cuore pieno.
Più precisamente: con umiltà e semplicità, non solo chi si è smarrito ma tutti noi, accostandoci al Padre nostro che è nei cieli, affinché, per mezzo dello Spirito, ci faccia conoscere la Parola della Sacra Scrittura, e la Parola è Gesù Cristo, il Figlio suo, che si è fatto uomo per amore nostro, ed è morto in croce ed è risorto.
La vera conoscenza della persona di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ci apre la porta all'Amore. Tutto gira attorno all'Amore. Tutti vogliono essere amati e sentire il soffio, la carezza, la forza dell'Amore. Tanto più quelli che si sentono abbandonati, fiacchi, pigri, senza gusto, soltanto l'Amore li può risvegliare. Accostiamoci dunque a Gesù. Parola di vita eterna, lui che è fatto d'Amore, e che amò accoratamente ogni creatura proprio quando pendeva dalla Croce.
Tratto da: "Maria Ausiliatrice" 2004
Autore: Don Timoteo Munari
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